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    L'informazione sessuale nella scuola



    (NPG 1978-04-70)


    L'educatore che abbia in animo di affrontare il compito impegnativo di aiutati i ragazzi a risolvere i loro problemi esistenziali, deve avere ben chiari nella mente le finalità da perseguire e i limiti da imporre ai propri interventi e a proprio linguaggio, per non incorrere in errori e in imprudenze. Di qui la necessità di un sapiente «dosaggio» della quantità di informazioni di carattere sessuale, da impartire di volta in volta ai ragazzi: non si deve mai dire tutto, m porgere soltanto l'aiuto e il chiarimento richiesti, al momento opportuno, m modi e nei tempi, nella quantità e nella qualità delle informazioni, adatte alla situazione, alle capacità, alla recettività e maturità del richiedente, alle sue esigenze e all'urgenza dei suoi problemi: una dose massiccia di informazioni, non sollecitate dal ragazzo e quindi non motivate psicologicamente, può recare danni e perfino creare dei traumi, altrettanto pericolosi dell'ignoranza e della disinformazione». Al ragazzo si deve offrire solo l'aiuto di cui ha bisogno in quel momento e se a lui interessa sapere che cosa sia, ad esempio, il controllo degli sfinteri, è perfettamente inutile dilungarsi con lui sulla descrizione anatomica dei suoi organi genitali: ora a lui questo non interessa. Più tardi, quando la spinta interna lo guiderà e se ne presenterà l'occasione, egli porrà un'altra domanda riguardante i suoi organi; e allora sarà il caso di fornire, con esattezza, l'informazione richiesta, perché egli sarà maturo per riceverla e per recepirla nel migliore dei modi; ma solo allora, non prima: è il ragazzo, con le sue necessità e i suoi problemi che deve orientare i nostri interventi, non siamo noi che dobbiamo imporgli un ritmo di apprendimento e di sviluppo.

    LE DOMANDE SCOTTANTI

    Questa «parcellizzazione» delle informazioni, operata secondo le necessità e le richieste, rende molto più agevole e naturale tutto il discorso di carattere sessuale ed evita anche quello che spaventa molti insegnanti, i quali sono desiderosi di affrontare in classe, con i loro ragazzi, argomenti di educazione sessuale, ma sono pieni di timore, perché non ancora affrancati da lontani tabù, e timorosi di dover spiegare anche «quello» (e per «quello» intendo l'atto sessuale, la copula); parecchie colleghe mi hanno infatti più volte confidato che sarebbero ben liete di affrontare e di discutere con gli alunni certi problemi, ma ne sono impedite dal timore di dover rispondere a domande «scabrose», cui il proprio pudore si ribella.
    Ebbene: se si sono abituati i ragazzi a capire gradatamente le cose, quella domanda non verrà posta, e, si badi, non per un senso di pudore o di colpa, ma perché, immessi gradatamente nell'argomento, abituati a intuire, dedurre, a ragionare, giungeranno da soli alla soluzione del problema che tanto preoccupa la maggior parte delle insegnanti e non avranno bisogno di ulteriori delucidazioni; oppure la domanda «fatidica» verrà posta, in forma semplice e serena, con tranquilla fiducia (cioè senza i sorrisetti e le smorfie che si rilevano in una classe non ancora preparata «emotivamente» all'argomento); in questo caso non si dà una risposta collettiva, ma si fornisce, a parte, all'interessato, una breve spiegazione scientifica (cercando di capire soprattutto quanto sappia e come sappia già). Le poche volte in cui mi è accaduto di dover rispondere direttamente a questa domanda, è bastato che io facessi l'esempio della mano e del guanto perché subito i ragazzi (naturalmente già informati sulla anatomia dei due sessi e sulle analogie tra il maschio e la femmina) intuissero e ne fossero appagati: come si vede, nessuna situazione scabrosa, nessuna necessità di usare vocaboli spinti, di entrare in particolari intimi.

    «A CIASCUNO IL SUO»

