Tavola rotonda con Enzo Bianchi, Franco Garelli e Giannino Piana
(NPG 1980-10-19)
II radicalismo come orientamento esistenziale e religioso
Si sente parlare da più parti di radicalismo evangelico, di ritorno al messaggio di Gesù allo stato puro, di bisogno di fare ai giovani una proposta di vita in termini di radicalità. Si parla anche di radicalismo esistenziale tra i giovani. Cosa si intende propriamente con questi termini?
Bianchi - L'impressione mia è che prima di parlare di radicalismo in termini di contenuti, bisogna parlarne proprio come recupero di posizioni radicali. Radicalismo è anzitutto un atteggiamento: andare all'eccesso delle cose, tendere a posizioni limite, di confine, perché si vuole fuggire dalla mediocrità. I giovani sentono il bisogno, in altre parole, di assumere posizioni paradossali, come l'atteggiamento massimalista verso la società borghese con il suo perbenismo. Così del vangelo vengono sottolineate scelte come la povertà, la mitezza, la pacificità, il lasciar la casa e famiglia.
Piana - Condivido l'idea che il radicalismo è anzitutto un atteggiamento, una modalità di fondo con cui ci si colloca di fronte alla realtà, a Dio, al Vangelo. È importante tuttavia cercare di scoprire come questa esigenza si traduca in scelte effettive. Come, in altre parole, definire il passaggio dalla esigenza alle concretizzazioni quotidiane? C'è una premessa da fare sul modo o scontato» con cui vengono oggi accolte alcune scelte di tipo radicale. Io credo, per fare un esempio, che l'obiezione di coscienza sia una scelta radicale - non solo in quanto fatto di obiezione ma soprattutto per gli ambienti di servizio che si scelgono, come le zone più depresse - anche se oggi non appare più tale, perché non si presenta come la o scelta eroica» degli anni del '68 ma come una scelta normale. Ecco, diversi valori di tipo radicale tendono ad esprimersi nella quotidianità delle scelte. Io credo che tra i giovani ci sia una grossa tensione: al di là delle apparenze, c'è un impegno serio, anche se non espresso in termini di alternativa politica.
Una manifestazione concreta di questa tensione la trovo anche nell'emergere fra i giovani (i più giovani soprattutto) di un discorso critico sulla sessualità. C'è la propensione a ritornare a forme di amore romantico... Fino a qualche anno fa la sessualità era vissuta come o il riposo del guerriero» ma senza attribuirle grande importanza perché il vero senso della vita lo si ricercava altrove. Oggi c'è una riscoperta della affettività, dell'innamoramento, con una serietà e fedeltà che sorprende.
Bianchi - Vedo anch'io in questa riscoperta dell'innamoramento una forma di radicalismo, un tendere a forme di vita totalizzanti.
Un altro indicatore di radicalismo tra i giovani io lo vedo nella scelta di povertà di tipo evangelico. Nel '68 la parola aveva un senso sociale e politico ben preciso. Oggi povertà è invece un arrivare ad una certa trasparenza, ad un certo nomadismo, a non installarsi, a vivere nel provvisorio... Questa è la povertà che i giovani sentono.
Non è più una povertà di denaro, un fatto di giustizia sociale, ma piuttosto una esigenza che le istituzioni cristiane siano povere anche nell'annuncio del messaggio evangelico.
Un altro esempio. Non è più la nonviolenza il grande tema dei giovani, quanto la mitezza, l'essere pacifici. Ancora: una certa durezza verso il proprio ambiente, verso il mondo; un distacco che non è sempre da pensare come disimpegno, fuga mundi, ma come atteggiamento radicale verso le istituzioni.
Mi colpisce poi molto il fatto che i giovani mostrano un forte interesse ad una proposta in termini di radicalità a livello sia di lettura della Bibbia che di stile di vita cristiana. Un interesse ed un entusiasmo maggiori che nel recente passato e che rende i giovani capaci di grossi sforzi. Non si lamentano affatto di passare tre ore alla lectio divina dove non ci sono ingredienti accattivanti ma solo salmi, letture bibliche e commenti estremamente duri.
I giovani poi chiedono di tornare al vangelo allo stato puro, al Gesù nudo. Con insistenza ci sentiamo dire: parlateci di Gesù, di come lui è vissuto, di come lui ha fatto, di cosa lui ha detto. Senza troppe interpretazioni. Tutto questo lo verifico non solo a Bose ma anche in altre comunità monacali con cui siamo in contatto e per le quali i giovani mostrano molto più interesse che non nel passato.
