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    Per educare all'analisi degli umanesimi



    F. Floris - F. Rastello

    (NPG 1978-02-58)


    La maturazione della persona e la rilevanza dell'esperienza religiosa e cristiana sono strettamente legati al modello d'uomo in cui ci si riconosce. Questo umanesimo (spesso solo implicito) non spunta a caso, ma è frutto, più o meno consequenziale, delle correnti umanistiche diffuse in una determinata cultura e della appropriazione che persone e gruppi sociali fanno di questa proposta.
    È perciò molto importante, in prospettiva educativa e pastorale, educare ad una analisi critica e riflessa dei diversi umanesimi, per decifrare le proprie scelte e per elaborare un processo maturo di acculturazione della fede.
    Non si tratta di un cammino facile: chi ci ha provato lo sa in prima persona. Le riflessioni contenute nelle pagine precedenti lo confermano in termini diretti. Per aiutare educatori e gruppi, offriamo questo «materiale di lavoro».
    Si compone di due «blocchi» distinti:
    – una griglia di lettura, di tipo analitico, per misurare i punti nodali di ogni umanesimo;
    – una rassegna di testi filosofici, per operare un confronto su materiale di prima mano.

    UNA GRIGLIA DI LETTURA DEGLI UMANESIMI

    Un confronto tra gli umanesimi è possibile, come ha ricordato G. Gevaert o facendo emergere l'elemento umano positivo che in ogni umanesimo viene privilegiato o attraverso una griglia che permetta di analizzare in parallelo le diverse dimensioni degli umanesimi. Seguendo la seconda indicazione di Gevaert e i tratti caratteristici che egli ha individuato presentiamo un abbozzo di griglia da cui si può partire per ulteriori approfondimenti, a seconda delle esigenze del lavoro che si intende fare, del motivo cioè per cui si vuol operare un confronto tra gli umanesimi.

    Il posto e l'importanza della persona

    – chi è persona? quali tratti caratteristici la delineano?
    – in che rapporto sta la persona con la natura, il mondo biologico, la società, l'evoluzione della storia?
    – la persona ha una dignità per se stessa o le è derivata dalle sue diverse appartenenze? è fine o mezzo e funzione?
    – la persona è capace di libere scelte o le sue decisioni sono frutto di un imprecisato movimento di strutture che si incontrano e scontrano lungo la storia?
    – una definizione di persona centrata sull'avere (potere, denaro, cultura...) o centrata sull'essere?
    – come si integrano intelligenza, affettività, corpo? si privilegia la sfera dello spirituale o del corporeo?
    – quali sono i «bisogni» della persona che vengono privilegiati?

    La dimensione comunitaria e sociale

    – qual è il ruolo dell'altro nella propria realizzazione? un ruolo liberante o opprimente? un aiuto o un ostacolo da superare per realizzarsi?
    – prevale una concezione individualista o una concezione comunitaria di realizzazione? l'individuo può realizzarsi in un ambiente sociale alienato?
    – la «solidarietà comunitaria» è a «società chiusa» (di tipo corporativistico, rivendicativo) o «società aperta» (di tipo ecumenico, universalista)?
    – c'è un gruppo sociale che ha un ruolo di guida nella società? quale? che tipo di ruolo? in funzione di sé-gruppo o in funzione del tutto?
    – l'apertura agli altri è prospettata più in chiave personalista-intersoggettiva (rapporti primari, amicizia, calore umano, «carità verso gli altri», solidarietà nei momenti difficili) o in chiave strutturale-sociale (attenzione anzitutto alle condizioni economiche, politiche, culturali; riconoscimento sociale della dignità di tutti; rispetto della persona in tutti i campi; necessità di riconoscere gli altri attraverso mutamenti di tipo strutturale)? a quale delle due prospettive si è più sensibili? l'impegno per gli altri in quali direzioni e campi sociali deve essere vissuto?
    – quale tipo di organizzazione sociale privilegiare: democratica o totalitaria? socialista o anarchica, comunista o liberale?
    – qual è lo spazio del «personale» dentro il politico e sociale? Il rapporto con la natura
    – la natura è vista come una forza indomabile, imprevedibile di fronte alla quale bisogna arrendersi, perché magari espressione di una volontà divina?
    – la natura è vista come «simbolo» del trascendente (in senso più o meno mistico) o qualcosa di «muto» per l'uomo?
    – la natura è qualcosa da consumare, da usare o mezzo di comunicazione e comunione con gli altri? si ha un atteggiamento possessivo nei suoi confronti, un atteggiamento consumista o un atteggiamento contemplativo-simbolico che vede nella natura un appello a qualcosa di più profondo, «oltre», nella direzione degli altri e del trascendente?
    – cosa si pensa della scienza e della tecnologia? ci si ritrova tra gli «apocalittici della scienza» o tra quelli che, nonostante tutto, credono che l'uomo imparerà ad usare della natura e delle sue forze per l'umanizzazione?
    – in che cosa si ha più fiducia: nella scienza in quanto metodo o nell'uomo? la scienza risolverà tutti i problemi dell'uomo? eliminerà i problemi religiosi come «residuo» di una civiltà inferiore?
    – che differenza e che continuità tra mondo animale e uomo? L'attività umana
    – quale il ruolo della attività umana (personale e sociale) per la realizzazione dell' uomo? la storia dipende dall'uomo o è qualcosa che supera l'uomo?
    – il futuro dell'uomo sarà conquista o dono (di Dio)? quale rapporto tra sforzo umano e liberazione globale della storia? c'è spazio per concepire la umanizzazione come «dono» (del trascendente)?
    – che posto occupa il lavoro nella realizzazione della persona: umanesimo del lavoro o lavoro come prestazione sociale alienata e alienante? il lavoro è al centro o alla periferia dell'autorealizzazione?
    – l'attività del cosiddetto tempo libero in quale direzione va programmata? verso attività di ricreazione, culturali, artistiche, religiose? a quali dare più peso per realizzarsi come uomo?
    – che ruolo viene riconosciuto alla riflessione che accompagna l'azione? nell'agire ci si confronta con dei fini scelti in modo riflesso o l'azione viene ad avere valore in sé, in qualunque direzione si esplichi? ci si ritrova nello slogan «l'essenziale non è il perché ma il come combattiamo»?
    – si definisce l'umanesimo più nella direzione delle attività artistico letterarie, o scientifiche o religiose o del lavoro in senso stretto?

