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    Testimonianza e ruolo dell'educatore


     

    Claudio Mina

    (NPG 1978-04-46)


    È fuori dubbio che l'attuale crisi di valori, oltre alle note nefaste conseguenze, presenta anche il benefico aspetto di indurre chiunque voglia vivere un'adeguata consapevolezza morale a riaffrontare i principali problemi dell'esistenza, per farsi una scala di valori veramente compresa ed interiorizzata.
    A tale revisione sono evidentemente chiamati ad un titolo del tutto speciale gli educatori. Sappiamo, infatti, quanto spesso oggi i ragazzi già dalla preadolescenza, se non prima, comincino a contestare un'educazione autoritaria, che chieda una passiva accettazione di principi, basata sua' aprioristico presupposto che l'adulto, in virtù della propria maturità ed esperienza, possegga comunque la verità. Contestazione questa che, secondo la concorde testimonianza di esperti del mondo giovanile, non è basata principalmente su un partito preso, poiché si intravvede in essa anche un vivo desiderio di verità, di autenticità, di una ricerca che colga i problemi alla loro radice.
    Questo atteggiamento obbliga dunque l'adulto a rimettere in discussione le sue convinzioni, possedute spesso troppo pacificamente ed in maniera troppo poco documentata, per trovare una moralità veramente essenziale e una parallela coerenza di vita. E solo accettando questa maturazione continua egli potrà porsi con fermezza ed intrinseca autorevolezza a modello del ragazzo, offrendogli un valido appoggio nell'attuale disorientamento culturale ed etico.
    Queste considerazioni introduttive valgono evidentemente anche per l'educazione sessuale. E qui va notato che tale compito comporta per l'educatore la necessità e la felice opportunità di fondare la sua scala di valori su quello che dalla migliore cultura è stato ed è considerato il valore per eccellenza, e cioè l'amore. La sessualità, infatti, è intrinsecamente orientata ad esso, per cui una vera educazione sessuale coincide innanzitutto con un'educazione all'amore. Impostazione questa che va valorizzata evidentemente in un modo particolare dall'educatore cristiano, data la centralità che l'amore occupa nella visione teologica ed etica. Impegnandosi in essa egli porterà un valido contributo a quella promozione umana cui è chiamata la comunità ecclesiale e che trova la sua principale realizzazione nell'edificazione della «Civiltà dell'amore».
    Essendo dunque prima e fondamentale dote dell'educatore una salda «maturità nell'amore», cercherò di esporre qualche tratto di essa, inquadrata dapprima nell'ambito di una più ampia «maturità affettiva», analizzata in secondo luogo in alcune sue caratteristiche, e considerata infine nella sua componente della «maturità sessuale» (distinzioni queste ovviamente più che altro di comodo).

    LA MATURITÀ AFFETTIVA

    Visione pansessualista o spiritualista dell'affettività?

    Una frequente diffidenza verso l'educazione sessuale effettuata nella preadolescenza si basa, com'è noto, anche sul timore che essa crei problemi dove non ci sono, o li accentui, o contribuisca comunque a polarizzare la personalità de] ragazzo verso la sessualità. Questa tesi non è evidentemente sostenibile, come ha dimostrate l'ampio dibattito in proposito. Basti pensare ad esempio all'effetto sdrammatizzante di una chiara e serena informazione sessuale, là dove invece (come succede purtroppo molto spesso) le mezze conoscenze, l'atmosfera di mistero ed ; doppi sensi non fanno che esasperare una curiosità già vigile, contribuendo anche a rafforzare la carica degli impulsi sessuali più o meno presenti.
    È un fatto, però, che non di rado il discorso sessuale viene fatto in termini tali da inculcare nel ragazzo l'idea che la sessualità abbia nella personalità una rilevanza assai maggiore di quella che in effetti non le competa. Questa alterata
    prospettiva – è stato documentato – può essere dovuta al fatto che lo stesso educatore non abbia armonicamente integrata la componente sessuale nella sua vita ed essa presenti in lui una carica eccessiva. Tuttavia un altro motivo molto rilevante sta anche in una frequente e forse non del tutto consapevole assimilazione della visione freudiana della dinamica umana, derivata da una pseudo-cultura purtroppo molto corrente, che non tiene abbastanza conto di una visione spiritualista dell'amore.
    Tale visione, sappiamo, accentua ingiustificatamente l'incidenza delle tendenze sessuali (e quindi il danno del loro mancato appagamento, considerato unilateralmente come «rimozione») e non scorge tutta l'ampiezza della dinamica tendenziale, dalle sue componenti fisico-affettive a quelle spirituali. Distinzione questa che è quanto mai necessaria, dato che l'affettività «superiore», è destinata per sua natura ad animare e ad indirizzare dal suo interno quella «inferiore». Distinzione, ancora, essenziale per orientare il ragazzo nella percezione dei problemi connessi con la sessualità. Bisogna sì indirizzare il sesso verso l'amore, ma le due realtà vanno tenute ben distinte. Infatti mentre gli impulsi sessuali (sia fisici che affettivi) sono di natura istintiva, un vero amore ha la sua più essenziale sorgente nelle facoltà autodirettive più autenticamente umane, e cioè il giudizio intellettuale di valore e la decisione volontaria. Sta a questo amore di «assumere» e valorizzare le componenti biologico-istintive, sapendole dimensionare o, all'occorrenza, anche lasciare inappagate, senza che ne derivino nocive «repressioni».

