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    I punti-fermi di una ricerca sulla spiritualità giovanile



    (NPG 1978-07-56)


    QUALE PROGETTO

    Quando ci si confronta con un problema così impegnativo come risulta quello della spiritualità per i giovani d'oggi, ci si trova immediatamente davanti ad un bivio: un progetto unitario o una pluralità di progetti?
    L'interrogativo è serio e chiaramente motivato in campo di teologia pastorale. RdC ricorda in modo perentorio che «la misura e il modo di questa pienezza (l'annuncio e l'esperienza cristiana) sono variabili e relativi alle attitudini e necessità di fede dei singoli cristiani e al contesto di cultura e di vita in cui si trovano» (75).
    I giovani d'oggi rappresentano un universo omogeneo e unitario?
    La risposta, a prima vista, è certamente negativa. Da qui la conclusione, facile ed immediata: non si può parlare di progetto unitario ma di pluralità di progetti.
    La nostra posizione è, invece, più sfumata e articolata.
    Crediamo alla necessità di elaborare un progetto largamente unitario, da adattare e da reinterpretare successivamente sulla misura dei destinatari concreti. E questo, per motivi che ci sembrano egualmente seri.

    Superare l'eclettismo pastorale

    Tra le conseguenze negative dell'attuale pluralismo bisogna sicuramente annotare anche l'eclettismo pastorale che purtroppo segna molti processi di pastorale giovanile.
    Fino a pochi anni fa avevamo una serie di orientamenti teologici e pastorali omogenei e ben strutturati. La prassi era legata a scelte teologiche precise. Esse si rifacevano normalmente ad un'unica scuola. Il rinnovamento conciliare ha aperto il dialogo tra la teologia e quelle scienze dell'uomo che la cultura moderna aveva largamente frammentato e disarticolato. Sono nati così diversi sistemi teologici e di conseguenza diversi progetti pastorali.
    Non si tratta di un pluralismo solo formale, come potrebbe apparire a prima vista, quasi si usassero dei sinonimi per esprimere le stesse realtà. Ci sono espressioni differenti degli stessi contenuti della fede, perché è molto diverso l'orizzonte di presupposti e di problemi che forma la chiave interpretativa personale e collettiva .
    In campo pastorale bisogna però scegliere: decidersi per una linea o per un'altra, se non si vuole restare perennemente con le mani in mano.
    Purtroppo molti operatori pastorali scelgono, prendendo di qua e di là, senza la preoccupazione di armonizzare e di verificare i presupposti che sostengono una linea o l'altra. E così, sul terreno dell'azione pastorale, ci si trova spesso con «materiali» difficilmente omogenei. Il loro uso richiede continuamente un salto di qualità e di senso.
    Le conseguenze sono quelle che quotidianamente verifichiamo. Molti giovani d'oggi possiedono «personalità cristiane» disintegrate. Hanno una sensibilità fortissima in una direzione e sono carenti totalmente nell'altra. O tentano di far sussistere contemporaneamente visioni culturali che invece fanno a pugni.
    Altre volte si giunge ad emarginare dalla propria vita spirituale quelle dimensioni che non sono state formulate in modo coerente, rispetto all'orientamento di fondo.
    Potremmo fare molti esempi, ripetendo le cose che ciascuno di noi costata ogni giorno.
    L'eucaristia è vissuta, in molti gruppi, con una forte carica comunitaria, si è fatto spazio alla creatività e alla partecipazione, i «contenuti» celebrati si muovono nella logica di un rapporto pasquale tra Chiesa e mondo. La penitenza, invece, è ancora molto individualistica e intimistica, legata a concezioni formali di «peccato» e di «salvezza»; qua e là non sono definitivamente scomparsi i toni burocratici. Risultato? L'insignificanza della penitenza per molti giovani e gruppi... Lo stesso si potrebbe dire a proposito della «morale», della «preghiera», della «ascetica cristiana»...
    Questa costatazione ci costringe ad una decisa inversione di rotta. Non sogniamo i bei tempi in cui tutto era omogeneo. Per fortuna, è difficile fare marcia indietro. Chiediamo però all'operatore pastorale di superare l'eclettismo: di sapere reinterpretare i tratti costitutivi dell'esperienza cristiana alla luce di un orientamento teologico e antropologico (e cioè pastorale) unitario. Il confronto con i modelli diversi gli lascerà la coscienza della relatività della sua scelta. Ma, intanto, saprà operare in termini armonici, per servire veramente la crescita unitaria delle persone.