    La visione della storia

    – tutto è frutto di determinismo o l'uomo ha un certo potere nel dirigere la storia? come l'uomo dirige la storia?
    – la storia ha una sua unità o è solo un insieme molto frammentario di eventi che non si muovono in alcuna direzione?
    – è importante sentirsi responsabili della storia nel suo insieme? l'impegno dell'uomo ha uno sbocco costruttivo o è un agitarsi assurdo, senza senso? l'impegno per l'impegno o un impegno sostenuto da una utopia?
    – c'è un filo sotterraneo che collega il presente al passato e il presente al futuro? dove lo si ritrova? in quali fatti o «segni»?
    – la storia si riduce all'oggi o c'è anche una metastoria, un al di là che dà senso anche all'oggi?
    – di fronte al presente come si reagisce: nostalgia dei tempi passati? sogno romantico di un futuro che non ci sarà mai?

    La scala dei valori

    – ci sono dei valori totalizzanti che riassumono l'umano? quali?
    – si riconoscono dei valori o quel che si fa, giorno dopo giorno, è valore perché lo si fa? ci sono delle norme la cui «osservanza» dà valore alle cose che si fanno? esiste un «ordine» ideale o una «legge naturale» da rispettare?
    – chi è fonte di valore? la norma, il soggetto, il gruppo sociale, la cultura, Dio?
    – quali valori vengono privilegiati? quelli cosiddetti borghesi o quelli cosidetti alternativi? quali sono gli uni e gli altri?
    – a cosa si annette valore: al politico? all'economico? al religioso? al sociale? al personale?
    – che riconoscimento hanno i valori «religiosi»?
    – mettendo in scala i valori quali occupano le parti alte e quali i gradini più bassi? Verità e libertà
    – esiste una «verità ultima» delle cose e dell'uomo?
    – attraverso quali criteri si arriva alla verità: criteri empirico-scientifici? criteri filosofici? criteri teologici? che rapporto tra le diverse «verità»?
    – la propria verità è ritenuta l'unica possibile o c'è spazio per altre visioni che possono essere vere?
    – che valore si dà alla ricerca di una «verità ultima» sull'uomo per la propria realizzazione?
    – la verità è una concezione di vita o un modo di vivere?
    – quale definizione di libertà? una definizione a sfondo più individualistico o più sociale? più centrata sul soggetto o più centrata sulle strutture?
    – la libertà da che cosa è data? dalla libertà politica, economica? sociale? culturale? religiosa?
    – a chi viene garantita socialmente la libertà? a tutti? ad una classe sociale? a tutti i gruppi sociali? c'è spazio per il dissenso e per il pluralismo ideologico e di aggregazione?
    – c'è la possibilità, dentro la propria «verità», di riproporre continuamente il problema della verità e dei «fini» oppure tutto è deciso per sempre?
    – la presenza degli altri è limitazione della propria libertà o fonte di libertà?

    Il problema del male

    – male e sofferenza sono riconosciuti? fanno problema? vengono emarginati, edulcorati o dati per scontati?
    – male e sofferenza: una realtà ineluttabile o colpa dell'uomo? un castigo o un dato di fatto inesplicabile?
    – quale risposta al problema del male? rassegnazione o atteggiamento di lotta? rifiuto angoscioso o speranza di superamento?
    – cosa in fondo è considerato male? quali elementi lo compongono?
    – la scienza, dalla psicanalisi alla medicina, possono liberare dal male? altrimenti che cosa o chi libera dal male?
    – il problema del male è visto in chiave religiosa (magari come prova di ateismo) o non ha a che fare con il problema religioso?

    Religione e trascendenza

    – che spazio si dà alla religiosità, nelle sue diverse forme? in che modo viene proposto il problema della trascendenza? una trascendenza «frutto» della storia (dell'autotrascendimento dell'uomo) o dono?
    – la religiosità come si concilia con tutto l'umano? negazione a favore dello «spirituale»? disprezzo delle realtà terrestri? incapacità assoluta dell'uomo di autorealizzarsi? -- quel rapporto con Dio: «ognuno per sé e Dio per tutti»?
    – la religiosità ha a che fare con il concreto modo di vivere o vita e credo religioso possono convivere senza integrarsi?
    – la religiosità è qualcosa che ha a che fare con le persone e con la loro vita interiore o «elemento critico-costruttivo» dentro la vita sociale? Dio è fonte di rassegnazione o fonte di rivoluzione nella storia?
    – ci sono forze diverse da Dio che influiscono nella vita dell'uomo? in che modo si conciliano con la libertà dei singoli? si dà spazio a pratiche spiritistiche, occultistiche? c'è una forza del male opposta a quella del bene e con cui l'uomo deve in qualche modo scendere a patti?
    – i riti religiosi che funzione hanno nella vita? come sono giudicati: residuo di umanesimi passati o fonte di umanizzazione?

    UN QUADRO SINTETICO DEGLI UMANESIMI CONTEMPORANEI

    Un confronto serio degli umanesimi è un compito molto vasto, forse per alcuni, troppo vasto. Ci sono delle sintesi abbastanza accessibili. Ne segnaliamo due, la prima di tipo teologico la seconda di tipo filosofico. Possono aiutare ad inquadrare il problema.
    Per una lettura teologica: J. MOLTMANN, Uomo. L'antropologia cristiana tra i conflitti del presente, Queriniana 1972. Dopo una rassegna delle diverse «immagini dell'uomo ed esperimenti» di umanesimo nel mondo contemporaneo, si sofferma sul ruolo del tutto particolare di Dio e di Gesù, come critica suprema di ogni umanesimo e, allo stesso tempo come autenticazione della speranza di umanizzazione di ogni uomo. Una interessante e facile sintesi filosofica è invece quella offerta da R. GARAUDY in Prospettive dell'uomo. Esistenzialismo, cattolicesimo, strutturalismo, marxismo, Borla 1972.
    I due testi necessitano di ulteriori integrazioni, perché il primo riflette, almeno per alcuni aspetti, la problematica della Germania dopo l'esperienza di Hitler e della guerra, il secondo il mondo francese e le vicende della sua filosofia.
    Un confronto va fatto sui testi degli autori. Per facilitare il lavoro consigliamo un testo che, evidentemente, non è completo, ma che offre una buona panoramica antologica degli umanesimi contemporanei: A. PIERETTI (a cura di), Le forme dell'umanesimo contemporaneo, Città Nuova 1977. Molti dei brani degli autori che citeremo si trovano in questa antologia.
    Per una introduzione generale ai problemi dell'umanesimo, consigliamo J. GEVAERT, Il problema dell'uomo. Introduzione all'antropologia filosofica, Torino 1973.

