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    Pasqua di Cristo e libertà dell'uomo



    Luigi Serenthà

    (NPG 1978-03-45)


    Presentiamo l'inesauribile ricchezza della Pasqua del Signore guidati soprattutto dalla preoccupazione di scoprire i rapporti che intercorrono tra la libertà pasquale di Gesù e la libertà crepuscolare e incerta che noi esercitiamo della nostra storia.

    LA LIBERTÀ DELL'UOMO

    Cominciamo col rintracciare in noi stessi la spinta segreta che muove tutta la nostra esistenza. Noi viviamo non di aria o di pane, ma di futuro. L'uomo è anche un essere biologico, bisognoso di tutte quelle cose che sostengono la sua vita fisica; ma si differenzia da ogni altra cosa perché può guardare in avanti, può aprirsi a qualcosa di nuovo. Anche gli altri esseri, viventi o no, hanno un ieri e un domani; ma il loro domani non porta nulla di veramente nuovo, è lo sviluppo meccanico, la ripetizione inesorabile e immodificabile di ciò che è stato ieri.
    L'uomo invece può pensare il domani come qualcosa di nuovo; fa un progetto, cioè può crearsi un'immagine di sé, porla davanti a sé (= progetto) e muoversi verso questa immagine di sé che egli si è posto dinanzi. Possiamo chiamare questa capacità di futuro, questa possibilità di fare progetti col nome di libertà: l'uomo non è ripetizione necessaria di ciò che è sempre stato, ma libera apertura a ciò che non è ancora successo.
    Pensiamo al senso di smarrimento che ci coglie, quando varie circostanze esterne, come una malattia o una pesante situazione familiare, ci impediscono di fare progetti sul nostro futuro; o alla ribellione che proviamo quando qualche persona esprime un giudizio squalificante circa le nostre doti, la nostra capacità di diventare qualcuno, di combinare qualcosa di bello, di interessante, di creativo nella vita; o all'angoscia sottile che ci pervade, quando noi stessi, in un momento di scoraggiamento, abbiamo l'improvvisa intuizione che forse finiremo per essere persone banali, incapaci di costruire qualcosa di veramente nostro.
    Il futuro, il progetto, la libertà sono la vera aria che noi respiriamo e che mantiene in vita il nostro essere. Attraverso l'esperienza della libertà, come progetto del futuro, noi veniamo messi di fronte a qualcosa di diverso da tutto ciò che finora è avvenuto, proviamo l'ebbrezza e il brivido dell'inesplorato, avvertiamo davanti a noi una zona di mistero che esercita un fascino irresistibile. Però tutto questo richiede a noi continua vigilanza, lotta contro ogni forma di pigrizia, attenzione ai segnali che dal futuro ci provengono, fatica nell'uscire continuamente da noi stessi per andare oltre, rischio di prendere una strada che poi forse si rivela improduttiva e ci richiede il coraggio di ricominciare pazientemente da capo. La libertà comincia a farci paura. Allora ci mettiamo a guardare indietro. Ci vengono in mente le volte che ci siamo impegnati a fare un futuro nuovo e costruttivo, ma poi siamo stati delusi. Ci lasciamo influenzare dall'esempio degli altri che cercano di stare bene nel presente, di conservare tutte quelle gioie che possono conservare e, pur di conservarle, tagliano cinicamente la strada a noi o a tutti coloro che li ostacolano. Ci attraversa la mente, come un lampo improvviso, il pensiero della morte, che ci fa dire: ma perché mi impegno tanto, se poi tutto deve finire? Allora gonfiamo, idealizziamo i momenti di gioia che abbiamo avuto nel passato e li mettiamo davanti a noi come nostro futuro, sperando che essi possano durare ancora a lungo: ma in tal modo non progettiamo un vero futuro, bensì compiamo una meschina, squallida conservazione del passato.
    Il passato nostro e degli altri pesa su di noi, non riusciamo a liberarci da esso per tendere al futuro. E perché la vera libertà ci fa paura, le cambiamo i connotati: diciamo che la libertà consiste nel fare quello che vogliamo, cioè consiste nella prepotenza con cui ci aggrappiamo al nostro passato, pretendendo che diventi il futuro nostro e degli altri che noi facciamo ruotare attorno a noi stessi, come strumenti della nostra gioia egoistica.
    Possiamo illustrare meglio il senso della storia e della libertà con un esempio a tutti noto, tratto dalla Bibbia. Il popolo di Israele è diventato un popolo libero attraverso l'esperienza del deserto. In Egitto era schiavo, nel deserto era libero. Ma la libertà aveva un prezzo alto: l'incertezza del domani e i pericoli dei predoni, la faticosa ricerca di una strada, l'inafferrabilità e la misteriosità del Dio dei padri, la cui promessa si riferiva a una terra non ancora posseduta, a un bene non immediatamente disponibile.
    Ecco allora che il popolo si fabbrica un idolo per imprigionare la potenza della divinità in ordine ai bisogni immediati che devono essere soddisfatti; ecco che rimpiange l'Egitto dove c'era la schiavitù, ma c'era anche il cibo assicurato, si sapeva che cosa sarebbe successo l'indomani. Alla fatica del futuro libero, ma misterioso e inafferrabile, il popolo preferisce lo squallore di un passato schiavo ma chiaro e sicuro.
    L'esperienza di Israele è immagine della nostra. Questo confronto, a prima vista, può apparire inaccettabile. La nostra cultura non è rivolta al passato, ma al progresso futuro. La rapidità con cui avvengono i mutamenti di mentalità, di costume, di convivenza sociale ci dà l'impressione di essere uomini fatti per la novità, per il futuro. Ed effettivamente c'è molto di vero in questa impressione. Una constatazione però non può essere disattesa, ed è che il futuro lo attendiamo dalla prestazione automatica di cose che noi manipoliamo e non dalla libera generosità di persone che noi rispettiamo. Noi affidiamo il nostro futuro ai beni che ci verranno sicuramente e meccanicamente garantiti dal progresso tecnico e scientifico. Gli stessi rapporti sociali tendono ad essere visti esclusivamente come oggetto di rigorosa indagine scientifica. Vogliamo eliminare il più possibile l'imprevisto che deriva dalla fragile libertà dell'uomo, con il suo peso di peccato e di buona volontà. Arriviamo così al paradosso che ci sembra più umano un futuro da cui è bandita ogni prestazione umana e in cui anche i gesti umani obbediscono a programmi scientificamente previsti ed elaborati. Ma questa trascuratezza nei confronti dell'umano viene poi pagata con un progressivo deterioramento dei rapporti interpersonali e con la rivolta dello stesso progresso scientifico contro l'uomo. La scienza, nella misura in cui non è coordinata con altre dimensioni umane e diventa un assoluto, paralizza l'uomo: non è speranza, ma nostalgia.

