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    Dal senso di colpa al senso del peccato



    Giuseppe Sovernigo

    (NPG 1979-09-34)


    LE DIMENSIONI DELLA COLPEVOLEZZA

    La colpevolezza è una realtà umana complessa e multiforme. Alcune persone la vivono prevalentemente come uno stimolo alla propria crescita morale. Altre risentono pesantemente l'ambivalenza della colpevolezza, soprattutto i suoi effetti inibitori per la crescita personale. Alcuni fattori educativi e personali hanno loro impedito di evolversi adeguatamente. Perché si possa maturare verso la libertà, perché si possa aiutare questa o quella persona, attanagliata da una eccessiva colpevolezza a divenire sempre più se stessa, perché si instauri il vero senso del peccato, è necessario operare un discernimento all'interno dell'esperienza del senso di colpa.
    La colpevolezza resta sempre una esperienza complessa e polivalente. Perciò per coglierne la dinamica, per orientarla verso un esito positivo di liberazione e di crescita della persona è necessario individuare e precisare le diverse dimensioni e sorgenti, così come si ritrovano nel «vissuto psichico» di ogni persona. Solo allora è possibile evidenziarne l'articolazione, non confondere elementi, solo apparentemente identificabili e sovrapponibili, con realtà differenziate per l'origine, gli obiettivi perseguiti, gli esiti, la funzione svolta.
    L'esperienza umana della colpevolezza si presenta all'analisi come una realtà psichica tridimensionale che parte da un unico vissuto personale. La stessa situazione colpevolizzante infatti dà origine ad una colpevolezza a più dimensioni, con esiti ben diversi, sul piano della formazione della personalità, a seconda della dimensione prevalente.
    Essa è costituita da tre diversi livelli, articolati nell'unitarietà dell'esperienza, ma ben distinguibili l'un dall'altro per la funzione che assolvono, per gli effetti che producono, per la sorgente da cui provengono.
    Ne risultano tre dimensioni ben caratterizzate:
    - La colpevolezza psichica oppure senso o sentimento psichico di colpa;
    - La colpevolezza morale oppure senso o sentimento morale di colpa;
    - La colpevolezza religiosa o senso del peccato.
    Ognuno di questi livelli si caratterizza per alcuni aspetti propri e richiede un appropriato intervento educativo.
    Nessuna di queste dimensioni si trova allo stato puro, oppure da sola. Nella concreta persona, che fa l'esperienza della colpevolezza, esse sono tutte presenti, ma una normalmente prevale e determina il risultato, convoglia le altre dimensioni nella sua direzione.
    È questa prevalenza che occorre individuare poiché essa è caratterizzante nelle varie_ situazioni e persone.
    Perciò quello che è determinante è il tipo di colpevolezza prevalente. È questo che dà il tono e l'orientamento, che qualifica la propria colpevolezza che resta sempre una esperienza complessa.
    Una certa dose di colpevolezza, è un fattore positivo e necessario per la crescita. Ciò che fa problema è il tipo di colpevolezza prevalente e l'intensità eccessiva, soprattutto il permanere degli stadi arcaici. Sono essi che ingenerano una colpevolezza problematica, talora patologica.