    UMANESIMO PERSONALISTA

    Il personalismo è un movimento, non un sistema filosofico. Il movimento personalista incomincia a svilupparsi in Francia nel 1930, cioè in un momento in cui il suo duplice intento (fondare la responsabilità del soggetto e chiarire la sua posizione nella natura e nella storia) lo costringe a un costante confronto col marxismo, che gli offre soprattutto un'analisi profonda della situazione umana, e con l'esistenzialismo, che lo sollecita in modo particolare a riflettere sull'autonomia e sulla responsabilità del soggetto.
    «Il personalismo», scrive Jean Lacroix, «vorrebbe in qualche modo porsi come successore delle filosofie dell'io per rituffarle nel mondo fisico e sociale». Si potrebbe individuare una tendenza esistenzialista del personalismo (a cui si avvicinano Berdjaev, Ricoeur e Nédoncelle), una tendenza marxista, spesso parallela alla prima, e una tendenza più classica, che si inserisce facilmente nella tradizionale corrente introspettiva della filosofia francese (Le Senne, Madinier, Jean Lacroix).
    Così J. Moltmann presenta l'apparizione del personalismo sulla scena culturale europea: «All'inizio degli anni venti del nostro secolo è sorto un nuovo umanesimo della persona e delle relazioni personali, che deprecava con aspra critica la " grigia meccanizzazione del mondo " (Gogarten) e la " solitudine dell'io " dell'uomo moderno che ne conseguiva (F. Ebner) e conduceva alla riscoperta del Tu sia nella filosofia che nei modelli pratici di una nuova comunità».
    M. Nédoncelle definisce il personalismo come allontanamento da un triplice pericolo:
    1) quello della solitudine: il personalismo è comunitario, anzi è la radicale negazione dell'individualismo;
    2) quello dello scientismo: nella conoscenza l'uomo non volge le spalle alla natura, né si limita a contemplarla; vi è presente tutto intero, e con lui sono le altre coscienze e Dio;
    3) quello dell'ottimismo evoluzionistico, secondo il quale il male è destinato a dissolversi nel tempo: la responsabilità dell'uomo è sempre impegnata, insieme con la sua trascendenza e con quella di Dio.
    Per il personalismo la storia e il mondo hanno un senso. J. Lacroix dice a questo proposito: «Dio è il senso del mondo, e il mondo è il linguaggio di Dio». L'uomo non accetta passivamente questo senso; per rivelarsi, esso esige il nostro impegno. La storia assume un senso solo in quanto la trascendiamo, cioè partecipiamo alla sua creazione con tutta la nostra responsabilità. La natura non è compiuta e neppure la storia; l'umanità è ancora da fare.
    Scrive Mounier: «Il personalismo è uno sforzo integrale per comprendere e superare la crisi dell'uomo del secolo XX nella sua totalità». Di fronte alla crisi, Mounier si propone di sfuggire sia al marxismo (cambiate l'economia, e il malato guarirà) sia al moralismo (cambiate l'uomo, e le società guariranno). Il personalismo rispetterebbe la supremazia dello spirito senza disincarnarlo.
    Il nemico principale del personalismo è l'individualismo nato dalla Rivoluzione Francese del 1789. Mounier lo definisce in questo modo: «L'individualismo è un sistema di usanze, di sentimenti, di idee e d'istituzioni che predispone l'individuo all'isolamento e alla difesa. Fu l'ideologia e la struttura portante della società borghese occidentale tra i secoli XVIII e XIX. Un uomo astratto, senza legami né rapporti naturali, sempre pronto a diffidare, a calcolare, a pretendere; delle istituzioni intese solo a contenere questi egoismi, e a trarne frutti sempre maggiori, con associazioni fondate sul profitto: questo è la forma di civiltà che sta agonizzando sotto i nostri occhi. È l'opposto del personalismo, anzi il suo più diretto avversario».

    Indicazioni bibliografiche
    Per avviare ad una lettura del personalismo proponiamo:
    E. MOUNIER, Rivoluzione personalista e comunitaria, Edizioni di Comunità 1955, spec. pp. 39-41; 87-92; queste pagine sono riportate da PIERETTI 97-102.
    Altri testi di J. Lacroix, P. Ricoeur, M. Buber possono essere trovati in una antologia simile a quella di Pieretti e della stessa collana: A. RIGOBELLO (a cura di), Il personalismo, Città nuova 1975.
    Per una valutazione in chiave filosofica e teologica si veda, rispettivamente GARAUDY, o.c., pp. 167-178 e MOLTMANN, o.c., pp. 132-160 (soprattutto sul pensiero di Buber).

    UMANESIMO SCIENTIFICO

    La società moderna è segnata fortemente dal progresso della ricerca scientifica, il cui influsso si è fatto sentire non solo nel miglioramento delle condizioni di vita ma anche sul modo di concepire la vita e di definire l'uomo e il suo rapporto con l'ambiente sociale e naturale.
    Superati gli ingenui entusiasmi del primo positivismo che, con A. Comte, vedeva il sorgere di un regno universale di pace ad opera della scienza, la riflessione si è sedimentata attorno a due atteggiamenti basilari. Il primo è quello della ambiguità del progresso scientifico e delle sue applicazioni; parla di spettro della civiltà industriale («andiamo incontro – ha detto Einstein – ad una catastrofe senza precedenti»), e di nostalgia per una vita sana e libera in un'epoca di massificazione e urbanizzazione. Per gli «apocalittici della tecnica», come li definisce J. Moltmann, la nostra epoca è l'epoca della macchina senz'anima. La loro reazione è però di tipo romantico, unicamente negativa; a volte élitaria e rivendicativa, come nel caso di molti intellettuali.
    Dei rischi della scienza sono convinti anche quelli che si ritrovano nel secondo atteggiamento. Questi però credono che la scienza possa ancora dare un forte contributo alla umanizzazione, possa cioè trasformarsi in agente di umanizzazione. In questo senso essi parlano di umanesimo scientifico. Ad alcune condizioni tuttavia; condizioni che si pongono sulla linea di quel supplemento d'anima di cui parla Bergson per la società moderna in genere.
    L'istanza umanista indica alla scienza tre orientamenti di sviluppo: la necessità di ritrovare la centralità dell'uomo nella ricerca scientifica «in modo che – come dice Heisemberg – oggetto della scienza non sia più la natura in sé ma la natura subordinata al modo umano di porre il problema»; lo sforzo per riavvicinare scienze della natura e scienze dell'uomo in vista di uno sviluppo integrale dello stesso uomo (Huxley); un postulato di «fede» nell'uomo, una fede che non ha alcun valore scientifico, a monte di ogni ricerca scientifica (Dewey, Binswanger). Questo non è ancora sufficiente per garantire che la scienza sia fonte di umanesimo. Occorre non separare la teoria dalla prassi. Occorre che la scienza sia nel concreto a servizio dell'uomo, per orientare l'uomo nella realizzazione di se stesso. Si intravedono almeno due utilizzazioni: formare l'uomo a usare, per risolvere i problemi della sua vita, il metodo della scienza, in modo che impari a vivere da scienziato che sa analizzare la esperienza e utilizzarne le lezioni per maturare libere scelte (utilizzazione pedagogica sostenuta soprattutto da J. Dewey); usare delle scienze della natura e delle scienze umane per affrontare gli enormi problemi del mondo d'oggi (utilizzazione programmatica della scienza, come ad esempio in Russel e Toffier).