    LA LIBERTÀ DEL CRISTO

    In questo contesto di luci e ombre, con cui l'uomo d'oggi vive la sua libertà, possiamo collocare il messaggio di libertà che deriva dalla Pasqua di Gesù. Lo articoliamo in tre aspetti.
    Il primo aspetto è la libertà di Gesù di fronte al passato. Egli non si è lasciato condizionare da quei beni sensibili e immediati a cui ci inclina il nostro egoismo, incoraggiato dall'egoismo degli altri. L'incomprensione degli amici, l'odio degli avversari, la minaccia sempre pendente sul suo onore, sui beni a cui avrebbe avuto diritto, sulla sua stessa vita, minaccia tradotta poi in atto nella morte in croce, non sono stati per lui un incitamento a difendere rabbiosamente questi beni, continuando la catena di egoismo, di odio, di vendetta da cui gli uomini non riescono a liberarsi. Egli ha rotto la catena del passato: ha visto nell'odio e nella morte preparatagli dagli altri, un motivo per amare di più coloro stessi che gli erano nemici. In base a che cosa Gesù ha potuto compiere questa trasformazione? La risposta sta nel secondo aspetto della Pasqua.
    Il secondo aspetto è la libertà di Gesù di fronte al futuro. Egli ha potuto perdere la vita perché si è fidato del Padre, che crea e ricrea la vita. Ha capito che i beni che l'uomo ricerca e da cui si lascia condizionare sono solo un segno di altri beni, anzi di un unico, fondamentale bene che è l'unione con Dio, termine vero della libertà dell'uomo. E quando l'unione con Dio, l'obbedienza a Dio chiede la rinuncia agli altri beni e alla stessa vita fisica, la rinuncia va fatta con coraggio, nella speranza che Dio può dare nuove forme di vita. Gesù non ha preteso di prolungare nel futuro la sua vita fisica con tutti i beni che le fanno corona; non ha voluto mettere le mani sul futuro, ma lo ha lasciato nelle mani di Dio e l'ha ricevuto dalle mani di Dio come un dono: quel dono che il Nuovo Testamento chiama «risurrezione dei morti», per indicare non la semplice restituzione della vita, ma il dono di una vita nuova, definitiva, diversa rispetto a quella fragile e mortale che noi conduciamo sulla terra.
    Questi due aspetti della Pasqua ci conducono al terzo.
    Il terzo aspetto è la libertà di Gesù di fronte al presente. La vittoria sui condizionamenti del passato, fatto dalla cattiveria dell'uomo, e l'attesa fiduciosa del futuro, preparato dall'onnipotente amore di Dio, si sono tradotte per Gesù in un atteggiamento di impegno generoso verso il presente, cioè verso quelle persone che gli stavano attorno, che costituivano il suo mondo.
    Non ha vissuto il presente con inerzia, ma vi ha inserito una forza rinnovatrice: ha amato i poveri e i peccatori, recando loro la gioia del Padre che guarisce e perdona; ha amato gli indifferenti, suscitando in essi il brivido dell'ignoto e lo stimolo alla ricerca mediante il racconto inquietante delle parabole; ha amato i superbi e i soddisfatti proclamando loro con parole sferzanti il rischio mortale a cui esponeva la loro sazietà ed esibendo ad essi l'inerme forza del perdono quando l'hanno messo a morte.
    Queste fugaci annotazioni sul modo con cui la libertà di Gesù ha vissuto il rapporto con la storia esigono ora una decisiva spiegazione: esse trovano il loro pieno significato nel mistero di Cristo come Figlio di Dio, cioè come colui che, in una forma umana, vive la stessa vita divina del Padre. Per questo la sua vittoria sul passato non è solo la commovente vicenda dell'innocente che vince il male, col suo disarmato amore, ma è vittoria divina sul male, vera distruzione del passato malvagio e condizionante, vero perdono del peccato. Così la risurrezione di Cristo non esprime solo il desiderio che ogni uomo ha di un'altra vita, ma è cominciamento, anticipo, promessa per tutti di quella vita che consiste in una presenza della forza stessa di Dio, in una autocomunicazione della vita stessa di Dio ali' uomo.
    Ancora: la trasformazione del presente da parte di Gesù non è solo un buon esempio umano lasciato ai posteri, ma è forza di rinnovamento che Gesù, vivente per sempre presso il Padre, comunica a coloro che si lasciano raggiungere da lui, entrano in comunione con lui. Dalla storia di Cristo nasce così la storia cristiana.

