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    C'è poi un'etica per la sessualità?



    (NPG 1979-03-18)


    È uscito da poco presso l'editore Savelli, nella collana Il pane e le rose, che si apre con l'ormai famoso Porci con le ali, un nuovo volume di educazione sessuale dal tito­lo Facciamolo bene. Il sottotitolo continua Per una vita sessuale libera e felice: una guida per adolescenti. A detta degli stessi curatori della edizione italiana (l'originale è in inglese) il libro non esce dagli schemi soliti in cui l'educazione sessuale è ridotta ad informazione e calcolo sui rischi. Più che il contenuto del libro è interessante il dibattito che i curatori aprono in due colloqui al termine del volume. Un dibattito che nelle loro intenzioni dovrebbe proseguire in un confronto serio nell'area della sini­stra in cui essi militano.
    Dal primo dei due colloqui, quello fra Marco Lombardo Radice e Riccardo Venturi­ni, entrambi della Università di Roma, stralciamo alcune parti, come documento che introduce il nostro problema. Tra l'altro possono essere utilizzate queste pagine per avviare una conversazione con i giovani, nel gruppo.

    Autocritica a sinistra: quale rivoluzione sessuale?

    R. V. Diciamo subito che il libro, pur avendo deciso di pubblicarlo, non lo trovo mol­to soddisfacente. Anzitutto perché sono consapevole che è proprio questa consuma­zione sul piano delle parole che poi non riesce più a mobilitare; e questo è un veleno, un'intossicazione che riguarda molti settori della nostra vita sociale. Oggi anche per la sessualità-ei rischia di fare la stessa cosa... In questo senso mi sembra necessaria una autocritica.
    Ad esempio, nella sinistra - nuova o vecchia - sul piano pedagogico si è molte volte pensato che bastasse non agire, bastasse togliere il vecchio dalla didattica, dagli at­teggiamenti pedagogici, perché nascesse improvvisamente questo uomo nuovo, libe­ro, buono, creativo, cooperativo, comunista, così quasi spontaneamente. E che an­che per la sessualità bastasse togliere alcuni tabù perché si liberasse spontaneamente la sessualità nuova... Pensare che il sesso sia solo gioia, solo una bella torta da man­giare liberamente, a sazietà è uno degli errori che sono stati compiuti per superficia­lità.

    M. L. R. Sono d'accordo con te quando dici che non possiamo limitarci a cercare di togliere le repressioni. L'ipotesi che togliere le repressioni porti a una sessualità felice e bella è non solo falsa in pratica, come è facile verificare, ma anche teoricamente sciocca, perché trascura un dato, che la sessualità è un fatto culturale per cui non esi­ste una sessualità naturale... Il modello sessualità naturale-bella, repressione cultura­le che la rende infelice è un modello premarxista. Allora però quando ci poniamo il problema di cambiare la nostra sessualità, e di far parte di un movimento che lotta per cambiare la sessualità, dobbiamo necessariamente porci il problema di un pro­getto. Cioè cambiare la sessualità vuol dire progettare in qualche misura la sessualità che vogliamo noi. Questa strada è a sua volta problematica e contraddittoria, perché ripropone il problema di una nuova morale, di una nuova precettistica. Insomma, è possibile far coesistere nel discorso sulla «rivoluzione sessuale» un elemento proget­tuale col massimo di libertà possibile, col massimo di ricchezza, di polimorfia possi­bile?

    Liberazione sessuale e progettualità

    R. V. Io discuterei anche questa esigenza della sintesi, del progetto. Forse oggi si è più diffidenti verso il pensiero sistematico, deduttivo e si tende a privilegiare un pen­siero che vada avanti attraverso processi rizomatici, che si sviluppi secondo la sua li­bera e in qualche modo disordinata creatività. Quindi che ci siano dei progetti così onnicomprensivi, una volta che abbiamo acquisito la consapevolezza che questi oriz­zonti totalizzanti sono poi sempre falsi, non so neanche se debba essere una preoccu­pazione. Quando d'altra parte parliamo di un movimento di liberazione sessuale, o prendiamo di mira una serie di tabù ormai abbastanza precisati, ci limitiamo a voler difendere la libertà dell'esperienza e l'esperienza di libertà. Questo non mi sembra che necessariamente debba essere confuso con la precettistica, perché è soltanto una idea regolativa di libertà, di rispetto, che non dà necessariamente contenuti, lascian­do la più libera espressione alla fantasia, alla creatività, alla sperimentazione.
    M. L. R. D'accordo con te che la vera battaglia è quella perché ognuno possa, a tutti i livelli, esperire e vivere liberamente la sua creatività, la sua fantasia. Ma resta il fat­to che soltanto nell'ambito di movimenti avvengono dei cambiamenti reali, soltanto quando c'è un gruppo che marcia in determinate direzioni le cose possono cambiare.
    R. V. Mi pare che nello stesso movimento femminista su questo non si sia andati molto avanti nel senso che, una volta sottolineata la necessità di un più libero acces­so al corpo da parte della donna, le difficoltà vengono fuori quando ad esempio si sottolinea il valore di dimensioni come quella della tenerezza nei rapporti interperso­nali e poi però non si sa come difendere questi valori in un mondo che non è liberato, non è tenero, in cui c'è un progressivo incupimento della vita, si corrono ancora grossi rischi di regressione politico sociale. A me pare che la difficoltà maggiore sia proprio costituita dal fatto che, da un paio di secoli a questa parte, si sia negato il va­lore dell'etica, il valore della morale contrapposto ad altri valori: della politica, del successo ecc. Una cultura che ha dissolto l'etica a favore della politica, dove trova la giustificazione per opporre, ad esempio, la tenerezza alla violenza? La tenerezza ri­schia di diventare debolezza. Questa dimenticanza di una dimensione etica, che ha un valore anche quando è smentita dai fatti, forse è una perdita della nostra cultura su cui non si è riflettuto a sufficienza.

