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    Il gruppo degli animatori



    Domenico Sigalini

    (NPG 1980-1/2-61)

    L'ANIMATORE VA IN «TILT»

    Mettersi al servizio dei giovani, degli adolescenti o dei preadolescenti in un ruolo che superi quello del vecchio catechista che studia la strategia da usare per far passare in silenzio attento quei famosi 45 minuti, o del dilettante che tenta di formare un gruppo a settembre sull'onda dell'entusiasmo di una esperienza estiva e termina prima di Natale al cadere delle prime nevi, è diventata una passione per molti giovani, una necessità per tante comunità, una meta per gruppi di giovani maturi che si vedono alle spalle un vuoto di giovani generazioni.
    Alcuni discorsi di catechesi, alcuni approfondimenti di pastorale giovanile, qualche riflessione «smaliziata» su tanti comportamenti spontaneistici del passato, hanno creato una mentalità. Obiettivi chiari, suddivisione del lavoro in tappe, organicità di interventi, strumenti adatti, un nome nuovo (non tanto!): animatore.
    A questo punto immaginiamo di applicare la tecnologia alla pastorale giovanile, magari con una piccola macchina logica a vari ingressi (situazioni, ipotesi di partenza, previsioni, variabili, postulati teologici), con un comando (rispondere per favore!) e una uscita: la soluzione del problema. In questa macchina introduciamo la complessità della vita dell'animatore, una richiesta di risposta secondo la variabile gruppo. Questa variabile è importante perché la dimensione gruppo è una seconda pelle che si fa l'animatore, gli sembra talmente qualcosa di se che quando di notte si sogna di essere solo o di comunicare con gli altri da una torre di controllo con un quadro elettronico, si mette in crisi di identità. Assieme a questa introduciamo nel calcolatore la variabile tempo, il che equivale a chiedergli come deve comportarsi un animatore rispetto ai doveri complessi del suo ruolo e come organizza per questo il suo tempo.
    Il calcolatore allora risponde:
    - Animazione di gruppo: (cammino con coloro di cui sei animatore): due pomeriggi o due serate alla settimana. Altrimenti che gruppo di appartenenza è? o come ti senti uno di loro se ti fai vedere due minuti prima dell'incontro e sparisci subito dopo?
    - Approfondimento di fede formativo con i coetanei: una sera alla settimana. Sei una persona in cammino, hai bisogno di confrontarti con la vita reale, devi dare delle risposte col gruppo dei pari.
    - Preparazione professionale: un'altra sera almeno quindicinale. Per stare con gli adolescenti occorre saper fare, ti serve oltre che un approfondimento anche qualche tecnica di animazione e questo non puoi farlo da solo, devi incontrarti con gli altri animatori che hanno le tue stesse difficoltà e fare gruppo con loro.
    - Collegamento con la comunità cristiana: è la comunità cristiana il soggetto della catechesi e della evangelizzazione, bisogna partecipare almeno al Consiglio pastorale. Occorre un'altra sera almeno mensile, da non sabotare, perché altrimenti si dice: i nostri giovani partono per la tangente, bisogna fermarli in tempo.
    - Collaborazione interparrocchiale associativa o diocesana. Questi giovani non vivono appena nel tuo centro giovanile, sono cittadini del mondo (anche se è solo quello raggiungibile con la vespina), la Chiesa non finisce nella sede dei vostri incontri, ma si esperimenta con quelli con cui si vive nel lavoro, nella scuola, nel tempo libero. Occorre dedicare una sera a un gruppo zonale.
    - Attività nell'ambiente. Un animatore di giovani non può non essere attento all'ambiente in cui vive, deve aiutare ad aprirsi a un servizio sociale. Bisogna essere cristiani che promuovono gli uomini e non contemplativi di se stessi. Occorre dedicare qualche tempo a un gruppo di impegno sociale.
    L'animatore che legge la risposta della macchina logica va in «tilt», e la macchina logica si impietosisce e con una servorisposta descrive l'animatore adatto: giovane trentenne, possibilmente senza fidanzata/o, passa le notti col sacco a pelo nel centro giovanile, in continua tensione su progetti pastorali, possibilmente anche sacrista, tanto è sempre nei paraggi.

