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    Quale partecipazione



    Paolo Da Nuvola

    (NPG 1978-06-41)


    Partecipazione non è sinonimo di spontaneismo e tanto meno il suo significato può ridursi a formuletta magica perché in modo miracolistico siano risolti i problemi. Partecipare non è quindi un mito, interessante ma lontano o impossibile, ma costituisce un'occasione di coinvolgimento, di impegno, di condecisionalità a cui occorre rispondere con generosità ma anche con competenza. Partecipare vuol dire avere i piedi per terra mentre si sa guardare avanti.
    Per questo cercheremo qui di evitare la poesia e l'ideologia della partecipazione per tentare di individuarne vie concrete di realizzazione.

    ISPIRAZIONE CRISTIANA E PARTECIPAZIONE

    In questi anni di dopo-Concilio è andato maturando un nuovo senso di responsabilità dei cristiani nei confronti della storia.
    Non si può chiedere alla Fede di indicare le modalità specifiche di partecipazione (sociale e politica): esse sono affidate alla ricerca di ogni uomo – e di tutti i cristiani – sulla base della conoscenza delle situazioni storiche.
    La Fede può però dare – e dà – alcuni criteri perché la partecipazione sia veramente una esperienza altamente umana.
    La Gaudium et Spes è esplicita in queste indicazioni: essa sollecita «una chiara distinzione fra le azioni che i fedeli, individualmente o in gruppo, compiono in proprio nome come cittadini guidati dalla coscienza cristiana, e le azioni che essi compiono in nome della Chiesa in comunione con i loro pastori» (GS 76).
    Ai laici competono gli impegni e le responsabilità temporali senza che essi pretendano di rivendicare esclusivamente per la propria iniziativa e opinione l'autorità della Chiesa (GS 43). Inoltre la GS afferma: «Tutti i cristiani devono prendere coscienza della propria speciale vocazione nella comunità politica: essi devono essere d'esempio sviluppando in se stessi il senso delle responsabilità e la dedizione al bene comune, così da mostrare con i fatti come possono armonizzarsi l'autorità e la libertà, l'iniziativa personale e la solidarietà di tutto il corpo sociale, la opportuna unità e la proficua diversità» (GS 75).
    Ma dicevamo che l'ispirazione cristiana pretende di dare alcuni criteri per questo lavoro:
    – Partecipare non può essere fine a se stesso, ma perché «tutti i cittadini siano proclivi a partecipare alla vita dei vari gruppi di cui si compone il corpo sociale, è necessario che si trovino in essi valori capaci di attirarli e di disporli al servizio degli altri» (GS 31).
    – Partecipare deve significare effettivamente possibilità di condecidere (GS 75) anche nelle scelte istituzionali, affinché le strutture siano in funzione dell'uomo, di tutto l'uomo.
    – Partecipare non può ridursi ad un fatto spontaneista (GS 43) sotto la spinta di facili entusiasmi ma è il frutto della responsabilità di personalità competenti e capaci di contrastare l'ingiustizia, l'ipocrisia, il conformismo, la strumentalizzazione a vantaggio del senso critico, della creatività, della maturazione di un libero consenso su proposte e progetti comprensibili.

    CONOSCERE PER PARTECIPARE

    Educare alla partecipazione non significa «fare dell'accademia», o un esclusivo lavoro «di tavolino» in cui studio quello che «poi» farò. Educare alla partecipazione implica una continua interrelazione del tipo prassi/teoria/prassi che non può prescindere dal vivere, già nel momento educativo, la responsabilità e l'impegno di partecipazione: si impara a partecipare partecipando con maturità e consapevolezza.

