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    Introduzione a: Verso una pastorale giovanile diocesana


     

    Verso una pastorale giovanile diocesana

    (NPG 1980-06-13)


    Questo dossier parte da un'esperienza singolare, quella della diocesi di Verona che per un anno intero ha riflettuto sul cambio in atto nella condizione adolescenziale e si è interrogata su come «dire la fede» con le nuove generazioni. Quella di Verona ci sembra un'esperienza di rilievo. Non solo per le energie profuse e per i risultati raggiunti con un lavoro intelligente, ma anche perché rappresenta una iniziativa sintomatica nella chiesa italiana agli inizi degli anni '80.
    Crediamo che stia maturando dappertutto l'esigenza di una pastorale giovanile organica a livello di diocesi e per lo meno di zona pastorale. Dopo anni in cui ogni animatore, investito dalla urgenza delle situazioni, ha dovuto spesso inventarsi sul campo una sua pastorale giovanile (confrontandosi con pochi amici o con un certo «giro» di pastorale a livello nazionale), sono in molti oggi a sentire il bisogno di animare la diocesi a partire dalla esperienza accumulata in questi anni e di rielaborare le scelte fatte finora, dialogando più da vicino con tutte le forze diocesane interessate all'educazione dei giovani.
    Anche a livello di istituzioni ecclesiali il clima è mutato. Si sente maggiormente il bisogno di consolidare alcune linee di pastorale giovanile a cui tutti dovrebbero poi ispirarsi, superando i rischi di individualismo e settorialismo di alcuni animatori, per arrivare progressivamente ad un certo «stile.» diocesano nel servizio agli adolescenti e ai giovani. Nell'esperienza di Verona le varie esigenze vengono a incontrarsi e ad arricchirsi reciprocamente. Nel proporla ai nostri lettori e nell'approfondire alcuni dei problemi sottolineati dagli amici di Verona, crediamo di fare un servizio utile verso quanti stanno maturando le stesse esigenze nelle varie diocesi e cercano delle indicazioni concrete per renderle operative.

    FATTI

    Per avere un'idea abbastanza attendibile dell'esperienza di Verona occorre tener presenti due livelli di lettura: quello che racconta come si sono svolte le varie iniziative e quello che raccoglie progressivamente in un documento le riflessioni elaborate lungo il cammino. «Attività a servizio della riflessione» e «riflessione ancorata alla attività.«sono state due scelte molto precise di chi ha voluto e programmato l'esperienza culminata nel Convegno Diocesano Adolescenti tenuto nell'ultima settimana del maggio '79.
    Per forza di cose abbiamo dovuto mantenere separati i due livelli di lettura. In un primo momento presentiamo l'iniziativa nei suoi aspetti più tecnici, fissando l'attenzione sugli obiettivi, lo" stile, i vari momenti del lavoro parrocchiale, zonale e diocesano, il coinvolgimento di tutti quelli disposti a dare una mano. Subito dopo viene il «documento conclusivo» che raccoglie organicamente le riflessioni maturate nella ricerca e nel dialogo fra tutti. Un documento nato dal basso, dunque. Ma un documento allo stesso tempo ripensato da alcuni esperti per dare forma e tono ai tanti discorsi, a volte frammentari, di quei mesi.
    Purtroppo, per comprensibili motivi redazionali, abbiamo dovuto fare dei tagli per presentare il documento. Ce ne scusiamo con i lettori e anche con gli estensori del documento. Ce ne scusiamo con i lettori e anche con gli estensori del documento.
    Chi lo desiderasse per intero può rivolgersi a Casa Serena - Centro diocesano pastorale unitaria adolescenti - 37026 Settimo di Pescantina (Verona)

    PROSPETTIVE

    In queste pagine redazionali non vogliamo tentare una valutazione della esperienza di Verona: non è nello stile della rivista e, probabilmente, non abbiamo a disposizione molti elementi importanti per un giudizio. Vogliamo invece portare l'attenzione su alcuni punti che qualificano l'esperienza, assumendone gli stimoli in vista di una riflessione ulteriore e accogliendone gli interrogativi per ricercare nuove piste di lavoro.

