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    Introduzione a: Giovani e parrocchia in «questa» chiesa


    (NPG 1980-3-17)

    Lo scorso anno, il Centro di Orientamento Pastorale (COP) ha promosso un interessante convegno sul tema affrontato anche da questo dossier: comunità cristiana, parrocchia e condizione giovanile Introducendolo, Mons. Bonicelli ha impostato così il problema: «Vogliamo proporre, a modello della comunità ecclesiale, l'esperienza, varia ma anche omogenea, dei gruppi e comunità giovanili o dobbiamo tendere a una Chiesa-comunità giovane? Il gioco delle parole è fin troppo evidente e le alternative sono pretestuose, ma il problema che vi è sotteso è quanto mai serio e impegnativo. Diciamo qui solo che, in una visione che ci è cara e che si traduce ad esempio in "Parrocchia comunione di comunità" che ormai ha fatto il giro del mondo, le comunità giovanili non possono che godere piena cittadinanza e rispetto. Non sempre è così, purtroppo, certo anche per qualche intemperanza dei giovani, ma forse per una reale difficoltà
    degli adulti, preti o laici, a comprendere e accettare la nuova cultura giovanile. (...) Tendere a una Chiesa dal volto sempre giovane come l'ha voluta il suo Signore, "senza macchia né ruga" (Ef 5,27): questo è l'ideale. Lì non solo ci sarà posto per i giovani, ma la giovinezza cioè la capacità di stupore, la ricerca del nuovo, l'entusiasmo, la gioia, il canto, la disponibilità e il disinteresse - qualità tipiche dei giovani - saranno le note inconfondibili di una comunità aperta a Dio e agli uomini».
    Condividiamo profondamente questo orientamento ecclesiale.
    Ci chiediamo, anche in questo dossier, come realizzarlo. E qui rispunta una nostra scelta caratterizzante. Crediamo che le comunità ecclesiali che sanno dialogare con i giovani sono vivificate da una sensibilità missionaria che si allarga a tutte le altre funzioni pastorali: la risposta che la comunità dà alle esigenze giovanili investe tutta la sua pastorale, per animarla di un soffio di novità, di creatività, di concretezza.
    Questo dossier racconta l'esperienza di comunità ecclesiali che hanno tentato questa strada. Parla di cose concrete e immediate.
    Così «quotidiane», che possono sembrare scontate.
    Eppure, riflettendoci con attenzione, ci sembrano proposte davvero stimolanti. E alla portata di tutte le situazioni ecclesiali.

    FATTI

    La parte più rilevante del dossier è costituita, come dicevamo, dalla «storia» di comunità parrocchiali in cui i giovani contano e incidono, nell'unica pastorale ecclesiale.
    Abbiamo scelto quattro storie complementari, per suggerire nell'insieme una proposta un po' articolata.
    Per offrire una chiave di lettura, dobbiamo evidenziare i criteri con cui abbiamo operato la selezione.
    In primo luogo, ci siamo preoccupati di presentare esperienze vicine alla situazione quotidiana degli operatori di pastorale. Siamo infatti convinti che hanno qualcosa da dire non solo le grosse realizzazioni, quelle che lasciano con il fiato mozzo. La «vita» è sempre una proposta: quella eclatante, dei grossi personaggi, e quella «comune», di tutti noi.
    Abbiamo poi cercato di coprire le diverse aree di azione pastorale: la grossa città, il piccolo paese, il Nord e il Sud... Certo, la «campionatura» non ha nessuna pretesa. Rappresenta soltanto uno stimolo, più
    allargato del solito. Per non giustificare la battuta disimpegnata di chi conclude troppo presto: sono cose d'altri paesi...
    Inoltre ci siamo preoccupati di cogliere due orientamenti complementari nel rapporto giovani-parrocchia: cosa può fare la parrocchia per rispondere alla domanda giovanile e cosa possono offrire i giovani all'animazione della parrocchia.
    L'ambito è quello della «parrocchia», come ricorda anche il titolo del dossier. Non vogliamo, in questo contesto, affrontare il problema spinoso «parrocchia sì -parrocchia no». Crediamo a quello che esiste, quando si ha voglia di farlo funzionare e non lo si pretende il principio definitivo della realtà. Crediamo quindi alla parrocchia, «nonostante» (anzi, meglio: «con») i suoi limiti, che nessuno è tanto cieco da disconoscere. Con un po' di buona volontà (e cioè con quella fede nello Spirito che si traduce in speranza operosa), questi limiti non rappresentano mai un ostacolo insuperabile.
    Lo dimostrano, appunto, queste quattro «storie».
    La presentazione delle esperienze è stata realizzata da G. Pillata, sulla scorta di interviste, di documenti e di altro materiale di prima mano.

