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    Pasqua con gli Scouts



    Giacomo Grasso

    (NPG 1978-03-31)

    Lo scoutismo dei cattolici è, in Italia, espresso dall'A.G.E.S.C.I., l'Associazione Guide e Scout Cattolici Italiani nella quale sono confluite l'A.S.C.I. (maschile) e l'A.G.I. (femminile). La fusione, compiutasi nel 1974, è stata il naturale sviluppo di uno scoutismo e di un guidismo che, proprio per la loro fedeltà alla metodologia scout, hanno voluto mettere a disposizione dei ragazzi e delle ragazze su uno strumento pedagogico adatto ai tempi e fedele non solo alle chiare indicazioni del Fondatore, ma anche animato da una profonda convinzione: quella di dover continuare ad offrire un ambiente adatto all'educazione alla fede. In questo l'A.G.E.S C.I. è facilitata non solo dalle sue tradizioni ma anche dal continuo collegamento con le associazioni scout cattoliche di tutto il mondo attraverso le due Conferenze Internazionali cattoliche dello scoutismo e del guidismo. Questa è una necessaria premessa perché le esperienze di cui parlerò non nascono ieri: sono il frutto di una lunga maturazione.

    La tradizione liturgica Scout

    Molto la nostra associazione deve allo scoutismo cattolico francese e belga. In questi paesi, negli anni '30 e '40, si è sviluppata, soprattutto in riferimento alla Settimana Santa e alla Pasqua, una vera e propria «liturgia scout» che – a detta di noti liturgisti come ad es. il p. Dalmais – ha non poco influito su quella che è stata la riforma della Settimana Santa voluta da Pio XII e su quella che oggi chiamiamo «la riforma liturgica». In quegli anni, in Italia, lo scoutismo era soppresso e il guidismo non era ancora nato. Ma gli scouts lombardi, le leggendarie Aquile Randagie che facevano dal 1929 scoutismo clandestino, avevano ricchi collegamenti con lo scoutismo francese.
    Crollato il fascismo, nato il guidismo, ripreso lo scoutismo, quanti avevano avuta contatti nascosti con la Francia e il Belgio dettero le prime indicazioni. Non possono essere dimenticati il p. Ruggi d'Aragona e mons. Ghetti. Soprattutto ne beneficiarono il Roverismo (per ragazzi dai 16 ai 20 anni) e lo Scoltismo (per ragazze della stessa età circa). Si tracciò una tradizione che, costantemente rinnovata, permette le iniziative di cui comincio subito a parlare.
    Mi riferisco a tre tipi di attività: quelle per i Novizi (sono chiamati così i ragazzi e le ragazze sui 16/17 anni che vengono introdotti, attraverso un'iniziazione, alla vita della Comunità dei Rovers e delle Scolte); quelle per Comunità di Rovers e di Scolte e quelle per Capi (si tratta di Campi Scuola per giovani/adulti, dai 21 anni in su, organizzati anche nella Settimana Santa).
    Sto parlando non di un piccolo gruppo, ma di un'Associazione che ha, attualmente, circa 18.000 tra Novizi, Rovers e Scolte, e circa 2.000 Capi che si occupano di essi. Dunque mi riferisco ad attività che, con differenze legate alle situazioni e alle tradizioni locali, riguardano ogni anno varie migliaia di persone.