    COLPEVOLEZZA PSICHICA

    Si tratta di uno stato affettivo deprimente, più o meno isolante e autodistruttivo, conscio o inconscio, a base di ansietà, angoscia e paura di una punizione a causa di una legge infranta o del timore per la possibile vendetta di una persona significativa offesa. In questa situazione uno si sente colpevole non tanto di aver agito contro le proprie convinzioni o contro ciò cui si sentiva obbligato di fronte alla propria coscienza, quant6o di aver fatto qualcosa che non si doveva fare. Si tratta di un sentimento fisico, quasi magico, in ogni caso cieco e tirannico E' come l'angoscia di aver oltrepassato una frontiera invisibile e di sentirsi ora esposto alle rappresaglie delle forze misteriose che custodiscono questa frontiera.
    Così vengono percepiti alcuni elementi caratterizzanti:
    - La legge: non sorge dall'interno del soggetto. ma risulta dalla pressione della realtà esteriore, soprattutto la pressione sociale con i suoi divieti e tabù. Questa pressione introiettata dal soggetto è sentita come un «dovere», una necessità.
    - L'obbligatorietà: è sentita come qualcosa di ostile nei confronti delle proprie esigenze istintive più profonde. La si subisce con un senso di rivolta e di angoscia in cui domina la paura della sanzione e dello scacco e l'impressione di essere schiacciati da una forza superiore.
    - Coscienza: è costituita da una reazione interna ambivalente, più subita come un segnale di allarme istintivo che vissuta coscientemente.
    - La colpa e la mancanza: consistono prevalentemente nell'infrangere materialmente il divieto o il tabù. La colpa risiede nella materialità della trasgressione; quasi a prescindere dalla debolezza e dalla intenzione dell'interessato.
    - La contrizione: non c'è il ripudio del proprio io malvagio e la volontà di ridiventare se stessi nel bene, ma semplicemente il desiderio istintivo di sfuggire alle conseguenze della propria trasgressione. Occorrerà perciò trovare le formule, i riti di espiazione, i gesti magici che consentono di scongiurare le potenze coercitive irritate, di far annullare la punizione e di riacquistare la sicurezza della condizione legale.
    - Confessione e fermo proposito: fanno parte del rito espiatorio. La sincerità non è una presa di posizione personale, ma un riflesso dettato dall'angoscia. «Se avessi saputo... Non mi coglieranno più in fallo».