    Le costanti della condizione giovanile

    È vero che i giovani di oggi formano un universo molto frastagliato, tanto da rendere generica ogni affermazione che pretenda di descrivere tutti i giovani.
    Gli studiosi della condizione giovanile ci assicurano però che esistono alcune «costanti». Esse formano quasi il tessuto connettivo dell'attuale mondo giovanile.
    Non tutti i giovani le vivono in modo consapevole e riflesso, perché si tratta di tensioni espresse prevalentemente da élites. Anche se le manifestazioni esterne sono diverse e contraddittorie, le loro radici sono però abbastanza unitarie ed omogenee, perché hanno spesso cause strutturali.
    Lo stato di insicurezza che attraversa la condizione giovanile attuale, per esempio, viene superato da alcuni nel ricorso alla violenza o nell'uso della droga; da altri nel disimpegno e nell'immersione sfrenata nel consumismo; altri, invece, colgono in questo fatto una precisa domanda esistenziale e si rendono disponibili a coloro che sanno dialogare con queste attese.
    Non ci mettiamo ad elencare quali siano queste costanti, per non ripetere cose già scritte anche su questa rivista (cf 1978/1). Qualche accenno lo faremo tra poco. Lo stesso articolo sulla nuova «domanda religiosa» offre una panoramica stimolante, proprio in questa direzione.
    Questa costatazione ci aiuta a fare un passo avanti.
    Come abbiamo ricordato in apertura del dossier, noi cerchiamo una spiritualità sulla misura di «tutti» i giovani, una proposta che sia praticabile dalla massa. Le «costanti» formano la piattaforma obbligatoria di dialogo. Evidenziando le dimensioni radicali e profonde della condizione giovanile attuale, assicurano sulla possibilità di impostare veramente un confronto con tutti i giovani.

    Verso un progetto unitario e articolato

    Questi due motivi ci invitano ad elaborare una proposta precisa, unitaria e articolata, di «spiritualità giovanile».
    Abbiamo scelto la spiritualità della liberazione, perché ci sembra globalmente vicina alla sensibilità giovanile e perché possiede una sperimentazione popolare alle spalle. Ci sembra un progetto unificante e aperto, che permette di raccogliere le dimensioni costitutive dell'esistenza cristiana, senza forzature.
    La nostra scelta resta comunque una proposta. Una delle tante, senza nessuna pretesa di definitività.
    In questo contesto ci sta a cuore soprattutto sottolineare l'esigenza di un progetto unitario e articolato, qualunque esso sia in concreto. I due aggettivi sono soppesati.
    Unitario significa organico, strutturato. Che possieda cioè un orientamento teologico-pastorale di fondo, capace di fornire il principio catalizzatore per tutte le dimensioni costitutive dell'esperienza cristiana.
    Articolato significa duttile, modificabile, ristrutturabile concretamente sulla misura storica dei destinatari con cui si dialoga. I giovani, legati ancora al clima culturale della prima contestazione, giocano molte carte sull'impegno. I loro problemi ruotano attorno al rapporto fede-politica. La spiritualità della liberazione è molto eloquente con interlocutori del genere, senza bisogno di ulteriori adattamenti. Molti adolescenti di oggi sono invece meno sensibili alle dimensioni del collettivo e del politico mentre sono più attenti ai problemi del personale e della nuova qualità di vita. La spiritualità della liberazione offre un tessuto connettivo stimolante, anche in questa situazione. Ma richiede una riformulazione più profonda.

    CI PUÒ ESSERE UNA SPIRITUALITÀ GIOVANILE?

