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    Fare Pasqua col preadolescente



    Giuseppe Morante

    (NPG 1978-03-48)


    «Una profonda attenzione all'uomo si ritrova in tutte le dimensioni del messaggio cristiano, alle quali la catechesi deve dare risalto» (RdC 78).
    Quale la «misura umana:» del messaggio pasquale nella vita del preadolescente? Quale il «segno sacramentale» della Pasqua di Cristo nella sua esperienza vitale?
    In questo contributo tentiamo un approfondimento dell'aspetto antropologico della dimensione pasquale «nella crescita integrale dei nostri ragazzi», consapevoli come siamo che «il Dio della rivelazione è il Dio-con-noi, il Dio che chiama, che salva e dà senso alla nostra vita; e la sua parola è destinata ad irrompere nella storia, per svelare ad ogni uomo la sua vera vocazione e dargli modo di realizzarla» (RdC 77).

    L'ESPERIENZA DELLA CRESCITA COME CAMBIO È UNA REALTÀ UMANA FONDAMENTALE

    Le trasformazioni fisiche, fisiologiche e psicologiche che accompagnano il processo evolutivo, costituiscono l'esperienza più qualificante di ogni vita umana; sono un formidabile aiuto, per chi se ne renda cosciente, nel lavoro di ricostruzione della propria identità personale, a partire dalla preadolescenza.
    Senza «cambio» non si realizza il progresso, non si produce sviluppo, crescita, maturazione; senza la coscienza dei significati profondi che ogni dimensione della propria crescita comporta, non c'è decisione a progredire, a svilupparsi, a orientarsi nella vita, sufficientemente maturi per costruire il proprio progetto. In tensione continua tra i due poli passato-futuro, questo processo costituisce una esperienza esaltante e mortificante nello stesso tempo: esaltante, perché in riferimento alla vita che è sempre nuova, sempre piena di promesse di felicità; mortificante, perché non ancora vita piena e soprattutto perché ottenuta con la rinuncia alle piccole sicurezze di una vita che si deve lasciare, perché solo apparentemente vita.
    Maturare come uomo suppone accettare coscientemente questo cammino nelle progressive tappe dello sviluppo dell'io: un fare strada in tensione dinamica verso l'appagamento dei desideri e la realizzazione delle esigenze prepotentemente affioranti e mai completamente soddisfatte. Sono i desideri e le esigenze dell'uomo proiettato nella vita alla ricerca del sempre nuovo.
    Cambiare come crescere, esprime bene questo dinamismo evolutivo in cui lo stadio successivo assume totalmente quello precedente e lo integra nel nuovo a livello di maggiore coscienza e più chiara identità personale.
    L'esperienza del cambio quindi si esprime in una tensione tra passato e futuro, in cui il futuro non distrugge totalmente il passato perché lo assume e lo trasforma; comporta perciò una rottura con la situazione precedente per l'esigenza intima e dinamica dello sviluppo, ma – è questa la situazione più mortificante –può coesistere una tentazione a fermarsi, spesso a retrocedere verso stadi meglio conosciuti (il futuro ignoto incute paura) e più gratificanti perché meno compromettenti per l'io.
    Perché la possibilità di tale regressione? Il passato è già sperimentato, spesso attraente ed anche soddisfacente; perciò lo si ricorda con piacere, se ne parla volentieri tra amici perché offre la continua attrazione di soddisfazioni godute. Il futuro, al contrario, pur con il fascino che esercita sull'uomo – e in questo senso è esaltante – è sempre inquietante per la sua imprevedibilità, i suoi interrogativi, le sue prospettive dense di timori.