    Sessualità tra etica e politica

    M. L. R. Questo è molto importante, ma a te non sembra che questo ritorno, anche se non teorizzato, all'etica, ci sia moltissimo in questi ultimissimi anni?
    R. V. Oggi molto di quello che si esprime con il rifiuto di un certo tipo di politica può far pensare a una ripresa dell'etica: ma abbiamo tutti paura di essere tacciati di cat­tolicesimo e nessuno fa questo discorso in positivo, per riaffermare i valori della mo­rale. Mi sto interessando in questo periodo di vedere in cosa si possa riassumere la cosiddetta morale comunista, quali siano i connotati morali dell'uomo nuovo sovieti­co, socialista; in sostanza mi pare di non trovare che un generico gregarismo, funzio­nale alla sopravvivenza e al successo della società socialista, ma una vera rifondazio­ne dell'etica sembra mancare. C'è probabilmente una esigenza, e io sto dicendo que­ste cose perché mi sento partecipe di questa esigenza, ma proprio perché abbiamo paura di essere scambiati per cattolici abbiamo un enorme pudore nel fare questi di­scorsi, dopo aver tanto fatto il discorso della politica e del potere.
    M. L. R. Hai ragione tu, mancando i presupposti teorici, questo viene ancora giu­stificato in chiave «politica», ma ricompaiono le parole scommessa, speranza... Si di­ce: questa linea è una scommessa non un piano etico? C'è certo anche una analisi politica, ma si dice se è giusta (cioè vincente sul piano della politica) bene, se no fa lo stesso, perché era quello che pensavamo di dover fare, di dover sperare...
    R. V. Riportando questo discorso alla sessualità direi che la posizione utilitaristica, quella del sesso-e gioia», dovrebbe essere sostituita dall'accettazione della contraddit­torietà del nostro comportamento: non ci garantiamo né la gioia, né di essere buoni eternamente, ma ci possiamo impegnare in un tentativo di rispetto delle nostre espe­rienze e di affermazione della tenerezza come valore morale.
    M. L. R. Questo ritorno all'etica mi pare sia stato presente negli ultimi anni (in modo esplicito) sul terreno dei rapporti personali, del privato e quindi del sesso. La rottura con una tradizione terzinternazionalista di rinvio a (( dopo» di questi problemi, è stata anche una rottura di questo tipo: l'affermare cioè che sarà anche vero che in ultima analisi è la struttura economica a decidere quale sarà il privato e la vita quotidiana del futuro, ma che noi non vogliamo sia così, che vogliamo prima decidere come vo­gliamo la vita quotidiana, e la struttura economica dovrà adeguarsi. Quella femmini­sta è stata quindi una rivoluzione copernicana nel marxismo.

    Il rispetto della debolezza come criterio etico

    R. V. Io credo che potrebbe essere molto importante leggere il comportamento delle femministe e dei giovani in chiave di riaffermazione di valori etici. Riportando questo discorso allo specifico della sessualità, direi che mentre la vecchia etica era l'etica dei doveri e dei tabù e mentre i «nuovi» atteggiamenti edonistici ci presentano il sesso soltanto come gioia, una nuova etica potrebbe esprimersi in formulazioni del tipo «Rispetta le mie debolezze, accetta il fatto che io ti farò anche soffrire, così come io accetto che sarai tu a farmi soffrire».
    M. L. R. Volevo aggiungere qualcosa a quel che dicevo prima: la possibilità di nega­re l'esigenza di un'etica e quindi di un'etica di gruppo, anzi di combatterla, esiste an­che questo. È quello che fanno alcuni gruppi per esempio omosessuali, affermando che l'etica, o una qualsiasi forma di progetto, è una cosa dannosa, mentre importante è liberare pienamente tutte le nostre fantasie, tutte le nostre «perversioni».
    R. V. C'è il rischio che ci si limiti a chiedere la santificazione, la legittimazione dell'a­ggressività. Ma non è difficile liberare la violenza, è difficile liberare un embrione di e­tica.
    M. L. R. Resta comunque il problema di come conciliarlo con la fantasia, con la per­versione polimorfa. Io sento il rischio che questa etica anche se non ben definita di­venti un po' soffocante.
    R. V. Questa dimensione è proprio quella che deve essere presente in un'etica che non sia, appunto, un'etica cattolica. Dire «accettami sapendo che io sarò per te an­che un'occasione di sofferenza», significa fare oggetto di rapporto anche la sofferen­za che può venire, reciprocamente, infinita, il che la riscatta poi dall'essere brutale aggressione, nella misura in cui è «concordata». Se la violenza è per così dire con­cordata, se si riconosce la propria carica di aggressività e il proprio potenziale di sof­ferenza per l'altro, ma tutto viene detto e diviene oggetto del rapporto stesso, direi che non può più considerarsi immorale.


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