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    Una esperienza nella scuola dell'obbligo



    (NPG 1978-04-75)


    Delle numerose esperienze di cui siamo a conoscenza, quella che presentiamo ci pare caratterizzata da maggior maturità, non solo perché riesce a coinvolgere le varie forze in gioco, ma perché sa realmente allargare la tematica, fino a giungere ad una vera educazione all'amore ed alla vita.

    L'esperienza è stata realizzata presso la Scuola Media Statale Perotti di Torino.
    Fin dall'inizio della sperimentazione, lo scrupolo principale è sempre stato quello di accostarsi alla materia con garbo, oserei dire con dolcezza, al fine di non turbare i preadolescenti, di non traumatizzarli con un contatto troppo brutale con i fenomeni biologici; il linguaggio usato, perciò, pur essendo rispettoso della verità scientifica, è stato, soprattutto nella prima classe, sfumato e ingentilito, per dare una visione serena e gratificante del sesso, per infondere un senso di lieta accettazione della natura umana. Altro scrupolo è stato quello di non stabilire un orario definito per l'educazione sessuale, lasciando sempre molto indecisi (per i ragazzi, naturalmente; nella mente dell'insegnante erano ben chiare le articolazioni della materia e le varie tappe!) i contorni, dedicando all'argomento parte del tempo destinato all'educazione civica (quindi senza compartimenti stagni fra le varie discipline del gruppo «lettere»), per affrontare il problema non «a freddo» ma solo quando l'argomento che si stava in quel momento dibattendo in sede di storia, di osservazione della realtà, di geografia, ecc. offriva il destro. Così la classe era «motivata» e passava gradatamente, senza scosse, alla trattazione specifica, coinvolta senza che se ne rendesse conto, pronta a recepire lo stimolo, a farlo proprio.

    L'ACQUA COME PRIMO ELEMENTO DI VITA

    La prima volta si partì, con una classe di 27 alunne tutte undicenni, dall'affermazione che, sulla terra, ogni forma di vita era sorta dall'acqua e che forse il progenitore dell'uomo era una specie di rettile-anfibio, adatto a vivere anche nel liquido elemento. Prova ne era che il bambino, prima di nascere sta immerso nel liquido amniotico. Da questa osservazione casuale scaturì una selva di domande sulla vita prenaturale e di qui partì l'iniziativa di approfondire, organicamente, il problema. Si stabilì quindi di articolare l'educazione sessuale secondo queste tappe: genesi della vita (fecondazione, gravidanza, puerperio) e sua problematica, nella prima classe; sviluppo psicofisico (dai primi anni di vita fino alla pubertà), nella seconda classe; problema dei sessi, rapporti tra ragazzi e ragazze, nella terza classe (quando le adolescenti hanno superato la crisi dell'età evolutiva e sono tutte ansiosamente protese verso una progressiva scoperta dell'altro sesso). Trattandosi di un'iniziativa personale, non confortata dall'appoggio del Capo Istituto, guardata anzi con sospetto e in fase... pionieristica, si decise di mettere a parte del progetto tutte le famiglie; e queste, quasi tutte di livello socioculturale medio, aderirono subito con fiducia, e perfino con gratitudine, all'iniziativa (nel corso degli anni fiducia, gratitudine, slancio, anziché diminuire si sono allargati ed acuiti, in quanto molti genitori che vorrebbero affrontare il problema sessuale con i figli ma non sanno «come», accolgono con entusiasmo l'opportunità di una collaborazione con la scuola che permette loro un dialogo aperto e costruttivo con i loro ragazzi), impegnandosi a collaborare per approfondire con le figliole quella problematica che poteva scaturire in classe senza venire allargata; la prudenza infatti suggeriva di procedere con estrema cautela, in quanto il discorso veniva rivolto a una massa, non a una singola ragazza e le varie personalità, le diverse sensibilità potevano recepire in maniera molto diversa lo stimolo: in altre parole, una spiegazione che risultava logica e naturale per alcune ragazzine poteva anche riuscire traumatizzante per altre, ancora immature e non preparate. Per questo si stabilì di rimandare ai genitori le domande più scabrose o di rispondere «privatamente», cioè a parte, ai quesiti presentati da alcune ragazze già più evolute.