    La lunga premessa è stata elaborata tenendo conto di un dato importante in campo di pastorale: la fedeltà ai destinatari. Questo è un criterio centrale della nostra pastorale giovanile. Lo sarà anche della ricerca sulla spiritualità? E in che senso? In fondo, potrebbe nascere un'obiezione: è possibile parlare di una spiritualità «per i giovani» o, invece, non è meglio ricordare che esiste un'unica fondamentale spiritualità cristiana, a cui tutti devono adeguarsi? Il problema se lo sono posti gli stessi teologi che hanno studiato la spiritualità della liberazione, in America Latina.
    «Non esistono varie classi di cristianesimo, come non esiste un cristianesimo rivoluzionario o borghese o pacifista o proletario. Il cristianesimo rimane sempre uno, come si irradiò dalle parole e dalla persona di Gesù, alla stessa stregua che la vita cristiana rimane sempre l'opzione fondamentale consistente nel seguire Cristo morto e risorto, nel partecipare alla sua pasqua. Pertanto l'unica definizione possibile della spiritualità cristiana è questa partecipazione alla pasqua di Cristo. La sua norma e il suo punto di riferimento non si fondano su ideologie, siano esse religiose, sociali o politiche, ma solo sull'evangelo, il quale ci dice che la spiritualità cristiana è segnata dalla sua origine battesimale. (...) Questa dinamica pasquale che forma la spiritualità cristiana, si appoggia, nello spazio e nel tempo, su diversi valori evangelici, mettendoli in risalto. Non sempre gli stessi valori nutrono la fede di ogni cristiano e di ogni processo storico, nell'identificazione con Cristo morto e risorto. In questo senso si può parlare di cristianesimo, per certi tempi o certi cristiani, come pure di diverse spiritualità cristiane» (S. Galilea).
    La citazione descrive molto bene il riferimento pastorale in cui anche noi ci collochiamo. Nell'esperienza cristiana c'è qualcosa che permane e ne costituisce la radicalità: la fedeltà all'evento pasquale.
    Questa dimensione è normativa; fuori di qui non siamo più nella fede. Questo evento possiede però una ricchezza così ampia e incontenibile, che nessuna sua espressione culturale può diventare l'unica. Del resto esso segue la logica dell'Incarnazione: esiste solo incarnato nell'oggi. Assume perciò qualcosa dal tempo e dallo spazio in cui lo si vive. In questo senso, in ogni progetto di vita cristiana c'è qualcosa da ricercare, da inventare, da costruire e qualcosa di «vecchio», da abbandonare.
    Quali criteri possono orientare il confronto tra «normativo» e «culturale-storico»? Come armonizzare la fedeltà a Dio e ai destinatari?
    Su quali parametri si può costruire una spiritualità per i giovani d'oggi?

