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    Ogni lettura è sempre un fatto esperienziale



    (NPG 1978-05-46)


    Siamo in un gruppo giovanile. Abbiamo appena letto il brano evangelico della tentazione di Gesù nel deserto.
    Ciascuno è invitato ad esprimere la sua prima spontanea reazione. Si sentono battute come queste:
    – Satana... gli angeli... bah! Io ci credo poco a queste cose.
    – Se almeno Gesù avesse ceduto... E invece no. Non c'è proprio nulla da fare!
    – Sì, è proprio vero... Gesù sarebbe più vicino a noi, più umano, se avesse ceduto alla tentazione...
    – Questi fatti sono capitati nel deserto. Là non c'era nessuno. Chissà come hanno fatto a conoscerli...
    – In tutto il racconto non si parla di donne...
    Una cosa appare immediatamente: questo testo ha una preistoria nella vita di ciascuno. Se non ci si sforza di eliminarla questa preistoria, se, anzi, si tenta di evidenziare da cosa si parte per leggere un testo, allora si manifestano le nostre precomprensioni.
    Ciascuno di noi legge il testo a partire dalle sue esperienze passate, dalle sue fantasie, dai suoi desideri, dalla sua cultura, dal suo carattere, dal suo ambiente sociale, dalle sue lotte, dalla sua età, dalle sue scelte e dal suo sesso... In altre parole, l'angolo da cui leggiamo il Vangelo è molto personale, parziale, situato.

    LA LEGGE DELLA PRECOMPRENSIONE

    Quando un giovane di 18 anni legge un testo che gli parla di Dio Padre, comprende questo messaggio attraverso la sua esperienza di paternità. Paternità reale, perché egli ha un padre reale, paternità fantastica, perché egli un'idea del padre ideale; ma comunque paternità che egli vive come figlio.
    Quando egli si sposerà e diventerà a sua volta padre, entrerà in un'altra esperienza di paternità: senza cessare di essere figlio, egli eserciterà a sua volta una paternità attiva. Lo stesso testo gli parlerà in modo diverso. E le vicissitudini di queste due relazioni (a suo padre e a suo figlio) influenzeranno la sua comprensione del testo; esso non è dunque inerte, immobile, realizzato una volta per sempre.
    Basta questo esempio per mostrare come si costruisce il nostro rapporto con il testo. Ogni allargamento delle nostre esperienze, del nostro spazio culturale, autorizza e realizza una nuova comprensione del testo; ne chiarisce alcun aspetti mentre solleva nuovi problemi e mobilita nuovi interessi.
    Questa affermazione pone alcuni punti fermi importanti:
    1. Il testo non è mai totalmente comprensibile: c'è sempre un di più di senso che ci sfugge.
    2. Ogni nostra lettura è necessariamente parziale, provvisoria, soggettiva, in se stessa in divenire.
    3. Questo limite, che rende parziale ogni nostra interpretazione, è ciò che oggettivamente la rende vera e preziosa; questo ostacolo che la blocca è ciò che la vivifica.
    4. Nessuna persona al mondo può pretendere di possedere una visione totale e onnicomprensiva del Vangelo. Anche il Papa, come chiunque altro, è legato al suo spazio psicologico, sociologico, culturale. È una pericolosa mistificazione la pretesa di cogliere il Vangelo in assoluto, Il «luogo» totale è un non-luogo. Non esiste.
    5. L'incredulità è essa stessa un luogo culturale. Anche essa permette una propria lettura evangelica. La Chiesa, in questo senso, non possiede il monopolio della lettura del Vangelo.
    Questo schema, che vale per la crescita di una persona in quanto individuo, sul quale si tenta di dare ragione del suo rapporto evolutivo rispetto al Vangelo, vale anche per la collettività nel suo divenire storico.
    Ogni età dell'umanità ha sue conquiste; di conseguenza la sua rappresentazione del mondo ne viene modificata. Essa si arricchisce continuamente e il Vangelo ci parla in termini sempre nuovi. Si dà però anche il caso che alcune percezioni essenziali all'umanità si offuschino o spariscano dalla sua cultura. Così si atrofizzano certe comprensioni del Vangelo.