    L'aridità affettiva della nostra civiltà

    Tenere ferma la subordinazione dell'affettività sensibile a quella spirituale, e dimostrare la necessaria connessione anche di questa con i poteri autodirettivi della personalità, non significa diminuire minimamente l'importanza rivestita del ruolo delle forze affettive nella dinamica della personalità.
    L'affettività mette in rapporto ricco e pieno con la realtà; risveglia le forze di crescita e di sviluppo; dà all'organismo psico-somatico energia e slancio; spezza gli orizzonti schematici e limitati delle abitudini di pensiero, che tendono a fossilizzare l'individuo nelle percezioni raggiunte; fa godere dell'intimo valore della realtà, ecc. Lo sviluppo adeguato di essa è dunque una com-
    ponente fondamentale della maturità della personalità; e tale sviluppo è particolarmente necessario all'educatore, come vedremo più innanzi.
    Bisogna invece purtroppo constatare quanto sia profonda l'aridità affettiva dell'uomo d'oggi. Vale senza dubbio qui l'analisi del Fromm sulle caratteristiche «necrofile» della nostra civiltà. Dominata dalla mentalità maschile, pur avendo sviluppato costruttivamente un ampio insostituibile patrimonio di valori connessi con la razionalità, essa presenta anche le degenerazioni conseguenti ad una sopravvalutazione della razionalità stessa e dei valori ad essa connessi, come l'organizzazione, la tecnica, la produttività, l'ordine, la legge, una male intesa serietà ed una altrettanto male intesa concretezza; l'inquadramento, il controllo, l'obbedienza.
    È una civiltà che ha paura della vita, perché essa è disordinata ed incontrollabile; che teme la libertà e la spontaneità; che soffoca la gioia di vivere e di creare; che conosce poco l'immaginazione, lo slancio, la felicità, gli affetti, l'amore. E sappiamo il tipo di uomo che ha prodotto tale civiltà: un uomo che si identifica col ruolo sociale, col lavoro; che atrofizza la psiche nelle potenzialità più ricche e vitali, sviluppando le scienze, le tecniche in modo settoriale, non illuminate da una visione globale della vita; un uomo che vive per la carriera, che dedica ad essa le sue energie, considerando la famiglia più che altro un luogo in cui lasciarsi andare, nel disimpegno dalle responsabilità coniugali e familiari. Conosciamo anche parallelamente una diffusa condizione femminile, con le conseguenze di una mancata attiva integrazione con le doti maschili, e con tutto il corteo delle compensazioni affettive, come l'eccessivo riversarsi sulla routine domestica, la riduzione del sentimento a sentimentalismo, l'impoverimento culturale, l'incapacità di stimolare e di seguire i figli in un'apertura ricca ed ampia sulla vita...

    Urge una riscoperta del valore oggettivo ed ontologico dell'affettività e della gioia

    La cultura maschile ha anche giustificato con varie teorizzazioni la sua incapacità affettiva: basti pensare alla aridità dell'impostazione etica kantiana, che tanto ha influito sulla nostra eredità culturale. Una svalutazione dell'affettività – com'è noto – ha lungamente inficiato anche il patrimonio ascetico-morale, provocando diffidenza soprattutto verso il «diritto alla gioia» del cristiano, verso il «diritto al godimento» pieno ed esplicito delle realtà terrene. Orientamento, questo, che ha avuto ed ha tuttora notevoli conseguenze negative al concreto livello esistenziale. Continuamente, ad esempio, l'assistenza psicologica familiare evidenzia che la causa di una vita sessuale piuttosto squallida condotta da coppie cristiane, sta nel fatto che esse più o meno chiaramente considerano la ricerca di godimento fisico ed affettivo come qualcosa che di sua natura è in contrasto con le più vere esigenze morali. Non va dimenticato che la povertà affettiva della famiglia, la quale provoca i noti danni nella personalità dei figli e, nella fattispecie, nella loro evoluzione sessuale, trova una sua causa principale anche in questo stato di cose.
    Per promuovere una vera maturità affettiva e sessuale, è dunque necessario operare (come ha fatto peraltro il Concilio Vaticano II) una rivalutazione anche teorica del valore oggettivo, ontologico ed etico, dell'affettività e della gioia. Manca qui lo spazio per uno sviluppo di questa teorizzazione che d'altra parte mi sembra ovviamente un fattore condizionante la maturità affettiva. Mi limiterò ad accennare a qualche linea che può orientare l'educatore in questo approfondimento.
    L'affettività ha una reale portata ontologica perché «realizza» la natura umana. Per quanto la persona umana sia «sussistente», cioè si ponga nel suo modo di essere per forza propria, questo modo di essere è per essenza «relativo». L'uomo è un essere relazionale, è una «relazione vivente», come è stato detto. Per esistere concretamente, per realizzare le sue potenzialità, egli ha bisogno di rimanere in rapporto con i molteplici aspetti della realtà. Egli non può «prima» esistere, e «poi» entrare in relazione: egli «è» nella relazione, «esiste-in-rapporto». L'affettività, col fascio di tendenze che la costituiscono e che sono alla base della personalità, è una strutturazione che provoca e permette nell'uomo la sua «realizzazione» nel contatto con gli altri esseri. Essa dunque fa parte della struttura ontologica dell'uomo («essere est tendere» secondo la nota espressione tomista) e lo porta al suo reale compimento.
    L'affettività è vera forma di conoscenza. Non esiste nell'uomo solo la conoscenza sensibile e quella razionale, c'è anche quella affettiva. È una conoscenza per «vibrazione», per «risonanza».
    L'uomo è strutturato per godere con tutto il suo essere dell'intima «bontà», della carica di valore contenuta negli altri esseri; è dotato dunque di una facoltà che fa risuonare in lui tale bontà. Tale «vibrazione» affettiva, che mette in gioco il soggetto intero, in tutta la sua profondità, organica e psichica è dunque una «conoscenza per contatto», una conoscenza immediata, che si vale sì anche della conoscenza sensibile e razionale, ma le supera. Come infatti fa rilevare ampiamente anche l'antropologia tomista, si può intuire e godere il valore di una realtà anche al di là dei dati offerti da una conoscenza sensibile e razionale.
    Ne consegue il valore oggettivo del godimento e della gioia. Quando i bisogni sono appagati, quando la tendenza raggiunge il suo oggetto, la persona vive l'esperienza della gratificazione, del godimento, della gioia. La facoltà di godere appare quindi (anche alla luce dell'antropologia tradizionale) come la facoltà che raggiunge e conferma il contatto più completo e più oggettivo con l'intimo valore, con l'intima «bontà» contenuta nella realtà; è la risposta esistenziale più adeguata alla carica di perfezione contenuta negli esseri: una risposta ben più completa di una fredda conoscenza o di un uso utilitaristico di essi.
    La capacità di godere è quindi componente costitutiva di una maturità affettiva. È significativo in proposito che nel numero dei vizi opposti alla virtù stessa della temperanza san Tommaso ponga quello della insensibilità, che pecca per difetto; e sostenga pure che non vi è atto umano oggettivamente perfetto se non è accompagnato dal raggiungimento del «diletto» relativo.