    I criteri: fedeltà a Dio e fedeltà all'uomo

    Ormai è facile rispondere a questa domanda, perché esiste una lunga e consolidata tradizione pastorale. Anche la ricerca sulla spiritualità si misura sulla fedeltà a Dio e all'uomo, in un'unica radicale fedeltà.
    In primo luogo bisogna assicurare la funzione normativa che compete alla Parola di Dio che giudica e pone in questione continuamente la nostra vita di credenti. Nessun adattamento può essere realizzato a scapito di questo fatto centrale nell'esistenza cristiana. Non si tratta di cercare o di inventare una proposta più facile, praticabile a poco prezzo, edulcorata. Ma, fondamentalmente, di metterci in atteggiamento di ascolto, disponible e profondo, del progetto di Dio sull'uomo, testimoniato dalla sua Parola nella comunità ecclesiale.
    La funzione normativa della fede va assicurata sia in rapporto ai valori che la fede offre (ciò che nella terminologia classica veniva chiamata la «fides quae»: i contenuti della fede), sia in rapporto alla novità di vita e alla logica pasquale di morte e vita, che a questi valori corrisponde (la «fides qua», e cioè l'atteggiamento esistenziale del credente).
    Nello stesso tempo si richiede una profonda fedeltà alla condizione giovanile. Ad ogni condizione esistenziale corrisponde uno stile tipico di santità cristiana e quindi di spiritualità (LG 41). Come abbiamo già ricordato in molti altri contesti, questa esigenza di fedeltà alla condizione giovanile (ai «destinatari») è un fatto teologico e non metodologico: scaturisce dalle esigenze stesse della fede e non dai ritrovati della moderna pedagogia.
    Come articolare la doppia fedeltà, per evitare che questi imperativi siano vissuti in modo alternativo?
    Anche a questa domanda abbiamo già dato molte risposte. Citiamo, a titolo di esempio, lo studio sul «principio dell'Incarnazione» (1978/6).
    Alla luce di quelle riflessioni teologiche, possiamo concludere che l'unificazione tra le due fedeltà si realizza quando le esperienze umane e i tratti caratteristici della nuova condizione giovanile formano lo stimolo a cogliere e a reinterpretare la fede stessa. La condizione giovanile diventa il criterio ermeneutico che ci aiuta a ripensare la «fides quae» e la «fides qua».
    Non è in gioco la trascendenza dei valori di fede, ma solo le traduzioni storiche di questi valori. Il servizio che la condizione giovanile fa alla fede non è quello di supplirla, ma quello di stimolarla a cogliere i significati sempre più veri dei suoi valori e a sottoporre a costante processo di verifica le loro espressioni storiche. D'altra parte la fede ha il compito insostituibile di giudicare la condizione giovanile e le analisi che sono fatte per descriverla. Bisogna sempre leggere i dati socioculturali «in uno sguardo di fede», per cogliere le convergenze e le divergenze esistenti tra «questi» giovani concreti e i tratti costitutivi dell'esistenza cristiana.
    In questa prospettiva, non sono la storia o la cultura che determinano la spiritualità. Le sue dimensioni portanti le derivano dall'evento di salvezza che è Gesù Cristo. Ma questo evento fondante prende continuamente «carne» nella storia e nelle culture.
    L'evento della fede resta così sempre il dato normativo irrinunciabile, ma si ripete lo stile dell'Incarnazione: «ripensare» gli splendori della «forma» divina nella povertà della «forma» umana, come dice la lettera ai Filippesi.
    Non si può parlare di una spiritualità, definita una volta per sempre, che si «adatta» ai destinatari, centellinando qualcosa da un «deposito» immutabile. Si deve invece parlare di «inveramento»: di una spiritualità che esiste in concreto in una condizione, si incarna in uno stile esistenziale e storico.
    Queste riflessioni ci conducono ad una importante conclusione.
    Se la «relatività» ai destinatari è condizione di autenticità teologica, non possiamo «conservare» i progetti di spiritualità del passato, con la pretesa che siano i migliori e i più sicuri. Ripetere oggi le linee di spiritualità elaborate in una cultura diversa dalla nostra, comporta, inevitabilmente, il tradimento dell'evento di salvezza: la logica dell'Incarnazione richiede una continua incarnazione, il confronto continuo tra l'evento e la cultura.
    Sono conclusioni molto stimolanti e che mettono in crisi una certa prassi pastorale. Chi «conserva», disperde e vanifica. Chi, invece, tenta faticosamente nuove «incarnazioni», è fedele. Vive da cristiano.

