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    Introduzione a: Giovani e valori: una proposta



    (NPG 1980-07-03)


    Proseguiamo la nostra ricerca su «giovani e valori».
    Questo dossier contiene la nostra proposta, come ricorda anche il suo titolo. Essa rappresenta il punto d'arrivo di un lungo cammino redazionale, concluso nel convegno di Brescia (25-27 aprile); questo dossier ne riproduce gli «atti».
    Nel primo contributo sull'argomento (cf NPG 1980/5), abbiamo già precisato le prospettive generali in cui vogliamo collocarci per fare questo impegnativo discorso: cosa intendiamo per valore, il rapporto tra valori umani e cristiani, la nostra programmazione redazionale.
    Una rilettura svelta di quelle pagine può essere utile per mettere a fuoco anche questo dossier.
    Aggiungiamo ora alcuni rilievi di fondo, con la funzione di precisare meglio la nostra «precomprensione», quella particolare disposizione culturale che orienta le nostre scelte e muove la nostra ricerca.
    Quando si studia, come facciamo noi, il rapporto tra giovani e valori, ci si interroga generalmente su due problemi: quali i valori e come è possibile educare a questi valori. La prima domanda investe le questioni pregiudiziali, di natura prevalentemente filosofica e teologica; mentre la seconda possiede una preoccupazione più direttamente educativa. Le due questioni sono però profondamente collegate: il modo con cui si risolve un problema modifica radicalmente la posizione dell'altro. Inoltre siamo oggi tutti consapevoli che questi argomenti vanno affrontati in modo interdisciplinare. Il problema della definizione dei valori e della loro educazione è infatti molto complesso e coinvolge le discipline descrittive, interpretative e progettative; per lo stretto rapporto esistente tra i valori umani e l'esperienza cristiana, è in causa anche direttamente la funzione profetica della fede.
    Possiamo sintetizzare queste diverse problematiche con la formula di «processi valoriali».
    Questi processi valoriali non si realizzano però in astratto, come se il contesto sociale e culturale fosse uno spazio vuoto e asettico, che recepiste passivamente, senza influenzare, valori e modelli educativi.
    Al contrario, i processi si costruiscono e si sviluppano all'interno dei sistemi culturali in cui emergono determinati valori e in cui predominano precisi schemi educativi. I giovani poi, oggi soprattutto, possiedono come condizione un loro progetto valoriale, magari inconsapevole, indotto e frammentato, ma non per questo meno decisivo.
    La definizione di valori e di modelli educativi si scontra e si confronta con questa realtà.
    Nella elaborazione dei processi valoriali entra quindi come componente pregiudiziale il dato di fatto. Ciò che caratterizza un modello e lo distingue dagli altri è proprio il tipo di sequenza che si instaura: il modo cioè in cui si montano e si organizzano i tre dati in questione (quali valori, come educare ai valori, come confrontarsi con le valorizzazioni presenti nel sistema sociale e nella condizione giovanile).
    Per fare correttamente il discorso sui valori è indispensabile prima di tutto fare delle precise scelte, esattamente a questi livelli. Interpretando e semplificando un poco quello che sta capitando oggi, possiamo evidenziare tre modelli di processi valoriali. I primi due non ci sembrano adeguati. Il terzo, invece, lo assumiamo come nostra precomprensione generale.

    1. Il modello oggettivistico: i valori in assoluto

    Il primo modello parte dalla definizione metafisica dei valori.
    Questa definizione elaborata dalle scienze filosofiche e teologiche, si presenta in modo normativo e con una accentuata pretesa di stabilità.
    Ci si confronta con le domande e i bisogni dei giovani solo per verificare lo scarto esistente tra i valori e la situazione di fatto.
    La ricerca sui metodi educativi è centrata tutta sul «come fare»: sulle tecniche e sugli interventi da utilizzare per fare interiorizzare meglio questi valori.
    In questo modello, l'adulto e l'educatore rappresentano il luogo dei «valori», egli è il testimone dell'essere-in-sé. Il suo rapporta con i giovani viene vissuto nella ricerca, più o meno scoperta, di farli «essere» come lui. È facile notare che in questo modello non si può dare una vera interdisciplinarità. L'ultima parola è sempre affidata alle scienze progettative etiche, mentre le scienze descrittive hanno una funzione solamente strumentale. Si analizza la realtà giovanile e si ricercano le metodologie educative solo per far funzionare meglio il meccanismo di trasmissione culturale.