    Importanza per il pre-adolescente della testimonianza di una «vita piena»

    Alcuni principi di psicologia dinamica dimostrano quanto sia importante – anche agli effetti dell'educazione della sessualità – di dare al pre-adolescente la testimonianza di un'affettività ampiamente sviluppata e di favorirne in lui lo sviluppo. Questi principi trovano la loro rilevanza nella possibilità di dimostrare quella che – con termine inesatto, ma efficace – potremmo definire l'«interscambiabilità» tra l'appagamento dei vari bisogni.
    Sono note le affermazioni freudiane – cui accennavo sopra – che vedono nelle attività «superiori» dell'uomo dei surrogati della «libido» sessuale, delle manifestazioni «camuffate» di essa; o che comunque stabilisce una diretta trasformazione, una diretta continuità tra la «libido» e le altre funzioni psichiche. Pur rifiutando tale concezione pansessualistica della personalità (soggetta peraltro a vani tentativi di correzione da parte dello stesso Freud), rimane tuttavia inconfutabilmente provato il fatto della grande «plasticità» dell'energia psichica di base: essa può realmente essere incanalata in diverse direzioni, le quali possono risultare tra loro alternative o sostitutive. È del resto un dato di comune esperienza che un notevole impiego di energia psichica in un settore, riduce il bisogno di attività in altri campi.
    Questa nozione della plasticità psichica va abbinata ad un'altra legge di basilare importanza di un'evoluzione costruttiva della personalità. Si tratta della nota «legge dell'effetto», secondo la quale l'organismo psicosomatico tende a conservare i dinamismi comportamentali che hanno portato ad una gratificazione; sicché se il soggetto concede ripetuto appagamento ai bisogni che di loro natura sono i più gratificanti (i bisogni «superiori»), si verifica progressivamente un «incanalamento» in questo senso della dinamica tendenziale, che richiederà una loro ulteriore soddisfazione; mentre al contrario quelle direzioni di sviluppo che non sono state privilegiate, andranno perdendo il loro vigore dinamico. Anche gli impulsi sessuali quindi possono venire efficacemente dimensionati indirizzando le risorse – per così dire – «energetiche» della persona nella direzione di una gratificante realizzazione «totale».
    Da questi principi emerge una chiara indicazione. Senza nulla togliere all'importanza di una «informazione sessuale» adeguatamente condotta, appare più efficace ancora l'educazione ad una pienezza «totale» di vita la quale, favorendo un completo sviluppo dell'individuo, faciliti al contempo un'armonica integrazione nella personalità anche, del fattore sessuale.
    L'affettività andrebbe in tutti i modi alimentata. All'occorrenza va anche risvegliata, come in effetti talvolta si dimostra necessario. È vero che nel preadolescente l'atteggiamento fondamentale è l'apertura al mondo. Tuttavia non di rado questa tendenza verso l'esterno è ostacolata da altre tensioni che causano un'introversione. È noto il caso abbastanza comune di quei preadolescenti in cui il normale processo di maturazione alla distinzione tra fantasia e realtà (normalmente intrecciate nella fanciullezza) è bloccato dalle angosce e dall'insicurezza causate in lui dal conflitto con il mondo reale.
    Scoraggiato il ragazzino si rifugia nel suo precedente mondo fantastico. Avvertendo tuttavia che questo mondo è irreale e non è più conforme alla sua età, possono insorgere nel suo animo sensi di colpa, che lo portano ad un isolamento e ad un avvilimento ancora più notevoli. Questi preadolescenti che vivono palesemente una vita trasognata, che sono lontani dalla realtà quotidiana, che non prendono parte alla vita della comunità, vanno incoraggiati facendo sperimentare loro ogni possibile gratificazione derivante da un concreto rapporto con la realtà; e nella fattispecie va tenuta presente la possibilità che, in assenza di alternative valide, la nascente espansione affettiva venga accaparrata dagli impulsi sessuali.
    In ogni pre-adolescente, comunque, va favorita ogni forma di apertura. È importante notare a questo proposito che non vanno stimolati solo i valori spirituali; è l'affettività stessa che va per prima cosa rinforzata nella sua tendenza al godimento, alla gioia, al bello, al vero. Ogni aspetto di essa, iniziando dai più elementari, va alimentato per rafforzare lo slancio vitale. Innumerevoli sono le iniziative che possono servire a tal fine, dalla scoperta della natura, allo sport, ai vari hobbies, ecc.
    È su questo terreno che possono venire efficacemente coltivati i valori più elevati. Anch'essi però vanno presentati nella carica di spirituale bellezza e di gratificazione, di gioia che contengono. Essi sono di fatto «desiderabili» e tali devono essere mostrati anche al ragazzo, affinché le sue aspirazioni spirituali mantengano tutta la «forza del cuore» e non vengano inaridite dalla «tirannia del dover essere», da quel senso del «dovere per il dovere» il quale non fa altro che rinforzare nocivamente il dominio del Super-Io.