    L'ITER DEL TRIENNIO

    Venne portato in classe materiale illustrativo e si aveva sempre cura che ogni domanda, ogni iniziativa partisse dalle ragazze, da una loro spinta interna, mai da un'occasione «esteriore» e quindi forzata. Così genitori e figli si diedero da fare, a studiare, a discutere, a confrontare; presto anche il linguaggio, che all'inizio era guardingo e sfumato, diventò preciso, scientifico, senza traumi né rossori. L'iter prestabilito venne rispettato nel corso del triennio (anche se, sospinte dall'entusiasmo, le ragazze sollecitavano continue discussioni e approfondimenti) e, a livello di terza classe, la scolaresca, ormai matura, affrontò temi molto impegnativi quali la prostituzione, le deviazioni sessuali (sempre però su un piano civico e di costume, cioè senza entrare in dettagli troppo precisi), il controllo delle nascite, il problema dell'aborto, ecc. Ne scaturì una serietà sorprendente, una coscienza civica promotrice di personalità, un profondo rispetto per il proprio corpo, sentito come strumento dell'anima, la coscienza che ogni atto deve essere improntato ad amore e a consapevolezza. Intanto, in tutti quegli anni, attraverso il diario personale, le ragazze andavano esprimendo i loro stupori, i dubbi, i tremori, di fronte alle prime infatuazioni, e quelle letture erano una «spia» preziosa per cogliere la lenta maturazione della personalità, i pensieri, le reazioni.

    IL SECONDO CICLO: NUOVI PROBLEMI

    Un'esperienza altamente positiva, quindi, che favorì anche il dialogo con i genitori e, oserei dire, educò i genitori attraverso i figli; un'esperienza che incoraggiò a ripetere la prova nel ciclo successivo. Questa volta la classe, sempre femminile, era più numerosa e composta di elementi molto eterogenei sia per capacità che per livello socioculturale. Allora si partì da un questionario, rivolti alle alunne e alle famiglie, in cui si chiedeva se le ragazze fossero state già informate sui problemi sessuali, in che forma e da chi. Le risposte risultarono molto disparate e andavano dall'assoluta «ignoranza» alla conoscenza di «tutto»; e per «tutto», risultò poi molto spesso che si alludeva all'erudizione acquisita attraverso compagni adulti o morbosi sussurri. Le famiglie dimostrarono, tranne una eccezione (che poi si rivelò... drammatica, in quanto la ragazza tenuta «all'oscuro di tutto» dai genitori era la più «avanzata» e decisamente su una cattiva strada!) spontanea adesione e volontà di cooperare, anche se in maniera piuttosto discontinua e alquanto sprovveduta. Di qui la necessità di suggerire letture ai genitori volenterosi e di affrontare con le ragazze ogni argomento con poche nozioni-chiave, basilari ed educative. Si promossero anche libere iniziative quali inchieste e interviste a madri in gravidanza; si visitò un vicino asilo-nido, si approfondirono molti problemi, quali l'infanzia abbandonata e i suoi traumi, la situazione delle ragazze-madri, i pericoli di una convivenza promiscua, ecc. Gli argomenti però non furono sviscerati con la serenità e la compostezza che si erano avute durante il ciclo precedente, ma si frammentarono in episodi o in esigenze personali (le ragazze esprimevano di preferenza i loro dubbi su foglietti, che consegnavano all'insegnante per una risposta «privata») e si fece quindi più un'opera di educazione singola che una vera e sistematica trattazione collettiva, anche perché l'intervento forse infelice dell'insegnante di osservazioni scientifiche (che, richiesta di una spiegazione sul «ciclo», illustrò con chiarezza sbrigativa il fenomeno) traumatizzò alquanto alcune ragazzine; una di esse confessò poi, tutta in lacrime all'insegnante di lettere, che «non voleva diventare una donna!»; il che rese necessario un allentamento della tensione.