    Indicazioni bibliografiche
    Per un quadro d'insieme ed una prima valutazione degli «apocalittici della tecnica»: J. MOLTMANN, 0.C., pp. 45-81.
    Sulle condizioni per una scienza fonte di umanesimo:
    W. HEISEMBERG, Natura e fisica moderna, Garzanti 1957, spec. pp. 13-25; una riduzione in PIERETTI 110-117.
    J. HUXLEY, Il sistema umanistico, in Idee per un nuovo umanesimo, Feltrinelli 1962, spec. pp. 20-27; una sintesi in PIERETTI 117-123.
    L. BINSWANGER, Per un'antropologia fenomenologica, Feltrinelli 1970, spec. pp. 191196; cfr PIERETTI 124-129.

    Implicanze educative dell'umanesimo scientifico
    Lo sviluppo dell'umanesimo scientifico-programmatico ha riproposto alcuni problemi di tipo educativo, primo fra tutti l'opzione tra una cultura di tipo umanistico-classica e una cultura di tipo scientifico.
    Alcuni, Dewey soprattutto, si sono battuti per una educazione scientifica, in cui cioè si educhi alla fiducia nel metodo scientifico come metodo per affrontare tutti i problemi dell'umanità. Occorre tuttavia dire che in Dewey, al di là della fiducia nella scienza e nel suo metodo, conta soprattutto la fede nell'uomo e nel suo futuro.
    Altri hanno sottolineato il rischio per la umanità di una educazione che privilegi la crescita intellettuale rispetto a quella morale e affettiva. Secondo questi autori è importante riproporre il discorso educativo in termini di educazione all'umanesimo integrale (Maritain), in termini cioè di attenzione pedagogica a tutte le potenzialità dell'uomo.
    Suggeriamo, per la riflessione, alcuni testi:
    J. DEWEY, Esperienza e educazione, La Nuova Italia 1960, spec. pp. 73-80; il testo è riportato in PIERETTI 165-170.
    TH. LITT, Le scienze e l'uomo, Armando 1960, spec. pp. 102-110; una riduzione in PIERETTI 174-179.
    J. MARITAIN, Umanesimo integrale, Borla 1962, pp. 132-136; cfr PIERETTI 180-184. Può essere utile anche un confronto con il pensiero di Gramsci. Cfr M.A. MANACORDA, Il principio educativo in Gramsci, Armando 1970, pp. 165-173 e 359-367 (le pagine sull'americanismo).

    UMANESIMO MARXISTA

    Parlare di marxismo come umanesimo è una tematica abbastanza recente, un problema successivo alla seconda guerra mondiale. Esprime una esigenza di un modello alternativo di marxismo rispetto a quello, per così dire, codificato nei diversi partiti comunisti e nei paesi dell'est europeo, dove troppo spesso si è tradotto in una prassi di potere, in un mezzo di oppressione. Secondo alcuni questa non è che una degenerazione del marxismo, che invece, in se stesso, possiede la capacità di rispondere a tutte le esigenze di liberazione dell'uomo. È in grado, in altre parole, di liberare l'uomo da qualsiasi forma di alienazione. È un umanesimo.
    Nello sforzo di presentare il marxismo come umanesimo, ci si rifà ad alcune tematiche del giovane Marx, a torto dimenticate da molti studiosi. «Il comunismo, si legge ad esempio, nei Manoscritti economico-filosofici del 1844, ossia l'effettiva abolizione della proprietà privata quale autoalienazione dell'uomo, e perciò reale appropriazione dell'essenza umana da parte dell'uomo e per l'uomo; dunque ritorno completo dell'uomo per sé quale uomo sociale, cioè umano, ritorno cosciente compiuto all'interno di tutta la ricchezza dello sviluppo precedente. Questo comunismo... in quanto compiuto umanismo...».
    La riflessione è condotta dai cosiddetti filosofi neo-marxisti, R. Garaudy in Francia, A. Schaff in Polonia, E. Bloch in Germania, M. Machovec in Cecoslovacchia, ed altri.
    La caratteristica fondamentale del neo-marxismo, specialmente nella sua versione tedesca, è costituita dalla rilevanza che viene attribuita al tema escatologico del futuro; nella sua versione francese e polacca dall'inserimento del tema personalistico. In particolare, E. Bloch afferma: «Noi tendiamo ad una patria in cui mai fummo e che tuttavia è la nostra patria».
    L'affermazione presuppone, alla base, una determinata scelta antropologica, che è poi la seguente: non esiste, come già aveva visto bene Marx, una natura umana eterna e indistruttibile, sempre uguale a se stessa, ma l'uomo è ciò che si fa e diventa nella storia. In questa concezione, l'uomo diventa una sorta di demiurgo autocreantesi, facitore di se stesso oltre che del mondo che lo circonda: in altri termini, l'artefice cosciente del proprio destino. Il «Futuro» assume allora quella rilevanza metafisica e assoluta che, nella tradizione cristiana, era attribuibile alla divinità, in cui il futuro era un aspetto importante, ma non certamente l'unico. Più in generale, l'istanza umanistica penetra e anima il neo-marxismo in base ai seguenti punti:
    1) la realizzazione dell'uomo che la rivoluzione dovrebbe attuare è concepita in modo integrale: accanto a bisogni ed esigenze di carattere pratico-materiale, il neo-marxista è disposto a riconoscere la presenza di bisogni di tipo spirituale, legati all'attività intellettuale, e quindi non pratica in senso stretto, dell'uomo;
    2) l'abbandono della rigidità dogmatica e la valorizzazione del momento dialogico-tollerante;
    3) il rispetto della persona, concepita come ente dotato di valore.