    2. Il modello giovanilistico: i valori-solo-per-me

    C'è anche un modello radicalmente opposto: quello che mette l'accento sulle concrete valorizzazioni e sul valore-per-me. Si parte dalla prospettiva che il «nuovo» rappresenta il luogo del valore. L'adulto e l'educatore sono, al contrario, il «già detto», il «già fatto»: quindi devono «morire», rinunciando ad ogni funzione propositiva.
    Se i valori sono rappresentati dalla novità, i giovani, le loro domande e i loro bisogni, vanno interpretati e accolti in modo spassionato: solo lì si trovano veramente valori.
    Come si nota, la definizione di valore si sposta progressivamente dal valore-in-sé (rappresentato dalla concezione sottesa al primo modello) al valore-per-me. Al massimo, il per-me può diventare per-noi quando si accetta di trovare un criterio di verifica all'interno del sistema di relazioni in cui ci si riconosce.
    Anche in questo modello, l'interdisciplinarità è impossibile. Questa volta, l'ultima e decisiva parola spetta alle scienze descrittive e interpretative. Le scienze dell'educazione hanno il compito di favorire la creatività giovanile, per permettere al nuovo di esplodere in verità liberandosi dai troppi condizionamenti che lo possono soffocare.
    Educare ai valori significa solo decondizionare e sostenere la creatività. È praticamente sconfessata ogni istanza propositiva.

    3. Il modello circolare: il dialogo tra giovani e valori

    È possibile una alternativa seria a questi due modelli? Qualche realizzazione c'è già sul mercato, soprattutto a livello teorico. E, del resto, è molto importante trovarla, per non annaspare nelle secche dell'autoritarismo (rappresentato dal primo modello) e del qualunquismo agnostico (rappresentato dal secondo). Lo stile educativo che percorre le proposte della nostra rivista tenta questa alternativa: si legga, per esempio, l'articolo sul progetto educativo pastorale in NPG 1980/6.
    Ciò che caratterizza questo modello è la ricerca di un processo circolare (un vero «circolo ermeneutico») tra valori e domande/bisogni giovanili.
    Da una parte si interpretano queste domande dall'ottica dei valori, per fare una descrizione valoriale della condizione giovanile. E non si può che fare così, dal momento che ogni analisi della realtà è sempre legata a precise ipotesi antropologiche.
    Dall'altra parte, i valori non sono mai considerati definitivi, ma sono continuamente sottoposti ad un processo di revisione critica, per liberarli dalle incrostazioni culturali e ideologiche che hanno subito nel corso della storia. Per fare questo, il confronto con le domande e i bisogni giovanili è prezioso: la loro «novità» possiede una chiara capacità purificatrice. Questi stessi valori, per diventare «vivibili» (per tradursi in «valorizzazioni», come concretizzazione storica dei valori), devono fare i conti con i dati ambientali, culturali e strutturali. Anche per questo, il confronto con la condizione giovanile è indilazionabile. Inoltre, si riconosce che non tutti i valori sono già presenti e consumati nel vissuto umano. Possiamo «inventarne» di nuovi, quando siamo fedeli alla libertà e responsabilità umana. La creatività ha quindi diritto di cittadinanza anche nel campo dei valori umani. In questo senso, la condizione giovanile, interpretata dall'ottica delle domande e bisogni emergenti, ha una innegabile funzione propositiva.
    Così il processo educativo si realizza veramente in modo interdisciplinare. Le scienze descrittive e interpretative collaborano «alla pari» con la filosofia e la teologia. I loro contributi sono unificati attorno ad un profondo, costitutivo rispetto per l'uomo (per un credente: l'uomo-nuovo, testimoniato dalla fede in Gesù Cristo). Questo terzo modello rappresenta la nostra precomprensione globale. I lettori ci aiuteranno a verificare come questa scelta è stata rispettata e inverata nello sviluppo concreto della nostra proposta.
    Per evidenziare meglio questa logica, modifichiamo un poco la struttura abituale dei nostri dossier.
    Restano le tre parti, ma con una titolazione e un collegamento diverso.
    Nella prima parte, analizziamo l'attuale condizione giovanile, per far emergere la «nuova domanda» relativa ai valori. In questo approccio la prospettiva valoriale fornisce la chiave interpretativa con cui tentiamo di comprendere il vissuto giovanile.
    Nella seconda parte, entriamo esplicitamente nella prospettiva dei valori, per suggerirne alcuni, particolarmente importanti e suggestivi oggi, all'interno dei quali inventare i processi educativi. In questo approccio, di natura etica, la nostra «immagine» di domande-bisogni giovanili offre il supporto culturale e storico in cui ridefinire i valori perenni e tentare nuove valorizzazioni.
    Come si vede, la prima e la seconda parte realizzano un vero «circolo ermeneutico». La terza parte conclude il discorso suggerendo chiare prospettive educative. Riprende il materiale precedente e lo riorganizza in un progetto promozionale e liberatore, chiamando direttamente in causa l'educatore.