    L'esperienza della crescita durante la preadolescenza

    Questo processo evolutivo acquista un valore tutto particolare durante la preadolescenza, quando le trasformazioni investono tutta l'esistenza del ragazzo tanto da far emergere a livello di coscienza una nuova identità personale; si tratta infatti di una età che verifica delle trasformazioni profonde in tutti i livelli strutturali dell'io: fisico, intellettuale, affettivo, sociale, morale e religioso.
    I ragazzi sentono di doversi aprire un passaggio e darsi una sistemazione prima di potersi sentire a casa propria in una terra straniera. In tale processo di crescita diventa chiaro il passaggio «da uno stato di dipendenza dall'adulto, e in particolare dalla famiglia, ad uno stato di autonomia» (RdC 137).
    Il dinamismo della crescita, sotto le diverse angolature, caratterizza il comportamento preadolescenziale: la coscienza più o meno chiara di queste lente ma costanti trasformazioni permette al ragazzo o di non sentirsi più un bambino oppure di non smetterla di essere bambino. Un ragazzo che già si sente «più grande» si trova nelle migliori condizioni per scoprirne i significati. A cominciare dai 12-13 anni egli si trova nella situazione di chi, incominciando a gustare un mondo diverso, rifiuta quello della fanciullezza, perché disincarnato, sorpassato, facile. Avverte il disagio di voler cambiare, ma non ha le idee chiare su quello che vuol fare; si allontana a fatica dal suo mondo e si prepara a diventare adulto. Si tratta di aiutarlo ad abbandonare la situazione infantile che ha vissuto in generale con grandi soddisfazioni in gioiosa dipendenza familiare e di farlo imbattere in una realtà nuova, una terra finora sconosciuta, che si presenta anche molto attraente, ma proprio perché non ancora sperimentata, temibile.

    Un periodo di forte ambivalenza

    Questo cambio, dicevamo, non può realizzarsi senza sofferenza, senza dolore, senza rinunce; e questa accettazione dolorosa è tanto più difficile in quanto non si risolve in un momento ma investe un processo lento e lungo nel tempo. Il preadolescente deve accettare una specie di lenta morte di sé medesimo che richiede grandi perdite e comporta molte rinunce: soprattutto la realtà infantile che finora si è dimostrata gratificante.
    La pesantezza di tali rinunce può essere motivo di rifugio nei ricordi del passato, pericolo di regressione nella scelta di vivere una terza infanzia senza responsabilità, ambivalenza nella rinuncia ad essere adulti; una ambivalenza accompagnata da deviazioni, false visioni della vita, poca chiarezza nelle realtà che si scoprono, false sicurezze che deludono e scoraggiano.
    È normale quindi che, in questa età, si vivano momenti di incertezze, di ansie, di scoraggiamenti, di grandi entusiasmi e di depressioni, di impegni esaltanti e di fasi disimpegnate. L'ambivalenza dell'età – espressa da un lato nella necessità di realizzare la pienezza personale, visibile nei segni delle profonde e radicali trasformazioni, e dall'altro nella realizzazione di una maggiore comunione con gli altri, al di fuori del ristretto cerchio delle relazioni familiari e scolari – richiede una saggia e paziente presenza educativa, per guidare alla crescita, per infondere sicurezza, per incoraggiare e sostenere, per aiutare ed orientare.
    Le tensioni espresse nell'inciso – essere più persona e stringere relazioni più significative e profonde – costituiscono la conquista dell'uomo in tutta la sua esistenza; ma è soprattutto in questa età che il loro desiderio irrompe e prende corpo, per esprimersi poi con grande forza nei momenti successivi dell'adolescenza e della giovinezza.

    Il fascino del futuro come chiamata a diventare uomo

    Senza dubbio il futuro costituisce un invito per il ragazzo, una specie di vocazione verso il non-ancora: si sente proiettato verso una visione futura di sé e del mondo in cui gli toccherà di vivere. Il futuro: una chiamata all'avventura verso un domani più felice, un avvenire in cui si realizzerà il desiderio di essere adulto, di poter esercitare una professione, di occupare un ruolo nella società, di essere qualcuno nel mondo.
    Questa proiezione, da un punto di vista psicologico, costituisce il motivo più forte che può facilitare la rottura degli schemi della fanciullezza ed aiutarlo ad entrare in un mondo dagli orizzonti più vasti che offrano il fascino della novità e dell'avventura, dell'invenzione e del rischio.
    Questo futuro, che stimola anche un lento processo di interiorizzazione dei significati di ciò che sperimenta a tutti i livelli, ha il fascino del mistero ed attrae i ragazzi con la forza intima di una vocazione; tanto che il dinamismo può addirittura ingenerare un pericolo di evasione dai problemi reali del momento per un rifugio nella fantasia e nell'avventura.
    Un dinamismo quindi molto importante per l'identità personale, per la scoperta del proprio io interiore: la vita del ragazzo è posta nell'avvenire, i suoi occhi sono fissi nel futuro.
    Identificandosi nella pienezza di questa crescita personale, il preadolescente rifiuta istintivamente tutto ciò che suppone limitazione dell'uomo; il suo desiderio di vivere è più forte di tutto ed in profondo contrasto con il senso della morte, soprattutto col fatto che un giorno toccherà anche a lui morire. La morte delle cose, degli altri costituisce per lui il più grande dei misteri, la più seria delle difficoltà a causa dell'attaccamento alla vita che ora gli ribolle dentro.
    Desideroso di vita che per lui è piena di speranze, è crescita che contiene germi di futuro; bramoso di felicità, assetato di gioia il preadolescente si domanda più o meno palesemente: come essere felici in una terra che si dimostra oggi spesso straniera, in un mondo tutto sommato sconcertante, in un momento in cui prevalgono profondi e seri interrogativi sul senso della propria esistenza? In un contesto del genere è possibile sperare nella realizzazione di un proprio progetto di vita? Si può rispondere senza paure alla chiamata a salpare, a rompere gli ormeggi che ancora lo ancorano a questa sponda, a veleggiare nel mare della vita, ampio e misterioso?

