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    Introduzione a: Pasqua giovani


    (NPG 1978-03-19)


    Assistiamo oggi, dopo il cosiddetto boom negli anni del dopoconcilio, ad una situazione di stasi e, in alcuni casi, di smobilitazione della liturgia. Non è male che sia finito il facile entusiasmo per la traduzione dei libri liturgici e, per dirla con una immagine, per l'altare girato verso il popolo. Ci stiamo rendendo conto con maggior chiarezza e realismo della difficoltà di «adattare» la liturgia all'uomo d'oggi, ai giovani soprattutto.
    Proprio in questa linea di adattamento o meglio di creatività siamo convinti però che la liturgia non è affatto, come sostengono alcuni, all'anno zero. Chi guarda senza prevenzioni la realtà ecclesiale non può non accorgersi dei tentativi, alcuni validi altri meno ma tutti stimolanti, di fare liturgia in modo più rispondente alle esigenze dell'uomo d'oggi..
    Stanno nascendo dei «modelli di celebrazione» a cui occorre prestare molta attenzione. Dopo essere andati a scuola dei teologi della liturgia è tempo che ci si metta anche a scuola di quelle comunità e gruppi che stanno appunto elaborando dei nuovi modi di fare liturgia.
    Il dossier PASQUA GIOVANE risponde a questo bisogno di attenzione a chi, nel concreto dei gruppi giovanili, sta ricercando un modo di «fare Pasqua» che sia abbastanza convincente e stimolante per i giovani.
    La Pasqua dei giovani non è un fatto nuovo nell'orizzonte ecclesiale.
    Da più di dieci anni si parla dei giovani che trascorrono i giorni di Pasqua a Taizè, Bose, Spello e negli altri santuari della spiritualità giovanile degli anni sessanta. Con questo dossier vogliamo fare un passo avanti presentando dei modelli di PASQUA GIOVANE più vicini alla situazione di fatto e alle possibilità operative dei nostri gruppi giovanili.
    Abbiamo detto che è importante partire dal basso, dalle esperienze.
    Proprio per questo, nel dossier, abbiamo dato molto spazio a ciò che i gruppi fanno. Le valutazioni che seguono non hanno la pretesa di esaurire il discorso ma solo di avviarlo per i singoli gruppi. Facendo un processo simile a quello operato da quei gruppi che a partire da Taizè si sono interrogati sul come acculturare la Pasqua nel proprio ambiente.
    L'obiettivo del dossier viene così a precisarsi come offerta ai gruppi giovanili di esperienze che hanno qualcosa da dire non per le cose che dicono ma per lo sforzo a cui invitano gli altri gruppi a integrare celebrazione della Pasqua e cultura giovanile. A progettare una PASQUA GIOVANE a misura della fede e della cultura del proprio gruppo.

    FATTI

    Le esasperazioni della «liturgia selvaggia» da una parte e il ritorno alla «liturgia di Pio V» dall'altra occupano, di tanto in tanto, le colonne dei giornali e dei settimanali. A guardar bene i due fatti hanno, a parte le direzioni opposte in cui si muovono, qualcosa in comune. In entrambi i casi si contesta un certo modo di fare liturgia, quello che non rispecchia la cultura di chi celebra Tradizionalisti e progressisti, insoddisfatti di una liturgia che nulla dice alla loro esperienza umana e di fede, tentano di acculturare la liturgia. I primi ritornando alla vecchia liturgia, i secondi ricercando una creatività fuori di ogni legame con la tradizione.
    Tutto questo non fa che sottolineare quello che, in fondo, è il vero rischio della liturgia oggi, il rischio della «liturgia delle rubriche».
    Non vogliamo affatto dire che norme e rubriche hanno fatto il loro tempo, ma che devono, invece, essere capite in modo corretto come punto di partenza per un serio discorso di acculturazione della liturgia.
    L'acculturazione non si fa a tavolino. Non la fanno gli «esperti». Essi possono solo individuare alcuni criteri entro cui muoversi.
    La acculturazione avviene nel vivo delle comunità ecclesiali. Di quelle almeno che non si adattano alla «liturgia delle rubriche».
    Per le comunità giovanili il discorso della acculturazione è più urgente che per quelle di adulti in genere. E, del resto, è facile che proprio le comunità giovanili abbiano molto da dire a riguardo.
    Occorre tuttavia evitare il giovanilismo. Esperienze come quelle di «Pasqua giovane» non sono frutto solo dei giovani ma di uno sforzo.ben più vasto da parte di educatori adulti e di intere comunità cristiane.
    Le esperienze di «Pasqua giovane» che presentiamo possono fare scuola.
    A condizione però che l'interesse per le cose descritte non pregiudichi lo sforzo di capire il processo di cui sono espressione e frutto.
    Solo così il processo di acculturazione non si ferma. Altrimenti si finirà ancora una volta nel ricevere una liturgia già confezionata; con tutti i rischi che questa operazione comporta. Anche nel caso di una celebrazione della Pasqua confezionata da altri giovani.
    Proprio per favorire l'attenzione alla maturazione che deve accompagnare la progettazione di una «Pasqua giovane» a misura del proprio gruppo presentiamo delle esperienze abbastanza diverse sia come ambiente sociale ed educativo che come impostazione delle feste di Pasqua. Sarà più facile intravedere come la Pasqua può acculturarsi in modi diversi.