    COLPEVOLEZZA MORALE

    Durante la giovinezza e l'età adulta, nella misura in cui va formandosi in modo sempre più chiaro e duraturo la coscienza auto noma, va strutturandosi anche in modo sempre più stabile e organico l'«io etico». valori in cui la persona crede e che guidano la sua vita vanno gerarchizzandosi. Formano «una scala di valori», armonizzata con la oggettiva importanza delle cose e persone, ancorata nel contesto socioambientale. Matura così la «coscienza morale autonoma», capace di un giudizio morale retto e autentico sulle varie scelte, ispirata da quell'io etico. Esso sintetizza in sé gli ideali e i valori propri di quella persona e di quel gruppo umano.
    Nella misura in cui le varie scelte si ispirano e si conformano all'io etico, la persona interessata sperimenta un profondo senso di autorealizzazione di sé e del bene comune. Ciò è sorgente di soddisfazione.
    Quando invece si viene meno per vari motivi agli impegni morali assunti, si va contro la propria coscienza. Allora emerge un senso di colpa tipico che mette a disagio il soggetto. È come se egli avesse tradito se stesso e gli altri. Ciò esige in qualche modo una riparazione che consenta alla persona di riacquistare stima e valore ai propri occhi e a quelli del gruppo umano di appartenenza. Si tratta della colpevolezza tipica dell'io etico. Infatti il senso di colpa, maturandosi e seguendo l'evoluzione della personalità, si slega dalle solidarietà affettive primarie da cui è sorto ed assume una valenza nuova e originale nelle personalità psicologicamente adulte. Diviene senso morale di colpa oppure colpevolezza morale. Agisce come fattore promozionale della personalità nelle varie circostanze della vita. Non è un dato di partenza, ma di arrivo all'interno del processo di maturazione morale, una dimensione da acquisire a poco a poco attraverso l'evoluzione e l'impegno personale.
    Si tratta di una emozione della coscienza morale che riconosce l'errore oggettivamente commesso e la propria parte di responsabilità soggettiva. Si colloca sul piano della realizzazione cosciente, libera ed autonoma della persona umana.
    Essa si ha quando il soggetto, partendo dalla coscienza adulta di se stesso, non realizza qualcuna delle condizioni per lo sviluppo libero ed autentico del suo essere nel mondo e della sua relazione inter-soggettiva con altre persone ed in genere con i valori.
    Il senso di colpa morale o colpevolezza morale contrassegna una persona divenuta moralmente adulta, al di là del credo religioso che professa. Esso presuppone una struttura psichica «aperta».
    Nel credente invece è presente, come vedremo, oltre alla colpevolezza morale di fronte alle mancanze, una dimensione nuova e originale. Infatti un credente va oltre i valori, risalendo alla loro sorgente e fondamento. È a Dio che si rifà.
    Alcuni tratti caratteristici:
    - La legge cessa di essere una costrizione dall'esterno, una imposizione. Essa è vissuta come autonoma e sul piano della consapevolezza. La legge non è altro che lo sviluppo del proprio essere come dato virtuale e come progetto da realizzare.
    - L'obbligazione morale è data dall'assolutezza di queste esigenze del progetto di voler e poter essere quella data persona, dall'impegno di fedeltà all'autenticità e completezza del suo sviluppo. C'è un «in sé» delle cose e persone che vincola per se stesso.
    - La coscienza morale è data dalla coscienza di sé operante come facoltà di discernimento. In ogni scelta essa sceglierà tra ciò che favorisce la realizzazione autentica di sé e ciò che la contraddice. La coscienza nel suo giudizio è condizionata dalle informazioni sulla situazione che influenzano la scelta da fare.
    C'è colpa morale solo quando la persona agisce liberamente contro il giudizio della propria coscienza. La materialità dell'atto non è decisiva. Ciò che è decisivo è la volontà cattiva, la scelta libera, nella misura in cui è effettivamente libera.
    La colpa morale sarà sempre un'infedeltà liberamente acconsentita ai valori autentici della realizzazione di sé e la scelta liberamente voluta di pseudovalori.
    L'atto oggettivamente disordinato, ma giudicato dalla coscienza come ordinato al bene, non è moralmente colpevole.
    Invece l'atto oggettivamente ordinato al bene, ma giudicato in buona fede dalla coscienza come disordinato, costituisce una colpa morale.
    - La sanzione: la sanzione della colpa non minaccia più dall'esterno, come la vendetta di misteriose potenze offese. La colpa morale si punisce da se stessa poiché è mutilazione di essere, rinnegamento ed impoverimento di sé, nonostante a prima vista possa sembrare potenzialmente volontà di vivere in pienezza.
    - La contrizione: consisterà nel riconoscere di fronte a se stessi il proprio atto come negazione di sé e nel condannare la deviazione nella propria crescita. Ne emerge non una rassegnata constatazione del proprio scacco, ma una volontà attiva di conversione e di ritorno alla verità del proprio autentico divenire.
    - Il fermo proposito: è una volontà di riparare le sorti compromesse ed il ritardo subito dalla propria crescita mediante una più generosa ed efficace realizzazione di sé per l'avvenire.
    - L'accusa della colpa: non aggiunge nulla al valore del giudizio di coscienza che è confronto con se stessi, cioè con la propria gerarchia di valori adeguatamente socializzata e interiorizzata. Tuttavia situando la condanna della propria colpa ed il proposito di emendarsi nel quadro concreto di una crescita comunitaria, quest'accusa può rivelarsi un mezzo molto efficace per il ritorno alla verità della propria azione.
    - La coscienza autonoma: affinché il senso di colpa psichico lasci il posto al senso morale di colpa sono necessari alcuni salti di qualità che fanno compiere un netto passo avanti alla moralità. Il senso morale di colpa è ad un tempo causa ed effetto di una coscienza morale autonoma, indizio indubbio di una maturità morale presente.