    La difficile risposta alla chiamata a diventare uomo

    Questa chiamata nel cuore di ciascuno è già una presenza attiva di Dio che spinge avanti, che invita a rompere continuamente i legami con il passato, a camminare con fiducia, ad abbandonare le false sicurezze, a liberarsi di tutto ciò che sa di stantio: si tratta del significato della chiamata a vivere l'Esodo.
    La risposta del ragazzo avviene solamente se c'è in lui un atteggiamento di fiducia, di sicurezza, di speranza, di fede nel Signore della vita e della storia. Egli ci chiede, attraverso il profeta, di aprire le prigioni ingiuste, di rompere gli indugi dei ceppi, di lasciare liberi gli oppressi (Is 58,6).
    Comincia per lui la difficile traversata dell'avventura umana. In questo cammino scoprirà che diventare adulto comporta un preciso prezzo, perché le difficoltà saranno più dure del previsto.
    Farà di tanto in tanto capolino lo scoraggiamento, la disillusione, l'aggressività, il desiderio di tornare indietro, di abbandonare l'impresa; ma affrontare serenamente queste difficoltà, le prove, la sofferenza e il dolore che comportano, il prezzo della croce e della liberazione è possibile se si vive con fiducia la dura esperienza del deserto in cui si incontra con Cristo e ín lui trova la soluzione a tutti i problemi per una vita piena di speranze e di realizzazioni.
    Nel travaglio di questo passaggio potranno sorgere anche momenti di particolare tentazione: tentativi di ricerca di soluzioni più facili e spettacolari che momentaneamente possono anche appagare di più ma che a lungo andare lasceranno l'amaro in bocca, scelte di posizioni più comode, imbrigliamento nelle maglie del conformismo, nel fare «come fanno tutti», senza affrontare ciascuno il proprio cammino personale. Sorgono indubbiamente momenti difficili nella vita del preadolescente quando si vivono con reali contrasti la scelta di una vocazione personale, la dinamica di una gerarchia di valori; soprattutto se si presentano come valide per lui altre offerte. È necessario prepararsi per saper scoprire il senso dell'inganno che certe soluzioni possono nascondere; avere come modello Cristo. Il Signore provvede e non abbandona l'uomo fino a che egli continua a cercarlo.

    L'ESPERIENZA PASQUALE NELLA VITA DEL PREADOLESCENTE

    L'esperienza più qualificante, nella preadolescenza, che dà un significato globale a tutta la crescita, è quella del passaggio dalla condizione di dipendenza dagli altri, alla autonomia in vista della collaborazione responsabile in una qualsiasi situazione di vita; per il cristiano nella costruzione del Regno.