    PROSPETTIVE

    La Pasqua come celebrazione del senso profondo che la storia acquista dentro il mistero pasquale del Cristo rischia di rimanere qualcosa di molto astratto se, di fatto, non riesce a farsi significativa di «questa» storia, quella che, nel nostro caso, vivono i giovani del '78.
    Per questo a partire dalla propria esperienza e dal confronto con l'evento di morte e risurrezione di Gesù, ogni comunità giovanile è chiamata a chiedersi che cosa significhi in concreto fare Pasqua.
    Se questo avviene, ogni gruppo, entro certi limiti, farà una Pasqua diversa dagli altri gruppi e ogni anno la sua Pasqua avrà delle risonanze nuove rispetto alla Pasqua degli anni precedenti.
    Ci sono tuttavia alcune linee comuni che oggi, soprattutto a livello giovanile, indicano come fare Pasqua. Ne ricordiamo alcune.

    1. La riscoperta della Pasqua come «utopia»

    L'incertezza culturale, il disagio economico, lo stato di disgregazione sociale, la crisi dell'impegno politico dei giovani della generazione del '68, stanno portando i giovani del '78 ad un realismo che sa più di caduta di prospettive e di valori e di scarsa disponibilità a pagare di persona per raggiungere certi ideali che di adattamento positivo e maturo alla realtà.
    Se la Pasqua di Cristo deve significare qualcosa per i giovani d'oggi, questi sono i fatti che deve illuminare criticamente. La Pasqua è contestazione di questa caduta di valori. Non attraverso richiami più o meno moralistici ad un impegno per l'impegno senza che se ne veda il senso, ma attraverso un ricupero della «utopia» della storia frutto della risurrezione di Cristo.
    Celebrare la Pasqua, immergendosi per alcuni giorni nella contemplazione del «novum» della risurrezione di Gesù, deve significare, per i giovani d'oggi, ritrovare la possibilità di un «novum» per questa società. Un «novum» tutto da costruire ma fondato su un evento decisivo per il senso della storia.

    2. Vivere la comunità come «profezia»

    Il discorso della utopia acquista particolare importanza se riletto in chiave di vita comunitaria.
    Chi vive con i giovani sa bene che molti di loro si abbandonano ad un soggettivismo che assume i tratti di una nuova forma di egoismo.
    Non si può negare che il rifluire dal politico al personale fosse un processo necessario, per recuperare alcuni valori persi per strada in questi anni. Come non si può negare che, nell'insieme, i problemi sociali siano sentiti da una fascia di giovani più vasta di una volta. Tuttavia occorre essere leali e rendersi conto che questo interesse per il sociale sta subendo, in molti, un preoccupante regresso. I rapporti sociali sono spesso segnati dalla legge della giungla e da oppressione più o meno evidente da parte di chi ha il potere. Alla società e alle diverse forme di aggregazione sociale si fa riferimento quasi solo per delle rivendicazioni. Alle comunità ecclesiali e ai gruppi giovanili si chiede sicurezza, una identità precisa un rifugio nella crisi sociale, ma non uno spazio di reale umanizzazione e di contestazione della società. In questa situazione fare Pasqua deve significare una ripresa del fare comunità. Chiedere ai giovani di vivere per alcuni giorni una vita comunitaria alternativa deve essere l'occasione per riflettere criticamente sulla crisi che segna i rapporti interpersonali, comunitari e sociali alla luce del fare comunità come «dono» della Pasqua di Cristo. I giorni di Pasqua devono essere giorni in cui il vivere l'utopia della comunità contesta radicalmente un certo stile di vita e crea lo spazio per nuovi rapporti sociali.