    VANGELO E GRUPPO

    Fatte le debite proporzioni, possiamo analizzare ciò che capita in un gruppo, quando ciascuno viene invitato ad esprimere ciò che pensa e ciò che coglie di una pagina evangelica.
    Il Vangelo non dice la stessa cosa a ciascuno. Se perciò si parte con l'idea che l'unità di gruppo va realizzata e organizzata attorno all'unità di significato, è proprio questa unità di gruppo ad essere compromessa dalla pluralità di significati scoperti.
    Facciamo un esempio.
    Discutendo sul suicidio di un celebre scrittore, un gruppo si interroga sul suicidio in generale: è un atto di viltà o di coraggio?
    E così ci si confronta con il Vangelo. L'educatore propone di riflettere sulla risurrezione di Lazzaro. Con qualche giovane, egli legge questo testo come l'espressione del potere assoluto di Dio sulla vita e sulla morte delle persone. Con questa conclusione: il suicidio è immorale; solo Dio ha pieni diritti sulla vita, che egli solo dona e riprende.
    Un sottogruppo, però, attorno ad un leader, si esprime in modo diverso. Dice: non è vero che solo Dio dona la vita; sono i genitori che la danno e qualche volta anche senza volerlo espressamente. Non è solo Dio che riprende la vita, ma anche la malattia, un incidente, la vecchiaia...
    Da queste considerazioni nasce un modo diverso di interpretare la risurrezione di Lazzaro. Egli poi è morto; dunque la sua risurrezione era solo una procrastinazione. Non è come per Gesù. Perché Gesù ha risuscitato Lazzaro? Forse perché egli era «morto male»: senza avere una morte radicata nella sua vita, una morte ancora attiva e che avrebbe potuto segnare un atto importante della sua vita. Forse, invece, perché Lazzaro era morto passivamente, senza una vera coscienza, per debolezza, quasi si fosse lentamente addormentato.
    Gesù lo risuscita, lui che aveva detto: «La mia vita nessuno me la può prendere, sono io che la dono». Per permettere a Lazzaro di fare un'altra morte, una vera morte, seria e consapevole, perché non sia né l'età, né la malattia, né la morfina a prendergli la vita, la sua vita. Ma egli la doni liberamente.
    Se le cose stessero così, bisogna dire che Gesù ci invita a decidere della nostra morte. Ci invita ad esercitare il nostro diritto sulla morte, perché sia la «nostra» morte, come egli ci dà il diritto sulla nostra vita. Il problema del suicidio va analizzato a partire da questa nuova prospettiva.

    CHE FARE?

    Non vogliamo entrare nel fondo di questo problema. Ci interessa soltanto analizzare ciò che capita nel gruppo quando ci si trova di fronte ad una pluralità di significati, proprio mentre si pensava possibile mettersi d'accordo su di un senso unico, «il» senso di «questo» brano. E d'altra parte, questo è il tipo di approccio normalmente praticato: il Vangelo offre una cauzione ideologica per un'opzione morale che non è riuscita ad elaborare autonomamente le proprie ragioni. È la «ragione» di una causa che non ha trovato le sue ragioni.
    A parte quest'uso discutibile del Vangelo, resta il problema della pluralità di significati. Il rapporto dei membri del gruppo con il testo si sdoppia in un rapporto dei membri tra di loro mediante il testo. -
    Il principio d'unificazione del gruppo si sposta e cambia natura. Non c'è più l'immagine unanime di un gruppo che confessa la sua adesione ad un significato evangelico che gli si impone. Se ci sarà un'unità possibile, questa non sarà sicuramente l'unanimità e sarà frutto di discussioni e di transazioni tra persone che si riconoscono in opzioni diverse. L'unità non è qualcosa di dato, ma qualcosa da costruire. Essa non dipende più dal testo, ma dal gruppo. Di conseguenza, anche se si trova spinto ad impegnarsi per restaurare l'unità di' significato con il peso della sua autorità, l'educatore non ha solo il compito di servire alla comprensione del testo, ma quello di facilitare gli scambi nel gruppo e di favorire la crescita delle formulazioni.
    Le posizioni vanno precisate e chiarite mediante un confronto reciproco. I partecipanti sono chiamati a chiarirsi le reciproche precomprensioni: ciò che loro spinge a dire quello che di fatto dicono, approfondendo e studiando, magari mediante una documentazione seria.
    La differenza di posizione, quando nasce in un gruppo effettivamente unito, porta sempre con sé importanti fenomeni relazionali.
    Si continua a parlare del testo e del suo senso; ma di fatto si parla di se stessi, più o meno esplicitamente, «mediante» il testo.
    Si elabora un significato e si elabora il gruppo stesso. Il Vangelo non è solo nel testo di cui si parla, ma anche nel modo con cui se ne parla. È una relazione che si va costruendo attorno alle molteplici proposizioni di senso. E non servirebbe proprio a nulla che l'animatore, per troncare un dibattito che lo inquieta, imponga l'ultima versione esegetica di moda. Vanificherebbe così ciò che invece costituisce il nocciolo del lavoro: il movimento verso il significato e il movimento verso il gruppo, espressi l'uno e l'altro in un unico cammino.

    Queste pagine sono tratte da uno strumento di lavoro molto interessante per i gruppi che vogliono approfondire l'approccio psicosociologico alla lettura della Parola di Dio:
    L'évangile dans les groupes (Centre Documentation Recherches - 108 bis, yìrue de Vaugirard, 55006 Paris.


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