    L'età preadolescenziale è per eccellenza una età pasquale

    Il ragazzo che è consapevole di essere un vivente in Dio come uomo, è chiamato a vivere la propria esperienza come un continuo processo di liberazione; in questo processo che si realizza nel tempo verso la eternità fa l'esperienza pasquale del passaggio morte-vita. Cioè percepisce la propria esistenza come una crescita in cui in forza della esperienza battesimale rivive, celebrando la vita, la presenza pasquale di Cristo risorto.
    La crescita cristiana è pasquale perché in essa si rivive in pienezza il cammino di Cristo: morte-vita nuova. In questo cammino il ragazzo sì scopre collaboratore di Dio nella costruzione di un mondo diverso, per cui sente il fascino della chiamata, della responsabilità, dell'impegno personale.
    In questo senso la preadolescenza è l'età della marcia autonoma verso la vita, è il luogo della traversata. Chi non vede l'analogia con l'esodo, con la Pasqua di Cristo?
    Ai ragazzi, come al popolo eletto schiavo degli Egiziani, a Cristo sul Calvario viene offerta la possibilità di passare da una terra all'altra: dallo stato di infantilismo e di dipendenza a quello dell'autonomia e della scelta responsabile in un nuovo progetto di vita, dalla terra dove si è schiavi a quella dove si è liberi, dalla morte alla risurrezione. Si tratta di una possibilità, ma per realizzarla bisogna attraversare il Mar Rosso, bisogna rinunciare alle comodità del momento accettando il deserto con tutti i suoi disagi, bisogna rischiare sul futuro promesso, intravisto e tuttavia non ancora posseduto.
    E tutto questo non avviene in modo appariscente, non si verifica automaticamente, perché l'esperienza più significativa della crescita si realizza nel profondo dell'io, dal di dentro; non con il semplice diventare più grande, con l'aumentato numero degli anni.
    Questa liberazione della vita oppressa avviene attraverso l'assunzione totale della propria responsabilità, se si sceglie di diventarne protagonisti.
    In concreto, a partire dalla esperienza globale della crescita, il preadolescente deve essere guidato a raggiungere alcuni obiettivi che chiaramente innestano la Pasqua di Cristo nella sua vita attuale: essere cosciente di questo passaggio esistenziale come di una chiamata di Dio a percorrere un cammino in modo nuovo e più personale, comprendere che le trasformazioni sperimentate nella propria crescita non sono dovute al caso ma sono «la forza di Dio» che ci spinge ad una più piena realizzazione, rispondere agli interrogativi sui significati della crescita con l'esperienza viva di Cristo, scoprire in questo cammino di liberazione strade aperte che prima non si intravedevano, annunciare che Cristo vive dove gli uomini sono liberati dagli idoli di cui sono schiavi.

    La croce è il punto obbligato del passaggio

    Il preadolescente è in cerca di una terra nuova, avverte prepotentemente l'impulso del superamento della sua attuale situazione di vita per una nuova e migliore. La personalità umana non matura se non nella volontaria rinuncia della realtà infantile.
    È un cammino lungo e pesante perché non vi è liberazione senza difficoltà, non vi sarà futuro senza un doloroso abbandono del passato. I ragazzi di questa età vivono momenti di insicurezza, di paura; sono alle prese con problemi che si presentano sia dentro la propria esperienza, sia nell'ambiente esterno. La crescita suppone uno scontro con la propria fragilità, con i propri limiti, suppone un cammino irto di difficoltà, molto doloroso in alcuni momenti.
    È qui che gli adolescenti vivono nella propria carne l'esperienza che il popolo ebreo visse nel deserto. Il deserto, inteso come luogo profondamente umano e religioso, si sperimenta sempre quando l'uomo affronta le difficoltà lungo il suo cammino; un varco da aprirsi faticosamente, perché nel deserto, si sa, non si trovano strade tracciate.
    Facilmente si può insinuare il disorientamento, la protesta, l'evasione come sorse nel cuore degli Israeliti dopo l'uscita dall'Egitto.
    Non c'è terra meno ospitale che il Calvario. Nessuno come Cristo ha posto sopra la croce i falsi ideali dell'uomo; nel suo raccomandarsi al Padre ha espresso la sua piena fiducia e la sua completa dipendenza da Lui, perché sa che Dio gli aprirà un cammino in mezzo alla sua morte. Quando passiamo per situazione di croce, di deserto, di disimpegno, di evasione... è lì che Dio ci invita ad andargli incontro, a sperare che nel sacrificio trasformerà la nostra vita.
    La croce, la sofferenza, il dolore è vissuto come un test che rivela quello che c'è nel nostro cuore: rivela se riconosciamo ed esprimiamo la nostra fiducia a Dio che si manifesta nella nostra vita, in un momento di prova.
    E quale senso di profonda sofferenza non provoca nel preadolescente la paura della morte, il senso dello scacco e dell'impotenza, il senso del limite (espressione di dolorosa realtà) davanti al grande desiderio di vita e di una vita totale?
    È l'esperienza della povertà esistenziale che si sperimenta in alcuni momenti di solitudine (riservatezza che rasenta la timidezza, tempi di tristezza, senso dell'apartheid, incomprensione, tradimento); l'esperienza del torpore vitale nell'iniziare a gestire in proprio la vita (incapacità ad agire, sentirsi inferiore agli altri, non saper fare...); soffrire il limite fisico (malattie, difetti costituzionali, lentezza); essere vittima di un trattamento ingiusto da parte degli adulti, ecc. In concreto, attraverso l'azione educativa, è necessario orientare i ragazzi verso il raggiungimento dei seguenti obiettivi: aprire alla esperienza della fede che suppone incontrare Cristo nel nostro dolore e nelle nostre croci, rispondere all'invito di Dio che ci chiede di crescere e di rinnovarsi ogni giorno sopprimendo tutto il vecchio, abilitare ad atteggiamenti di fiducia, di appoggio in Dio, scoprire che il Vangelo è una buona notizia per quelli che si riconoscono poveri, riferirsi spesso ad esperienza in cui si assapora la vera gioia solo dopo aver saputo sacrificare qualche cosa di se stessi.