    Indicazioni bibliografiche
    Per un approfondimento delle tematiche relative al neomarxismo tenendo conto degli autori citati sopra, proponiamo la lettura dei seguenti brani:
    K. MARX, Manoscritti economico-filosofici del 1844, Einaudi 1968, pp. 108-126; cfr PIERETTI 191-196.
    E. BLOCH, Ateismo nel cristianesimo, Feltrinelli 1970, pp. 325-331; in PIERETTI 197-204.
    A. SCHAFF, Il marxismo e la persona umana, Feltrinelli 1973, pp. 171-184; citato in PIERETTI 204-208.
    R. GARAUDY, Dall'anatema al dialogo, Queriniana, pp. 79-89; riportato in PIERETTI 208-213.
    Per un giudizio critico del marxismo da un punto di vista religioso si può vedere quanto dice MOLTMANN nel paragrafo «L'utopia dell'uomo totale»; o.c., pp. 87-104. Interessanti, da un punto di vista del tipo di umanesimo proposto dal marxismo, le opere dei «nuovi filosofi francesi», con il loro ricupero del soggettivo e il loro antitotalitarismo:
    A. GLUCKSMANN, I padroni del pensiero, Garzanti 1977. B.-H. LEVY, La barbarie dal volto umano, Marsilio 1977. A. GLUCKSMANN, La cuoca e il mangiatore di uomini, Erba Voglio 1977.

    UMANESIMO IDEALISTA

    Questo tipo di umanesimo si caratterizza sostanzialmente per il fatto di porre, come modello da seguire e a cui conformarsi, un «ideale» (sia esso morale, religioso, giuridico...) che si presenta, per l'uomo concreto, come un «dover essere». Ai fini della presentazione di questo tipo di umanesimo, possiamo distinguere schematicamente due forme di «idealità»: quella giuridica-morale della «legge naturale e oggettiva», e quella della «comunità» (o, che è poi lo stesso, della «patria», della «nazione», del «popolo»).
    Per quanto riguarda la prima forma, non sarà del tutto inutile richiamarci ad alcuni passi di Moltmann, in cui viene analizzata, appunto, «la legge dell'uomo ideale».
    Qui, tra l'altro, si legge: «L'idea di diritti naturali e umani e di una legge morale oggettiva è una realtà affascinante e lo rimarrà finché degli uomini si interrogheranno insieme sulla vera e comune umanità. Ma le difficoltà di applicare questa idea stanno nella sua astrazione dalle condizioni reali e storiche degli uomini. Le proposizioni universali del diritto naturale, come «Ad ognuno il suo», «Evita il male», possono servire tanto ad approvare che a contestare il feudalesimo, il capitalismo, il socialismo e il fascismo... Quanto più si vogliono prendere delle decisioni nei casi concreti muovendo dai principi generali del diritto naturale, tanto più la luce di questa conoscenza si offusca... Dietro le affermazioni, secondo cui si conoscerebbe la «vera essenza dell'uomo» o l'assoluta legge morale, stanno storicamente delle pretese di dominio sempre più massicce» (in Uomo, pp. 125-126).
    È allora evidente come, in questo caso, il richiamo all'idealità, rischi di diventare un facile strumento di oppressione, intendendo con questa espressione, il richiamo ad una norma astratta e atemporale che comanda un certo comportamento all'uomo nonostante che non ne riconosca la situazione concreta e reale, con i «bisogni» che ne derivano.
    Per quanto riguarda poi la seconda forma di idealità, ci richiamiamo alla tesi centrale di uno studio classico di F. Tönnies, intitolato: «Comunità e società», comparso per la prima volta nel 1887, e che mantiene ancora oggi un carattere d'attualità.
    La tesi di fondo è, in sintesi, la seguente: comunità e società sono due opposte possibilità fondamentali della convivenza umana. Il rapporto degli uomini tra loro viene inteso o come una reale vita organica, ed è questa l'essenza della comunità, oppure soltanto come formazione ideale e meccanica, ed è questo il concetto di società. Comunità significa convivenza continua e autentica, società invece significa soltanto una convivenza transitoria e apparente. Le comunità sono cellule vitali originali e originarie, come il matrimonio, la famiglia, la parentela, il popolo. Le società invece sono delle associazioni a termine. Esse durano soltanto ad tempus, assorbono gli uomini soltanto parzialmente e si saldano sulla base della controprestazione e del privilegio personale. La comunità è la relazione originaria e perciò anche la più antica, la società invece è derivata e perciò più recente. Su questa distinzione Tonnies ha in seguito costruito tutta una metafisica, le cui distinzioni tra ciò che deve essere detto vero e il non vero, tra l'autentico e l'inautentico, sono qui servite a qualificare la borghesia decaduta.
    Da ciò risulta chiaro che la categoria di «comunità» è di per sé ambigua e si presta a venire strumentalizzata politicamente: è, ad es. il caso dell'uso di questa categoria in chiave mitico-mistica, utilizzata per giustificare i cosiddetti movimenti borghesi contro la borghesia, e cioè i tentativi di rivoluzione provenienti da destra. Qui l'uso della categoria di «comunità» viene finalizzato essenzialmente alla difesa di interessi particolari.
    Il caso concreto più significativo di impiego della distinzione tra comunità e società per la borghesia era ed è il «popolo», la «nazione», la «patria», che diventano «idealità» astratte, capaci anche di chiedere al singolo il sacrificio della propria persona.
    Ritorna qui, a proposito della «comunità», la stessa dimensione che avevamo rilevato a proposito della legge morale naturale o del diritto oggettivo: cioè, l'idealità a cui si fa riferimento, è nei due casi una totalità astratta che non tiene minimamente in considerazione la concreta realtà della persona, e che molte volte esercita una funzione oppressiva nei confronti del singolo.

    Indicazione bibliografica
    Per avviare un primo approfondimento delle tematiche relative all'umanesimo idealista, proponiamo:
    J. MOLTMANN, o.c., pp. 116-132 (il paragrafo intitolato: La legge dell'uomo ideale).