    Spiritualità e condizione giovanile

    Abbiamo suggerito un importante criterio ermeneutico. Applicato saggiamente, può avere un grosso peso pastorale.
    La finalità pratica di questi appunti ci spinge a tentare qualche concreta applicazione, per suggerire quell'itinerario che ogni comunità ecclesiale dovrebbe percorrere in proprio.
    Ci chiediamo: tenendo conto delle sensibilità più diffuse dell'attuale condizione giovanile, come ripensare i tratti fondamentali di una spiritualità? Facciamo l'operazione, riferendoci soprattutto alla «spiritualità della liberazione», per dare maggior concretezza alla riflessione. La stessa metodologia può essere assunta, anche in un diverso orientamento globale.
    Gli studiosi della condizione giovanile attuale ci offrono un ritratto dei giovani che mette in evidenza alcune «costanti»: la mancanza di un progetto coerente di vita e le difficoltà, oggettive e soggettive, per ipotizzarlo; un diffuso senso di angoscia; la riscoperta di valori non funzionali, legati al personale, al gratuito, alla festa; il disorientamento culturale; la poca disponibilità a scelte e la scarsa continuità negli impegni; il bisogno di autonomia e di libertà; l'esigenza di partecipazione e di corresponsabilità...
    Da questi imperativi reinterpretiamo il dato teologico sulla salvezza cristiana e sul Regno di Dio (= la liberazione cristiana). Il processo ci permette di evidenziare alcune dimensioni particolarmente congeniali con l'attuale sensibilità giovanile.
    - Il Regno di Dio è tra il «già» e il «non-ancora». Un non-ancora da costruire faticosamente, nella speranza fondata sull'esperienza del già.
    Questo ci conforta e ci responsabilizza. Siamo all'interno di un grande progetto, che ci supera: che ci è donato. Si tratta però di un progetto da realizzare mediante decisioni personali, mediante quotidiani impegni: nella nostra risposta all'appello di Dio il Regno si costruisce faticosamente nella storia.
    Ogni realizzazione è sempre nella logica del non-ancora. È quindi solo parziale inveramento del Regno. Da celebrare e da superare. Il Regno di Dio è progetto che rassicura, contro la disperazione che nasce nella costatazione delle crisi quotidiane. Ma è anche relativizzazione continua dell'oggi, verso il futuro di Dio.
    - Il Regno di Dio si costruisce in un corretto rapporto tra ortodossia e ortoprassi. È «costruzione», perché solo nell'impegno e nella responsabilità di ogni uomo il «non-ancora» diventa sempre di più «già». Bisogna quindi affermare la centralità della prassi e della responsabilità e libertà, personale e collettiva, contro ogni deduttivismo oggettivistico, quasi che il Regno si costruisse ricopiando pedissequamente schemi elaborati una volta per sempre.
    Il Regno è un «già»: possiede quindi una sua struttura costitutiva e normativa. Da questa prospettiva (ortodossia) va giudicata e valutata ogni prassi. Essa è «costruzione del Regno» solo se si realizza nella logica definitiva del Regno. E questo spinge a superare lo spontaneismo e il soggettivismo.
    - Il Regno di Dio è un «dono» che impegna e convoca. La vita quotidiana è la risposta personale a questo dono, la propria decisione di fronte a questa «convocazione». La risposta non passa necessariamente attraverso la coscienza riflessa e tematica dell'esperienza cristiana: si può lavorare per il Regno di Dio anche senza saperlo. Per questo il cristiano sa collaborare con tutti coloro che si impegnano per la liberazione dell'uomo e vivono in modo onesto e pieno la propria responsabilità. Il cristiano riconosce, nella fede, di esistere per "dono" ; di lavorare per il Regno per «dono»; di costruirlo sulla sua competenza, ma per il «dono» della Pasqua di Gesù. Perciò vive di fede: «riconosce» la potenza di Dio e proclama a tutti Gesù Cristo come il Signore della storia.
    - Il Regno di Dio è in mezzo a noi. Contro la disperazione, la noia, l'insignificanza, viene affermata la «gioia». Lo stare assieme, la festa, l'esperienza del gratuito sono radicati nel Regno che è tra noi. E sono suoi segni: quindi dimensioni caratteristiche dell'esistenza cristiana.
    - La Chiesa è il segno e il germe del Regno. La Chiesa non è il Regno, ma il suo «segno»: da qui l'importanza della Chiesa e la sua relatività. Da qui il compito di ogni cristiano: essere "segno" del Regno.
    Da questa visione nasce anche il rapporto corretto Chiesa-mondo: una presenza per servire.
    - Esiste una diffusa solidarietà negativa contro il Regno: il peccato, personale e sociale. Diventare liberi per il Regno vuol dire operare quotidianamente una scelta di campo: stare dalla parte di chi vuole la novità di vita che è il Regno e non dalla parte di chi vuole l'alienazione e l'oppressione. Questo comporta una conversione permanente, personale e istituzionale.
    - Dalla prospettiva del Regno si coglie anche un corretto rapporto tra personale e collettivo. Le decisioni sono sempre un atto strettamente personale, che chiama in causa la persona nella sua irripetibilità. Esse si compiono nel grembo della comunità umana ed ecclesiale: la comunità «sostiene» la decisione personale, senza sostituirsi alla responsabilità personale.
    L'esemplificazione potrebbe continuare ancora a lungo.
    Come si nota, abbiamo fatto un tipico processo pastorale, applicando in pieno il criterio scelto. La condizione giovanile è diventata il «criterio ermeneutico» per ripensare la fides quae e la fides qua.