    EDUCARE IL PREADOLESCENTE AD INNESTARE LA COMPONENTE PASQUALE DELLA PROPRIA CRESCITA, NELLA PASQUA DI CRISTO

    L'itinerario catechistico-educativo tende ad annunciare al ragazzo che Cristo è vivo là dove ognuno è veramente liberato da tutte le forme di schiavitù che gli impediscono la crescita verso la vita pièna, e che Cristo è glorificato (Pasqua-risurrezione) in un sincero processo salvifico di liberazione totale; questa azione liberante è incompatibile con l'atteggiamento di chi si oppone alla forza dello Spirito che spinge costantemente ad una vita sempre nuova: per il ragazzo questo significa essere in cammino, in situazione personale di Esodo.

    Educare anzitutto ad avere un progetto di vita «pasquale»

    Aiutiamo il preadolescente a farsi una chiara coscienza del proprio ideale di vita ( = come vorrei essere) attraverso un cammino di approfondimento della propria esperienza ( = come sono). Un primo passaggio: ogni ragazzo aspira, non sempre coscientemente, a passare da una situazione di limite, di imperfezione, di dipendenza, ad una di piena maturità: sul piano religioso questa esperienza equivale a desiderare la Pasqua.
    Questa aspirazione gli appare continuamente minacciata da difficoltà sia interiori (ambivalenza della sua vita attuale) che esteriori (rapporto difficile con gli adulti): sente di essere «già grande», ma viene spesso trattato ancora come un bambino, vive un contrasto intimo nel fatto che non sempre riesce a raggiungere ciò che desidera fortemente perché non trova i mezzi adatti. Sperimenta così il binomio libertà-schiavitù, come una dimensione importante della propria personalità: siamo veramente liberi non quando la nostra vita è priva di difficoltà, ma quando queste difficoltà non ci assediano al punto che ci lasciamo schiavizzare da esse.
    Quali sono queste catene? La bramosia delle cose (Mt 6,24), l'indipendenza come potere assoluto (Mc 10,41), l'invidia e l'odio (Rm 6,19), il legalismo (Gal 4,8), la paura della morte (Hb 2,14-15), l'oppressione dell'uomo sull'altro uomo per cui invece di una relazione di amore e di solidarietà si istaura una relazione di forza e di dominio!
    Per le conseguenze di questo peccato il mondo e l'uomo si sono cambiati in carcere. Situazione dalla quale l'uomo da solo non può liberarsi; uscirne (esodo) è dono di Dio; il suo amore gli spalanca i cancelli per la liberazione.
    Dio conosce la nostra situazione di oppressione interna ed esterna (Es 3,7ss.); ci invita come Abramo (Gen 12,1) ad «uscire dalla sua terra, a camminare verso la terra promessa». Egli vuole aprire «le prigioni ingiuste, far saltare le catene che ci legano, liberare gli oppressi» (Is 58,6), liberare l'uomo da tutte le sue schiavitù; perché quando l'uomo è veramente libero sarà disponibile per rispondere all'azione di Dio nella sua storia.
    Un secondo passaggio: il ragazzo è impaziente, vuole bruciare le tappe, non sa aspettare; soprattutto vuole «vivere» senza accettare i limiti stessi che scopre nella sua vita. Aiutiamolo a scoprire che il vivere una vita piena a livello di maturazione umana e cristiana non avviene una volta per sempre e soprattutto non avviene con troppa facilità.
    Tale cammino esige un continuo distacco, un continuo morire e risorgere. Dio non può sostituirsi a noi, chiede la nostra collaborazione. Le difficoltà del momento evolutivo (solitudine, confusione, insicurezza...) collocano il preadolescente, in maniera più o meno cosciente, in una profonda situazione di incertezza; la crisi di crescita che sta vivendo gli procura confusione, non ha una precisa scala di valori, vive con difficoltà la elezione di una vocazione. È nella condizione di capire, dalla propria esperienza sofferta, la profonda verità di alcune espressioni elementari: «Non c'è rosa senza spine», «non v'è crescita senza crisi», «non c'è guadagno senza rischi». In definitiva non vi sarà liberazione senza difficoltà, né tantomeno vi sarà futuro, per lui, senza l'abbandono doloroso del passato.
    Il ragazzo può vivere nella propria carne l'esperienza biblica del deserto, quando sperimenta queste difficoltà della propria crescita-liberazione. Simbolicamente il deserto, è una terra inospitale, senza strade; un po' come la preadolescenza quando non si è più fanciulli (nella fanciullezza si camminava su strade tracciate dagli adulti) e non si è ancora adulti (e bisogna scegliere la strada da soli e sperimentarla in proprio). È una età di passaggio, come il deserto è luogo (inteso in senso di esperienza) di passaggio, non di permanenza.
    E d'altro canto, proprio perché esperienza esistenziale che non si può evitare, è luogo di tensione, di prova: ci si fida totalmente di Dio o si evade? Le evasioni del preadolescente possono essere: disimpegno, rifugio nel sogno, nella fantasia, regressione a stadi più infantili, cedimento davanti a difficoltà con conseguente scoraggiamento, poca o nessuna fiducia nella vita. Per questo l'annuncio che Cristo è negli uomini che sperimentano le difficoltà della liberazione è tipico per i preadolescenti: chi più di loro è alle prese con un progetto di vita in formazione?