    3. Riscoprire le condotte di tipo simbolico

    La riscoperta delle condotte di tipo simbolico può essere intesa in due sensi. Come riscoperta del senso profondo dello specifico della celebrazione in genere (e di quella pasquale in specie) rispetto al quotidiano. Come risposta al bisogno, oggi più che mai vivo, di immaginare un mondo diverso. Il futuro non lo si immagina con il pensiero. Col pensiero lo si può, al massimo, progettare. Lo si immagina invece quando, compiendo dei gesti simbolici, ci si trasporta, in qualche modo, in un mondo che «contesta» quello attuale.
    Il senso di questi gesti simbolici nei giorni di Pasqua può essere spiegato da alcune espressioni di J. Moltmann sul gioco in genere. Dopo aver criticato il gioco «se serve soltanto a dimenticare ciò che non può essere mutato» (in questo caso ogni forma di «celebrazione» è alienante, compresa quella liturgica) egli scrive: «Si prova gioia nella libertà quando giocando si anticipa ciò che può essere e deve diventare diverso, sopprimendo il bando della immutabilità di ciò che esiste... Il senso del gioco è allora identico a quello dell'arte, cioè quello di opporre ai soliti e quotidiani ambienti dell'uomo degli antiambienti e controambienti e, con un confronto cosciente, rendere possibili la libertà creatrice e delle alternative per il futuro. Allora non si gioca soltanto con il passato, al fine di sottrarsi per un po' di tempo ad esso, ma si gioca di più con il futuro al fine di imparare a conoscerlo. Ci si libera nel gioco, e cioè giocando, dalla pressione dell'attuale sistema di vita e ridendo si riconosce che le cose non devono stare così come stanno e come viene asserito da tutti che così devono stare».
    La liturgia è un «gioco». Non l'unico tuttavia possibile nei giorni di Pasqua, come hanno evidenziato le esperienze presentate nei FATTI.
    Anzi, dato che la liturgia è un gioco abbastanza complicato, per essere vissuto e goduto con pienezza ha bisogno che attorno ad esso vengano organizzati altri giochi, altri momenti simbolici. Gesti simbolici di servizio, di attenzione reciproca per sottolineare il valore della persona, di «uscita» dalla città per esprimere il distacco e, insieme, la decisione di vivere dentro la città...

    4. La decisività della risurrezione di Gesù

    Celebrare la vita, in tutte le sue dimensioni, può essere abbastanza facile, soprattutto per un gruppo di giovani. Tanto più oggi in cui la insoddisfazione del presente chiede di immaginare una nuova qualità di vita e la riscoperta di valori come il corpo, la gioia di vivere e la festa aprono nuove possibilità di celebrazione. Ciò che è invece difficile, per i giovani e per tutti, è celebrare la vita nella fede, celebrarla cioè come luogo in cui, per dono di Dio, si sta realizzando la Pasqua come passaggio della umanità dalla «schiavitù» alla «libertà».
    Con i giovani soprattutto occorre ritrovare il fondamento della Pasqua cristiana. I rischi altrimenti non sono pochi. Ne citiamo due.
    Il primo rischio è di celebrare la vita per se stessa, come capacità che essa ha di trascendersi continuamente, con le sue forze. Gesù stesso, in questa concezione, può trovare spazio come modello di questo autotrascendimento dell'uomo e della storia.
    Il secondo rischio è di celebrare il Cristo come qualcuno che non ha più niente da dire a chi vive oggi. È purtroppo la situazione più comune. Fare Pasqua diventa un'opera di restauro archeologico, un flash back in un passato di duemila anni fa, senza che questo abbia un preciso interesse per le vicende odierne. Celebrare la vita e celebrare Cristo devono integrarsi. La Pasqua di Cristo è infatti ciò che dà sapore alla vita, assumendola e contestandola ad un tempo. La vita è ciò che giustifica la presenza di una Pasqua, è lo spazio vitale in cui la Pasqua di Cristo agisce continuamente.
    Occorre dunque, per una matura celebrazione della Pasqua, riscoprire il ruolo unico e decisivo che la morte e risurrezione di Cristo hanno per la storia. Quella personale e quella della umanità.

    PER L'AZIONE

    È importante che la Pasqua sia una festa accessibile a tutti secondo il livello di fede e di vita cristiana di ciascuno. Per non fare anche della Pasqua, come di altre attività, una festa dei puri.
    Non ha dunque senso proporre ai giovani un unico modo di «fare Pasqua». Tanto più che, realisticamente, la stessa liturgia pasquale è fruibile, sia a livello di possibilità di presenza che di comprensione e interiorizzazione, solo da una minoranza di giovani. Sia perché la liturgia pasquale ha una struttura complessa, da iniziati. Sia perché di fatto la Pasqua non è una festa «popolare», come invece, entro certi limiti, lo è ancora il Natale.
    Al principio del pluralismo, liturgico ed extraliturgico, nel celebrare la Pasqua occorre aggiungere che è altrettanto importante concentrare gli sforzi pastorali attorno ai momenti essenziali della liturgia pasquale.
    In questa concentrazione di sforzi ci sembra fondamentale privilegiare la celebrazione della veglia pasquale. Convincendosi, fra l'altro, che è importante che la celebrazione sia fatta di notte e non nella tarda sera, come troppo spesso si fa.
    Anche questo è però un obiettivo a lungo termine. Nell'immediato una soluzione buona sembra quella di presentare la domenica di passione e la domenica di risurrezione come due momenti, anzi i due momenti essenziali della celebrazione del mistero pasquale. Ciò richiede che le due domeniche siano pensate in questo senso. Richiede ad esempio, che la domenica di passione sia centrata sulla meditazione e sulla esaltazione della passione e morte di Gesù e non sulla funzione, spesso solo folcloristica, delle palme.
    In fondo occorre che la liturgia dei giorni di Pasqua sia progettata con maggior elasticità, scegliendo fra le varie celebrazioni che la liturgia offre per quei giorni. Non per cavarsela a poco prezzo o fare di meno; ma per tentare di educare a celebrare alla luce delle esigenze attuali e favorire, con la qualità di ciò che si fa, una celebrazione migliore.


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