    LA «STRADA» COME METODO EDUCATIVO E COME SPIRITUALITÀ

    Tutte queste attività sono caratterizzate dallo standard educativo proprio al Roverismo e allo Scoltismo. Questo standard è dato dalla strada, dalla comunità e dal servizio. Non c'è attività rover/scolte che non preveda strada (e dunque anche deserto, secondo le indicazioni dell'Esodo), comunità (e dunque, comunione) e servizio (a livello di vita di fede un'introduzione ai ministeri). Tutto, poi, è visto nella prospettiva della partenza (con la quale si conclude l'appartenenza al momento educativo scout). Dunque nella prospettiva della missione. In questo senso si collegano bene la Settimana Santa, la Pasqua e la Pentecoste. L'aspetto più caratteristico è quello della strada. Roverismo e scoltismo hanno sviluppato una propria spiritualità della strada e l'hanno legata non solo a quanto le Scritture (da Genesi, cfr Abramo, a Esodo, a Luca, ecc.) ci possono dire; non solo a quanto ci possono dire le esperienze di uomini e donne come Francesco d'Assisi, Domenico di Guznam, Caterina da Siena, Ignazio di Loyola; non solo a quanto ci propongono autori di spiritualità che hanno vissuto il deserto, ma al fare strada, e al farla secondo un metodo attento ai particolari e tale da permettere l'incontro, il silenzio, la festa attorno al fuoco, il servizio a chi è più solo. Fare strada richiede sempre una preparazione, e richiede spirito di povertà, e semplicità, e amore reciproco. Specie se si cammina sapendosi diversi, e spesso avendo con sé, e completamente inseriti nel gruppo, ragazzi e ragazze ritenuti, per handicap di ogni tipo, diversi. Lo scoutismo non è un movimento di élite. Non è il gruppo dei perfetti coi quali un Capo preparato e un Assistente Ecclesiastico trascinatore fa cose mirabili. Nello scoutismo, anche oggi, ci sono ragazzi di ogni tipo: a tutti si fa un'offerta precisa. Certo non li si adula con giovanilismi indegni di un educatore. Ma neppure si rifiuta l'uno o l'altro perché non è ancora arrivato. Tutti ci sappiamo in cammino, su una strada. Chi crede sa che la strada è anch'essa un piccolo segno di quella strada che è Cristo. Chi non crede o ha una fede debole è messo in condizione, attraverso questo piccolo segno, di accogliere Gesù.
    C'è ancora un'osservazione da fare. Le attività da Pasqua a Pentecoste non nascono improvvise. Sono momenti forti, soprattutto dal punto di vista «educazione alla fede», di un'attività che si snoda durante tutto l'anno e che vede impegnati i singoli gruppi o le singole persone.

    LA ROUTE PASQUALE DI NOVIZIATO

    Un Noviziato tipo può essere formato da 15/20 tra ragazzi e ragazze diretti da due Capi: un Maestro e una Maestra dei Novizi. Ragazzi e ragazze sono di 16 e di 17 anni circa (più che meno, di regola!). Un gruppo di loro (supponiamo 10, sempre stando alla media) ha già fatto un primo anno di Noviziato, un altro gruppo (altri 10), è entrato solo da ottobre. Quelli arrivati da pochi mesi hanno – da gennaio/febbraio – iniziato un itinerario di evangelizzazione. Sembra indispensabile «ridare» o «dare» un primo annuncio esplicito a ragazzi che stanno «noviziandosi» a tutti i livelli e stanno passando dall'adolescenza alla giovinezza. La Route di Pasqua deve tenerne conto: è un primo impatto «forte» con i misteri cristiani dopo un periodo di evangelizzazione. Gli altri hanno già un'esperienza maggiore: saranno loro, con i Capi, a sostenere il peso, anche «morale» dell'attività pasquale.