    UMANESIMO RADICALE

    La cultura radicale (da non confondere con il partito omonimo, che ne rappresenterebbe soltanto un aspetto) affonda la sua triplice radice nella dottrina dell'utilitarismo dei teorici della borghesia in ascesa (Stuart Mill e Bentham), nel pensiero libertino del secolo diciassettesimo e nella cosiddetta «coscienza tragica» del movimento giansenista (Pascal). È poi possibile indicarne l'origine anche nel periodo rinascimentale italiano con Giordano Bruno e Tommaso Campanella.
    Gran parte della tematica dell'odierno radicalismo si ritrova anche nelle riflessioni filosofiche del pensatore tedesco F. Nietzsche (1844-1900) con la relativa teorizzazione del valore del corpo e della sensibilità, propria di questo filosofo.
    Caratteristia fondamentale dell'atteggiamento radicale è, appunto, la valorizzazione della gioia e del piacere, vissuta in prospettiva mondana, senza cioè alcun riferimento al tradizionale «senso trascendente e religioso» della vita. Il corpo è qui interpretato e vissuto come elemento determinante dell'essere umano, per cui non sorprende che la prospettiva «fisiologica» acquisti priorità e legittimità.
    «C'è più ragione nel tuo corpo che nella tua migliore sapienza» (Nietzsche); oppure: «Ben altrimenti mi interessa un problema dal quale dipende la salvezza dell'umanità molto più che da qualche curiosità da teologi: il problema dell'alimentazione» (Nietzsche), esprimono, in modo immediato ed evidente, il nucleo essenziale di questa impostazione.
    Nell'umanesimo di tipo radicale, il momento pratico-sensibile è messo in primo piano e con esso il tema dei «bisogni» dell'uomo (anche di tipo affettivo). L'importante, analizzando questa prospettiva, è rendersi conto che qui siamo in presenza di un'istanza fondamentale: quella della necessità di «riappropriarsi» della bellezza di una vita naturale e di gustarla fino in fondo. In ogni caso, è l'uomo concreto che tende a emergere. Come già dicevamo prima, questo implica, a livello teorico, l'abbandono di qualsiasi riferimento immediato al signíficato soprannaturale della vita dell'uomo e, d'altra parte, la proposta di una salvezza di tipo esclusivamente mondanizzata. In altri termini, l'elemento soteriologico (dottrina della salvezza) presente nell'umanesimo di tipo radicale è caratterizzabile nel seguente modo: la salvezza dell'uomo, la condizione necessaria e indispensabile per la riconciliazione e la pacificazione dell'uomo con se stesso è rappresentata dalla necessità di soddisfare al principio materiale presente nell'uomo. Altro elemento fondamentale di questo tipo di cultura è la riscoperta dell'elemento ludico, cioè della vita intesa ed esperita come gioco. È possibile che da qui dipenda in parte (sia però detto tra parentesi), il fenomeno dell'ironia giovanile, intesa sostanzialmente come libero esercizio di creatività, tendente sia alla «messa in ridicolo» e alla «relativizzazione» delle esperienze concrete, da una parte, sia al tentativo di liberazione dalla schiavitù del «dato fattuale», dall'altra.
    Un'altra forma di radicalismo potrebbe essere indicata nell'individualismo anarchico. L'elemento essenziale che l'anarchismo di tipo individualistico ha in comune con la cultura radicale precedentemente esaminata è senza dubbio la svalutazione dell'elemento ideale e spirituale con la conseguente valorizzazione di ciò che sta «sotto» l'ideale. «Tutte le verità sotto di me sono care; una verità sopra di me, una verità secondo la quale io debba dirigermi, io non la riconosco. Per me non c'è verità alcuna, poiché al di sopra di me niente ha valore! Neppure la mia essenza, neppure l'essenza dell'uomo è superiore a me» (Max Stirner). A prescindere dall'assolutizzazione che tale principio dell'autonomia e dell'autodeterminazione riceve in uno dei massimi filosofi dell'anarchismo, Max Stirner appunto, si può tuttavia indicare nella dimensione dell'«autonomia del singolo di fronte a qualsiasi idealità», rivendicata dall'anarchismo, certamente uno dei massimi temi di attualità nel dibattito sull'umanesimo contemporaneo.

    Indicazioni bibliografiche
    Per avviare un primo approfondimento delle tematiche dell'umanesimo di tipo radicale, consigliamo la lettura dei seguenti brani:
    F. NIETZSCHE, Così parlò Zarathustra, Adelphi 1968, pp. 4-10, 13-19, 370-375.
    F. NIETZSCHE, Aurora, Adelphi 1964, pp. 34, 38-39, 40-41, 49-52, 66-67.

    F. NIETZSCHE, L'anticristo. Maledizione del cristianesimo, Adelphi 1970, pp. 172-175, 185, 214-218, 220-222, 229-230, 235-237.
    M. STIRNER, L'unico e la sua proprietà, Ennese editrice 1970, pp. 1-3, 199-211, 218219, 489-495.
    I passi si ritrovano tutti in una raccolta di tipo antologico:
    G. PENZO (a cura di), Il nichilismo da Nietzsche a Sartre, Città nuova 1976, pp. 127-156 a proposito di Nietzsche, pp. 157-171 a proposito di Stirner.

    UMANESIMO SENZA SOGGETTO O ANTIUMANESIMO

    Mentre il dibattito sull'umanesimo appassiona filosofi, teologi e scrittori, comincia a prendere consistenza un movimento che ne pone in discussione i capisaldi, contestando la possibilità stessa di una concezione di vita e della realtà in cui l'accento cada sull'uomo. Secondo questo movimento non ha senso parlare di umanesimo: è più corretto dire che l'uomo è morto e prendere atto della sua fine e dissoluzione. A meno che non lo si intenda come un umanesimo senza soggetto, dato che, in fondo, è ancora dell'uomo che ci si occupa, anche se lo si è spogliato di ogni identità personale.
    All'umanesimo senza soggetto è approdato in primo luogo lo strutturalismo, che, nella sua forma più rigida, intende ridurre tutta la realtà alla struttura, senza però mai risalire da questa alla attività umana che la produce. Nella concezione strutturalista infatti la categoria fondamentale non è più l'essere, ma la relazione. La relazione è più importante dell'essere, e il tutto delle parti. Anzi, i singoli elementi non sono reali né hanno valore fuori dell'intreccio delle relazioni che li costituiscono.
    La tendenza ad eliminare ogni soggetto si è manifestata soprattutto negli studi di Michel Foucault, che dopo «la morte di Dio» proclamata da Nietzsche, profetizza come prossima «la morte dell'uomo», e da L. Althusser che, a partire dalla tesi di Marx «L'individuo è l'insieme dei suoi rapporti sociali», cerca di interpretare il Capitale esclusivamente secondo il metodo strutturalista. Tutto secondo loro, sta a dimostrare che la esistenza dell'uomo è confinata tra rigidi schemi. La persona è ridotta ai suoi diversi ruoli sociali. I mezzi di comunicazione di massa creano bisogni e attese a piacimento. Le stesse reazioni sentimentali sembrano guidate da fili nascosti. La manipolazione delle masse a livello politico ci ricordano i limiti delle scelte personali e degli stessi gruppi sociali. La cosiddetta libera iniziativa dell'uomo, la libera creazione di un soggetto responsabile e partecipante attivamente alla storia, alla costruzione di un mondo nuovo, passano in secondo piano. Tutto sembra ridursi a movimento di strutture ingovernabili. Lévi-Strauss, uno dei padri dello strutturalismo, non ha paura di affermare: «All'inizio del mondo l'uomo non c'era; non ci sarà neanche alla fine». Secondo Foucault bisogna ridere in faccia a chi parla di uomo, del suo regno, della sua liberazione.
    A posizioni antiumaniste giunge anche L. Althusser. Spiegando il pensiero di Marx secondo cui la storia si evolve a partire dalle contraddizioni che genera al suo interno, egli osserva che il concetto di contraddizione introduce quello di struttura, anzi di prevalenza della struttura sull'uomo, sul soggetto... Tutto è prodotto dalle circostanze, dalla convergenza delle catene strutturali. A questo punto il ruolo dell'individuo nella storia è un falso problema. Althusser è convinto che Marx, Engels, Stalin, Mao sostengano che tutto dipende dalle condizioni. Qui si comprende il cosiddetto antiumanismo althusseriano. La storia è frutto di rapporti tra strutture e di «rotture» tra le stesse strutture. L'uomo finisce per essere ai margini della storia. E la storia rimane senza soggetto umano. «I veri soggetti, scrive Althusser, sono i rapporti di produzione. L'uomo non è altro che il supporto dei rapporti di produzione... la sua realtà non è più consistente di un sottile supporto. Là dove l'uomo è attivo lo è perché " sovradeterminato " dalle strutture».
    Del resto, afferma Althusser, l'umanismo è un problema che riguarda la società borghese di cui è espressione; scomparso il sistema capitalistico, scomparirà anche l'umanesimo, come problema specifico.