    Orientamenti per una educazione alla partecipazione

    Elementi per una reale educazione alla partecipazione risultano allora:
    – Forza ideale, tensione verso un progetto di società proponibile ad ogni uomo di buona volontà.
    Il sintetizzare in una affermazione un progetto è difficile e pericoloso: difficile perché oggi non se ne vedono ancora nitidi i contorni, pericoloso perché il tutto potrebbe ridursi all'enunciazione di uno slogan che non trova poi riscontro nella realtà.
    Senza la pretesa di dare una definizione potremo prospettare un lavoro di partecipazione per una società:
    – che privilegia l'uomo alla burocrazia;
    – che reputa più importante la persona del capitale;
    – che vuole rispondere ai bisogni dell'uomo – di tutto l'uomo – compresa la sua ansia di religiosità non riducibile all'intimismo;
    – che ricerca una solidarietà fra gli uomini;
    – che vuole una nuova qualità di vita che sappia recuperare il rapporto interpersonale e dare significato alla dialettica persona/comunità/collettività;
    – che applichi i principi costituzionali di diritto al lavoro, all'educazione, all'assistenza;
    – che non cada in una concezione di «Stato-mamma» che pensa a tutto e a tutti dalla «culla alla bara», ma che lasci spazio alle aggregazioni intermedie.
    In questo progetto occorrerà avere la forza dell'utopia e il coraggio dei piccoli passi. Non è possibile partecipare senza una forte tensione ideale che permetta di superare le difficoltà. Chi lavora per un progetto in positivo non corre il rischio dell'irrazionalità e della violenza.
    – Conoscenza della realtà e degli strumenti per operarvi.
    Nel contesto attuale non si potrà prescindere:
    – da un indirizzo storico riguardante l'evolversi dei processi in atto nel nostro Paese su quanto concerne la struttura partitica, industriale, culturale;
    – da un indirizzo civico che approfondisca l'organizzazione dello Stato e degli Enti locali; la struttura del potere e i canali di comunicazione fra le istanze di base e la gestione delle risorse;
    – da un indirizzo sociologico e psicologico che permetta di conoscere il soggetto umano al cui vantaggio si vuole operare.
    – Reale coinvolgimento, che gradualmente valorizzi le capacità di assumersi responsabilità. Diverso sarà proporre un impegno di partecipazione ad un quindicenne e ad un diciottenne, ma ad entrambi si dovrà chiedere impegno operativo a cui faccia riscontro un reale «potere».

    Suggerimenti operativi

    In termini operativi un itinerario educativo alla partecipazione comporta:
    – la percezione della globalità di ogni problema (che non può essere risolto in molteplici tentativi parcellizzati);
    – il superamento dello spontaneismo e del moralismo intimista a vantaggio della competenza e di una presenza non individualista o di gruppo chiuso (anche se certi amici che ti danno sempre ragione possono risultare gratificanti);
    – la fiducia nell'utopia con la contemporanea flessibilità alla situazione contingente: l'umiltà nei confronti della realtà permette spesso immediati passi significativi (qui-ora) che diventano invece irrealizzabili per coloro che vogliono «tutto-subito-possibilmente-prima»;
    – la disponibilità al rischio personale;
    – una caratterizzazione pubblica.
    Con la coscienza che il valore di molte indicazioni è relativo alle situazioni e alle persone si possono specificare alcune esemplificazioni di intervento:
    – a livello di adolescenti: impegni di tipo caritativo e terzomondista; iniziative di alfabetizzazione e dopo-scuola; incontri con persone significative; esame critico comparato dei giornali; progetti di studio sui programmi di partito rispetto a temi specifici quali scuola, assistenza, casa, territorio...;
    – a livello giovanile occorrerà invece tener conto dell'accresciuta capacità di concettualizzazione e di integrazione del metodo induttivo con quello deduttivo; della capacità di approfondimento interdisciplinare (storia, filosofia, diritto costituzionale) della maggior responsabilità sollecitata anche dall'anticipazione della maggior età a diciotto anni (costituzione di cooperative per iniziative culturali sul territorio).

    ALCUNI AMBITI DI INTERVENTO: SCUOLA E QUARTIERE

    Scuola

    La critica situazione della scuola italiana non permette qualunquismi ma sollecita anzi impegno e coinvolgimento.
    Lavorare per una reale riforma della secondaria superiore risulta fondamentale: non si risolvono i suoi problemi «privatizzando» la cultura per ridurla a consumo individuale (come qualcuno vorrebbe); e tanto meno la soluzione ai suoi problemi potrà consistere nella sua ulteriore ideologizzazione. La convinzione che nella realtà c'è il segno della varietà ci deve far amare e costruire una pedagogia della coscientizzazione. La società, che non si riduce allo Stato ma ne è un'espressione più ampia, deve entrare nella scuola. .È allora necessario recuperare il valore non burocratico ma profondamente innovativo della gestione sociale sapendo valorizzare ed animare gli spazi che, pur nei suoi limiti, già essa offre.
    In particolare:
    – presenza nelle aggregazioni studentesche per contrastare il pericoloso e crescente qualunquismo. Questo può infatti costituire un substrato in cui far attecchire tentazioni pericolose per le stesse istituzioni democratiche;
    – presenza negli organi collegiali: il Consiglio di classe, se convenientemente organizzato, potrebbe costituire un nodo importante del cambiamento didattico; il Consiglio d'Istituto, se non oppresso dalla burocrazia, può essere voce di necessità innovative; il Distretto potrà mettere in moto meccanismi di rapporti orizzontali alternativi alla tradizionale normativa gerarchizzata della scuola italiana;
    – impegno di sperimentazione nella prospettiva della riforma. Se non si saprà infatti preparare la gestione di una scuola rinnovata nella normativa, ogni riforma cadrà nel nulla. In questa prospettiva bisognerà saper usare gli artt. 1,2,3 del DPR 419 e sollecitare inventiva e coraggio della novità programmata.