    PROSPETTIVE

    Le comunità giovanili parrocchiali di Mestre, di Sant'Angelo di Celle, di Roma e di Foggia, di cui, in questo dossier, riportiamo l'esperienza, non sono che alcuni fra i molti «fatti» che testimoniano l'impegno crescente delle parrocchie nei confronti del mondo giovanile e il ruolo di primo piano che i giovani cristiani più impegnati vanno assumendo non solo all'interno di esse, ma anche nei confronti dei loro coetanei.
    Lasciando al lettore la più ampia libertà critica e interpretativa e senza alcuna pretesa di oggettività (davanti agli stessi fatti ognuno reagisce a seconda della personale collocazione e esperienza), evidenziamo, senza giudicarle, alcune linee di tendenza che paiono emergere dall'insieme e attirare nel contempo l'attenzione su problemi che rimangono aperti.

    1. LINEE DI TENDENZA

    Fra le molte e stimolanti suggestioni, quattro sembrano degne di segnalazione.

    1.1. La parrocchia come luogo per costruire comunità
    I giovani cristiani più impegnati e, con loro, gli adulti più sensibili, vanno prendendo le distanze da una concezione di parrocchia che si limiti essenzialemnte alla
    distribuzione dei sacramenti, consolidata nelle proprie tradizioni e esperienze, più
    attenta a conservare ritualisticamente le istituzioni, poco aperta e disposta ad interrogarsi, disincarnata e condotta in modo verticista.
    A loro non appare significativa: vi lascia infatti trasparire una concezione di Chiesa non particolarmente in sintonia con quella conciliare e decisamente inadatta ad essere «segno e strumento» di salvezza.
    Si fa sempre più strada, anche se non senza contrasti, la visione della parrocchia come luogo per costruire e fare esperienza di comunione, di comunità cristiana; un «ambiente» in cui, accettando i limiti di ciascuno, ogni «carisma» trovi ascolto, attenzione, possibilità concreta di realizzazione per il bene di tutti in un clima di rinnovata riconciliazione.
    Questo ambiente, lo si può rilevare da una lettura attenta delle esperienze, potrebbe essere caratterizzato da:
    - Un impegno di approfondimento e di crescita nella fede. I giovani vogliono rendersi conto anche razionalmente del «perché essere cristiani», del «che cosa comporti» il cristianesimo, per poter scegliere con consapevolezza di causa ed essere pronti a «darne le ragioni». La richiesta di corsi di iniziazione o di approfondimento del messaggio e della dottrina di Gesù, la determinazione di sperimentare con altri, magari in gruppo, l'esperienza della vita nuova da Lui portata, la richiesta di momenti di preghiera o domande simili, ne fanno fedele testimonianza.
    - Gesti concreti di comunione. Proprio perché si pensa alla parrocchia come luogo per costruire comunità, si mettono in atto le iniziative le più diverse per non «isolarsi» all'interno dei rispettivi gruppi, ma impegnarsi per un rapporto di dialogo e di collaborazione con i responsabili della parrocchia e altri eventuali associazioni, creando momenti di coordinamento, ridando vita, qualora fosse necessario, a quella struttura di comunione che è il Consiglio Pastorale parrocchiale e partecipando con intensità e significativa presenza alle iniziative della diocesi.
    - Una presenza non generica sul territorio e nella storia di ogni giorno. Se il rendersi conto della propria fede e il cercare di fare comunità non sfociano nel visibile servizio di liberazione, la fede appare «morta» e la comunità un «non segno».
    Non basta «stare insieme», occorre anche «l'impegno»; d'altra parte quando si hanno troppe cose da fare ne va di mezzo una certa necessaria gratificazione e si rischia di perdere l'identità, di non riconoscersi più nella «causa» che ha stimolato l'impegno. I gruppi di cui qui si parla dimostrano di aver fiutato il pericolo e di conseguenza hanno imboccato una interessante strada di soluzione. Lo «stare insieme» e
    «l'impegno» sono ricercati contemporaneamente come due cose ugualmente importanti e in nessun modo in alternativa. Queste due esigenze trovano un «saldo» in un insieme di interventi nella storia di ogni giorno e sul territorio, non generici, ma che hanno una rilevanza politica (azione educativa, terzo mondo, partecipazione all'attività del quartiere, inserimento nelle varie forme di vita popolare...), senza richiedere quella «dose di conflittualità» legata alla partecipazione politica in senso stretto (militanza nei partiti o in particolari movimenti o gruppi di pressione..) la quale potrebbe mettere in pericolo «almeno per ora - essi dicono - un sereno stare insieme».
    Queste scelte concrete hanno a monte una immagine di Chiesa. È indispensabile confrontarsi con questo progetto ecclesiologico, per verificarne la consistenza teologica e quindi la praticabilità spicciola.
    A questo grosso problema abbiamo voluto dedicare un articolo di approfondimento.

