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    Se questa è libertà...



    (NPG 1978-01-28)


    Riportiamo alcuni ritagli di giornale. Rappresentano un campione molto diffuso. Da queste pagine emerge una definizione di libertà, espressa da alcuni adolescenti; e un giudizio «educativo», per decidere come «educare» alla libertà. Questo campione rappresenta veramente gli adolescenti di oggi?

    documento primo
    NESSUNO HA IL DIRITTO DI IMPORRE AGLI ALTRI LE SUE IDEE

    Il problema: la lettera di una quindicenne
    «Carissimo psic, sono 15enne, che, a detta degli amici, è carina, simpatica ed estroversa. E vabbé, fin qui posso essere d'accordo. Non sono d'accordo con loro soltanto quando dicono che ho una fortuna sfacciata. Devi sapere che la mia "matrigna " è una tizia all'antica e vorrebbe che d'estate (anche d'inverno, intendiamoci) stessi in casa a lavorare all'uncinetto. Oh, ma dico, siamo impazziti? E non è tutto! Lei vorrebbe che io fossi una " brava ragazza " e mi nega un sacco di libertà: quando non ho voglia di studiare pretende che studi lo stesso. Ma se non ne ho voglia è inutile che lo faccia, ti pare? Poi vuole che frequenti un " certo " ambiente (hai capito quale vero?) e non un altro. Ma io frequento chi mi pare. Adesso poi filo da due mesi con un ragazzo e sono stata anche sua (non sono vergine in poche parole). Quindi adesso mi domando: a che serve essere severi coi propri figli? Io amo la libertà e non sopporto che questa mi venga tolta. Come posso fare per farlo capire ai miei? Aiutami ti prego.
    Un altro problema che mi assilla è questo: penso di essere un po' ninfomane, sì, farei l'amore tutti i giorni e il fatto è che non mi stanco mai. Da quando sono insieme a questo ragazzo abbiamo fatto l'amore tre volte, poi ci siamo fermati al petting. Bé, mi sono accorta che non mi basta! Sto tizio invece dice che dobbiamo fare attenzione (non gli do poi tutti i torti), ma io non so cosa farci: mi eccito per niente. E il fatto è che non so trattenermi! Poi ti dirò che non mi dispiacerebbe diventare madre. Devo essere matta. Secondo te da che cosa dipende? Sono ninfomane? Boh, chi ci capisce niente! Un'altra cosa: certe volte penso all'amore di gruppo. È un'esperienza che mi piacerebbe provare, l'idea mi sorride molto. Cosa ne pensi? È normale? Mille ciao, Pipa».

    La risposta: i buoni consigli dello psicologo
    Certo un po' strana lo sei, ma in fondo la assoluta normalità (che poi non esiste, è solo un concetto limite, un concetto astratto) è squallida. Sono d'accordo con te: la severità ingiustificata è controproducente, provoca ribellioni e ogni altra sorta di guai. Ma sarai veramente obiettiva? A sensazione ne dubito. Tu non sei una ninfomane. Una ninfomane è una donna fondamentalmente frigida, che accumula rapporti inseguendo un irraggiungibile orgasmo.
    Sei solo una ragazza molto sensibile sessualmente, il che, di per sé, è una fortuna. Certo se avete fatto all'amore tre volte in tutto lo credo bene che tu debba essere insoddisfatta. Non capisco poi perché siate tornati indietro dopo essere arrivati al rapporto completo. Per chi vuole oggi esistono anticoncettivi del tutto innocui e sicuri.
    Non credo tu abbia ancora la maturità per essere madre. Fossi in te aspetterei ancora un bel po'.
    Per quanto riguarda il cosiddetto amore di gruppo io credo che ognuno, purché non danneggi altri, abbia il diritto di gestire la propria vita sessuale come vuole. In genere l'amore di gruppo non ha niente a che fare con il vero amore e lascia piuttosto insoddisfatti e delusi, soprattutto le donne; inoltre esso crea o accentua i sensi di colpa e rivalità e, per quanto riguarda le coppie già costituite, spoetizza il rapporto e talora lo mette in crisi.
    D'altra parte nessuno ha il diritto di "imporre ad altri le proprie idee, in nessun campo e tanto meno in campo sessuale.
    (da «Ciao 2000» - 22.5.'77)