    I momenti forti

    Scelto l'itinerario si punta su tre momenti forti: la celebrazione eucaristica del Giovedì santo, la strada fatta di notte, tra il giovedì e il venerdì, nel silenzio, l'adorazione del venerdì, e la celebrazione della Croce.
    Celebrare, in tutta semplicità, magari ormai al buio, attorno ad un fuoco, dopo una giornata di cammino, il più possibile pesante, la sera del giovedì santo, permette un'attenzione ai gesti semplici ma estremamente densi previsti dalla liturgia. La lavanda dei piedi, compiuta dall'Assistente assistito dai Capi, è più che un rituale. È un momento denso di servizio e molto gradevole per chi ha camminato tutto il giorno. L'agape fraterna che segue alla celebrazione è momento di gioia. Se non si può avere con sé il proprio prete, allora si cerca di arrivare in una comunità, parrocchiale o di religiosi. Con essa si celebra, in un ambiente dove il rito è certamente più consueto ma dove la comunità è più ampia e diversificata, cercando, dopo la celebrazione, un contatto con la gente. Questo è reso più facile in piccoli paesi, o in centri in cui esistono ancora tradizioni popolari specifiche.
    Camminare, soli, o distanziati, nella notte e arrivare là dove si può vivere un momento di adorazione, è di nuovo un momento molto ricco. Chi lo sperimenta passa attraverso la solitudine del deserto e viene posto, ancora una volta di fronte a se stesso, ma nella prospettiva degli altri, degli amici, che stanno vivendo la stessa esperienza.
    Poi c'è ancora strada, e infine la celebrazione della Croce, con le sue letture. La strada (i momenti di sosta, le pause che danno alla strada anche una certa piacevolezza), permette l'ascolto e la riflessione: i brani biblici possono essere presentati e commentati.
    Così si arriva al sabato santo, al suo «vuoto» liturgico. È una giornata che può essere trasformata – sempre nella strada – in momento anche di servizio.
    Basta giungere per il mezzogiorno in una località (prima ben determinata) nel quale si sa di poter svolgere un'attività: sarà con bambini, o un'attività manuale, un'azione di solidarietà.

    LA ROUTE PASQUALE DI COMUNITÀ ROVERS/SCOLTE

    Una Comunità può essere di circa 20/25 persone. Ha anch'essa due Capi, e anche qualche Aiuto. La gente ha dai 18 ai 21 anni. Il momento pasquale è stato già vissuto varie volte. Se resta importante il momento di strada può anche acquistare un rilievo particolare il deserto (per es. durante tutto il Venerdì santo). È possibile un partage dell'evangelo. È anche possibile un impegno di servizio più ampio e qualificato. Può essere compiuta una Veglia preparata nei mesi precedenti e offerta alla gente che si incontrerà. Si possono ripetere gli schemi già detti per il Noviziato. Ma ognuno di essi ha avuto una specifica preparazione. Se c'è l'Assistente Ecclesiastico, la celebrazione viene preparata da lui con l'équipe liturgica che ruota giornalmente. Così le celebrazioni acquistano la ricchezza comunicata dal gruppo. È sempre, si noti, un «gruppo di giovani», dunque una comunità in ricerca, in costruzione.

    Pasqua come esperienza di chiesa reale

    Nello scoutismo si è restii a ritenere che un gruppo giovanile possa essere considerato o, peggio, considerarsi, una vera comunità. Allora si cerca di aggiungere, ai diversi momenti, l'incontro con una comunità cristiana. Possibilmente con una comunità religiosa. Se si legge il Concilio si sa che i religiosi non sono certo da considerarsi «i migliori» ma «segni» sì, lo sono. Ed è abbastanza facile, nonostante tutto quel che si va dicendo, trovare una comunità religiosa «segno vero». Saranno le tre suore già un po' vecchiotte dell'asilo del paese. Tre donne che, anche senza molte parole e nei limiti delle loro persone, danno una testimonianza: due stanno tutto il giorno coi bambini, l'altra lavora in cucina e pulisce i pavimenti. Non solo capita di rado trovare altri luoghi scintillanti per la loro ricchezza spirituale: non è neppure così utile andare a cercare solo quelli. C'è il rischio di farsi un'immagine distorta della comunità ecclesiale. Occorre mescolare bene le esperienze: un po' dell'uno e un po' dell'altro permettono un contatto colla Chiesa reale, quella che chiamiamo la Chiesa del Cristo. Quella che ammette anche noi, nelle nostre limitate capacità... Con la comunità religiosa si può pregare, far festa (anche nei giorni della Passione perché si vive sempre nella prospettiva della Pasqua), e lavorare.