    Indicazioni bibliografiche
    Per un approfondimento delle tematiche antiumaniste si può consultare R. GARAUDY, Prospettive dell'uomo, pp. 239-268 (lo strutturalismo di Foucault) e pp. 346-393 (la riflessione di Althusser).
    Come testi di riflessione:
    M. FOUCAULT, Le parole e le cose, Rizzoli 1967, pp. 400-414; una sintesi in PIERETTI 251-259.
    L. ALTHUSSER, Per Marx, Editori Riuniti 1969', pp. 199-206; cfr PIERETTI, 259-267. All'umanesimo senza soggetto si può, non del tutto, ricondurre un certo modo di concepire la vita, quello de L'uomo senza qualità, secondo il titolo di un celebre romanzo di R. MUSIL (Einaudi 1972). MOLTMANN in Uomo (pp. 144-160) riprende queste riflessioni per tratteggiare un certo progetto di uomo che trovando assurda la realtà sociale in cui vive, ridotto come è ad una serie di rapporti sociali, si difende con l'ironia sulla propria situazione (gli indiani metropolitani del marzo '77?) e con la creazione di «isole» sociali in cui, nel tempo libero, crede di poter ritrovare se stesso.

    UMANESIMO DELL'IMPEGNO

    In questo tipo di umanesimo si è soliti includere le analisi e le proposte di due scrittori francesi contemporanei, e cioè A. Camus e J.P. Sartre. Ma l'impegno, inteso genericamente come necessità, da parte dell'uomo, di assumere la responsabilità del proprio e dell'altrui avvenire, è rivendicato anche da parte cristiana, ad es. nella filosofia di E. Mounier.
    Lasciando ora da parte la prospettiva del Mounier (che prendiamo in considerazione a proposito dell'umanesimo cristiano), cerchiamo di presentare, per sommi capi, le proposte di Camus e Sartre.
    Ciò che accomuna i due scrittori è, da una parte, l'analisi relativa all'assurdità e alla totale incomprensibilità dell'esistenza umana, dall'altra, il tentativo di superare l'alienazione ricorrendo prima al riconoscimento dell'inevitabilità dell'esperienza di radicale non-senso che avvolge l'uomo e poi all'apertura morale verso gli altri (la «solidarietà umana» per Camus, il «gruppo», che comporta un costante movimento d'integrazione, per Sartre).
    Entrambe le posizioni suppongono o l'abbandono di qualsiasi a-priori ontologico, cioè la convinzione dell'esistenza di un'essenza che preceda e fondi la vita, umana e cosmica; o la negazione di un qualche valore eterno pre-esistente all'uomo e al mondo, che costituisca il punto di riferimento normativo per il comportamento umano. In altri termini, il «valore» non esiste ancora, l'uomo non può quindi impossessarsene per imitazione o per sequela, ma lo deve ricercare e realizzare esclusivamente in base alle sue potenzialità umane, in assoluta, ma forse anche assurda libertà.
    Nei due casi, però, la soluzione «umanistica» prospettata, come si è già detto, è in direzione di un arricchimento di socialità (con i risvolti etici e politici che un tale progetto comporta: de-privatizzazione, solidarietà, responsabilità sociale...). C'è però ancora un ultimo elemento, non meno importante dei primi, da rilevare: in questa forma di umanesimo manca la garanzia della riuscita positiva della soluzione prospettata: qui il progresso è ancora una categoria del possibile, non del necessario (ciò è messo ben in luce, ad esempio, nel mito di Sisifo di Camus, dove sembra addirittura che l'unica possibilità umana sia costituita dall'accettazione eroica di un destino inevitabilmente fallimentare).

    Indicazioni bibliografiche
    Per avviare un primo approfondimento relativamente alle tematiche dell'umanesimo dell'impegno, suggeriamo la lettura di alcuni passi:
    J.P. SARTRE, L'esistenzialismo è un umanesimo, Mursia 1968, pp. 34-39 (PIERETTI, pp. 106-109).
    A. CAMUS, Il mito di Sisifo, Bompiani 1964, pp. 167-172 (PIERETTI, pp. 102-106).