    COLPEVOLEZZA RELIGIOSA O SENSO DEL PECCATO

    In base ad un'analisi del senso di colpa che tiene conto di tutto lo sviluppo umano, secondo Vergote, si constata nell'esperienza del credente, fin dalla fanciullezza, un aspetto particolare della colpevolezza. Emerge infatti una dimensione del senso di colpa consistente in una rottura o in un'attenuazione della relazione con il radicalmente Altro, come la rottura di una amicizia, del rapporto tra due persone. Questa forma di colpevolezza è perciò detta «religiosa». Essa è, secondo Vergote, quello che dalle persone religiose viene detto «senso del peccato».
    L'originalità, la funzione nuova di questa dimensione della colpevolezza è un settore della psiche umana ancora poco esplorato. Di qui la necessità di un approccio interdisciplinare.
    La colpevolezza religiosa può essere definita come uno slancio della coscienza personale che nasce dal contrasto e confronto tra Dio, visto nelle sue perfezioni divine, soprattutto la misericordia e il perdono, e se stessi, in particolare i propri errori, visti alla luce di Dio. Questo slancio costituisce una dimensione religiosa. Il proprio comportamento appare alla luce di Dio, si commisura con lui. E Dio rivela ad un tempo se stesso, il peccato, la lontananza da lui e dal suo progetto da parte della persona e il nostro essere fatti a sua immagine e somiglianza. La colpevolezza religiosa si presenta come un dinamismo positivo che presiede allo sviluppo integrale della personalità. Si tratta di una dimensione nuova, originale e specifica del senso di colpa, caratterizzata appunto dall'essere un fattore costruttivo della persona, non un ripiegamento mortificante. Questa nuova dimensione è presente nei credenti la cui religiosità è sostanzialmente autentica, ne accompagna lo sviluppo, ne subisce i contraccolpi evolutivi. Essa non si riduce al senso di colpa per la trasgressione di un ordine, o al senso di infezione di tutto l'essere per un'oscura colpevolezza. È soprattutto «contraccolpo personale per la rottura di un rapporto», di un'amicizia, di una relazione tra due persone.
    Questa dimensione della colpevolezza si colloca a livello del comportamento lucido, delle scelte libere, non delle pulsioni istintuali più o meno inconsce. Perciò ogni deficienza dell'azione, ogni debolezza, ogni aberrazione volontaria, anche se grave, sarà percepita non più prevalentemente come una angoscia egocentrica per la paura di una minaccia, ma come una «inquietudine» nel senso etimologico di «non riposo», perché non si corrisponde, o si corrisponde male, a Dio che ama.
    Il peccato costituisce una rottura e un ripiegamento su se stessi, un rifiuto degli obblighi impliciti nelle relazioni interpersonali tra Dio, il soggetto interessato e il prossimo. Si tratta dunque di una regressione nel senso pieno del termine, un cammino a ritroso rispetto a quell'evoluzione e a quel superamento di sé che l'altro, gli altri, il radicalmente Altro esigono. Deliberato con chiarezza o consenso parziale il peccato si presenta come una regressione, una atrofia di una dimensione costitutiva della persona. Tra senso di peccato e senso di colpa con le sue varie sorgenti vi è ad un tempo distinzione e connessione stretta. Ogni atto umano porta con sé molte valenze. In vista di una valutazione adeguata e di una crescita occorre rendersi conto di ciò che concretamente è prevalente e caratterizzante. All'inizio il senso di colpa si presenta come un tutto unico, come una nebulosa che contiene in sé tutti i possibili sviluppi avvenire. A poco a poco emergono le varie dimensioni della colpevolezza, collegate con le relative sorgenti proprie di ogni stadio evolutivo. L'evoluzione della colpevolezza segue le sorti dello sviluppo globale della personalità, soprattutto dell'affettività. Nella misura in cui permangono delle sacche consistenti di immaturità, permane pure una colpevolezza di tipo infantile, un peso ed un freno per la crescita.
    Va ricordato che nella situazione concreta ogni individuo avverte l'emergere di un senso di colpa in cui prevale questa o quella dimensione a seconda dell'educazione ricevuta e del superamento dei residui dell'angoscia infantile. Ogni storia personale è una realtà monografica.