    CIONONOSTANTE, NECESSITÀ Dl UN GRUPPO PER L'ANIMATORE

    Questo discorso semiserio pone in evidenza se non altro la necessità di un equilibrio che l'animatore può trovare solo a contatto con una realtà molto varia, ma soprattutto fa pensare a un animatore che deve vivere, esistere anche indipendentemente dal suo ruolo. Se educa scorge non solo di aver bisogno di un gruppo alle spalle che ne sostiene il cammino, ma di entrare in un mondo di relazioni comunitarie importanti.
    Al di là delle facili schematizzazioni esistono delle grosse istanze che fondano la proposta di un gruppo per l'animatore:
    - Un cammino di formazione esistenziale in una fede incarnata
    «Sono testimoni e partecipi di un mistero, che essi stessi vivono e che comunicano agli altri con amore... Testimone di Cristo Salvatore, deve sentirsi e apparire, lui pure, un salvato: uno che ha avuto non da sé, ma da Dio, la grazia della fede, e si impegna ad accoglierla e a comprenderla, in un atteggiamento di umile semplicità e di sempre nuova ricerca» (RdC 185).
    - Una seria professionalità
    «Egli non può improvvisare, né tanto meno recitare una lezione; deve impartire un insegnamento vivo, che lo renda interprete del colloquio di Dio con gli uomini... perché chi ascolta entri concretamente in comunione con Dio, per mezzo di Gesù Cristo» (RdC 187).
    - Una collocazione ecclesialmente corretta «La vocazione profetica richiede ai catechisti una solida spiritualità ecclesiale...» (RdC 189). «Evangelizzare non è mai per nessuno un atto individuale e isolato, ma profondamente ecclesiale... Ciò presuppone che egli agisca non per una missione arrogatasi, né in forza di un'ispirazione personale, ma in unione con la missione della Chiesa e in nome di essa... Nessun evangelizzatore è padrone assoluto della propria azione evangelizzatrice, con potere discrezionale di svolgerla secondo criteri e prospettive individualistiche...» (EN 60).
    - Una riflessione sulla realtà non filtrata, finalizzata o stimolata solo da atteggiamenti educativi
    «Il campo proprio della loro attività evangelizzatrice è il mondo vasto e complicato della politica, della realtà sociale, dell'economia...» (EN 70). L'attività educativa è politica, ma ha bisogno di termini di confronto più vasti di quelli strettamente interni alla vita degli adolescenti o ragazzi.
    Queste istanze sono raramente soddisfacibili al di fuori di una vita di gruppo, soprattutto se gli animatori sono in giovane età. Senza essere un assoluto, il gruppo media in maniera naturale tutte queste istanze.

    LE ESPERIENZE Dl GRUPPO DEGLI ANIMATORI

    In questi anni si sono tentate e tuttora si propongono varie risposte a queste esigenze (cf NPG 1971/67, 65-70). Ogni associazione sente vivo questo problema, dà vita ad alcune esperienze non sempre ben riuscite proprio per le discrete difficoltà che tale problema presenta. Si possono comunque descrivere alcune soluzioni che normalmente vengono date a livello parrocchiale. Si presentano fondamentalmente secondo due modelli.

    Il gruppo esclusivo degli animatori di catechesi

    In molte comunità cristiane dopo la promulgazione (1970) del documento base (RdC) e negli anni successivi (1973-76) si è avuto un grosso risveglio della comunità sui problemi della catechesi. La prima scelta organizzativa è stata quella di fare un gruppo di catechisti che si preoccupasse di cambiare mentalità, di fare un cammino di fede, di curare una seria professionalità. Era il momento in cui i gruppi giovanili sorgevano e morivano attorno a interessi legati all'ambiente e scarsamente durevoli nel tempo. Rimaneva saldo almeno un gruppo: quello dei catechisti, tutti piuttosto giovani, con forte coesione interna. In questo gruppo cominciavano a qualificarsi maggiormente o gli educatori dei preadolescenti o quelli dei giovanissimi. Il risultato è stato quello di creare negli animatori entusiasmo e sicurezza, preparazione, progettualità, rinnovamento delle «strutture» dell'annuncio.
    Il rischio più grosso che si è corso è che per molti è diventato un dato di fatto, è stato quello di svuotare i gruppi giovanili della presenza degli animatori e dei catechisti che, essendo normalmente i più vivaci, potevano sostenere il gruppo e di conseguenza una attenzione pastorale verso i giovani. I gruppi giovanili, anche per altri motivi evidentemente, sono scomparsi e l'unico spazio per i giovani in parrocchia è diventato quello di far catechismo o fare da animatore, chi non ha questa vocazione o questo posto, non sa che cosa fare in una comunità cristiana giovanile.
    Nello stesso tempo i giovani animatori si sono buttati sempre di più sul ruolo da svolgere che sulla persona da «essere». Se questo capita a un adulto crea problemi, se capita a un giovane crea dei disastri: mancanza di maturazione di fede, accantonamento dei problemi reali, non-inserimento in una comunità adulta, riduzione della mentalità dell'animatore alle limitate problematiche dei ragazzi.
    È tipico l'esempio di alcuni animatori che hanno vissuto il '68 o il periodo appena seguente che, entrati da animatori in gruppi di giovanissimi o di preadolescenti, formato un gruppo omogeneo tra loro, hanno congelato da quel tempo lettura della realtà, risposte, obiettivi, progetti, strumenti; senza accorgersi che la realtà sociale cambiava e talora, senza accorgersi che gli stessi adolescenti erano diversi. Ciononostante i ragazzi venivano costretti continuamente in un cliché o di impegno politico o di contestazione.
    Altro pericolo è quello di rimanere scollati dal cammino concreto della comunità cristiana in cui si opera. Se gli adolescenti o i ragazzi sono gli unici punti di riferimento di una attività educativa (e questo un gruppo di animatori solo funzionale lo può consacrare di fatto, se non in teoria), si rischia di educarli a comunità non esistenti, ideali, teoriche, creando dei disadattati, senza continuità nella comunità cristiana.
    Questa esperienza è stata ed è tuttora tipica di piccoli centri, in situazioni di precaria possibilità di azione pastorale tra i giovani. Centri giovanili più organizzati o con circolazione più ricca di persone hanno tentato e tentano un'altra strada.