    I RISULTATI POSITIVI E I PUNTI NERI

    I risultati tuttavia anche questa volta furono positivi, pur con le incertezze e le ombre scaturite dalla mancanza di una solida e costruttiva collaborazione da parte delle famiglie, dalla mancata coesione all'interno del consiglio di classe, dalle difficoltà che sorgevano di fronte a una scolaresca troppo eterogenea per interessi, capacità, livello socioculturale, età.
    L'esperienza continua ora in una classe mista, di una trentina di alunni, molto eterogenea per grado di preparazione, ambiente, capacità. La difficoltà maggiore tuttavia deriva dal fatto che il discorso si rivolge contemporaneamente ai due sessi, i quali hanno una sensibilità, un grado di recettività e uno sviluppo psicofisico non sincronico (in seconda, ad esempio, i ragazzi risultano in parte molto più immaturi delle compagne); ottima è risultata però la collaborazione delle famiglie e questo aiuta a risolvere il problema, in quanto i genitori si sono suddivisi i compiti: il padre instaura il dialogo con il figlio, mentre la madre approfondisce un diverso discorso con la ragazza.

    NUOVA ESPERIENZA CON UNA CLASSE MISTA

    Nella prima classe si è sviluppato, con molta armonia, il problema del concepimento, della gravidanza, della nascita, dei primi anni di vita che ha visto tutti e due i sessi ugualmente attenti e «impegnati». Anzi direi che la presenza dell'elemento maschile nella classe ha arricchito l'esperienza, facendo da elemento catalizzatore, dando maggior ampiezza e concretezza scientifica ai problemi. Si sono affrontati perciò anche temi impegnativi quali l'aborto, il controllo delle nascite (affrontati attraverso la lettura del giornale), i problemi igienico-sanitari e psicofisici dell'infanzia, la nascita dei prematuri, i parti gemellari, i figli illegittimi e le adozioni, ecc. Ora si sta parlando dei problemi della crescita e ciascuno informa i compagni sulle esperienze acquisite attraverso l'osservazione di sorelline, cuginetti, ecc. o mediante interviste, inchieste, ecc.
    Un evidente risultato positivo è che all'inizio della prima classe i ragazzi, abituati alla «separazione dei sessi» della scuola elementare, si guardavano in cagnesco e non volevano socializzarsi: le bambine erano in soggezione; i maschi, con altera strafottenza, definivano le compagne delle «racchiette» ed erano piuttosto... maneschi! Ora lavorano alacremente in gruppo, con schietto cameratismo, «non si mettono le mani addosso», hanno cioè pieno rispetto dell'altro sesso e, nei confronti dei genitori, hanno assunto un atteggiamento più consapevole, rispettoso, «quasi paterno!» ha confessato il padre di un ragazzo che vive separato dalla moglie.
    Queste premesse fanno ragionevolmente sperare in un buon successo dell'esperimento.
    Per concludere: sì all'educazione sessuale, intesa però non come semplice «informazione», inserita a freddo: «Adesso, ragazzi, parliamo di problemi sessuali!», ma come sviluppo globale della personalità; sì alla collaborazione attiva delle famiglie, che si inseriscono così costruttivamente nella dinamica della scuola.

    LE CONDIZIONI ESSENZIALI PER UNA BUONA EDUCAZIONE SESSUALE

    Tuttavia, condizione essenziale perché l'educazione sessuale sia veramente formativa è il fermo convincimento dell'insegnante che si assume questo compito, la sua preparazione specifica ma soprattutto psicologica. È anche sommamente importante che tutto il consiglio di classe cooperi all'esperienza, apportando, quando si presenta l'occasione, il suo contributo e arricchendo, con armonia e coerenza, l'opera del collega. Basta infatti una sola nota dissonante per spezzare l'armonica serenità di questo delicato cammino, irto di imprevisti, e per far sorgere zone di ombra che incrinano la solare semplicità che è nei ragazzi quando affrontano i loro problemi esistenziali.
    Un'ultima condizione, indispensabile per un dialogo approfondito, è una scuola integrata, che permetta di articolare ogni esperimento con calma, senza l'assillo del tempo che fugge e senza l'incubo dei «programmi da svolgere».

    (Relazione di Giovanna Righini Ricci).


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