    La relazione tra la nostra vita e la memoria di Cristo che muore e risorge

    L'esigenza fondamentale dell'uomo (e a maggior ragione del preadolescente alle prese con la riscoperta della propria identità nella relazione con gli altri) è essere per gli altri, vivere insieme in una continua ricerca di amore e di perfezione. L'attuale crisi di valori della nostra società e le difficoltà esistenziali del preadolescente non favoriscono tale esigenza, ma spesso la soffocano. Cristo attraverso la sua morte-risurrezione ripropone, nella Eucaristia, come «vita che ha vinto la morte», la comunione coi fratelli.
    Il cristiano non può crescere nella fede senza l'Eucaristia, perché essa è l'espressione dei valori fondamentali secondo i quali ha progettato la sua vita.
    L'Eucaristia, riscoperta nella sua vera essenza di «memoria del passato e annuncio del futuro», e come «il momento più importante dell'incontro di Dio con gli uomini, degli uomini con Dio, degli uomini tra di loro» (RdC 72), è un dinamismo efficace per la crescita del cristiano. Essa infatti tende ad inserire il progetto di vita del singolo individuo in quello della comunità.
    Il cammino di fede dei ragazzi deve essere, in questo spirito, caratterizzato da queste due dimensioni permanenti:
    – scoperta di Cristo, persona viva, che anche oggi parla nei segni della sua presenza ed opera in mezzo a noi,
    – lettura pasquale di tutte le esperienze dei ragazzi e della comunità cristiana: crescita, vita di famiglia, di scuola, di amicizia, di gioco, preghiera, incontri, partecipazione ai sacramenti dell'Eucaristia e della Penitenza, riscoperta pasquale dei sacramenti del Battesimo e della Confermazione.
    Attraverso questa scoperta dei segni vivi di Cristo nella comunità cristiana e la lettura pasquale di tutta la gamma di esperienze umane e cristiane il mistero di Cristo morto-risorto entra nella lotta quotidiana del credente. Si apre • un passaggio nella quotidianità come unico fondamento della speranza, come garanzia del superamento dell'insuccesso e della morte, come forza nelle difficoltà ordinarie e straordinarie della vita.