    SUGGERIMENTI METODOLOGICI

    Le testimonianze con cui abbiamo aperto il dossier ci stimolano a considerare bene anche la dimensione metodologica.
    I fatti confermano che l'incidenza di un movimento è spesso legata strettamente alle metodologie utilizzate.
    È un discorso importante, da sottolineare. Siamo invitati a considerare il rapporto che esiste tra contenuti e metodi, soprattutto quando destinatari di una proposta sono giovani, persone cioè in fase di educazione. E non possiamo dimenticare che spesso vengono rifiutati i contenuti perché sono proposti con un metodo inadeguato, lontano dalle attese e dalla sensibilità dei giovani.
    Il progetto di una spiritualità giovanile può restare lettera morta, se non viene costruito con un metodo corretto.
    Suggeriamo alcune dimensioni metodologiche: esse corrispondono agli imperativi educativi emergenti dall'attuale condizione giovanile.
    Lo facciamo con qualche veloce accenno, perché si tratta di discorsi ripetuti frequentemente sulla rivista.

    Un progetto da costruire assieme

    In questo dossier ci siamo preoccupati di ritagliare un «progetto» di spiritualità. Nonostante i ripetuti richiami alla relatività e alla necessità di conservarlo «aperto», si tratta di un prodotto confezionato, pronto all'uso.
    E questo va bene, se serve a noi educatori. Se aiuta gli educatori a possedere con una certa chiarezza il punto d'arrivo del loro servizio. Non possiamo assolutamente proporlo così ai giovani. Attiveremmo, normalmente, un processo di rifiuto. I giovani d'oggi sono privi di prospettive a tempo lungo, sono incapaci di elaborare un progetto di natura totalizzante, vogliono provare, cambiare, inventare.
    Se noi proponiamo qualcosa di strutturato in modo conclusivo a gente che invece crede soprattutto alla creatività e alla spontaneità, facciamo un discorso tra sordi. La proposta salta, perché il metodo con cui è fatta, è scorretto.
    Non vogliamo essere fraintesi. Certamente molti giovani possono venire rassicurati di fronte a proposte ben strutturate e cariche di fascino. Questo capita frequentemente anche oggi. È la strada battuta dai diversi movimenti. E va molto bene. Noi però vogliamo dialogare con «tutti» i giovani: con quei giovani che restano ai margini dei diversi movimenti ecclesiali, forse anche per il fatto di non riuscire ad accettare qualcosa che stimano troppo preciso, già confezionato.
    Se scegliamo questa categoria di giovani come interlocutori del nostro discorso, non possiamo imbarcarci nella direzione del «prendere o lasciare», ma dobbiamo veramente parlare in tutto la loro lingua.
    Il codice linguistico che assicura una reale comunicazione sono le «esperienze» di vita dei giovani. È un vecchio discorso, ma sempre valido... anche perché non sempre praticato.
    La proposta di una spiritualità deve muovere lentamente sul ritmo delle reali «domande» dei giovani, espresse nelle loro esperienze esistenziali.
    È urgente però allargare progressivamente queste domande: educarle e liberarle, per orientarle verso richieste sempre più qualificanti. Verso quel progetto globale che l'educatore possiede. E che utilizza come precomprensione nel difficile esercizio del suo ministero educativo e pastorale.
    Non si tratta di manipolazione, perché diamo per scontato che l'educatore sappia operare frequenti verifiche, in modo da misurare e riformulare gli obiettivi (e la sua precomprensione) sui bisogni reali dei giovani, come emergono nel procedere verso la loro maturazione.
    Si tratta di un discorso molto importante, soprattutto oggi.
    Molti educatori si trascinano tra due alternative opposte: o assumono i bisogni dei giovani come unico criterio di intervento o li controllano e li superano con forme di autoritarismo. La fedeltà alla persona è servizio alla sua crescita e non giustificazione di nuove alienazioni.
    All'educatore si richiede l'attenzione costante ai bisogni reali dei giovani, per operare sempre al loro interno, evitando di ricorrere a processi deduttivi o indottrinanti. La sua capacità educativa lo deve però abilitare ad allargare le attese dei giovani per aprirle a prospettive più impegnative e promozionali.
    A questa condizione, si parte dal concreto (le esperienze dei giovani, le loro domande) e progressivamente si giunge ad una organizzazione delle diverse risposte, in modo da salvare la concretezza e la progettazione.