    UMANESIMI CRISTIANI

    Il cristianesimo non si pone come uno dei tanti umanesimi, ma come una fede che si incarna criticamente nei diversi modi di concepire l'uomo.
    La riflessione cristiana sull'uomo è diventata più urgente in questo secolo, non solo perché i cristiani sono stati chiamati a confrontarsi con le diverse filosofie dell'uomo ma anche, e soprattutto, perché l'uomo, oggi più che in passato, si sente minacciato nel profondo della sua-stessa esistenza, come l'esperienza tragica delle due guerre mondiali stanno a ricordare.
    Nello sforzo di acculturare la fede nei diversi umanesimi e di rispondere alla crescente domanda di senso la riflessione cristiana si è mossa in direzioni diverse, unificabili tuttavia nella tematica dell'impegno nella storia e nella responsabilità «umana» dei cristiani nel mondo. Di qui le diverse teologie: dalla teologia delle realtà terrestri (De Lubac) a quella politica (Metz), dalla teologia della liberazione (Gutierrez) a quella della speranza (Moltmann).
    Un primo tentativo di umanesimo cristiano è quello del movimento personalista, con J. Lacroix e E. Mounier, che si propone di fondare la responsabilità del soggetto e di chiarire la sua posizione nella natura e nella storia.
    Secondo Mounier ciò che ha valore è la persona in quanto tale, creata ad immagine di Dio e giustificata dal sacrificio di Cristo. A partire da Cristo ognuno può e deve realizzarsi come uomo nella costruzione di una società di tipo personalistico, in cui cioè ad ognuno sia data la possibilità concreta, a livello sociale, di svilupparsi liberamente, nel rispetto di tutti. Questa concezione basata sull'impegno ha punti di contatto con l'esistenzialismo di Camus e Sartre. Nella prospettiva personalista però l'uomo non è più impegnato in una ricerca assurda (perché senza soluzione) del valore, ma deve limitarsi ad incarnare un valore, quello della sacralità della natura umana che è già dato in partenza.
    Un posto del tutto particolare, nella riflessione teologica sull'uomo, è occupato dalle intuizioni e dalla esperienza politica di D. Bonhoeffer, che potrebbe essere collocato, almeno per certi versi, dentro un discorso di tipo «radicale». L'uomo contemporaneo, afferma Bonhoeffer, è ormai giunto alla maggiore età. Non ha più bisogno di un Dio tappabuchi, consolatore. E, d'altra parte, Dio stesso gli rivela che ormai vivere da uomo che se la cava senza di lui è la forma più profonda di religiosità. Se in questa esperienza mondana, Dio è sentito lontano, non così Gesù, che con la sua rinuncia alla vita fino alla morte, ritrova il senso della vita per l'umanità intera. Sull'esempio di Cristo, il cristiano è chiamato a realizzarsi come «uomo», prendendo su di sé la responsabilità del prossimo, del mondo intero.
    La riflessione di K. Rahner si sviluppa invece a partire dalle categorie filosofiche esistenzialiste, illuminate dalla teologia della incarnazione. L'esistenzialismo ha sottolineato fortemente il bisogno che l'uomo ha di «essere». Rahner riprende questo tema per affermare che l'uomo è radicalmente ente «aperto all'essere», cioè alla trascendenza e al futuro inteso come luogo privilegiato della manifestazione dell'essere.
    Altre riflessioni teologiche sottolineano, oltre al compito che il cristiano ha di realizzarsi come uomo, il ruolo di «utopia» che la fede ha nei confronti della storia. Secondo Moltmann occorre non illudersi sull'uomo. L'uomo non è Dio né può essere divinizzato, come ci ricordano le tragiche vicende di Auschwitz e Hiroshima. Eppure, proprio questo uomo, creato ad immagine di Dio, è chiamato a partecipare con Dio alla liberazione del mondo. Un compito assurdo e impossibile, se non alla luce della «sofferenza riconciliatrice di Cristo» che dà all'uomo «la forza di sperare là dove non c'è più nulla da sperare, e di amare là dove ci si odia». La morte e la risurrezione di Gesù è l'evento che ha anticipato nella storia la fedeltà di Dio alla promessa di liberazione della umanità ed è pertanto l'evento che fonda la «speranza» della umanità.
    In questa linea che presenta la «fede» come «utopia» della storia si può inserire, tenendo conto della diversità, anche il filone di ricerca che va sotto il nome di teologia politica e che trova in Metz e nella sua idea di fede come «memoria sovversiva della libertà» di fronte a qualsiasi assolutizzazione storica e «riserva escatologica» che opera continuamente per un mutamento radicale della umanità, il suo ispiratore.
    Un accenno anche ad un nuovo filone di ricerca che sottolinea certi temi dell'umanesimo radicale come la riappropriazione del corpo, del piacere, del godimento esistenziale. «Sull'indigenza dell'uomo – scrive Moltmann in un breve libro dal titolo significativo Sul gioco. Saggi sulla gioia della libertà e sul piacere del gioco –, e sulla miseria sociale e politica siamo ben informati; della gioia per la libertà e del piacere di esistere, invece, abbiamo meno esperienza... Perché siamo così poco sensibili a questo aspetto? È forse che i vecchi farisei e i nuovi zeloti, con il loro legalismo conservatore e rivoluzionario, ci hanno messo addosso la paura di fronte alla libertà, alla gioia e alla spontaneità?». Egli propone di «rimettere in valore la gioia nell'ambito dell'estetica, in opposizione alla pretesa totalitaria dell'etica». Il gioco e la festa hanno un ruolo insostituibile nella esistenza umana: «giocando si anticipa ciò che può essere e deve diventare diverso, sopprimendo il bando della immutabilità di ciò che esiste». Nel gioco ci si libera «dalla pressione dell'attuale sistema di vita e ridendo si riconosce che le cose non devono stare così». Tale gioco può essere tuttavia alienato se non è fondato su una utopia. Il fondamento vero del gioco e della speranza di trasformare la realtà che il gioco suscita è la risurrezione di Cristo che «si è fatto beffa della morte». Con la Pasqua di Cristo «incomincia il riso dei credenti, la danza dei liberati e il gioco creativo delle nuove relazioni corporali con la libertà dischiusa, anche se ancora in situazioni che non offrono molti motivi di riso».

    Indicazioni bibliografiche
    Su E. Mounier si vedano i testi già citati a proposito del personalismo.
    D. BONHOEFFER, Resistenza e resa, Bompiani 1969, pp. 245-253 e 264-265 (cfr una sintesi in PIERETTI, pp. 223-227).
    K. RAHNER, Nuovi saggi, Paoline, Roma 1969, pp. 290-297 (cfr il testo ridotto in PIERETTI 227-231).
    J.B. METZ, Sulla teologia del mondo, Queriniana 1969, pp. 107-114; (cfr PIERETTI 239-246).
    J. MOLTMANN, Uomo. L'antropologia cristiana tra i conflitti del presente, Queriniana 1973', spec. pp. 16-44 e pp. 173-193 (alcune pagine sono riportate anche in PIERETTI 235-239).
    Sulle intuizioni per una teologia estetica:
    J. MOLTMANN, Sul gioco. Saggi sulla gioia della libertà e sul piacere del gioco, Queriniana 1971.


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