Garelli - Vi sono dei segni di atteggiamento radicale anche nella vita quotidiana dei giovani, la quale sembra organizzarsi in modo diverso rispetto al passato, accentuando il carattere di essenzialità dei rapporti, delle cose in cui credere, dello stile di vita. Il giovane sembra aver sfrondato molto il superfluo, per andare «per certi versi» al centro delle cose. Egli guarda al lavoro perché interessa o perché ha una funzione di mantenimento, più che identificarsi con esso per la carriera, per la scalata sociale; guarda ai rapporti per la capacità di arricchimento personale, non tanto per convenienza sociale; anche a livello religioso più che riconoscersi in una religiosità tradizionale, consolidata nelle norme e nei riti, si orienta verso una concezione di fede quale nucleo di valori assunti come punto di riferimento ultimo dell'esistenza. Quest'accentuazione di essenzialità avviene quindi all'insegna del rifiuto delle mediazioni culturali nella linea dell'autorealizzazione personale.
Le ambivalenze del ritorno radicale
Vi sono elementi di ambiguità, rischi, limiti in questo orientamento radicale dei giovani?
Piana - Nel ritorno del radicalismo vedo la tendenza a forme di fuga dalla realtà, a recuperare spazi vitali e modelli di vita che non esistono più, in un modo che non risolve probabilmente i problemi che i giovani si pongono. Il rischio è che i giovani si chiudano in se stessi senza tentare di esprimersi in mediazioni storiche nei confronti della realtà. Difficilmente in effetti essi riescono a tradurre l'atteggiamento radicale in scelte per la vita quotidiana.
Bianchi - Il rischio c'è e in alcuni ha dato luogo ad una vera «fuga» da quello che chiamano il clima irrespirabile della vita. Per altri però c'è un impegno storico, anche se non più di tipo politico. L'impegno è maggiormente rivolto al quotidiano, magari attraverso scelte di volontariato, iniziative di quartiere. È un dato nuovo, soprattutto perché l'impegno è parallelo al rifiuto delle ideologie politiche dominanti.
Garelli - Mi chiedo se sotto gli atteggiamenti di tipo radicale non ci sia una grossa istanza di soggettività vissuta però in termini di dissociazione tra tensione ideale e ricerca di un nuovo modello di comportamento. È importante verificare se alla tensione ideale segue o no una piccola rivoluzione nel quotidiano. Per tanti aspetti mi sembra di dover parlare di incoerenza dei giovani... Ancora in questa linea: radicale nasce dalla condivisione dei valori evangelici o non piuttosto da. - identità e di soggettività, fino a sconfinare nel soggettivismo?
Piana - Credo che un'apertura al quotidiano, per vivere secondo certi valo:.
tra i giovani. Ma in fondo nell'impatto le cose si complicano. L'esigenza di radiacalità è sperimentata dai giovani soprattutto nel prendere parte ad esperienze forti dove si fa una proposta allo stato puro. Ora questa esigenza viene a scontrarsi con la realtà di ogni giorno dominata da tutt'altre logiche fino a portare, se si analizza la vita di questi giovani in profondità, alla convivenza schizofrenica di due anime. Più che di incoerenza parlerei però di una certa logica di adeguamento alla realtà. Poiché non è possibile cambiare la realtà in tempi brevi, ecco che i giovani sentono di dover sopportare una condizione schizofrenica in cui però cominciare a cambiare le cose nel piccolo, là dove è possibile.
Con questo atteggiamento che da una parte spinge verso il recupero della radicalità nella sua essenzialità e dall'altra prova a fare i conti con la vita, l'idea della perfezione è un traguardo che sta sempre davanti, oltre. Evidentemente è facile sconfinare nelle incoerenze. L'importante però è che nel capire non si usino solo filtri di tipo negativo, ma si sappia anche valutare la maturazione della coscienza delle effettive possibilità di incarnare il messaggio nel quotidiano.
Garelli - Credo che qualche parola vada spesa per collegare quanto detto a fenomeni come la attuale crisi di appartenenza sociale, in cui i giovani si sentono coinvolti. È possibile ripensare il bisogno di radicalismo religioso in funzione del bisogno giovanile di appartenenza sociale. In un momento, come l'attuale, segnato dalla crisi delle speranze umane, dalla complessità del sistema sociale, dal pluralismo di proposte e valori, dalla mancanza di gruppi di riferimento credibili, molti giovani risultano disponibili a considerare proposte ed esperienze che li aiutino a ridefinire la loro identità, che rispondano al bisogno di sicurezza, che siano in grado di dare un senso - anche forte, in modo totalizzante - alla loro vita quotidiana. Una larga fascia di giovani sembra ritrovare in alcuni gruppi-movimenti ecclesiali proposte ed esperienze «credibili», costruite a misura dei loro anni giovani, rispondenti alle attese e ai bisogni di chi si sta sempre più aprendo alla vita. Si tratta di gruppi che emergono dal pluralismo di proposte culturali con forti contenuti, in grado di rispondere alla totalità delle esigenze del giovane (affettive, relazionali, espressive, ricerca di senso...), che vanno incontro a quel primato dell'esperienza che caratterizza oggi i giovani. La proposta forte e totalizzante che questi gruppi esprimono contiene però dei rischi, in particolare essa può funzionare da elemento «securizzante» della vita dei giovani più che permettere loro una ridefinizione reale dell'identità personale e sociale. In questo caso siamo di fronte più a una fede-sicurezza che a una fede-rischio. Anche qui si esprime un'identità religiosa con accentuazioni «radicali», ma caratterizzata da ripetitività, da scarsa fecondità, da incapacità di rendere attuale la ridefinizione di sé.