    Sintomi della presenza dell'autentico senso del peccato

    - II comportamento del soggetto è prevalentemente guidato dalla nozione del bene, dall'impegno per realizzarlo.
    - L'obbedienza è prevalentemente attiva e responsabile. La sanzione, pur necessaria, non toglie all'essere il senso di una vita morale possibile, di una dignità personale, di un profondo rispetto di sé. Valutazione, opzione, decisione, ecc., procedono da un giudizio di valore.
    - La vita religiosa è concepita in funzione del bene, nel rispetto di' sé e degli altri. La religiosità è dominata dall'amore del prossimo.
    Il vangelo viene interpretato come principio di liberazione e di amore.
    Dio è concepito come trascendente e tuttavia prossimo, ben distinto ed indipendente dall'io.
    - La percezione delle motivazioni del peccato: le motivazioni possono essere complesse ed affondano sovente le loro radici nel mondo confuso dell'inconscio. Tuttavia di fatto il soggetto lo compie con una certa consapevolezza di sé e dei valori oggettivi, anche se questo non vuol dire che ne sia totalmente responsabile agli occhi di Dio. Un tale atto sorpassa le dimensioni della pura parte affettiva. La sua descrizione psicologica è difficile, se non addirittura impossibile perché ci si trova ad un livello nel quale si è costretti a riferirsi al mistero della libertà personale, inaccessibile alla esplorazione scientifica.
    I determinismi, anche quelli nevrotici, divengono condizionamenti nell'esercizio di questa libertà, ma non sopprimono la radice della libertà in sé e per sé, eccetto i casi di grave anormalità.
    - La legge non è più solo lo sviluppo in vista di una relazione interpersonale d'amore. Questo invito è accoglimento, domanda ed esigenza d'essere ricambiato. Apparentemente sembra che l'autonomia della liberazione di sé sia nuovamente abbandonata a favore di una legge che si impone dall'esterno. In realtà non c'è costrizione o alienazione del proprio divenire. «Il Dio al quale mi abbandono, è più intimo a me di me stesso».
    Mentre l'eteronomia della proibizione esterna nell'etica istintiva situa la legge ad un livello inframorale, l'eteronomia dell'appello divino ad un dialogo d'amore fonda un'etica sovramorale.
    - L'obbligazione: il piano religioso non sopprime il dovere morale, ma lo assume in un dover essere ancor più libero da ogni costrizione. Più che il termine obbligazione, si può parlare di «vocazione».
    Le esigenze specifiche di questa nuova forma di obbligazione trascendono radicalmente la zona del dovere morale per fissarsi in quella dei consigli e delle beatitudini.
    - La coscienza: essa non è solo un giudizio razionale e logico, ma un discernimento in base all'amore, una comunione di pensiero e di vita tra due esseri che si amano, l'uomo e Dio, un senso del divino per connaturalità.
    Lo sviluppo morale della persona si realizza in un ambito ristretto mediante l'incontro adulto dell'altro nell'amore.
    Ma qual è la norma ultima del comportamento etico?
    Moralmente un incontro d'amore umano vale soltanto per l'autenticità della relazione di sé che esso comporta.
    Soltanto un valore Assoluto d'amore può fondare una morale d'amore universalmente valida. In questo caso però la situazione cambia completamente. Non si tratta infatti più solo di uno sviluppo autonomo di sé, ma dell'assunzione di tutto il divenire umano in un destino nuovo, nella gratuità di una comunione di intimità con la persona Assoluta. Tale incontro comporta il superamento di sé in un dialogo d'amore.
    - Colpa e peccato: saranno innanzitutto infedeltà ad un amore, rifiuto dell'amore divino.
    Una colpa puramente materiale non potrà mai essere peccato dal punto di vista della fede.
    Una colpa morale come mutilazione delle proprie virtualità potrà essere peccato nella misura in cui l'inserimento in un dialogo religioso le conferisce una nuova dimensione. Il rifiuto di essere se stessi diventa nello stesso tempo rifiuto di essere per l'Altro. Al di là della colpa morale vi può essere un rifiuto specificatamente religioso, un'infedeltà che sarà peccato nel senso pieno ed unico, sconosciuto sia sul piano istintivo che morale.
    - La sanzione del peccato: non sarà mai una punizione inflitta dall'esterno ma l'amore stesso come tormento di colui che ne rifiuta ostinatamente il bisogno inestinguibile.
    - La contrizione: sorge dall'incontro di due certezze complementari: da una parte l'evidenza della propria infedeltà e dall'altra la certezza che l'Amore dell'Altro sarà più fedele di ogni nostra infedeltà, che «Dio è più grande del nostro cuore».
    La contrizione cristiana è superiore infinitamente al desiderio di sfuggire alla vendetta di una onnipotenza irritata, molto superiore anche alla condanna delle proprie deficienze ed alla volontà di ripararlo. Essa è innanzitutto un appello alla misericordia di Colui che ama. È fondata sulla fiducia che l'amore accoglierà l'infedeltà che la fiducia del peccatore osa presentargli, sulla certezza di poterla integrare come punto di partenza di una intimità rinnovata.
    Forti di questa sicurezza si osa capovolgere il proprio peccato sino a farne una paradossale offerta d'amore.
    - Il perdono: è la risposta a questa contrizione. Il perdono sul piano dell'istinto e della morale sarebbe vuoto di significato autentico. Nel vocabolario cristiano designa precisamente il rinnovamento di un amore che ha reintegrato il peccato nel dialogo con Dio. Il peccato non viene riparato da uno sforzo progressivo, ma da un evento creatore. Per realizzarsi non ha bisogno del tempo; un istante di misericordia creatrice è sufficiente.
    - L'accusa del peccato: sarà il segno attraverso cui si rinnova il dialogo e si realizza il nuovo incontro.
    - La penitenza o riparazione: si tratta di incarnare nel piano temporale del divenire morale ciò che nell'istante creatore dell'amore si è già pienamente realizzato sul piano religioso.