    LA «MATURITA NELL'AMORE»

    L'«immaturità nell'amore»

    L'affettività, risvegliata in tutta la sua ampiezza, per ,ssere «matura», deve venire evidentemente gerarchizzata, secondo un'oggettiva scala dei valori, la quale ha il suo vertice nel più grande valore concretamente raggiungibile dell' attività umana, e cioè l'uomo. In effetti nell'amore inter-umano si realizzano sia (per i noti motivi teologici) l'amore a Dio, il valore assoluto, sia l'amore per se stessi (perché qui è la più ampia realizzazione di sé), sia l'amore per gli altri.
    Occorrerebbe qui un vastissimo discorso sulla «maturità nell'amore», il quale esigerebbe volumi. Discorso che dovrebbe svolgersi in primo luogo nella prospettiva della attuale «immaturità nell'amore». Sappiamo infatti che solo da poco è valorizzata a livello scientifico l'importanza dell'«arte di amare», mentre a causa della lunga eredità individualistica, il livello generale è praticamente allo stadio di un reale «analfabetismo» in questa arte. Sono ben note le conseguenze di questa radicale incapacità di rendere costruttivi e gratificanti i rapporti inter-umani. Praticamente è questo il male di base che affligge l'umanità: l'uomo è scisso da quella parte di se stesso che sono gli altri, e le conseguenze sono ovvie. In effetti mentre la psicologia vede nella realizzazione delle potenzialità interpersonali la base per un gratificante modo di essere, la psicopatologia scorge che alla radice delle malattie e delle carenze psichiche vi è come fattore principalissimo l'incapacità di questa realizzazione interpersonale.
    Innumerevoli sono le manifestazioni di tale analfabetismo che regna nella socializzazione. E, per quanto riguarda il nostro tema, bisogna ammettere che esso regna largamente anche tra gli educatori. Così, mentre il ragazzo avrebbe bisogno di esempi vivi che orientino la sua sessualità all'amore, gli adulti che dovrebbero costruire tale modello sono assai spesso di scandalo nei loro rapporti interpersonali. Basti pensare al clima di costante attrito presente in non poche coppie; o ai pochi edificanti esempi di capacità alla collaborazione offerti dalla vita degli organismi di rappresentanza scolastica...
    Appare quindi opera quanto mai urgente la divulgazione delle linee complete dell'«arte di amare», arte che coinvolge tutta la psicologia. Nel nostro breve spazio mi limito a richiamare l'attenzione sull'aspetto centrale di essa, e cioè sulla necessità di presentare l'amore con una definizione univoca e che colga gli elementi centrali di esso. Spesso infatti l'amore viene presen-
    tato con formulazioni parziali, come ad esempio la frequente riduzione al solo aspetto oblativo od al solo aspetto emotivo. Formulazioni il cui influsso fuorviante è frequentemente constatabile anche nella consulenza psicologica familiare. Mi pare dunque assai opportuno richiamare le due componenti fondamentali dell'amore, dalla cui integrazione – secondo una visione largamente condivisa – scaturisce un vero amore: la componente «affettiva» e quella «effettiva».