    Prima parte
    Condizione giovanile e «nuova domanda» sui valori

    Per definire i processi valoriale «dentro» la realtà giovanile attuale, dobbiamo analizzare seriamente il vissuto giovanile, per raccogliere le domande, i bisogni, le attese emergenti.
    Crediamo all'importanza insostituibile dei- le scienze descrittive, per fare bene i progetti educativi. E crediamo alla funzione propositiva della realtà, al fatto cioè che dalla realtà possono emergere sempre germi A verità etica.
    Ma, nello stesso tempo, non vogliamo attivare quel nuovo strano procedimento deduttivo che pretende di impostare i progetti educativi «solo)) ascoltando la realtà quotidiana.
    Per questo poniamo precisi interrogativi alle scienze descrittive e interpretative e attiviamo un confronto circolare tra dati di fatto e criteri etici, verso un progetto promozionale e realistico.
    Ecco le nostre domande: come vengono vissuti i valori oggi? Quali bisogni giovanili stanno emergendo? Come questi bisogna possono diventare luogo di esperienza e diproduzione di valori?
    Quali domande rimbalzano più vivaci nell'attuale condizione giovanile, a proposito delle dimensioni etiche dell'esistenza?
    Le tre analisi che seguono, elaborate da prospettive interpretative diverse (sociologica, Garelli; psicologica, Amione; aniropologica, Pollo), suggeriscono un approccio etico alla condizione giovanile.

    Seconda parte
    Quali «valori» per i giovani d'oggi

    Il nostro progetto educativo prevede un momento «propositivo».
    Crediamo cioè alla necessità di prospettare seriamente ai giovani un quadro di significati esistenziali e di valori con cui confrontarsi.
    In questa seconda parte, non vogliamo entrare nell'intricata questione del «come»fare queste proposte. Tutta la nostra attenzione è concentrata sul «cosa .v proporre.
    Quali «valori„ proporre?
    Chi si trova con questo problema da risolvere, trova la via più facile in due prospettive: o riandando al passato, quasi che i valori fossero tutti conservati al sicuro nel museo della storia; o scivolando nel generico delle grosse parole, ormai troppo inflazionate. Abbiamo scelto una alternativa, più impegnativa e meno rassicurante, ma che presumiamo «promozionale».
    Abbiamo chiesto ad un filosofo dell'educazione (Nanni) e a un teologo (Piana) di suggerire «quali valori .v, tenendo conto molto disponibilmente dell'oggi, delle domande e dei bisogni giovanili. Li abbiamo sollecitati a riformulare i dati della memoria storica e culturale, «dentro.) l'oggi, facendo del presente il luogo ermeneutico in cui ridire l'etica.
    Essi fanno il loro mestiere: offrono proposte e prospettive etiche. Ma lo fanno attraverso un ascolto, critico e disponibile, del contesto culturale attuale e della condizione giovanile.

    Terza parte
    Come educare i giovani d'oggi ai valori

    La terza parte del dossier risulta, tutto sommato, la più facile, perché si ricollega a modelli educativi su cui abbiamo tanto spesso insistito.
    Come educare ai valori?
    La risposta potrebbe essere quella di sempre:
    - facendo fare concreta e immediata esperienza di ciò che si vuole proporre;
    - privilegiando il momento a testimoniale» su quello propositivo-verbale;
    - inventando luoghi di aggregazione, in cui i giovani si identifichino e in cui respirino i nuovi valori;
    - con la costante preoccupazione di trasformare i valori in «atteggiamenti» e in un ricercato collegamento con i problemi dell'identità personale, espressi dai «bisogni»;
    - organizzandoli in aree e in sistemi, per evitare la troppo facile frammentazione e disomogeneità.
    Queste cose sono tutte vere e molto importanti. Rappresentano, secondo noi, l'unica via praticabile, per un dialogo promozionale con i giovani.
    In questo contesto, abbiamo preferito mettere l'accento su colui che è chiamato a diventare a catalizzatore» del processo: l'educatore.
    Non l'abbiamo studiato in vitro, strappandolo a forza dal suo mestiere, per descriverlo meglio. Ma l'abbiamo colto nel fuoco dei problemi che attraversano oggi la sua funzione: l'educatore come uomo del dialogo educativo, l'educatore come relazione educatore-educando (Corradini) e l'educatore come stimolo a fare progetti educativi (Cian).


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