    Componenti del senso dei peccato

    Nell'adolescenza, tempo in cui a poco a poco sta emergendo l'autentico senso del peccato, questi sintomi sono alternativamente presenti. Si ha spesso un comportamento contraddittorio in cui sono presenti le possibilità positive di sviluppo, come pure i rischi.
    Il senso del peccato o la colpevolezza religiosa, per instaurarsi richiede una triplice apertura della propria vita.

    Apertura a Dio

    Il colpevole sente, in maniera più o meno esaustiva ed intensa, il rimorso, l'angoscia, la solitudine, la disistima di sé, fenomeni che già abbiamo avuto occasione di sottolineare a più riprese. L'esperienza della colpa ha cioè ripercussioni psichiche non indifferenti.
    Nel tentativo di uscire da tale stato psichico angustiante, il soggetto può tentare di rimuovere la colpa o negandola o minimizzandola. Trattandosi di colpa reale, tale via è priva di sbocco positivo, perché, sia pure nell'inconscio, tale mancanza continua ad essere operante nei suoi effetti schiaccianti e deprimenti.
    La colpevolezza morbosa e la colpevolezza moralistica svalutante si vivono sempre in un «sistema chiuso», il cui centro è costituito dal tabù, dal Superio o dal narcisismo. Dio è relegato alla funzione d'un mezzo che rafforza e garantisce il «sistema chiuso», solamente umano, del tabù, del Superio o del narcisismo.
    La colpevolezza religiosa sfocia in un «sistema aperto». L'uomo non si chiude in se stesso, non si nega, né si scoraggia, ma si apre all'accettazione e alla riformulazione della sua personalità.
    La relazione a Dio del senso di colpevolezza religiosa non deve però togliere il senso e la portata intramondana del peccato, nelle sua dimensioni «sociopolitiche», strutturali. Ciò potrebbe portare ad una comoda evasione nel divino che non impegna e non redime nella vita concreta, ad una ipovalutazione del peccato stesso, ad una percezione dei valori troppo povera.
    Positivamente, allora, dal punto di vista pedagogico, bisognerà sempre sostanziare l'educazione morale di contenuti umanamente pregnanti, per non essere cristiani disincarnati, insensibili, superficiali, «oppiati», e per non portare ad una visione di Dio avulsa dallo spessore della vita umana.
    Il «contro te solo ho peccato» (Sal 51,6) dà solo la visione essenziale, ma non la visione fenomenologicamente completa del peccato. Il senso della rottura con Dio e del rifiuto della parola o dell'alleanza è certamente il significato principale del peccato, ma non al punto di eliminare le altre dimensioni del peccato: la trasgressione della legge, il disordine o l'ingiustizia introdotti nella società, nell'uomo ed anche nell'universo.