    La struttura di un amore maturo

    La componente affettiva. Va riconosciuto che i sentimenti più essenziali e più gratificanti di essa si identificano sostanzialmente con una aspirazione ad una piena unione, ad un intenso essere-insieme. Ne consegue che l'abbandonarsi a tale vibrazione emotiva, senza cercare di tradurla in una unione «effettiva», cioè in una unione concreta e reale, significa lasciar degenerare il sentimento in sentimentalismo, lasciar ridurre l'amore per l'altro ad uno sterile «amore per l'amore», e praticamente ad un vuoto «romanticismo». Subentra dunque qui la necessità di approfondire i concreti contenuti di un'unione interpersonale «effettiva».
    L'unione «effettiva». La sua natura scaturisce evidente alla luce della più elementare conoscenza dello psichismo umano. Il singolo individuo non ha da solo la possibilità di essere uomo realizzato. La vita umana, intesa nel senso pieno della parola, la si può avere soltanto là ove almeno due individui siano uniti in un adeguato rapporto. Questo perché ogni facoltà umana, ogni aspetto della vita psichica è di sua natura «relazionale», e suppone contemporaneamente un'azione attiva ed una passiva, un dare ed un ricevere tra loro complementari: basti pensare agli aspetti più importanti che costituiscono il vivere umano: il linguaggio, l'amore, l'appartenenza, ecc.
    Ne consegue che le condizioni ottimali per la realizzazione umana si avranno là ove almeno due individui si accordano per vivere la complementarietà, per saziare ciascuno i bisogni psicosociali dell'altro, per vivere insieme i contenuti interpersonali della vita psichica. Questi individui, attuando un simile accordo, si generano l'un l'altro alla vita, donandosi appunto scambievolmente la possibilità di esercitare il loro essere uomini nel suo aspetto fondamentale. E quando questo co-funzionare, questo co-esistere è vissuto non solo in funzione di sé, ma anche nell'oblatività e nella gioia di essere con l'altro (goduto per il suo intrinseco valore) si ha un vero amore.

    La liberazione dal sentimentalismo

    In questa prospettiva la «maturità nell'amore» appare quindi come capacità di far sì che il rapporto interpersonale divenga per sé e per i partners fonte di gratificante sviluppo e di «vita piena». Si esige quindi l'attivo impegno di tutta la personalità. Impegno che opera un vaglio dei sentimenti. Infatti «filtrata» – per così dire – da questo concreto dono della parte migliore di sé agli altri, l'affettività, perdendo le sue vibrazioni più «sentimentali», s'innalza ad un livello superiore della personalità diventando gratificazione anche intellettuale, spirituale, completamente umana, dunque.
    Questo vaglio può essere utile innanzitutto per la maturazione affettiva dello stesso educatore. Succede infatti che l'adulto sposato che non ha realizzato una felice intesa con il partner, o l'adulto non sposato che non ha integrato la sua sessualità in una vita piena, quasi inevitabilmente si rivolge all'altro sesso con atteggiamenti atti a ricavare da tale rapporto un appoggio sentimentale più o meno velato e più o meno conscio. Simpatie, gentilezze, condiscendenze, affettuosità, desiderio di prolungare il rapporto, tendenza alla preferenza, ecc., possono essere segni di questa compensazione affettiva.
    Essa va chiaramente riconosciuta se non altro per la sua negativa incidenza educativa, dato che l'intuizione empatica così viva nei preadolescenti, non può non riconoscerla, derivandone un «contagio» e un disorientamento. Questi atteggiamenti non sono molto rari. L'educatore per primo quindi dovrebbe sperimentare che la vera gioia di essere insieme, anche con le persone dell'altro sesso, è quella che proviene dal tendere insieme, con impegno intellettuale e di vita, ai più fondamentali valori.
    Anche il preadolescente andrebbe chiaramente edotto di questa natura dell'amore. Sappiamo che egli, sperimentando il richiamo affettivo verso l'altro sesso, è portato (come per il vero quasi sempre anche l'adulto) ad identificare l'amore con la sola componente emotiva, la più spontanea e la più immediatamente gratificante.
    Conosciamo pure i traumi e lo squilibrio che possono essere indotti nella sua vita dal non essere in grado di ridimensionare, almeno a livello teorico, il valore relativo che le sue emozioni, pur così ricche e profonde, hanno oggettivamente. Per aiutarlo a ritrovare tale visione oggettiva va rafforzata in lui la decisione di valorizzare l'eventuale inclinazione affettiva verso l'altro sesso per realizzare un costruttivo vivere-insieme, un crescere-insieme nelle principali dimensioni della personalità, utilizzando le diverse forme di collaborazione offerte dalla situazione: studio, ricreazione, servizio sociale, ecc.
    Va anche fatto rilevare al ragazzo che nella sua intenzionalità può e deve prevalere l'impegno di realizzare una ricca unione «effettiva» rivolta verso chiunque accetti la reciprocità di un tale rapporto, senza attendere la spinta di una spontaneo impulso affettivo, ma motivando tale impegno di socializzazione con i valori più universali. La gratificazione «affettiva» scaturirà allora come una conseguenza e sarà scevra di «sentimentalismo», perché proveniente da un impegno ricercato con intelligenza e con la volontà.