    IL CAMPO DI PASQUA PER I CAPI

    È per Capi (dunque per giovani/adulti dai 21 anni in su) che terminano l'iter formativo richiesto dall'Associazione. Dura otto giorni: dal sabato prima della Domenica delle Palme al Sabato santo. Sono otto giorni di strada, ma anche di sessioni di studio su argomenti educativi e metodologici. Sono otto giorni vissuti intensamente dal punto di vista di «vita di Fede». I partecipanti si preparano, come Capi, ad un servizio anche quanto all'educazione alla Fede. È presupposta una «scelta adulta» (cfr. RdC, 139). Altri Campi Scuola vengono organizzati nel corso dell'anno. Quello di Pasqua ha una sua specifica caratterizzazione dovuta al tempo liturgico.
    Gli avvenimenti dell'incontro seguono quelli della «grande settimana». La possibilità di viverli «camminando» permette la rievocazione dei temi dell'esodo e dei temi pasquali con grande semplicità. Dalla processione delle Palme al silenzio del Sabato santo, il gruppo in strada ha la possibilità di costruirsi una liturgia adatta al suo porsi concreto. Un momento di rilievo acquista il canto di mattutino e lodi e il canto del vespro.
    Pur trattandosi di un Campo Scuola, questa attività può essere interpretata come un singolare corso di esercizi spirituali, e in questo senso può anche diventare un modello al di là della specifica attività scout. Ho già fatto cenno alla spiritualità della strada, o dell'Esodo, e a quella, ad essa intimamente connessa, del deserto. Viverla, questa spiritualità, facendo diretta esperienza di strada significa dare un contenuto molto ricco e vitale ad opere che presentano la vita cristiana come una strada (cito, tra le altre C. SPICQ, Vita cristiana e peregrinazione, Città nuova, Roma 1973).

    Le tappe del cammino pasquale

    L'attività inizia il sabato precedente alla Domenica delle Palme. E inizia con un'esperienza: si passano alcune ore, a gruppi di due o tre, in ambienti nei quali si sta facendo un'esperienza comunitaria e di servizio. La cosa non è difficile se il punto di partenza è una grande o media città. Per il giorno dopo è previsto un appuntamento in una località di collina, o appenninica, o anche alpina, dalla quale si potrà partire ormai «a piedi». La celebrazione delle Palme può vedere coinvolta una comunità parrocchiale (precedentemente contattata), o anche essere il primo momento della strada: ci si muove processionalmente e durante il cammino ci si ferma per la liturgia della Parola e per quella eucaristica. Alla sera uno spazio di tempo sufficientemente ampio è dedicato alla riflessione comune su quanto si è fatto. Durante la strada si può dare tempo al silenzio e all'introduzione di una celebrazione penitenziale. Se la strada è di tre/quattro ore c'è tempo sufficiente alla confessione privata.
    Lunedì, martedì e mercoledì santo hanno una struttura simile. Si tengono le lodi e i vespri, si celebra l'eucaristia, si possono anche, nelle soste del percorso, svolgere brevi sessioni (che nel caso del Campo Scuola riguardano l'educazione scout e l'educazione alla fede, ma che possono anche essere solo sessioni del tipo «conferenze spirituali»). I momenti dedicati alla confezione dei pasti (sempre sobri perché quando bisogna avere nello zaino il cibo per qualche giorno ci si riduce all'essenziale), sono momenti di gioia comunitaria. Così alcune serate.