    Apertura a Dio che salva

    Aprirsi a Dio nella colpevolezza, senza però scoprire l'immediata azione salvifica di Dio, condannerebbe l'uomo ad errare sconcertato sulla superficie del proprio peccato, sperimentandone gli effetti, senza mai penetrarne le cause, la natura, la possibilità di redenzione.
    È quindi rilevantissimo, per un'autentica esperienza della colpevolezza religiosa, scoprire ed annunciare la nozione del «Dio-che-salva», la stretta connessione tra peccato e redenzione, presentati nella Bibbia sempre strettamente uniti.
    Il discorso religioso sulla colpevolezza è essenzialmente diverso da quello etico. È un passo ulteriore. Introduce la colpevolezza nell'ambito della speranza teologica, che decreta la fine del male e ne fa un fattore dell'umanità.
    Il puritano resta nella dimensione etica e nel regno della condanna e del non-perdono; il cristiano entra nella prospettiva del regno che viene ed assume tutto nella speranza nuova.
    Ecco perché la visione della fede sui fatti e sugli uomini, come anche sul peccato, è essenzialmente benevola. In nessuna altra visione della vita l'uomo è tanto legato alla colpa ed allo stesso tempo tanto libero da essa per l'intervento di Dio. È proprio nel perdono del peccato che l'amore di Dio trova tutta la sua grandezza, gratuità ed originalità.
    Un tema, questo, molto caro e recepito nelle antropologie umaniste attuali: il perdono è superamento delle esigenze di giustizia ed è costitutivo d'ogni relazione interpersonale autentica.
    Un rapporto con l'altro che non inglobasse l'elemento «perdono» (in quanto si perdona e si è perdonati), rischierebbe di non essere ancorato alla realtà e di restare superficiale. Finché infatti non ci si è resi conto che bisogna perdonarsi reciprocamente i propri limiti, non ci si è ancora realmente incontrati.
    Il perdono porta al rapporto una profondità nuova.
    Ma la fede nella gratuità del perdono non deve portare ad una vanificazione della collaborazione umana al perdono, nella conversione interiore. Anzi in nessun sacramento è tanto indispensabile tale collaborazione come nella confessione.

    Apertura ad un impegno

    La salvezza di Dio accolta impegna nei confronti della propria colpa. L'espiazione del cristiano viene dopo il perdono e scaturisce da un cuore profondamente riconoscente.
    La riparazione del peccato, strettamente parlando, è una impresa impossibile. L'ordine infranto resta sempre sciupato; potrà essere cicatrizzato, ma non ritornare allo stato anteriore. Pretendere di ristabilire l'ordine anteriore implicherebbe un potere originale ed indispensabile, il superamento dei limiti umani. Viviamo in un'economia di «ricostruzione» e di «misericordia», non già di «creazione».
    Il peccatore, perdonato e giustificato, costituito uomo nuovo nel Cristo, divenuto libero in lui, in nome della sua dignità di redento e della libertà di cui è dotato per dono di Dio, ha la possibilità di assumersi le proprie responsabilità, nella misura in cui vive da persona, riguardo agli effetti del peccato, ai valori, alle realtà, alle persone che la sua azione colpevole aveva compromesso. La collaborazione umana, a questa altezza, è ben diversa dalla pretesa farisaica di salvezza tramite l'osservanza.
    Qui l'azione e la responsabilità nasce da un contesto di fede, dall'apertura a Dio, dal senso della propria inadeguatezza riabilitata dal perdono ricostruttore di Dio.
    Quale sarà l'impegno più autentico e costruttivo dopo il perdono della colpa? Non c'è dubbio: il ritrovare la strada dell'amore. La coscienza che il peccato è una violazione dell'amore (oltre che della giustizia) porta a riscoprire l'amore come cammino di vita, inteso però in modo diverso da chi non ha peccato: la colpa genera un amore più gratuito, più ottimista e fiducioso, più radicale ed irruente, più umile e comprensivo.
    Restano spezzati la paura del colpevole da tabù, la falsa sicurezza e presuntuosità dell'uomo attaccato al Superio, l'ermetismo dell'egocentrico. «Colui al quale si perdona poco, dimostra poco amore» (Lc 7,47).

    RAPPORTO TRA QUESTE TRE DIMENSIONI

    Per chiarezza didattica si sono distinti i tre livelli. Nel vissuto tuttavia essi non costituiscono delle esperienze chiuse. Tutti e tre sono aspetti di uno stesso atto umano. Nessuno di essi è mai interamente svincolato da influssi e da risonanze degli altri due. L'uomo non è mai puro istinto o puro spirito. La sua esperienza religiosa non è mai disgiunta dalla sua attività morale o dalla sua istintività. Ogni atto umano è sempre un atto complesso. Il livello inferiore sarà sempre implicitamente presente nel grado superiore. Come abbiamo visto, è la prevalenza di questo o quel livello che qualifica l'atto morale, anzi è l'atteggiamento personale sottostante che è decisivo. Il livello superiore si radicherà nei livelli inferiori che esso assume dando loro un valore ed un senso nuovo.
    Il processo che va dall'istinto allo spirito dovrà compiersi e superarsi in un impegno religioso sempre più profondo.
    Inoltre va sottolineato che non c'è sempre coincidenza tra la maturità psichica ed anche intellettuale, la maturità morale e la maturità religiosa.
    Una persona fisicamente adulta può associare un infantilismo morale quasi incurabile con uno sviluppo intellettualmente qualificato, con una vasta cultura, con un senso religioso molto raffinato, con una grande esperienza di vita, con una ottima riuscita professionale.
    La maturità morale da parte sua non coincide necessariamente con la maturità etica a livello religioso cristiano. Un uomo di una grande probità morale può essere un ritardato dal punto di vista religioso e seguire forme di religiosità infantile.