    L'educatore deve divenire «animatore di gruppo»

    Per assimilare una tale visione completa dell' amore il preadolescente deve venire adeguatamente istruito. Tuttavia, considerato il fatto che l'esperienza gratificante di un valore ne facilita decisamente la comprensione, l'accettazione e l'assimilazione, è indispensabile che tale istruzione venga accompagnata parallelamente dalla possibilità di immergersi in un contesto sociale ove il rapporto interpersonale tenda a realizzare le caratteristiche di un vero e pieno amore.
    Ne deriva dunque l'insufficienza di una azione educativa concepita esclusivamente come rapporto diretto tra educatore e singolo ragazzo; emerge al contrario l'importanza di realizzare le potenzialità vitali ed educative della vita di gruppo. Praticamente un educatore non possiede una specifica maturità all'amore se non sa trasformarsi in un «animatore di gruppo».
    Non è certo qui la sede dell'approfondimento – quanto mai utile – del patrimonio delle dinamiche di gruppo: richiamo solo due dati di principale interesse. Il gruppo (specialmente il «gruppo primario», cioè il piccolo gruppo, il così detto gruppo «faccia a faccia», dí cui il prototipo è la famiglia) non è qualcosa di aggiunto alla sostanza della vita della personalità. Non è solo un mezzo educativo, non qualcosa di facoltativo: la vita di gruppo coincide invece con la stessa vita psichica, ne è l'ambiente e ne è espressione normale ed essenziale. Soltanto là dove due o più individui vivono una vera vita di gruppo, si ha – come si diceva – la vita umana realizzata.
    Un secondo dato essenziale sta nella constatazione che l'arricchimento derivante dalla vita di gruppo non si limita al fatto della semplice circolazione dall'uno all'altro dei membri delle doti individualmente possedute: dinamica questa che sarebbe già di notevole rilievo. Il gruppo è un organismo vivente; e come in ogni organismo dall'apporto dei vari organi nasce una vita superiore che ridonda sugli organi stessi, così nel gruppo nasce una vita ben più ricca di quella dovuta alle doti individuali; al punto che tale vita riposseduta dai singoli, può far emergere in essi doti nuove, doti non possedute prima da nessun membro. È noto l'esempio di individui pavidi che dal loro raggrupparsi possono trovare coraggio. Una conferma evidente agli occhi dell'educatore sta nel fatto che il bambino a seconda che viva a casa, a scuola, o nel gruppo spontaneo, manifesta ed acquisisce qualità diverse.
    In un gruppo funzionante adeguatamente, la personalità sboccia nelle sue migliori potenzialità. E, ciò che ha particolarissimo interesse per il nostro problema, l'esperienza di una salda e costruttiva appartenenza al gruppo gratifica grandemente il ragazzo e gli serve da elemento equilibratore delle sue tensioni e dei suoi squilibri, sanando In particolare la frustrazione dei bisogni psicosociali riportata altrove, frustrazione che è la più dolorosa e la più nociva.
    L'educatore, specialmente quello appunto dei «gruppi primari» (famiglia, scuola, gruppo formativo) dovrebbe riuscire a creare nel gruppo a lui affidato un autentico spirito comunitario, che muova ciascuno a convergere verso la finalità comune in una reciproca intesa e collaborazione.
    Andrebbero approfondite qui la problematica e le possibilità educative inerenti ad ogni tipo di gruppo. Lo spazio non ci concede più di un cenno. Riguardo ai genitori è evidente che la vita del gruppo-famiglia non può essere che un allargamento ai figli di una vita di vero amore, vissuto dalla coppia non solo nell'aspetto affettivo, ma anche nella capacità di saper rendere gioioso ogni aspetto del loro concreto vivere insieme: collaborazione, co-decisione, dialogo, ecc.
    L'insegnante dovrebbe tener presente che diverse caratteristiche psicologiche del preadolescente accentuano l'importanza in classe di una calda vita comunitaria. Tra esse sta il noto «stress scolastico del preadolescente», che si verifica spesso nel passaggio alla scuola media. Infatti la più rigorosa disciplina, i rapporti più complessi con i compagni, e con gli insegnanti, la necessità di un apprendimento più sistematico, la più limitata possibilità di movimento e di svago, ed altri fattori ancora, possono turbare l'equilibrio già precario del ragazzo, divenendo anche cause di un nocivo disadattamento e della conseguente esasperazione degli impulsi sessuali.
    A proposito infine del gruppo formativo-religioso va sottolineato il decisivo apporto che può derivare alla capacità di socializzazione del ragazzo dal trarre le motivazioni di essa dall'ampio «quadro di riferimento» costituito da una spiritualità saldamente centrata sulle dimensioni antropologiche e soprannaturali dell'amore reciprocamente integrate. E non si può qui non rilevare come non sempre sia sufficientemente valorizzato nei volumi formativi destinati ai giovani l'illustrazione del progetto di Dio sull'uomo visto nella sua oggettiva centralità: quella di una gioiosa crescita comunitaria, vissuta nell' amore, verso la pienezza umano-divina del «Cristo totale»; crescita in un essere-insieme che costituisce il vero modo di essere (inteso in senso ontologico) dell'uomo e del cristiano.

    LA MATURITA SESSUALE

    Il discorso sulla maturità sessuale dell'adulto è oggi molto sviluppato e occorrerebbe un ampio studio per riassumerlo. Considererò pertanto solo due componenti di tale maturità che più possono incidere sull'evoluzione sessuale dei ragazzi. D'altra parte molti aspetti li abbiamo già visti nello sviluppo precedente.