    Fare proposte facendo fare esperienza

    Il primo accenno non può farci concludere con la rinuncia a «fare proposte». Saremmo in una contraddizione in termini.
    Il cristianesimo è «buona novella». Cioè annuncio di una proposta: il grande progetto di Dio sull'uomo e sulla storia, realizzato in Gesù Cristo.
    Non si può incontrare l'evento di salvezza se non nell'annuncio, nella proposta. Questa è una esigenza irrinunciabile, anche e soprattutto per il tema della spiritualità. È un tratto costitutivo fondante.
    Il problema è un altro: come fare proposte? Non basta fare proposte. Bisogna «farle bene», farle in modo che siano proposte.
    Ancora una volta, dobbiamo percorrere una corretta direzione metodologica.
    I contenuti passano sulle esperienze che li veicolano. Non esiste proposta cristiana, se non « facendo esperienza » della sua significatività, del suo essere concretamente salvezza.
    Questo per fedeltà allo statuto della fede, che è esperienza, prima di essere contenuto: una esperienza carica di contenuti; e per fedeltà alla nuova condizione giovanile.
    L'itinerario suggerito da «Comunione e Liberazione» è molto interessante. Potremmo citarlo qui, alla lettera.
    Si fa esperienza incontrandoci con «modelli» che vivano a fondo il contenuto che si vuole proporre. Si fa esperienza visitando i «santuari» della nuova spiritualità giovanile.
    Non è inutile ricordare, in questo contesto, che per fare esperienza non basta il turismo spirituale o l'incontro frettoloso con persone. Si richiede un impegnativo lavoro di interiorizzazione degli stimoli.
    Rimandiamo, per queste note, al numero 1977/2 di NPG che ha trattato esplicitamente di questo argomento.

    Abilitare ad atteggiamenti

    Come sempre, gli atteggiamenti sono la misura che ci permette di verificare se la proposta è stata interiorizzata o meno.
    Un progetto di spiritualità giovanile si struttura metodologicamente in una serie di atteggiamenti importanti, a cui abilitare.
    Ne elenchiamo alcuni: formano i parametri di una «spiritualità matura», perché tratteggiano un modo di esistere umanamente e cristianamente significativo.
    - Capacità di fondare la propria vita sulle sicurezze fondamentali, accettando contemporaneamente la provvisorietà e la relatività.
    - Capacità di dialogo e di confronto sulla stessa fede anche con persone che abbiano operato scelte culturali diverse.
    - Forte capacità interpretativa, per abituarsi a leggere in chiave di fede ogni situazione.
    - Preghiera e confronto con la Parola di Dio in un corretto rapporto fede-storia.
    - Senso della gioia, della festa, della speranza: sì alla vita.
    - Capacità di condividere le sofferenze che non sono eliminabili e forte impegno per eliminare invece quelle che dipendono da responsabilità concrete.
    - Corretto e maturo senso della comunità.
    - Consolidamento della propria identità cristiana in un tempo di largo pluralismo.
    - Capacità di integrazione fede-vita: di unificazione della propria vita umana e cristiana, superando le dicotomie e le false contrapposizioni (presenti anche in alcuni modelli di spiritualità).
    - Capacità di coniugare in modo armonico la creatività e la responsabilità personale con l'oggettività e la normatività della fede e dell'esperienza cristiana.