    Una pastorale giovanile «diocesana»

    Sorprende anzitutto il progetto di insieme e lo stile con cui è stata condotta l'esperienza. Uno stile effervescente ed efficiente in un impianto ideologico preciso ed esigente.
    Buone doti oreanizzative ed insieme un attento lavoro di intelligenza per fissare gli obiettivi di fondo e quelli intermedi.
    In ogni diocesi esistono gruppi che si confrontano sulla pastorale giovanile. Raramente però sentono il bisogno di coinvolgere le istituzioni, e altrettanto raramente le istituzioni si preoccupano di creare un «movimento» di pastorale giovanile. Questa invece rischia di venir confinata negli uffici di curia che, al massimo, si preoccupano di coordinare le varie iniziative e, di tanto in tanto, preparare a tavolino dei documenti.
    A Verona hanno scelto una strada per molti versi nuova. Un gruppo di preti, suore, laici (giovani in particolare), ha impostato un lavoro in cui le istituzioni diocesane non solo erano presenti ma sostenevano l'iniziativa. Il gruppo, in altre parole, non ha tentato di farsi una sua pastorale giovanile, ma ha voluto coinvolgere tutte le forze vive della diocesi in una esperienza che fosse di maturazione di una nuova e da tutti condivisa, perché da tutti elaborata, mentalità pastorale.
    In questi anni di intensa elaborazione di nuovi itinerari di pastorale giovanile, le diocesi dovrebbero sforzarsi non tanto di collegare le iniziative esistenti, accettandole tutte indistintamente, quanto piuttosto di elaborare una autentica pastorale giovanile diocesana. E questo perché è la chiesa locale, incarnata nel quotidiano dei giovani che deve farsi soggetto di proposte educative e di fede per «questi» giovani. Oggi, occorre ricordarlo, spesso solo le associazioni e i movimenti hanno un serio progetto di una pastorale giovanile. E poiché questi raramente raggiungono la massa dei giovani, si è privi di indicazioni attendibili per i gruppi parrocchiali normalmente poveri di iniziative, strutture e mezzi ma carichi di grosse responsabilità. Ai giovani di questi gruppi e a quelli ancor più lontani dalle istituzioni ecclesiali oggi non si pensa a stcienza.
    L'iniziativa di Verona ci sembra a riguardo di rilievo. Forse apre una nuova stagione pastorale, come da più parti si avverte. Ci preme riconoscere subito che in questo immenso lavoro (basti pensare al fatto di aver ottenuto la collaborazione di oltre 340 parrocchie) i giovani sono stati dei veri protagonisti. Si è chiesto loro di farsi portatori di iniziative, di costituirsi come gruppi di riflessione sulla condizione giovanile, la società e la chiesa.
    Si è evitato tuttavia di cadere nel giovanilismo. Gli adolescenti non sono stati idolatrati, fatti principio di ogni verità. A loro si è continuamente chiesto di verificarsi con gli adulti, di dialogare con le istituzioni, di rendersi conto del lavoro svolto dagli esperti che hanno elaborato il documento finale.

    Un'esperienza ed un documento

    Il lavoro svolto a Verona è stato impostato facendo continuamente attenzione a coniugare insieme azione e riflessione. Tutte le attività sono state organizzate non in vista di una gratificazione più o meno epidermica degli adolescenti ma per invitare tutti ad una seria riflessione sulla
    condizione giovanile e sulla proposta di fede.
    È positivo il fatto che non si sia lasciato perdere tutto il grosso impegno di riflessione maturato in quei mesi. Il documento «insieme per vivere e per sperare» rimane così un preciso punto di riferimento per il futuro. Un documento certo da superare man mano che le esigenze lo richiederanno, ma insieme un passo decisivo nella storia della pastorale giovanile a Verona.
    Ancora una volta occorre riconoscere l'importanza della scelta fatta. Spesso esperienze come quelle di Verona non arrivano a maturare dei nuovi orientamenti negli operatori pastorali, a creare una nuova mentalità. Energie e fantasia si disperdono e chi ha lavorato si rende conto, a distanza di tempo, di aver costruito nel vuoto. Verranno altri volonterosi ed il gioco si ripeterà inutilmente.
    In altri casi invece, dove si è stati attenti a raccogliere i vari stimoli e a ordinarli faticosamente in un documento programmatico la pastorale ha potuto segnare un piccolo passo in avanti.