    Nevrosi e peccato

    La nevrosi è una regressione che avviene a livello dell'evoluzione affettiva ed infantile. Essa riguarda ciò che nell'essere si potrebbe chiamare «l'infraumano o il pre-umano». Priva il soggetto di alcune dimensioni o le atrofizza, ma unicamente a livello emozionale. I danni che provoca nella personalità, possono avere ripercussioni molto gravi e molto dolorose sulla vita cosciente e sul suo sviluppo.
    Ma la nevrosi non può modificare quella realtà che in ultima analisi è il soggetto stesso nella sua singolarità assoluta.
    Perciò occorre distinguere tra senso di colpa e senso del peccato. È pure opportuno non confondere i termini di «mancanza» e di «peccato».
    - Mancanza: corrisponde ad una trascuratezza nell'adempimento della legge. Ha in qualche modo un senso legalistico. Esprime un conflitto tra un soggetto e una astrazione. Si concilia facilmente con l'angoscia primitiva e magica. Non si inserisce, perlomeno sufficientemente, nel clima di scambio interpersonale. L'affettività che essa risveglia ha una forte coloritura egocentrica. Il suo livello è moralistico.
    - Peccato: se lo si considera nel suo significato biblico richiama subito alla mente il clima di dialogo interpersonale con il Dio che chiama ed ama. Costringe ad andare al di là dell'angoscia primitiva. Restituisce alla legge il suo carattere di «parola di Qualcuno». Spinge l'uomo a superare quella legge come nozione astratta per mettersi alla ricerca di questo Qualcuno. Il suo livello è religioso.
    Nevrosi e peccato non sono perciò fenomeni dello stesso ordine, sebbene presentino alcune analogie.

    L'utilità del senso di colpa

    Alla luce di questi aspetti positivi e dei rischi che si possono ritrovare nell'esperienza di molte persone, si può constatare l'utilità di un sano senso di colpa.
    Affinché l'esperienza della colpevolezza possa essere stimolante e creativa, è necessario che venga almeno accettata, inserita nella trama e nello sviluppo della personalità senza minacciarla o distruggerla. Rinnegare qualsiasi colpevolezza rischia di condurre allo stesso risultato di orchestrarla all'eccesso.
    Il normale senso di colpa può scaricarsi:
    - attraverso una confessione,
    - uno sfogo con qualche amico,
    - un sincero sforzo di riparazione,
    - il desiderio del perdono,
    - una prospettiva rivolta al futuro più che al passato.
    La salute psichica e lo sviluppo dell'affettività, come anche il progresso della pratica morale, suppongono che si accordi il giusto posto al senso di colpa senza averne paura. Si tratta di non spaventarsi della propria colpevolezza, di non rigettarla attraverso un ripudio soltanto fantastico. Essa infatti costituisce un aspetto inevitabile ed utile della nostra condizione concreta.
    «Bisogna non subire la propria colpevolezza, osserva Claude Sague, come un destino opprimente, ma assumerla come un compito e farne un progetto affidato alla nostra libertà».
    In ogni caso il senso di colpa rimane la miglior rivelazione della nostra finitezza e di conseguenza lo stimolo più dinamico dell'agire umano.
    Nevrotico e regressivo oppure oggettivamente valido sul piano conscio, il senso di colpevolezza è una delle realtà più profonde dell'uomo.
    Generatore di angoscia patologica o al contrario stimolante una progressione psicologica in senso oblativo, esso rivela una possibilità di reazione affettiva universale che non si spiega esaurientemente solo con la psicologia. Essa può descriverne le manifestazioni, studiarne i meccanismi, ma non esaurirne il significato.


    T e r z a
    p a g i n A


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