    Il cristiano così diventa Pasqua per il mondo

    Fare Pasqua significa passare dalla condizione di limite a quella di perfezione e di pienezza di vita: in questo senso tutti gli uomini vogliono fare pasqua, ma non sempre trovano la strada giusta nel susseguirsi dei continui progetti per il futuro. Noi cristiani crediamo però che la Pasqua non è un momento isolato nella nostra vita, ma costituisce una specie di atmosfera che ci avvolge, una inquietudine che non ci dà tregua fino a quando non l'abbiamo realizzata nella Pasqua di Cristo.
    Quanti progetti per il futuro...! I preadolescenti sono sommersi dai desideri delle cose che li attirano, sono incantati dalle persone che per loro incarnano ideali di vita, sognano ogni giorno nuovi progetti da realizzare per diventare «qualcuno nella vita». Al di là di questi desideri ogni uomo sperimenta una tensione continua verso un ideale di vita migliore. A questo punto il «che cosa vorrei essere» diventa necessariamente «come vorrei essere»; il dinamismo interiore del progetto cioè spinge a trovare i mezzi per realizzarlo. Solo nella libertà possiamo trovare il modo di scegliere il cammino adatto, responsabilmente, ma non sarà un cammino facile perché suppone rinunce, sacrifici, asperità. Su questa strada, che è strada di libertà, si deve camminare spesso a piccoli passi, a tentoni, per aprirsi un varco, per conquistarcela palmo per palmo.
    Ma Cristo ha fatto Pasqua e non da solo, l'ha fatta in uno slancio di offerta della propria vita in unione con tutti gli uomini, con ciascuna di noi.
    Cristo è un modello che ha conquistato la pienezza della libertà avendo riposto una fiducia totale in Dio Padre, cui si è «abbandonato», E noi come facciamo Pasqua? Nella nostra vita costatiamo la situazione di limite simile alla schiavitù degli Ebrei e alla condizione umana di Cristo. Anche noi in Lui possiamo fare Pasqua accettando il passaggio propostoci da Dio: superamento di se stessi in vista di una perfezione di vita vissuta nella pienezza. Celebrare Pasqua significa innestarsi in Cristo che passa dalla morte alla vita. Solo scegliendo liberamente di fare con Lui questo cammino il cristiano può diventare Pasqua per gli altri e per il mondo.
    L'esperienza delle nostre imperfezioni fa sorgere in noi il desiderio di essere migliori, di agire per diventare più perfetti. In questa azione impegniamo la nostra libertà, ma ci accorgiamo che essa è scomoda, non ci lascia tranquilli, perché ci sollecita continuamente a far meglio, dal momento che non cí accontentiamo mai dei risultati raggiunti. Alcune volte allora preferiamo il cedimento, la schiavitù alla libertà. Fare Pasqua significa superare questa schiavitù nella solidarietà col Cristo, libero-liberatore degli uomini, per essere solidali con gli altri come dono di noi stessi.
    Ma noi ci sentiamo liberi, affermiamo con tutte le forze la conquista della nostra libertà, siamo orgogliosi e gelosi di essa; avvertiamo però contemporaneamente l'ambivalenza di tale conquista a causa dei limiti contro cui sbattiamo. Ci accorgiamo nella esperienza pratica che è una libertà limitata, sempre minacciata e mai assoluta (contraddizione, capricci, incoerenze, incertezze, pigrizia, stanchezza, evasione). Inserirsi in Cristo che muore e risorge, significa poter recuperare la pienezza della libertà e realizzare pienamente se stessi. E non solo se stessi ma anche realizzazione per gli altri, perché Cristo è stato solidale con tutti.
    Fare Pasqua in Cristo significa aprirsi a tutti quelli che soffrono i limiti della propria esistenza, come dono che può favorire la loro liberazione. Fare Pasqua è il segno più grande dell'amore.
    Un'azione educativa che voglia essere attenta a costruire partendo dalla realtà deve tener conto di due tipi di obiettivi educativi, quelli a lungo termine e quelli a breve termine.
    Nel parlare di Pasqua giovane, sono emersi molteplici stimoli che tuttavia non possono tradursi, nella maggior parte dei gruppi giovanili, che in obiettivi a lungo termine.
    D'altra parte occorre vivere al presente, progettando ad esempio la Pasqua di quest'anno. Che fare?
    Diciamo subito che non ha senso proporre a tutti o concentrare gli sforzi solo attorno una Pasqua impegnata come quelle descritte. Significherebbe tagliar fuori molti giovani che non sono in grado di sostenere un simile ritmo per alcuni giorni.


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