    Va sempre tenuto presente, a proposito di informazione di carattere sessuale, che, a parità di età, si rileva spesso nei ragazzi uno sviluppo psicofisico molto diverso: nella stessa classe, infatti, accanto al preadolescente già maturo per un approfondimento di carattere sessuale personale, si trova il compagno ancora psicologicamente immaturo, legato alla sfera del fantastico, desideroso quindi di «essere lasciato in pace», di non essere cioè coinvolto in un discorso per lui prematuro; tale sfasatura si avverte soprattutto sui tredici anni, a livello di seconda, in classi miste, dove si nota che le ragazzine sono già quasi tutte protese a sondare, a esplorare, a capire quanto sta avvenendo in loro, mentre i compagni sono ancora fanciulleschi, amanti dei giochi collettivi, chiassosi, nei quali poter sfogare la loro carica emotiva e la loro energia, ancora lontani dai turbamenti della pubertà. È compito allora dell'educatore consapevole fare in modo di riuscire a risolvere gli interrogativi e i dubbi delle prime senza sollecitare un interesse fuori luogo (perché non motivato psicologicamente) nei loro compagni. Questo problema, naturalmente, non sorge con tale urgenza in classi omogenee (solo maschili o solo femminili) dove l'insegnante è agevolato anche dal fatto che si rivolge a ragazzi con analogo sviluppo psicofisico e con problematica sostanzialmente simile. Il discorso risulta tuttavia molto più concreto e formativo se rivolto ad ambo i sessi, contemporaneamente, in una classe mista, in cui la presenza degli uni e delle altre cala la problematica nella realtà concreta e dove il fatto stesso che maschi e femmine, insieme, con serietà e con rispetto reciproco, dibattano i loro problemi è già una forma di emancipazione morale e di educazione sessuale in atto. Il primo effetto di questo educarsi reciproco lo si rileva nel comportamento: irruenti in un primo tempo e pronti a mettere le mani addosso alle compagne, i ragazzi a poco a poco imparano ad aver rispetto dell'altro sesso, a sentire il corpo come un bene prezioso, da non avvilire, da non mortificare, mentre le ragazze perdono quella carica di civetteria e di ostentazione che le porta a essere sempre un po' subdole e provocatorie nei confronti dei compagni; gli uni e le altre acquisiscono quella consapevolezza tranquilla e quella consuetudine alla convivenza che favoriscono il nascere di gruppi di lavoro affiatatissimi e amicizie profonde, basate sulla stima, sulla fiducia, sul rispetto, sulla collaborazione reciproca.
    « A ciascuno il suo »: questo dovrebbe essere il motto dell'educatore che intenda compiere opera veramente costruttiva, agendo con i ragazzi e per i ragazzi, in veste di operatore sociale, che svolge la propria attività al servizio dei giovani, delle famiglie, della comunità. Egli deve sempre calare la sua azione nella realtà, in cui si trova a operare, per essere veramente certo di aiutare tutti e ciascuno, secondo le necessità, servendosi di volta in volta di mezzi diversi: della conversazione individuale e collettiva (1), sempre « promotrice » e chiarificatrice, ai colloqui familiari, alle delucidazioni scritte, ai diari personali (2), ecc. Tuttavia, pur nelle varie angolature, nella diversa articolazione della materia, dei ritmi differenti che caratterizzano questa impostazione metodologica, c'è sempre, a dare ordine a ogni intervento, « un filone » conduttore, un canovaccio invisibile che sottende la didattica, anche se questa può apparire svagata, sfumata, per motivi contingenti (quali la diversa sensibilità, l'età e le differenti esigenze dei singoli), onde renderla accessibile a tutti, nel rispetto della libertà di ciascuno. Tale filo conduttore comprende:
    — a livello di 11-12 anni: il concepimento, la gestazione, la nascita, i problemi del neonato;
    — a livello di 12-13 anni: i problemi del bambino, le sue conquiste, la sua evoluzione, dalla primissima infanzia all'età puberale.
    — a livello di 13-14-15 anni: la differenziazione dei sessi e i problemi biologici psicologici, sociologici dei preadolescenti.
    Questa, naturalmente, è solo una traccia, molto sommaria e indicativa di un programma che deve essere fluido e suscettibile di articolazioni, in quanto destinato a quella realtà sempre in fieri che è il preadolescente.

    IL RAPPORTO CON LE FAMIGLIE

    È di fondamentale importanza, per una buona riuscita dell'opera educativa, la collaborazione diretta con le famiglie dei ragazzi, con tutte le famiglie. A tal fine, si deve impostare, a partire dai primi giorni di scuola, un dialogo aperto con i familiari, di chiarificazione e di apertura, che immetta i genitori nel vivo del contesto scolastico, rendendoli così compartecipi e corresponsabili di ogni azione educativa che coinvolga i loro figli.
    I primi incontri saranno destinati a una conoscenza reciproca; si passerà quindi a chiarire ai genitori finalità didattiche, a illustrare le proprie metodologie, richiedendo contemporaneamente una franca esposizione dei personali punti di vista e delle aspettative di ciascuno sui vari problemi scolastici in generale e sul problema dell'educazione sessuale in particolare, onde avere immediatamente la misura della loro apertura, resistenze o chiusura di fronte a questo delicato settore dell'educazione. Ogni dialogo sarà volto anche a percepire il «clima» in cui il ragazzo vive, il substrato culturale, le esigenze, le motivazioni, il tipo di educazione impartita dai genitori, il grado di inserimento della famiglia nel contesto sociale, l'eventuale disadattamento, ecc.