    Giovani, adulti, giovani-animatori

    Il nuovo taglio della iniziativa, così come emerge dalla lettura del documento conclusivo si manifesta fin dal principio nell'attenzione a due problemi ai quali qualche anno fa si dava scarso rilievo e che oggi stanno diventando centrali nella riflessione educativa e nella crescita di fede: il rapporto adolescenti-adulti, ed il rapporto adolescenti-istituzioni.
    Traspare da quanto è stato fatto a Verona la volontà di accogliere i giovani, senza tuttavia, come già si è accennato, sposare tesi di tipo giovanilistico. Si è voluto invece educare i giovani al confronto con gli adulti, senza d'altra parte avallare certi rigurgiti di tradizionalismo di moda anche in campo ecclesiale.
    Condividiamo la scelta operata a Verona e rilanciamo il problema di fondo. Per non lasciar disperdere gli adolescenti in un regno di solitudine e di violenza, è necessario che le generazioni interagiscano maggiormente. Come è possibile in una società come la nostra? In quale modo ricucire il dialogo intergenerazionale, al di là dei reciproci ricatti economici ed affettivi a cui adolescenti ed adulti si abbandonano? Come dialogare tra generazioni, evitando giovanilismi ed adultismi?
    Nel rapporto adolescenti-adulti un ruolo di tutto rilievo oggi gioca il gruppo giovanile ecclesiale che spesso è l'unica cerniera tra un mondo di adulti a volte troppo adulto (per età e per mentalità) per poter dialogare con i propri figli, ed un mondo di adolescenti in fondo disancorati ed emarginati dalla realtà sociale ed ecclesiale.
    Quali scelte educative si impongono perché questi gruppi possano svolgere in modo corretto un servizio di cerniera? E poiché all'interno dei gruppi un ruolo di primo piano vengono ad avere i giovani-animatori tra i 20-25 anni, a quali condizioni possono svolgere un servizio di maturazione degli adolescenti, loro che in fondo sono partecipi sia delle istanze degli adolescenti che di quelle degli adulti?

    Adolescenti ed istituzioni

    Un secondo nodo educativo a cui a Verona si è prestato particolare attenzione è il rapporto tra adolescenti e istituzioni.
    La chiesa di Verona ha voluto entrare in dialogo con i giovani vincendo l'inerzia e la paura dei giovani di molte chiese negli anni dopo il '68 e uscendo dalla «sicurezza» in cui molte di loro si erano rifugiate
    ponendosi davanti ai giovani nei termini duri di «prendere o lasciare».
    Crediamo che si sia colto nel segno e compiuto una grossa scelta educativa, quando si è fatto in modo che le istituzioni parrocchiali, zonali e diocesane si facessero promotrici di accoglienza e di dialogo con i giovani. Un gesto di conversione, perché chi dialoga dice di essere disposto al cambio, e un gesto di responsabilità educativa verso i giovani d'oggi.
    Troppo spesso si è permesso che i giovani anche dei gruppi ecclesiali si incamminassero per strade antiistituzionaliste per principio, con visioni manichee della realtà, in cui la spontaneità era sempre «bene» e la istituzione era sempre «male». Abbandonati a se stessi i giovani si sono inconsciamente sentiti traditi da una società chiusa e a comportamenti stagno. A loro volta, non stimolate dai giovani, molte istituzioni anche ecclesiali sono precocemente invecchiate. Quale, ci chiediamo, è oggi il compito educativo delle istituzioni? E come educare gli adolescenti ad un critico e maturo rapporto con le istituzioni sociali ed ecclesiali?

    Gruppi giovanili ecclesiali e massa dei giovani

    Altra costante della iniziativa di Verona ci sembra la preoccupazione di raggiungere, al di là di ambigui proselitismi, tutti i giovani. Traspare la consapevolezza che la chiesa è responsabile della fede non solo di quei giovani che vivono all'«ombra del campanile»; ma anche di quelli che per mille motivi se ne tengono più o meno lontani. A tutti si è voluto far giungere un messaggio di accoglienza e a tutti si è voluto fare delle proposte sul piano umano e della crescita della fede.
    Questa preoccupazione di allargare lo spazio di dialogo emerge dal modo con cui. l'iniziativa è stata condotta e anche dal documento. Si deve però osservare che non si è riusciti a dare delle indicazioni sufficientemente chiare. Non sembra che si sia riusciti ad individuare nuovi percorsi, nuovi spazi di dialogo su cui attirare l'attenzione delle comunità ecclesiali e dei giovani.
    La preoccupazione di dover parlare non solo ai vicini ma anche a quelli lontani è rimasta più un'esigenza ed un dover-essere, senza tradursi in pista concreta di lavoro. Condividendo la preoccupazione del documento ci sembra importante che oggi si proceda su un duplice binario, quello del consolidamento e in molti casi della creazione di gruppi «ecclesiali» di adolescenti e quello di un'azione educativa rivolta alla massa dei giovani «là dove essi vivono», nei «gruppi naturali» di appartenenza. Come procedere in questa direzione, evitando ogni integrismo, ma allo stesso tempo facendo delle vere proposte educative e di fede? Che fare insomma per i giovani, fuori dagli ambienti specificamente ecclesiali?
    Quale presenza nella scuola, negli ambienti di lavoro, e nei vari spazi di aggregazione giovanile?
    Qualcuno comincia nuovamente a chiedersi se i cristiani non stiano usando le energie dedicandosi troppo al tempo libero dei giovani. Sono individuabili altri spazi e altre forme di presenza educativa? Venendo più da vicino all'educazione alla fede: quali strategie per una proposta di fede che pur valorizzando i gruppi, non si limiti a questi, ma voglia raggiungere tutti i giovani? C'è da chiedersi, anche qui, se non si stia utilizzando troppo i giovani più ricchi di esperienza umana e cristiana nel chiuso della vita dei gruppi, invece di aiutarli ad aprirsi nuovi spazi di animazione «là dove vivono» gli altri giovani. Quale esperienza allora nel territorio, dalla scuola ai quartieri?