Problemi educativi e pastorali
Quali problemi educativi e pastorali evidenzia il ritorno alla radicalità oltre a quelli già accennati come il rifiuto delle mediazioni culturali, il bisogno dei giovani di darsi una identità, la fuga dall'impegno storico?
Piana - Pur avendo affermato il manifestarsi tra i giovani di un atteggiamento radicale non si può passare sotto silenzio che questa per molti è una esigenza tutt'altro che tradotta in prassi quotidiana... Non si possono tacere i problemi educativi posti da un certo disimpegno e vivere amorfo, dalla fuga dalla interiorità per affogare in manifestazioni in cui gioca molto l'irrazionalità. L'impressione è che spesso l'esigenza radicale che pur si portano dentro non riesce a farsi strada e l'angoscia risucchia molti giovani. Lo dimostra anche lo squilibrio tra momenti forti della vita e quotidiano a cui i giovani non sanno dare un vero significato.
Garelli - Mi rimane difficile conciliare, nonostante tutto quello che si è detto, il ritorno alla radicalità con la scelta di vita del giovane medio, scelta che si può definire di piccolo cabotaggio. Come è possibile una scelta di radicalità in un giovane disincarnato? Faccio un esempio. Il giovane d'oggi vive facendo moltissime esperienze e procrastinando il più possibile le decisioni di fondo...
Bianchi - Quest'ambiguità è tipica dell'atteggiamento radicale. È proprio in nome del radicalismo che si fanno esperienze diverse, per niente in connessione tra loro. Il criterio di scelta è puramente soggettivo. Non c'è un cammino ordinato. Tutto questo è vero ed è un limite. Non si può dimenticare tuttavia la serietà con cui proprio questi giovani vivono le varie esperienze.
Piana - Il problema nasce dal fatto che in effetti l'atteggiamento radicale convive spesso con il rifiuto dell'etica, perché l'etica è - tutto sommato - il momento della mediazione mentre il ritorno all'evangelo puro è solo un atteggiamento senza contenuti. I giovani vogliono appropriarsi nel contatto con le varie proposte radicali degli atteggiamenti. Le mediazioni vogliono farle loro direttamente, senza interferenze.
Bianchi - Un altro problema, o per lo meno un rischio, lo individuo nel fatto che per recepire un messaggio i giovani d'oggi hanno bisogno di vederlo incarnato in modelli viventi ed espressivi di atteggiamenti radicali. C'è il rischio di forme di culto della personalità. È un limite. Oggi i giovani rispondono all'appello di alcuni - chiamiamoli cosi - «testimoni N con un attaccamento che indubbiamente lascia perplessi molti.
Garelli - Rispunta l'esigenza di leader...
Bianchi - Più che di leader, esigenza di qualche anno fa, parlerei di ricerca di figure spirituali, come Madre Teresa o Roger Schutz. Ma non solo loro; esistono molte di queste figure, anche se meno conosciute dal grosso pubblico, che riescono a strappare ai giovani consensi e applausi. Il rischio nasce anche dal fatto che proprio quei giovani che esaltano la mediazione personale rifiutano la mediazione ideologica e teologica.
Piana - Anch'io volevo fare la stessa considerazione. C'è un ritorno nei giovani al principio di autorità, come manifesta appunto l'attaccamento ai leader e la disponibilità ad accettare la testimonianza come principale punto di riferimento nel prendere le decisioni. Lo stesso modo di vivere la fede è fondato sulla fiducia a qualcuno. Non in maniera diretta a Dio, ma in persone che manifestano un certo comportamento. Aggiungo che lo stesso ritorno alle sorgenti prese come testimonianze indiscutibili e senza alcuna mediazione culturale mi lascia perplesso.
Garelli - È pure da notare, per i suoi risvolti pastorali, che mentre viene accettata la testimonianza del singolo o anche del piccolo gruppo ecclesiale non ci si pone neppure il problema della chiesa-mediazione. In effetti c'è nel giovane un atteggiamento selettivo. Fiuta ciò che gli piace a partire dai suoi filtri e non si preoccupa del resto, nel segno di una presunta tolleranza e della non-conflittualità.