    NECESSARIA CHIAREZZA

    È onesto, oltre che opportuno, in questi incontri, essere espliciti, spiegando con molta franchezza e con estrema chiarezza i propri intendimenti e i propri punti di vista, perché le famiglie sappiano a chi affidano l'educazione dei loro figli e quale sarà l'indirizzo che verrà seguito nel corso della didattica. Da questo clima di spontaneità e di franchezza scaturirà immediatamente la possibilità di intessere, per quanto riguarda il problema dell'educazione sessuale, una preziosa collaborazione scuola-famiglia: qualunque sia infatti la preparazione e la sensibilità dell'educatore, la sua attitudine, il suo grado di intuizione e di penetrazione psicologica, la sua competenza pedagogica, l'opera diretta della famiglia nella educazione sessuale del preadolescente risulta sempre (salvo casi rarissimi) molto più valida di quella dell'insegnante: in altre parole, per certi problemi, per certi aspetti del suo divenire psicofisico, è sempre preferibile che il ragazzo sia messo in condizione di rivolgersi alle figure parentali, che riceva dai genitori le informazioni, i lumi, i consigli, di cui ha bisogno, in quanto questo intervento è veramente formativo perché più naturale e «nella logica» delle cose.
    Di qui allora la necessità di conoscere esattamente la disponibilità dei genitori, la loro capacità di collaborare con l'insegnante; di qui anche la opportunità di sapere quale tipo dí informazione e di educazione essi abbiano impartito, in fatto di materia sessuale, quale rapporto abbiano instaurato con i figli, quale possibilità di apertura al problema esista.

    TEMPI E MODALITÀ DI INTERVENTO

    Appena si sia giunti a una linea d'azione comune e reciproca, si possono stabilire tempi e modi di attuazione del progetto, con animo aperto ai consigli, agli interventi, ai legittimi ritocchi dei genitori, ai quali è opportuno richiedere anche (e non solamente per una istintiva cautela o per non correre il rischio di essere accusati, da genitori retrivi, di... corruzione di minore!) un'autorizzazione esplicita a procedere, autorizzazione che assume un valore psicologico, oltre che burocratico, in quanto con essa il genitore delega la scuola a svolgere un ruolo fondamentale nella educazione del ragazzo, senza che tuttavia la famiglia sia inconsapevole o abdichi al suo potere discrezionale, alla sua libertà di scelta, alla sua possibilità dí interventi diretti. In una società industrializzata, che scinde e disperde ogni giorno dí più í membri dell'antica famiglia patriarcale, tipica della società agricola dí un tempo, si fa sempre più impellente la necessità che, nella scuola dell'obbligo, l'educatore affianchi o prenda il posto dei genitori, con intelligenza e con discernimento, onde impedire che i ragazzi vengano « scaricati » nelle aule di una scuola inadeguata (che funga solo da «area di parcheggio»), facendo sì che i preadolescenti vengano immessi in un « centro sociale » promotore di interessi e di personalità, capace di colmare quel vuoto lasciato dalla famiglia, e di aiutare veramente il ragazzo, nella fase più delicata della sua esistenza, a raggiungere la sua vera e completa dimensione umana. Purtroppo la scuola è ancora lontana da questa meta: le mancano personale preparato in campo psicologico, pedagogico, sociologico; difettano le strutture (scuola integrata, tempo pieno); scarseggiano i mezzi. Per questo chi si senta in corpo l'ardore del pioniere deve servirsi di tutte le occasioni, per sollecitare la partecipazione attiva delle famiglie e dei vari Enti sociali, per immettere la scuola nel vivo dei problemi e della dinamica giornaliera; a tal fine, si promuoveranno incontri frequenti e periodici con i familiari, e delle riunioni nelle quali si discuteranno (alla presenza dei ragazzi, anche se capita abbastanza spesso che, sia i genitori sia i ragazzi, non gradiscano troppo incontrarsi per parlare di questi problemi, per una sorta di pudore o di diffidenza invincibile; talora invece, genitori e figli si schierano gli uni contro gli altri, polemici e vagamente ostili) insieme con gli altri insegnanti e con gli esperti dell'équipe medico-scolastica, argomenti di interesse generale. A questo proposito, devo sottolineare che sono risultati molto utili e formativi alcuni seminari condotti dagli « esperti » (un sociologo, un pedagogista e un'assistente sociale) prima separatamente con i genitori, con gli insegnanti e con i ragazzi, per sondare reazioni, opinioni, necessità, aspettative, sfociate quindi ín incontri collettivi, per un proficuo scambio di idee e dí esperienze, per cogliere, dei vari problemi, angolatura diverse e punti di vista dei genitori, dei docenti e dei discenti.

    TENDERE LA MANO AI GENITORI

    Nella maggior parte dei casi, i genitori si rivelano ansiosi di cooperare, di affrontare con i loro figli problemi sessuali; ma si confessano impreparati, confusi, afflitti da pudori ancestrali e non sanno come e quando iniziare il discorso con i ragazzi i quali, a loro volta, non abituati fin da piccoli al dialogo, spesso sfuggono l'occasione, non si aprono o diventano elusivi. Se la scuola viene loro in aiuto, porge loro la mano perché non siano frustrate tante buone potenzialità e disposizioni, se gli esperti inquadrano i problemi, coinvolgendo nell'azione educativa le singole famiglie, il dialogo diventa subito veramente costruttivo e promotore di civismo in quanto, attraverso la scuola, si educano anche le famiglie e, di conseguenza, si contribuisce a elevare la società.

    NOTE

    (1) «Confidenze provocate» le definisce il Binet.
    (2) Il Debesse li cataloga sotto la voce «introspezione guidata».


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