    Contenuti e linguaggio

    Uno dei problemi giovanili oggi più cruciali è quello del linguaggio: giovani e adulti non si capiscono perché parlano linguaggi diversi, non solo sul piano lessicale e sintattico ma soprattutto sul piano semantico, sul piano dei contenuti a cui il linguaggio si riferisce.
    Riflettendo da questa angolazione su quello che si è tentato a Verona è anzitutto da riconoscere che l'esperienza è stata un momento di grosso arricchimento del linguaggio dei giovani e degli adulti. La crisi del linguaggio può essere superata, anche in campo ecclesiale, solo se si permette ai giovani e agli adulti di vivere insieme delle esperienze significative. È in quel contesto che nascono i nuovi simboli, quelli che tutti possono capire perché faticosamente elaborati insieme.
    In questo modo viene evitato ancora una volta il giovanilismo di chi esalta la creatività di linguaggio del mondo giovanile ma la abbandona a se stessa e la impoverisce, facendo sì che lo stesso
    linguaggio della fede maturi in modo parziale e settario, ma viene anche evitato, proprio per il tipo di processo innescato per stimolare nuovi simboli, il rischio di voler dire la vita e la fede con il linguaggio tr di sempre», cioè con un linguaggio precostituito e, per quel che riguarda i giovani, da apprendere nella sua presunta oggettività.

    Un problema aperto

    Qualche osservazione sul lavoro svolto a Verona. L'arricchimento c'è stato e lo abbiamo sottolineato. Ma forse più nella direzione della assunzione della cultura giovanile che nella direzione del «ridire la fede nella cultura dei giovani».
    Questo obiettivo è stato raggiunto ogni volta che ci si è affidati alla creatività nei momenti di incontro parrocchiale, zonale e cittadino, nella traduzione dei contenuti in immagini, slogans e feste. Forse però non si è riusciti ad esprimere questo ricco materiale nel documento conclusivo in cui è evidente più lo sforzo di dire tutte le cose importanti sulla fede che non quello di presentare in modo creativo la vita e la fede agli adolescenti.
    La proposta dei contenuti andava forse elaborata maggiormente su misura dei destinatari. In un certo senso le iniziative concrete dicono di più di ciò che dice il documento: da questo punto di vista è forse troppo corretto.
    L'itinerario indicato dalla diocesi di Verona è ad ogni modo molto stimolante. Indica una strada lunga, non sempre agevole, ma l'unica che, percorsa fino in fondo, permette di presentare agli adolescenti di oggi il volto sempre nuovo e splendente del Cristo.

    I tre articoli di approfondimento, elaborati da amici del gruppo redazionale per assicurare un preciso collegamento logico. riprendono e sviluppano alcuni di questi argomenti.


    PER L'AZIONE

    L'esperienza che abbiamo raccontato, è esemplare sul piano del metodo e su quello del contenuto. Rappresenta un corretto progetto di pastorale giovanile, non solo perché manovra molto bene i contenuti dell'educazione alla fede, ma anche perché li elabora in un itinerario preciso e raffinato.
    Come in tutte le realizzazioni umane, qualche smagliatura ci rimane; e questo la rende vicina alle nostre fatiche quotidiane, impastate di ricerca affannosa, di delusioni e di entusiasmi.
    Le «prospettive» hanno analizzato il documento prevalentemente sul piano dei contenuti, mettendo in risalto gli aspetti positivi e i problemi aperti.
    Ora vogliamo riflettere sul piano del metodo di lavoro, per rendere l'esperienza di Verona «propositiva» anche a questo livello.
    Allargando le intuizioni di cui è ricca e riorganizzando le sue scelte, possiamo offrire una proposta «per fare un progetto educativo-pastorale». Rappresenta, nei nostri «sogni», il quadro di riferimento a cui si possono ispirare le comunità ecclesiali che vogliono determinare con una seria precisione il loro servizio ai giovani.


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