    Essere coscienti delle proprie carenze, per evitare «contagi» e «proiezioni»

    L'adulto attuale ha ereditato da una lunga tradizione culturale una visione deformata della sessualità. Non è facile liberarsi di colpo di tale mentalità: una ristrutturazione percettiva e motivazionale esige una parabola che nei riguardi del sesso, si può dire, è appena iniziata.
    In una simile situazione nemmeno l'educatore può pretendere da sé stesso un perfetto equilibrio sessuale, esente totalmente da eventuali fallimenti, da tensioni e frustrazioni. D'altra parte però egli dovrebbe cercare di evitare che le sue carenze si ripercuotano sui ragazzi affidatigli. Soprattutto, mi pare, egli dovrebbe stare in guardia da quelle alterazioni percettive nei confronti della sessualità che sono provocate dai cosidetti «meccanismi di difesa dell'Io» e che sono tanto nocivi agli effetti di una visione serena ed oggettiva della problematica sessuale.
    Qualche situazione concreta può chiarire la dinamica di tali meccanismi. Prendiamo ad esempio quella di un educatore il quale, non essendo riuscito ad integrare costruttivamente la sessualità nella sua personalità, sia costretto a stare in una prevalente posizione di difesa contro gli impulsi fisici o affettivi di essa. Ebbene, egli può essere portato a organizzare tale difesa costruendosi una visione deteriore del sesso (vedi il noto meccanismo «dell'uva acerba»). Perciò, in base delle note influenze «inconscie» della motivazione sulla percezione, a sua insaputa (e quindi in perfetta buona fede) può essere inclinato ad operare una selezione percettiva dei dati della realtà, scorgendo di fatto solo quelli contro la sessualità. In questo modo ogni elemento da lui percepito lo conformerà nella sua prospettiva, dato che egli effettivamente ha scorto solo fattori negativi.
    Finirà quindi con l'organizzare tutta una costruzione mentale che dà per veri certi fatti, certe interpretazioni, certi principi. Ed è ovvio che – poiché se tale costruzione gli crollasse, l'Io si troverebbe minacciato nella sua solidità e nelle sue difese – egli la proteggerà in ogni modo, con quei processi di «negazione» e di «deformazione» della realtà che solo un accurato sforzo di oggettività e di vaglio interpersonale può controbilanciare. Anche il comportamento altrui subirà una interpretazione di comodo: ed in questo caso si ha una dinamica percettiva che sconfina nella «proiezione». E va evidenziato qui, pure il pericolo che la visione deformata della sessualità venga comunicata ai ragazzi anche soltanto attraverso un semplice ed inavvertito «contagio» empatico.
    Anche la «proiezione» merita di essere conosciuta adeguatamente, data la sua frequente, subdola influenza. Si ha tale meccanismo quando l'individuo attribuisce agli altri le proprie motivazioni, le proprie pulsioni, i propri pensieri, sentimenti, desideri. Egli dunque percepisce l'altra persona come identica a se stesso ed è incapace di coglierla nella sua reale interiorità, di comprenderne gli stati d'animo e le dinamiche motivazionali. Si tratta insomma del conosciuto «pesare gli altri con la propria bilancia», che non permette alcuna reale comunicazione e che è particolarmente dannoso là dove si tratta di penetrare quei «vissuti» altrui che, come i comportamenti sessuali, andrebbero più che mai percepiti dall'interiore angolazione di chi ne è il protagonista.
    Come proteggersi dall'influenza di questi meccanismi di percezione soggettiva, che hanno conseguenze così pericolose, dato appunto la loro dinamica inconscia? Poiché la difesa dell'immagine di sé è la loro causa, tali atteggiamenti di difesa andrebbero sostituiti con lo spirito di una continua e serena «accettazione», in virtù della quale l'individuo (sfuggendo alla frequente tirannia del Super-Io) basa il suo sforzo di miglioramento sulla capacità di vedere senza angosce e senza drammi la propria iniziale situazione d'imperfezione.
    Inutile sottolineare come questo spirito di accettazione favorisca la capacità di cambiare le proprie idee; l'individuo come è pronto a riconoscere i propri errori di comportamento, così è altrettanto pronto a riconoscere le sue errate percezioni, dato che per l'appunto non deve difendere con determinate impostazioni teoriche le proprie scelte comportamentali deficitarie.
    È da notare anche il valore educativo che può avere questo spirito di «accettazione» nel rapporto dell'educatore col preadolescente. Il bimbo tende a vedere nei genitori e negli educatori dei modelli intoccabili, nella preadolescenza finisce via via per riconoscere che anch'essi sono individui limitati, soggetti a miserie ed errori. Se gli adulti vogliono continuare a mantenere un atteggiamento di indottrinamento autoritario, non faranno altro che alimentare sfiducia e ribellione. Sono note anche le possibili dannose conseguenze psicologiche ed anche religiose di un improvviso «crollo della fede».
    Ben più accorti, quindi, sono quegli educatori che prevenendo questa crisi scendono da soli dal Loro piedistallo, sostituendo all'autoritarismo educativo ed alla convinzione di dover fare da «modelli perfetti», uno spirito di collaborazione nella ricerca della verità. Un clima educativo, insomma, ove anche l'adulto dimostri di riconoscere i suoi limiti sia comportamentali che teorici e cammini via via verso mete che sono lungi dall'essere pienamente raggiunte.
    Per quanto manchino approfonditi studi in questa materia così rapidamente evolutiva, diverse osservazioni dicono che il preadolescente oggi è molto più aperto di un tempo nel comprendere i motivi che stanno alla base degli errori e delle debolezze degli adulti, purché essi siano disposti al dialogo ed al proprio personale cambiamento. Anche la stessa consulenza familiare dimostra il caso non tanto raro di ragazzini delle medie che si dimostrano più maturi nel capire gli errori dei loro educatori di quanto non lo siano verso di loro gli educatori stessi.
    In queste prospettive quindi non pare che un clima di accettazione dei propri limiti e di collaborazione nella ricerca della verità possa togliere qualcosa all'autorità morale dell'educatore.