    Il gruppo di riferimento

    Un'altra soluzione al problema del gruppo degli animatori è quella di creare per loro non tanto un gruppo di appartenenza che svolga attività sue proprie, centrato soprattutto su alcuni temi relativi al ruolo da svolgere, ma sul confronto delle varie esperienze che ogni giovane animatore fa. Capita che in un centro giovanile parrocchiale organizzato parecchi giovani svolgano un ruolo di animazione tra i preadolescenti, tra i giovanissimi, nel campo sociale, nel territorio o nel quartiere, nella liturgia, nelle varie associazioni (AGESCI, ACI...). La tendenza di ciascuno di andare per la sua strada è più di una tentazione. Si istituisce allora un gruppo di riferimento che cerca di coordinare i vari interventi, di analizzare le attività, di studiare strategie, di confrontare tra di loro le iniziative.
    Nella migliore delle ipotesi ciascuno porta la sua sensibilità e si arricchisce di quella degli altri, vince l'isolamento, fa suoi i problemi degli altri, cresce in comunicazione e sperimenta la comunità evangelizzatrice. Tale scambio di esperienze non è di tipo aziendale e può trovare l'anima nella Parola di Dio che favorisce uno scambio interiore e porta una luce che permette di leggere le varie esperienze e gli atteggiamenti delle persone nell'ottica della fede.
    Un gruppo di animatori di questo genere risponde a tante preoccupazioni e istanze, ma l'esperienza ci insegna che un gruppo di riferimento è significativo se gli animatori che lo compongono sono maturi. Ora nella nostra realtà ecclesiale ci capita di avere molti animatori in età pressoché adolescenziale (15-17 anni), bravissimi nel loro ruolo, entusiasti, ma con esigenze di consolidare un cammino di fede personale e non puramente «funzionale».
    Ancora, dall'esperienza si coglie come il gruppo di riferimento tende sempre di più ad essere organizzativo, privo di contenuti, funzionale, facilmente dirottabile in un consiglio di gestione del centro giovanile o della parrocchia con il rischio non solo di non servire la formazione alla fede, ma di non permettere neanche un approfondimento e una rivisitazione continua delle proprie motivazioni di fondo.
    A questo si deve aggiungere la necessità di coinvolgere in questo gruppo di riferimento anche altri giovani che non sono animatori, ma che lo potranno diventare. Animatori non si diventa il giorno in cui si prende il «diploma», è una proposta che la comunità cristiana deve fare ai giovani e una risposta che i giovani si sentono nascere nella vita e tale proposta e risposta passa attraverso un gruppo.
    Se questo gruppo è troppo specializzato, cioè esige già una precisa attività e responsabilità e quindi i confronti si fanno sempre pensando di avere alle spalle dei problemi pratici e non in vista di progetti, non si riesce a proporre in maniera efficace e interpellante la vocazione all'animazione.
    Se escludiamo alcuni centri giovanili di grossi paesi o quartieri ben organizzati, un gruppo di riferimento di questo tipo non permetterebbe che un confronto tra preoccupazioni di tipo educativo interno alla comunità cristiana. Infatti in piccoli centri al massimo si ritrovano animatori di catechesi; il gruppo di riferimento allora perde lo scopo per cui è nato: allargare l'esperienza dell'animatore.

