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    Quale educazione per una comunità chiamata ad educare


    Giuseppe Sovernigo

    (NPG 1979-01-36)

    Educare oggi è divenuto per tutti un grosso problema.
    Quando educatori e genitori, riflettendo sulla loro azione, verificano il loro compito confrontandolo con la realtà giovanile oggi, ricercando modi più adeguati e incisivi per essere fedeli alla loro vocazione, spesso sono presi dallo scoraggiamento, disorientati e incerti nelle scelte da fare. Cosa è avvenuto di così profondo nel giro di alcuni anni da mettere in crisi gli educatori più sensibili alle mutazioni ambientali e al nuovo modo di vivere e di sentire? Cosa è cambiato da dover porre in crisi i più sicuri e arroccati sulle proprie ricette metodologiche, sulla propria esperienza? Chi è chiamato a divenire una persona che in un settore o in un altro si propone di aiutare i giovani oggi a crescere in modo autentico? Come deve essere una personalità di un educatore per poter essere fedele al suo compito?
    Ci limitiamo qui ad alcune indicazioni che vorrebbero facilitare la riflessione personale.

    L'INCONTRO CON I VALORI

    Possiamo descrivere l'educatore come colui che possiede in modo sufficiente i valori autenticamente umani, necessari per vivere da persone umane, la capacità di comunicare in maniera adatta e di intuire i valori potenzialmente presenti nel soggetto e nel contesto socio-ambientale.
    Queste istanze (il possedere i valori della vita, la comunicativa e l'intuizione) sono condizioni indispensabili per qualunque opera educativa, condizioni senza le quali viene meno l'educazione ed emerge il condizionamento o l'addestramento. «L'educazione, precisa Emmanuel Mounier, non ha come scopo di scolpire il ragazzo per una funzione o di modellarlo secondo un dato personaggio, ma di farlo maturare e di indurlo, talora, di disarmarlo, il meglio possibile alla scoperta della sua vocazione che è il suo stesso essere e il centro di collegamento delle sue responsabilità d'uomo».
    Ora i valori non esistono in astratto. Essi hanno uno statuto esistenziale. Bisogna, almeno in parte, averli incontrati per desiderarli. Bisogna in qualche modo essersi compromessi con loro per cercarli. Sono come idee immanenti che chiamano, suscitano. «E Dio, osserva Schillebeeckx, chiama mediante il richiamo dei valori». Ci si incammina verso di loro attraverso le mediazioni. E perché i valori intravvisti divengano motivazione, cioè spinta alla azione, e quindi atteggiamenti, cioè modi di essere e di reagire fatti propri, bisogna che siano incontrati da tutta la persona con tutte le sue dimensioni e livelli, secondo i dinamismi psichici propri dell'età.
    Perciò perché il ragazzo assuma i valori indispensabili per la sua crescita, valori orientativi del suo divenire, è necessario che li incontri. Dove?
    – Non in astratto, nelle intellettualizzazioni e nelle teorizzazioni, ma nelle situazioni viventi e concrete, vissute in famiglia, nella società, nel lavoro, nella scuola, nella comunità umana più vasta. Nessun insegnamento teorico, nessuna esortazione o consiglio, nessun castigo o costrizione possono portare il giovane a quello che raggiungerà solo con l'esperienza diretta, con il contatto vivo con i problemi e con le situazioni concrete.
    – Nel gruppo sociale e amicale. Ogni gruppo ha un suo stile, sue finalità, una sua mentalità. Il gruppo si pone oggi come il luogo di convergenza e di sviluppo sia dei valori che dei disvalori. Nel gruppo i valori incarnati si manifestano nel clima prevalente e in particolare in certi individui che ne sono i portatori.
    – Nei modelli educativi, nelle persone adulte che li incarnano. Per il ragazzo sono essi concretamente i valori. È qui, entro le situazioni personali e di gruppo, che l'educatore viene percepito dal ragazzo, tramite il dinamismo psichico della identificazione, come un modello, come una persona in cui egli si sente in qualche modo prolungato, una persona sentita come «connaturale», realizzante i propri desideri e attese, una persona di cui si tende ad assumere ideali e stile di vita, da cui ci si sente rassicurati, un «testimone luminoso» di una realtà vitale di cui il ragazzo consciamente o inconsciamente è alla ricerca.