    I giovani protagonisti nella comunità ecclesiale

    Abbiamo spesso parlato di «educatori» e di «progetto». Non vorremmo lasciare campo ad un pericoloso equivoco. Il soggetto della ricerca di una spiritualità giovanile è la comunità ecclesiale; una comunità che sa fare spazio reale al protagonismo giovanile.
    Questi accenni aprono un grosso capitolo di riflessione di cui sottolineiamo solo i titoli.
    Si tratta, prima di tutto, di un processo a risonanza collettiva: si attua nella comunità ecclesiale. La comunità, per troppi giovani, è una astrazione, se non viene «mediata», incarnata in reali esperienze comunitarie. Di qui l'urgenza di elaborare luoghi di aggregazione, dove si faccia veramente esperienza di essere-nella-chiesa e dove si definisca sperimentalmente la nuova spiritualità giovanile.
    In queste comunità tutti hanno qualcosa da donare agli altri: giovani e adulti. Perché, nella Chiesa, il «diverso» è un dono («carisma») del Padre alla maturazione di tutti.
    I giovani hanno qualcosa da dire. Sono soggetti attivi della reinterpretazione dell'esperienza cristiana. Non per nulla abbiamo aperto queste nostre riflessioni indicando l'attuale condizione giovanile come «criterio ermeneutico» per ripensare i contenuti e la logica della fede. Se questo è vero, coloro che hanno la prima parola sono i giovani, quelli che « vivono » la loro condizione.
    Comunità e protagonismo giovanile, purtroppo, non sono un dato pacifico, ma una faticosa e lenta conquista: troppe alienazioni svuotano la comunità e disattivano la responsabilità giovanile. Si richiede qualcuno che si renda garante del processo. Che si impegni in prima linea per servire. In questo senso parliamo di responsabilità specializzata degli «educatori».

    UNA SPIRITUALITÀ D'INTEGRAZIONE FEDE-VITA

    La credibilità dell'essere cristiano si gioca oggi sulla capacità di saldare (sul terreno concreto della vita) gli impegni relativi alla definizione di una nuova «qualità di vita» con le dimensioni specifiche dell'esperienza cristiana. Questo è l'imperativo centrale della spiritualità giovanile, per evitare spiritualità disintegrate, consapevoli che « la dissociazione tra fede e vita è gravemente rischiosa per il cristiano, soprattutto in certi momenti dell'età evolutiva, o di fronte a certi impegni concreti » (RdC 53).
    Su questo fronte abbiamo condotto la nostra ricerca. E abbiamo fatto scelte precise e impegnative.
    Nessun progetto può pretendersi l'unico. Quello sicuramente vincente.
    Lo Spirito percorre altre direzioni. Ci convoca ad un appuntamento con il Regno che stempera e vanifica le nostre pretese di assolutezza e conclusività.
    Ogni comunità è chiamata quindi a fare le sue scelte, ascoltando tutte le voci: la voce dello Spirito presente e attiva nel succedersi incalzante degli avvenimenti e delle persone.


    T e r z a
    p a g i n A


    NOVITÀ 2024


    Saper essere
    Competenze trasversali


    L'umano
    nella letteratura


    I sogni dei giovani x
    una Chiesa sinodale


    Strumenti e metodi
    per formare ancora


    Per una
    "buona" politica


    Sport e
    vita cristiana
    rubrica sport


    PROSEGUE DAL 2023


    Assetati d'eterno 
    Nostalgia di Dio e arte


    Abitare la Parola
    Incontrare Gesù


    Dove incontrare
    oggi il Signore


    PG: apprendistato
    alla vita cristiana


    Passeggiate nel
    mondo contemporaneo
     


    NOVITÀ ON LINE


    Di felicità, d'amore,
    di morte e altro
    (Dio compreso)
    Chiara e don Massimo


    Vent'anni di vantaggio
    Universitari in ricerca
    rubrica studio


    Storie di volontari
    A cura del SxS


    Voci dal
    mondo interiore
    A cura dei giovani MGS

    MGS-interiore


    Quello in cui crediamo
    Giovani e ricerca

    Rivista "Testimonianze"


    Universitari in ricerca
    Riflessioni e testimonianze FUCI


    Un "canone" letterario
    per i giovani oggi


    Sguardi in sala
    Tra cinema e teatro

    A cura del CGS


    Recensioni  
    e SEGNALAZIONI

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    Etty Hillesum
    una spiritualità
    per i giovani
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    Semi e cammini 
    di spiritualità
    Il senso nei frammenti
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    Ritratti di adolescenti
    A cura del MGS


     

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