    1.2. Una pastorale «organica» che impegna «tutta la comunità»
    Sembra che nei giovani e nelle comunità parrocchiali descritte, maturi con progressione crescente la convinzione che l'impegno di annunciare il Vangelo e, di conseguenza, l'azione concreta che ne deriva, cioè la pastorale, debbano essere: - Un fatto di tutta la comunità e non solo di alcune persone che se ne assumono volontariamente l'impegno o che vengono delegate molte volte per colmare un vuoto.
    Tutta la comunità è soggetto intrispensabile di azione pastorale. In questa ottica che «cerca di sfondare», paiono collocarsi tutte le iniziative che si intraprendono nei vari settori (adulti, giovani, anziani, bambini..). In altre parole: non si tende a dare molto spazio a chi pensa di agire da «battitore più o meno libero», in modo individuale, isolandosi in forza di ispirazioni troppo personali e non sufficientemente confrontate e passate al vaglio della comunità o a chi, come afferma /Evangelii Nuntiandi, si crede «padrone assoluto della propria missione evangelizzatrice, con potere discrezionale di svolgerla secondo criteri e prospettive individualistiche», o ancora a coloro che piegano la comunità al «loro» esclusivo punto di vista.
    Non si vuole spegnere né annullare i carismi; neppure si tenta di annientare una certa dialettica, per altro necessaria, fra «memoria» e «profezia», istituzione e spontaneità.
    È invece un serio tentativo di vivere la
    «logica» della comunione, cioè l'ascolto e l'attenzione ai doni di tutti, ma per il «bene di tutti».
    - Una pastorale organica. Si nota una diffusa sfiducia in azioni pastorali in cui tutti fanno tutto e poi nessuno, in effetti, sembra in grado di fare anche solo qualche cosa «bene», o, peggio ancora, tutti sembrano indipendenti, ma di fatto tutti dipendono da una sola mente.
    Senza arrivare alla super-specializzazione settoriale, ma mettendo in crisi nel contempo il «pressapochismo», il
    «dilettantismo», il «provvidenzialismo», il «voler tutto subito» o il «garantire un minimo per tutti», si sente viva la necessità di una pastorale «organica» che parta da serie (non intellettualistiche) analisi della situazione, per sviluppare poi progetti e organizzare strategie in fedeltà al Dio che si annuncia e all'uomo concreto.
    Così, si cerca di «prendere in mano» la crescita spontanea dei giovani e della comunità e di «mettersi a servizio» con progetti più ampi e maturi, pensati, pregati e attuati insieme, sufficientemente flessibili senza cedere a riduzionismi di sorta. Un cammino che in teoria offre linee sufficientemente chiare ma che in pratica incontra resistenze di mentalità notevoli oltre alle difficoltà insite nella scelta stessa. La presenza dei giovani, in un tipo di pastorale così, sembra essere determinante.