    EDUCATORI OGGI

    Tuttavia il compito dell'educatore, necessario e indispensabile per una normale crescita, mai però sostitutivo del ragazzo che è e resta il primo protagonista, attualmente è assai disagevole. L'educatore infatti è spesso incerto, disorientato di fronte alle nuove situazioni, impossibilitato talora nel tentare esperienze più adeguate. Spesso avverte con sofeenza che la sua stessa identità è intaccata, il suo progetto educativo spesso mutilato e deformato da forze ambientali che lo scavalcano, i suoi stessi valori messi in discussione, la relazione pedagogica contestata, i metodi sempre in fase sperimentale, il lavoro di équipe spesso vanificato.
    Le soluzioni tentate sono molte. Esse vanno da un ritorno ad un rigidismo, ad un discorso educativo ex cattedra, da forme di manipolazione più o meno guantate, a forme di permissivismo inconcludente, favorevole al narcisismo.
    Nel rifiuto o nell'assenza di modelli educativi convincenti risiede certamente una delle principali cause delle difficoltà educative oggi.
    Tuttavia là dove la riflessione è stata sufficientemente attenta da un lato alla realtà giovanile contemporanea, dall'altro ai valori umani e cristiani di sempre, ai contenuti veri della tradizione viva, sta emergendo un nuovo tipo di educatore, di «testimone luminoso» capace di suscitare positive identificazioni, di porsi come necessario veicolo ai valori, di operare i necessari collegamenti tra la generazione giovanile e gli adulti. E i giovani non si ingannano sui veri educatori, la cui vita, osserva Henri Bergson, è un appello.

    UN NUOVO TIPO DI EDUCATORE

    In passato, in una società stabile e poco diversificata, era la «funzione» di un educatore che gli garantiva influenza e autorevolezza. Si voleva imitarlo, rassomigliargli, condividerne le convinzioni e i valori, acquistare la sua esperienza. Gli educatori di quel tipo di società potevano pretendere di trasmettere ai giovani i frutti della loro esperienza collaudata da generazioni, assicurare una formazione definitiva.
    Erano sufficienti le dimensioni del «personaggio», un ruolo di professore ex cattedra, un imporsi come «educatori per dovere», un barricarsi dietro la propria esperienza.
    Ora questo tempo è finito. L'influenza è sempre meno legata alla funzione, al ruolo, al personaggio, all'esperienza, all'autorità per principio.
    I giovani non prendono sul serio un educatore che si crede arrivato «allo stato adulto», che suppone di possedere una esperienza sufficiente per la soluzione di tutti i problemi, centrato su se stesso e sulla istituzione da salvare, con cui tende ad identificarsi, anziché sulla missione, attaccato alle sue piccole grandi cose, poco capace di solidarietà.
    Oggi l'influenza, la capacità di suscitare identificazioni promuoventi, di porsi come indispensabile e adeguata mediazione per un incontro positivo con i valori come «testimoni luminosi» è sempre più strettamente legata ad alcuni atteggiamenti che ricordiamo.

    La personalità dell'educatore

    Un adulto dotato di fermezza, un essere luminoso e unificato, non fuori del tempo e lontano dai problemi, uno che sa rimettersi in discussione perché poggia sull'essenziale, uno che ha già scelto personal-mete, ma la cui scelta viene rifatta ogni giorno, non con una personalità provvisoria, ma in sviluppo, in ricerca perché ha già trovato qualcosa di definitivo, non uno che ha già risolto tutti i suoi problemi, ma uno che li conosce e che si sforza di superarli in modo adeguato. Si educa molto di più con ciò che si è e che ci si sforza di essere che non con le sottili teorie e tecniche pedagogiche che ci si sforza di applicare.
    Ciò che caratterizza oggi un educatore è la sua capacità di animazione variamente articolata, la sua azione di stimolazione, di proposta dei valori, di accompagnamento e di sostegno lungo un cammino dal per-
    corso imprevedibile, l'azione di verifica é sintesi. L'animatore non si stancherà mai di fornire progetti, di suscitare interessi, di mostrare orizzonti nuovi, di alimentare la disponibilità di base, di polarizzare la ricerca giovanile, di sostenere l'oblazione di sé nella direzione scelta, di verificare, chiarificare e irrobustire gli atteggiamenti vitali della persona.