    LA LIBERTÀ DEL CRISTIANO

    Il mistero della Pasqua di Gesù non viene pienamente annunciato se non si considerano anche i modi in cui esso rivive nella testimonianza dei credenti. La ragione di questo fatto si trova nelle particolari caratteristiche dell'avvenimento pasquale: esso è un evento assoluto. In quanto evento, cioè in quanto episodio capitato ad un uomo singolo di nome Gesù, esso si colloca accanto agli altri fatti storici, non li elimina, non li fagocita, bensì li rispetta nella loro autonomia esaltante o enigmatica. In quanto assoluto, cioè in quanto gesto compiuto personalmente da Dio stesso, esso ha un primato nella storia, avanza la pretesa di ricondurre a sé tutti gli altri eventi storici per illuminarli e fondarli. Nella Pasqua di Gesù il Dio biblico si rivela pienamente come il Dio della storia, che agisce sulla storia, ma anche nella storia. La vita della Chiesa e del cristiano è vita pasquale nel senso che, per la forza che promana dallo Spirito del Cristo Risorto, fa da tramite tra gli eventi della storia e l'evento assoluto di Gesù. La libertà umana cerca di capire e di gestire responsabilmente i fatti della storia. Attraverso l'amore, l'amicizia, le varie forme della vita comunitaria e sociale, l'interpretazione critica delle leggi storiche, l'intervento operoso sui processi fisici, psichici, sociali, l'uomo crea una unità tra gli eventi storici, li organizza, li riconduce alle matrici originarie, li orienta verso un futuro sempre più umano. Il cristiano è partecipe di questo sforzo interpretativo della . storia compiuto da tutta l'umanità; ma la sua libertà, continuamente rigenerata dalla libertà pasquale di Gesù, avverte anche l'incompiutezza delle forme interpretative e trasformatrici della storia messe in atto dalla scienza e dall'amore degli uomini e cerca pazientemente di ricondurre la vera ma parziale unità prodotta dagli uomini alla suprema e definitiva unità donata dal Cristo. A questo punto la riflessione generale sulla Pasqua di Cristo e del cristiano dovrebbe specificarsi in una riflessione particolare sulle forme interpretative della storia elaborate dalla cultura attuale e sul rapporto critico che il cristiano intrattiene con esse. Ma questo significa riflettere su tutto il complesso del messaggio della fede, dall'ecclesiologia all'antropologia, dalla sacramentaria all'etica cristiana. Basti avere qui accennato alla radice pasquale di tutti gli aspetti dell'esistenza cristiana. Per il cristiano ogni giorno è Pasqua: con tutta la gioia e la responsabilità che questo fatto comporta.


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