    1.3. Una nuova dimensione al sacramento della Cresima
    Nelle parrocchie la Cresima, non è che la «punta emergente» di un più ampio discorso, quello del rapporto fra evangelizzazione e sacramenti.
    Senza entrare nel merito, ci limitiamo a presentare alcuni tratti di una azione pastorale che dà una «nuova dimensione alla Cresima»:
    - L'accoglienza: si cerca di conoscere i giovani e le loro famiglie in modo personale, approfondito. Ci si sforza di fare con loro il punto sulla maturità di fede, di verificare la disponibilità a intraprendere un cammino.
    Non è un momento «tattico» per fare proseliti, bensì l'indispensabile approccio per condividere un cammino di crescita che porterà alla ammissione al sacramento. La preoccupazione principale, come appare in modo evidente, non è di dare a tutti il sacramento, bensì di curarne la preparazione e di stimolarne in modo responsabile la scelta.
    - Il cammino di crescita. Vari e articolati sono i momenti. Tra essi l'accentuazione è rivolta alla catechesi, la quale, partendo normalmente dai bisogni dei giovani, ha come obiettivo non solo l'annuncio, ma l'esperienza concreta di esso, tramite la vita dei piccoli gruppi e graduali impegni concreti di servizio.
    L'educazione liturgica è particolarmente curata tramite celebrazioni eucaristiche e penitenziali con numero ridotto e piuttosto omogeneo di partecipanti. Molti e variamente distribuiti i momenti di preghiera.
    - L'inserimento graduale nella vita della comunità. Partendo dalla convinzione che la comunità cristiana si costruisce con il contributo responsabile di tutti, si chiede a coloro che hanno deciso di ricevere il sacramento di assumere da «adulti nella fede» impegni concreti più specifici e
    coinvolgenti a diversi livelli di partecipazione e di responsabilità. II«dopo cresima» in particolare è orientato in questo senso.
    Le strade sono molte: animazione di gruppi di preadolescenti, del tempo libero, attività di appoggio ai catechisti, presenza sul territorio, animazione socio-culturale, animazione liturgica, partecipazione alle iniziative delle zone pastorali...

    1.4. La «riscoperta» della religiosità popolare
    Specialmente nel Sud, i giovani e le comunità paiono accorgersi di una realtà che da molti è ritenuta un «cristianesimo di secondo ordine».
    Si tratta di quei particolari moduli espressivi con cui la cosiddetta «gente» o «il popolo» intendono il loro rapporto con Dio, i sacramenti, la Madonna, i Santi e attraverso ai quali filtrano nella loro vita il messaggio cristiano.
    Una realtà certo non priva di deformazioni e, a volte, non lontana da punte di superstizione, la quale però se «ben orientata, soprattutto mediante una pedagogia di evangelizzazione» - così Evangelii Nuntiandi - è ricca di valori (48).
    L'approccio non è «tattico».
    La preoccupazione è di mettersi in ascolto, di cogliere gli aspetti originali, evidenziare i valori e le dimensioni interiori, mettendo in guardia da rischi di deviazione.
    L'esperienza della comunità giovanile di Foggia, certo stimolante, sta a testimoniare la necessità di non emarginare questo modo particolare di intendere i valori del cristianesimo, anzi, invita a prestare particolare attenzione e cura ad una realtà che ha tutte le carte in regola per essere un terreno di «vero incontro, con Dio, in Cristo» (EN 48).
    Non potrebbe essere occasione di ripensamento per la impostazione pastorale delle comunità parrocchiali?

    PROBLEMI APERTI

    Evidenziare delle linee di tendenza stimolanti non vuol dire affermare che tutto è pacifico, che non esistono più difficoltà o problemi.
    Ce ne sono, e non pochi. Ne segnaliamo alcuni.

    Il rapporto giovani-adulti nella parrocchia
    La compresenza di giovani e adulti (laici, religiosi, sacerdoti) nella comunità parrocchiale è, in molti casi, uno degli scogli più robusti in cui va a cozzare la volontà di costruire comunità.
    Due sembrano essere le difficoltà particolarmente avvertite:
    - la tentazione non sempre superata di «ritagliarsi un angolo di sopravvivenza» da entrambe le parti o di «radicalizzare» le posizioni;
    - la conseguente «mancanza di ascolto reciproco» in particolare attorno ai temi della conduzione e gestione non solo pastorale, ma anche economica della vita della comunità.
    Abbiamo dedicato un articolo di approfondimento proprio a questo punto nevralgico.