    Quartiere

    È nella città, ed al suo interno nel quartiere, che si gioca la costruzione di una società diversa. Infatti la realtà sociale è così articolata che non si può pensare di determinarla controllandone solo alcuni suoi aspetti (fabbrica, scuola).
    Nel quartiere si evidenziano, in modo organico e sintetico, le contraddizioni della società:
    – la strategia dei consumi impera, e recupera quanto è stato perso in fabbrica o superato nella scuola;
    – una certa politica del territorio divide quanto si era cercato di unire; la stratificazione territoriale rispecchia una stratificazione sociale;
    – il tempo libero, se non è responsabilizzante e responsabilizzato, può diventare manipolativo;
    – certi miti che sembravano superati, riemergono a livello locale (rapporto genitore-insegnante, infermo-medico, inferiorità psicologica col professionista che abita nella porta di fronte...). È a livello di quartiere che si sono saldate conflittualità e iniziative nate nel '68 nelle università e nelle fabbriche:
    – Esperienze pur settoriali (doposcuola, comitati, centri di animazione) sono risultate occasione di maturazione che stanno permettendo iniziative anche significative per il cambiamento della società.
    – Superando un certo tipo di campanilismo e recuperando, partendo da bisogni comuni, rapporti interpersonali costanti, si riesce ad intaccare una logica amministrativa emarginante a favore di una maggiore partecipazione, in una dialettica fra struttura decentrata ufficiale e forme organizzative di base.
    – È a livello di quartiere che trovano organico complemento momenti politici (Consigli di zona, Comitati di quartiere, CUB) e strutture funzionali (scuola, assistenza...).
    In questa prospettiva è opportuno precisare che:
    – decentramento e partecipazione non sono sinonimi; il primo ha senso solo se risulta uno strumento di partecipazione,
    – nella formulazione di momenti rivendicativi, anche a livello locale, un sano realismo, che superi il mero spontaneismo, deve sapere correttamente valutare le forze in gioco perché le rivendicazioni non si concludano semplicemente con un danno alla controparte, ma permettano anche una reale riappropriazione di decisionalità, di autogestione, di potere.
    Solo così il quartiere diventa luogo di lavoro del tempo libero ma non del tempo disimpegnato.

    CORAGGIO DELLA VERIFICA PER UN LAVORO DI PROSPETTIVA

    Occorre allora verificare se il lavoro svolto in questi anni è stato veramente nella prospettiva di una maggior partecipazione o solo nell'illusione di averla.
    In particolare:
    – chi ha responsabilità associative non può basare il proprio lavoro sullo «slogan ad effetto»: ogni vocabolario a cui non è sotteso un contenuto è manipolante;
    – le fughe «in avanti» possono risolvere problemi personali ma corrono il rischio di staccarsi dalla base costituendo élite ideologiche incapaci di far emergere le potenzialità di larghi strati giovanili;
    – i partiti risultano sempre meno capaci di costituire i canali delle istanze politiche dei cittadini, ma d'altra parte si rafforza il loro potere di gestione che diventa verticistico. Ne risulta una loro incapacità a mediare i conflitti e, data la perdita di un reale consenso, si passa da una loro «funzione dirigente» ad una «funzione dominante».
    Di fronte a questa situazione sociale bisogna saper passare dalla rivendicazione alla gestione, dalla protesta alla proposta; con estrema disponibilità e senza correre il rischio di presumere, da soli o col proprio gruppo, di aver scoperto tutta la verità.
    Occorrerà comunque costruire e sperimentare una partecipazione che abbia le caratteristiche:
    – di criticità nei confronti di ogni tentativo di strumentalizzazione;
    – di proponibilità come alternativa all'individualismo, all'indifferenza, al visceralismo, all'irrazionalità;
    – di creazione di consenso libero su obiettivi conosciuti, comprensibili, condivisi.


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