    LE COSTANTI Dl UN GRUPPO Dl ANIMATORI

    Con l'esempio della macchina logica ci si è rifiutati di dare soluzioni prefabbricate a questo problema. È più utile allora mettere in evidenza alcune prospettive che, indipendentemente dal mezzo concreto che si vuole o si può utilizzare per tradurle in atto, gli operatori di pastorale giovanile possono avere davanti.

    1) Un gruppo di educatori allargato a tutti coloro che sono «impegnati» anche in ambiti diversi dell'animazione (quartiere, sindacato, sport...). Soltanto in questo ambito si resta aperti alla realtà e si evita di rimanere delle persone slegate dalla comunità e dai propri coetanei, si toglie il rischio di coltivarsi come emarginati in potenza; infatti una volta conclusa l'attività di animatore, per es. quando i più giovani partono per il servizio di leva, non ci si ritrova più nella vita.
    Una dimensione di questo tipo ottiene anche un altro effetto positivo: coinvolge nella «passione» educativa anche chi, impegnandosi nello sport o nel sociale, si preoccupa solo dell'attività e non del senso.

    2) Nel gruppo si opera un confronto formativo sul progetto, che ciascuno realizza secondo i diversi incarichi che uno riveste o campi di azione che anima. Confrontarsi sul progetto implica chiarirsi sempre una analisi dei bisogni, una ricerca dei valori, trovare un centro su cui far convergere tutto, richiamarsi le motivazioni, riportare i metodi ad essere prima una scelta che una tecnica. Questo comporta un coinvolgimento personale e quindi risponde all'istanza della formazione esistenziale e nello stesso tempo una attenzione alla realtà e alla comunità che non possono essere saltate in un vero progetto. Quindi non confronto tra attività e attività, ma tra progetti o meglio tra progetto e diverse attività.

    3) Il gruppo resta aperto sulla comunità reale. Come si sente responsabile della pastorale dei preadolescenti e degli adolescenti, si deve sentire responsabile della pastorale giovanile e dell'assetto della comunità cristiana. Traduzione pratica di questa apertura è che il gruppo degli animatori collabora con le altre realtà giovanili organizzate nel centro giovanile o nella parrocchia se già ci sono, oppure se tutto è ridotto a gruppo animatori, studia e propone iniziative per tutta la comunità o almeno per la comunità giovanile.
    Un gruppo di animatori che non ha una comunità giovanile alle spalle deve «star male» per tanti motivi, soprattutto perché:
    - non permette agli adolescenti una continuità educativa, un futuro nella comunità cristiana. Dove andranno dopo l'esperienza fatta in gruppo?
    - non permette il ricambio agli animatori, e fa morire strumenti, metodi, esperienze conquistate con fatica e pazienza certosina;
    - educa gli adolescenti e i ragazzi, e non è in grado di presentare modelli di giovani significativi per una vita di fede e di impegno. Educa all'impegno, alla serietà della vita di fede, a un progetto e presenta giovani che, eccettuati gli animatori, al massimo fanno delle partite di calcio e si coltivano il «nido» o il week-end come progetto principale di vita; evidentemente dopo anni di vita di gruppo e di catechesi attiva!

    4) Momenti tecnici e di qualificazione che pure occorrono devono esserci, ma occupare spazi o corsi concentrati nel tempo e non costituire un cammino costante di un anno. Può essere un campo-scuola, una serie di incontri zonali o diocesani, per non disperdere forze e tempo, una programmazione e verifica di ampio raggio.
    Questi momenti tecnici non hanno bisogno tanto di essere rivestiti di «sacralità», di coinvolgimenti particolari di fede, di atmosfera di preghiera. La preoccupazione spesso di lavorare in termini globali, pure giusta, ma in altre sedi e con altre modalità, fa cambiare rotta a interventi precisi specifici, ad analisi chiare, a tecniche ben definite e non esorbitanti; altrimenti per imparare un fotolinguaggio devo fare anche un'ora di adorazione (si fa per dire) o richiamare 1' opzione fondamentale di Cristo! Ciò non significa che le tecniche e la preparazione specifica non coinvolgano le persone che le usano e non le mettano in discussione. Qui si vuol dire che la preparazione specifica dell'animatore deve esserci, ma che non occorre isolare un gruppo di animatori soprattutto e soltanto per questo.


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