    Lo sbocco delle esperienze giovanili di gruppo
    Gli stessi giovani, fatti più adulti, si pongono il problema del «come» continuare quando il lavoro, la professione, il mutato stato di vita impongono altri ritmi ed esigenze.
    Le comunità parrocchiali non sembrano molto preparate al fatto.
    L'orientamento che emerge dalle esperienze riportate pare duplice:
    - qualcuno ha l'intenzione di «fermarsi all'interno» della comunità, per svolgervi una azione diretta di animazione;
    - altri intendono fare l'esperienza di «piccole comunità» di quartiere, di caseggiato, alla ricerca di un più profondo inserimento di «incarnazione» nel mondo. Come fare? Come continuare il cammino in comunione con la comunità? Quali scelte per essere veramente «segno», senza perdere l'identità cristiana?

    Gli animatori
    Ci si accorge della assoluta necessità di «formare» degli animatori, a tutti i livelli.
    I giovani più impegnati però, pur comprendendone l'utilità, a volte si mostrano piuttosto restii ad assumersi gli impegni che ne derivano. Quali i motivi? La proposta non è più stimolante o il modo con cui la si fa è inadeguato?
    Ancora: come preparare questi animatori? La comunità animatori va intesa come luogo in cui ciascuno esprime la totalità del suo esistere di uomo-cristiano impegnato e da cui parte per il suo servizio (come ogni altro cristiano), oppure come comunità centrata unicamente sul servizio da compiere, con funzioni prevalentemente tecniche?
    Nel dossier 1980/1 abbiamo studiato attentamente questi problemi. Per continuare la riflessione sugli interrogativi, ci si può riferire a quelle pagine.

    Il gruppo
    Nelle esperienze cui si fa qui riferimento, si è fatta generalmente l'opzione per il gruppo come «luogo educativo».
    Sembra essere una buona strada per rispondere alle esigenze di crescita di una persona che sarà chiamata ad inserirsi pienamente in un sistema sociale segnato prevalentemente dall'anonimato, più incline a integrare che a stimolare creatività, a confezionare decisioni più che a produrre partecipazione.
    In campo pastorale c'è anche chi non è di questo parere.
    È possibile una scelta intermedia fra gruppo-sì e gruppo-no?
    Quali i rischi e i vantaggi delle due opzioni?

    Il modello educativo
    Quando si è impegnati in un lavoro educativo (anche a livello di educazione alla fede) la preoccupazione di chi ne ha il compito oscilla da sempre fra la necessità di stimolare creatività e spontaneità e quella di essere realisti.
    Chi viene educato in un clima di libertà di espressione, di partecipazione più o meno totale, di programmazione autogestita, trova molte difficoltà ad inserirsi socialmente, perché il clima della più ampia società è molto diverso da quello respirato in gruppo.
    Da parte degli educatori si nota allora che i giovani così formati molte volte non sfuggono alla tentazione di «ritornare» in gruppo e fare di quest'ultimo «tutta la loro vita».
    Chi invece è educato ad accettare la «logica» del realismo di ogni istituzione non ha difficoltà ad inserirsi in quella più vasta del sistema sociale.
    Gli stessi educatori, in questo secondo caso, rilevano però la perdita di «criticità» e la tendenza a un «facile adattamento». Dalla descrizione delle esperienze, ma più ancora da un contatto diretto con i responsabili, emerge un tentativo di soluzione, una «terza via» che permette di dare spazio alle persone e nel contempo è attenta ad accogliere il realismo di ogni istituzione.
    È possibile? Quali le condizioni ottimali da sviluppare per realizzarla?

    Il coordinamento
    Un ultimo, ma non conclusivo problema. Ogni comunità parrocchiale non solo per motivi di efficacia pastorale, ma ben più per l'urgenza di essere credibile, sente la necessità di momenti e strutture di coordinamento. All'interno normalmente si punta sul Consiglio Pastorale Parrocchiale. C'è chi lo ritiene indispensabile. C'è chi lo considera non adatto e poco espressivo perché è un organismo solamente consultivo.
    C'è chi intende superarlo creando nuove forme di coordinamento a responsabilità decisionale e diretta.
    Sono tutti modi corretti? Quale il posto dei laici e in particolare quello dei giovani? Ancora: attorno alla parrocchia e ai gruppi giovanili ivi operanti sono sorti vari movimenti, associazioni tradizionali o nuove.
    A volte ci si guarda con reciproco sospetto. Una parrocchia può prescindere da questa realtà, oppure non è meglio instaurare un certo rapporto con queste istituzioni o movimenti?
    Con quali? Che tipo di rapporto?


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