    Avere una immagine positiva della sessualità

    Una sessualità adulta esige ovviamente, in primo luogo, che si abbia un'immagine positiva di essa. Un simile discorso oggi può apparire superato. Si moltiplicano infatti, nelle pubblicazioni e nelle conversazioni dirette alla formazione dei coniugi, le presentazioni della vita sessuale come fattore umanizzante. Tuttavia troppo spesso ancora non cessa di trasparire, sia pure in modo velato, una visione tendenzialmente pessimistica, che in pratica «legittima» la sessualità in base ad elementi estrinseci ad essa; o ne parla in un clima che non incoraggia a viverla come un fatto in se stesso pienamente umano, da coltivare nello slancio e nell'impegno creativo.
    È un fatto che tutt'ora una visione radicalmente ed intrinsecamente positiva della sessualità ha difficoltà ad affermarsi. In altri termini, mentre di altri valori della natura umana se ne parla come di qualcosa che non si realizzerà mai con sufficiente espansione, ciò non avviene molto di frequente a proposito del sesso.
    Convincersi della «bontà» della vita sessuale non significa di certo un abbandono indiscriminato a tutti i suoi impulsi. A fuori dubbio che il sesso è una forza ambivalente, capace anche
    di far regredire l'individuo. E ciò permette di comprendere la radice della diffidenza nutrita verso di esso. Tuttavia una riflessione basata su note leggi psicologiche dimostra che – paradossalmente – proprio questa diffidenza stessa può divenire, e diviene di fatto, la causa di un esercizio sessuale vissuto in modo impoverente.
    Si tratta di comprendere come nella sua crescita la personalità sia tesa tra due poli opposti: il polo della unificazione delle tendenze inferiori attorno alle motivazioni superiori, destinate a compenetrarle, ed il polo della prevalenza motivazionale delle tendenze più povere e deteriori, che possono giungere ad isolare l'Io dai suoi più autentici valori. Ebbene, sarebbe facilmente dimostrabile che per «sublimare» – per così dire – una attività in cui giochi di sua natura la componente istintiva più elementare, è necessario che l'individuo possa vivere tale attività nello slancio gioioso scaturente dal percepire chiaramente anche tutte le altre componenti più pienamente umane contenute in essa.
    Se cosa avviene, l'intenzionalità diretta dalle motivazioni più elevate, provoca una associazione, un collegamento dell'Io con le migliori risorse della personalità, che possono così impregnare l'agire di spirituale vitalità. Al contrario, se per una errata percezione viene considerata intrinsecamente impossibile tale «assunzione» dell'impulso istintuale da parte della sfera più spirituale dell'Io, allora l'impulso, lasciato a se stesso, inevitabilmente si rinforzerà nella sua natura puramente biologica e nelle sue componenti più «affamate», prendendo agli occhi del soggetto una colorazione egoistica, fonte di sensi di colpa, di inferiorità, di frattura con la volontà di crescita spirituale.
    Queste considerazioni non hanno valore solo per l'esercizio sessuale dell'adulto, ma anche per ogni attività mentale del ragazzo rivolta alla sessualità, la quale può tendere ad associarsi alle sue più alte idealità o viceversa con pensieri ed impulsi deteriori. Viene dunque in risalto il pericolo di quell'eventuale «contagio» negativo da parte di una visione pessimistica dell' educatore.

    CONCLUSIONE

    Una sola considerazione. Mi pare che come tanti altri aspetti della problematica dell'attuale crisi culturale, anche le istanze poste da un'autentica educazione sessuale confermino la necessità di intensificare lo sforzo verso una genuina promozione delle realtà create, riscoperte nel loro intrinseco valore, che non deve essere diminuito, ma al contrario arricchito dalla loro relazione con l'Assoluto.
    L'umanità è giunta alle estreme conseguenze della civiltà «necrofila». Attende tra dolori di ogni genere l'epifania di quell'etica «biofila» che è connessa con la «Civiltà dell'amore». Ha bisogno dunque di trovare nel cristiano non già l'uomo disattento verso le realtà temporali, «uomo dell'altro mondo»; ma al contrario il possessore di una vitalità la quale, più di ogni altro sforzo, è in grado di riscoprire in tutta la loro ampiezza i valori umani, collegandoli al tempo stesso in una gioiosa relazione di significato e di crescita col «Dio della Vita».


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