    La qualità della sua presenza tra i giovani

    Presenza di un adulto aperto all'universale, pur svolgendo un ruolo ben preciso, con un valido rapporto con gli uomini e con Dio, qualificato nel rapporto interpersonale e nella tecnica di gruppo.
    Perché la presenza educativa sia promuovente, occorre che l'educatore sia capace di comunicare, di far percepire entro il proprio vissuto quotidiano il proprio dinamismo motivazionale. Saper comunicare le motivazioni che sostengono il proprio essere uomini e credenti è un'arte, come è un'arte l'educazione. E non tutti sono fatti per fare gli artisti.
    Il modo secondo cui l'educatore sa motivare le sue scelte quotidiane davanti al singolo e al gruppo, esplicitamente e implicitamente, rannodandole alle proprie scelte di fondo, è la base per la mediazione dei valori. E i giovani non si ingannano. Percepiscono presto o tardi se l'adulto accetta di comunicare autenticamente con loro o se, al contrario, impone delle posizioni prestabilite con mezzi autoritari o con raggiri. Può entrare in dialogo solo l'educatore che accetta di cambiare. L'equilibrio degli adulti che i giovani ammirano si vive al prezzo di una vulnerabilità riconosciuta e affrontata nella speranza.

    I suoi valori personali armonicamente integrati

    Un adulto strutturato e ancora interiormente libero, con degli obiettivi chiari, con una personale e autentica esperienza dei valori, e della realtà umana. Deve essere lui stesso una persona «in stato di vocazione», come in un continuo movimento in avanti, come una storia mai finita, come il dinamismo stesso suscitato dallo Spirito, come un'avventura in cui Dio vuole condurre sempre più lontano, verso di Lui e verso gli uomini, come un progetto suscitato da Dio nel cuore della vita umana. E ciò fa paura. Ciò comporta un grosso rischio, il rischio della fede vissuto da una persona spiritualmente e psicologicamente adulta.
    Gli educatori veri non possono non condividere con i giovani l'esperienza che essi vivono, ricercando con essi gli appelli del Signore nella propria vita. Far maturare una vocazione cristiana, educare una persona comporta entrare nel vivo di una relazione le cui componenti vanno oltre ciò che viene immediatamente percepito. Per questo occorre lasciarsi interpellare dalla ricerca dei giovani, vivere la propria vita come una vocazione, non come una realtà bell'e fatta e immutabile, ma come una sorgente inesauribile, un dinamismo di rinnovamento costante.
    «Io non credo, scriveva Emmanuel Mounier ad un amico, che la vocazione sia un piano tracciato e programmato in anticipo nello Spirito di Dio, cioè che io sia destinato già dal tempo di Adamo, dopo il 1 aprile 1903, ad essere direttore di Esprit. Io non credo che noi dobbiamo decifrare un non so quale piano nascosto e, se non lo si trova, si è falliti. Io immagino che Dio si metta un po' dentro la concretezza delle nostre scelte. Egli ci inventa con noi. Ciò che conta è andare oltre».

    L'autenticità, maturità e validità della motivazione del proprio essere educatori

    Bisogna essere chiari con se stessi sulle ambiguità delle proprie motivazioni circa il proprio impegno educativo. Per questo è necessario che l'educatore si chieda frequentemente come egli motiva i suoi atteggiamento, i suoi giudizi, la propria ricerca, come si motiva di fronte alle immancabili delusioni procurate dalla vita e dai giovani.
    Come ci si motiva davanti al gruppo? Rifiutando di discutere? Giustificandosi? Scoraggiandosi? Trincerandosi dietro una autorità per principio? Oppure al contrario rinunciando ad impegnarsi in una reazione in cui si rischierebbe di perdere un po' della propria sicurezza personale e della propria autorità?
    Le motivazioni di ogni persona, il modo secondo cui si relaziona al caso singolo sono molto rivelativi della maturità personale dell'interessato. E non basta far proprie alcune buone motivazioni per essere autentici educatori.
    I giovani sentono molto bene queste nuove istanze dell'autenticità del compito educativo, così come un bambino sente molto bene, senza doverselo chiarire intellettualmente, restandone tuttavia affettivamente contrassegnato, gli sforzi che suo padre e sua madre fanno per amarsi reciprocamente e per amare lui nel modo migliore.
    E in un mondo, la cui evoluzione si accelera ogni giorno di più, sono i valori della creatività e della inventività che attirano i giovani, la fedeltà creatrice all'ambiente, la continuità con il vissuto, la plasticità di fronte alle varie situazioni, la capacità di «far gruppo», assieme alla riscoperta degli autentici valori della tradizione, Otre le incrostazioni storiche, i metodi educativi collaudati, fedeli ai valori dell'uomo di sempre.


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