    Il triduo pasquale

    Alla sera del mercoledì santo, verso le 22, il gruppo si scioglie: si parte per un itinerario fatto da soli, a piedi o in autostop, senza soldi, colla sola carta d'identità, senza né zaino né tenda. Basta una giacca per parare il freddo, e un poncho, qualora piovesse. Gli itinerari sono già prestabiliti. A chi parte si consegna un brano biblico su cui meditare, un pane e un po' di sale...
    Il giovedì santo il ritrovo è alle 16. Inizia la liturgia del giovedì. E inizia tradizionalmente, sia che si svolga in una chiesa sia che si svolga all'aperto. Se è all'aperto si cerca un luogo prossimo o ad un lago, o ad un torrente, o, almeno, ad una fonte. Così il momento della lavanda dei piedi (l'ho già detto: per chi cammina acquista un senso molto ricco), viene facilitato. All'omelia del prete si aggiunge un'ampia partecipazione di preghiera e di testimonianza. Sono le preghiere e le testimonianze nate durante la notte e la giornata di solitudine. Alla celebrazione segue una cena fraterna, preparata con una certa abbondanza dai responsabili del Campo.
    Ancora una notte «tesa». Quella tra il giovedì e il venerdì è notte dedicata all'adorazione. A turno ci si reca, per tutta la notte, in una chiesa o cappella vicina (non è mai difficile trovarne). Il turno è di un'ora.
    Il venerdì e il sabato, fino alle 12, sono dedicati, oltre alle consuete celebrazioni liturgiche o di preghiera, a momenti più frequenti di sessione. Non ci si muove più, in genere, e si ha tempo per introitare quanto si è ascoltato e vissuto. Poi si ritorna, in modo da poter trascorrere la notte di Pasqua in città, possibilmente nella Chiesa cattedrale, e il giorno di Pasqua a casa. Il Campo è finito. Non credo lo si dimentichi facilmente. Ne parliamo ancora con amici coi quali lo si è fatto insieme sette anni fa. Il cliché che ho presentato l'ho sperimentato per sette anni di seguito con circa duecento persone (complessivamente). Abbisogna, ovviamente di una buona preparazione anche tecnica, le tende, i cucinini, l'attrezzatura per far montagna, i percorsi ben conosciuti, i contatti previ), ad evitare intoppi. Talora la sorpresa felice è data dall'incontro con comunità molto semplici, colle quali si riesce a trascorrere tempi di preghiera e di festa molto intensi.

    LE ROUTES DI PENTECOSTE

    Ho detto che lo scoutismo collega, nelle sue attività, la Pasqua alla Pentecoste. Un brevissimo cenno, molto standardizzato, alle Routes di Pentecoste che non pochi gruppi, con un'organizzazione regionale, vivono in diverse regioni italiane (l'esperienza più ricca è quella lombarda). Vi partecipano molte centinaia (talora migliaia) di giovani. Esse hanno inizio nel primo pomeriggio del sabato che precede la Pentecoste e terminano nel primo pomeriggio della domenica. In genere si svolgono a «clan di formazione» (cioè a gruppi costruiti sul momento); su un tema (per es. l'anno scorso su «evangelizzazione e promozione umana»). Prevedono momenti di cammino, momenti di riflessione e di ascolto, momenti di preghiera. Nella notte un «fuoco» di amicizia e di veglia. Come conclusione una liturgia eucaristica che unisce i diversi gruppi. Si cerca di formare i gruppi tenendo conto delle provenienze e dell'età (si separano, in genere, i «Noviziati» dalle Comunità di Rover e Scolte). Si invitano dei «testimoni», cioè gente che sia in grado di presentare un proprio vissuto. Si forniscono, in anticipo, spunti di riflessione.

    Conclusione

    Fin qui le esperienze. Credo che, dal racconto, sia anche emerso il loro carattere, e quanto, a livello di creatività liturgica, esse possano dire.
    L'elemento comune, l'atmosfera che si respira è quella della strada. A questo proposito le parole servono poco. Occorre sperimentare direttamente, perché la strada è continua scoperta, bisogno di conversione, messa a nudo di quello che si è, legame comunitario, partecipazione, stimolo di servizio. Se poi la strada passa attraverso mete che vanno conquistate con fatica, allora le indicazioni, i riferimenti, aumentano e si comprende cosa significhi quella parola «strada» con la quale, nell'evangelo secondo Giovanni, Gesù si identifica dicendo: «Io sono la strada» (Gv 14,6). In Gesù la «strada» diventa evangelo. Noi fatichiamo a percorrerla. In Gesù «siamo portati». Su di essa possiamo sperimentare stanchezza e anche errore. In Gesù conosciamo la gioia e l'unico accesso, sicuro, al Padre.
    Questo si può apprendere, e con questo anche altro del nostro essere cristiani, facendo strada, dalla Pasqua a Pentecoste, utilizzando metodi e tecniche dello scoutismo posti al servizio della vita di fede.


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