    documento secondo
    UNA GIOVENTÙ SENZA PADRI

    Masse grandiose di studenti e giovanissimi si sono trovate improvvisamente di fronte a problemi sconosciuti o trascurati dalla maggioranza dei loro padri. Più informati ad opera dei mass-media, più stimolati dalla quantità e dal ritmo delle notizie, cresciuti, insomma, più in fretta dei loro padri, si sono trovati caricati di colpo del peso di tutta la problematica sociale e politica a tutti i livelli; come se, e ciò va sottolineato, fossero, e fossero tutti, soggetti già autonomi, indipendenti, politicamente formati all'analisi, al confronto, al dibattito. È nato così, soprattutto tra gli studenti, un mondo di adolescenti-adulti sovraccarichi di problematica, superpoliticizzati, che cominciavano a parlare di Marx e di Mao come i loro coetanei vent'anni prima avevano fatto di Coppi e di Bartali; che «inventavano» la contestazione fra l'incomprensione e lo sgomento dei loro padri naturali, e l'applauso e l'incitamento dei loro nuovi padri ideologici, gli intellettuali degli anni '60, nazionali e internazionali.
    Ma sia la sorpresa imbarazzata del padre di fronte al figlio contestatore, sia il «viva i giovani» degli intellettuali (i nuovi padri) in effetti valevano la stessa cosa, erano lo stesso segno, preso all'uno o all'altro estremo, dell'incapacità di dialogare con i giovani «moderni». Dire «non lo capisco» e dire «ha ragione lui, solo lui», se ci pensiamo bene, era la stessa cosa, significava che tra giovani e adulti non c'era più comunicazione, ma solo paura o sterile ammirazione. Un giovane, insomma, non era più un giovane, uno che si forma, che ha bisogno di confronto, di autonomia e di libertà, di dialogo, ma uno da cui stare alla larga, oppure, al contrario, da idolatrare, da lasciar fare comunque, da imitare.
    I padri fallivano proprio su questa linea; per rinuncia o per apparente modernità di vedute non si comportavano più come padri, non accettavano più i figli, come figli ma come nuovi, strani esseri pericolosi o ammirevoli: estranei.
    I sociologi hanno ampiamente descritto questo fenomeno come movimento «verso una società senza padre». E a questo movimento un po' tutti hanno dato un giro dí manovella, coscienti o incoscienti, colpevoli o incolpevoli: i padri sorpresi da un mutamento vertiginoso della società, e gli intellettuali che si sono assunti – arbitrariamente – la direzione di coscienza dei giovani, come una sorta di paternità rovesciata; infatti, per superare il paternalismo della vecchia società che non dava autonomia ai giovani, hanno esercitato sulla loro coscienza una violenza almeno pari a quella del vecchio paternalismo, istaurandone uno nuovo e massiccio.
    Criticata e derisa la famiglia, esaltate le «libertà» morali, intellettuali, politiche, i nuovi padri, nel vuoto lasciato dai vecchi, hanno oppresso in nome della libertà i giovani, non parlando più di bene e di male, di giusto e di ingiusto, di pazienza e di impazienza; negando loro il tempo di crescere – questa sì, sarebbe stata libertà – e promuovendoli con una repressione solo apparentemente liberatoria al ruolo, immaginario, di autonomi padroni del proprio destino. Per liberarli, li hanno abbandonati. Un colossale malinteso.
    (da «L'espresso» - 25.6.'77)

    documento terzo
    GLI ADOLESCENTI SONO TUTTI EGUALI?

    Alle sei di sera sul corso Vittorio Emanuele di Trapani, nel cuore della città vecchia, ci sono decine di ragazzi che stanno seduti sugli antichi scalini della chiesa romanica. Il passatempo è quello antico: guardare le ragazze che, a gruppi di tre o quattro oppure accompagnate dalla madre e dal fratellino minore, passeggiano e si fanno a loro volta guardare. È la Sicilia di sempre: i maschi da una parte, le femmine dall'altra. Ma se appena volti l'angolo la scena cambia: davanti al bar Colonna frotte di ragazzini d'ambo i sessi sostano a gruppi che si intrecciano, si sciolgono, si ricompongono, si sorridono, si parlano, si toccano con estrema naturalezza. In pochi metri ci sono due mondi completamente diversi. Che cosa passa fra di loro? Cinque anni d'età: vent'anni hanno infatti i ragazzi e le ragazze che si fanno le lontananze e si lanciano sguardi obliqui in corso Vittorio, quindici quelli del bar Colonna. Ma cinque anni sono un abisso oggi,, anche in Sicilia. Questi adolescenti sono più lontani dai loro fratelli maggiori, con i quali pur vivono a gomito a gomito, che dai loro coetanei di Roma, di Milano, di Bolzano. Fra di loro anzi, gli adolescenti paiono del tutto simili. Vestono allo stesso modo, jeans Wrangler o Ufo, ascoltano la stessa musica (country west coast naturalmente, però non in discoteca ma in qualche sgabuzzino preso in affitto), identico è il modo di divertirsi e, soprattutto, di annoiarsi, uniforme per tutti è l'informazione che permette loro di parlare di sesso, amore, masturbazione, politica, aborto, femminismo, anticoncezionali con una disinvoltura che è lontanissima dagli impacci pre e postsessantotteschi.
    Ma sbaglierebbe chi, sulla base di questa uniformità, pensasse che tutti gli adolescenti, i quindicenni, sono uguali, che sono, per dirla con Pasolini, omologati. Sotto gli stessi giubbotti-jeans battono in realtà cuori, desideri, pensieri diversi perché diversa resta la realtà in cui i ragazzi vivono (Baggio non è il Panini di Milano e il Panini non è la stessa cosa di un liceo del Sud) e soprattutto perché le idee, tutto sommato, viaggiano per ora più lente delle mode, dei jeans, dei consumi. Per questo fare il periplo di quel misterioso ed ambiguo pianeta che ha nome adolescenza non è facile e porta a risultati discordanti (a meno che non si voglia identificare il mondo adolescenziale con i quattro ricchissimi figli di quattro intelligentissimi radicali come hanno fatto i quattro autori di Porci con le ali).
    (da «L'europeo» - 15.10.76)


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