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    Dall'istituto di rieducazione alle strutture educative aperte



    Jean M. Tefnin

    (NPG 1978-03-62)


    Disadattamento è un titolo sotto il quale si ritrovano parecchie realtà diverse. Noi stessi ne trattiamo inserendo nel discorso i problemi legati all'emarginazione ed alla criminalità, al lavoro minorile ed alla devianza in genere. Il disadattamento è certamente un problema complesso, reso tale anche dal numero delle cause in gioco: dalla crisi istituzionale, alle difficoltà proprie dell'adolescenza ed alla mancata integrazione personale, all'evoluzione ed ai conflitti socioculturali odierni.
    A. Canevaro nel volume «I ragazzi scomodi, disadattamento dei ragazzi e/o della società?» sottolinea appunto la vastità del problema, ma anche il pericolo di accettare come fatto inevitabile e quindi «naturale» il disadattamento minorile. «Sembra che per questo problema non vi sia stata nel paese la stessa crescita che su altri temi vi è stata. Le ragioni possono essere negli aspetti contraddittori che il disadattamento contiene: è di una complessità smisurata, e nello stesso tempo presenta continue strozzature, istituzionali e culturale; coinvolge un po' tutti gli aspetti della vita politica e sociale, ma può essere sempre scartato e spiazzato, spostato sempre «altrove» (introd.).
    E mette in guardia dalla ricerca di soluzioni semplicistiche, per giungere a soluzioni che partano dalla reale situazione di disagio dei disadattati: «Gli studenti che si occupano del disadattamento minorile sostengono a volte che esso non esiste e che esiste unicamente un'economia capitalista e produttivista, ed una società discriminata dalla teoria della produzione. lo sono ben d'accordo: ma penso che gli studenti, e chiunque riproduca lo schema accennato, rivelino l'inconscia volontà di sopprimere i ragazzi disadattati così come sono, per ricrearli secondo i loro desideri» (p. 71). Ma è anche necessario giungere ad una coscienza politica più profonda. Ad una società che si difende dai ragazzi non integrati attraverso un rigido meccanismo di emarginazione, si deve rispondere senza falsi paternalismi con una sensibilità collettiva nuova. E questo soprattutto per non fermarsi a risolvere casi già drammaticamente «esplosi». Scrive GP. Meucci: Di disadattamento spesso si parla solo quando il ragazzo raggiunge l'adolescenza, mentre ben prima il suo stato di sofferenza era evidenziabile e doveva trovare una risposta di aiuto».
    È in questa direzione che si inserisce il nostro intervento. Nella certezza che affrontando il disadattamento con un maggior numero di informazioni e con più realismo sarà meno difficile realizzare quell'opera di liberazione di cui questi ragazzi hanno bisogno per uscire dalla loro sofferenza.


    «Il ragazzo vissuto a lungo in istituzione interiorizza una morale di repressione e di esclusione istituzionalizzata, e reagisce di fronte alle difficoltà dei rapporti riproducendo e cercando la stessa repressione» (A. Canevaro, «I ragazzi scomodi», p. 106).
    Lo «studio» di questo mese, partendo da una breve riproposta delle cause del disadattamento, presenta un quadro schematico delle principali strutture educative aperte, che in modo più efficace dell'istituto tradizionale propongono nuove soluzioni per il ricupero dei non integrati. Pur sottolineando che tale problema troverà soluzione soprattutto attraverso una più forte coscienza collettiva, che si proponga il rinnovamento delle strutture di base della società, l'autore considera un indispensabile primo passo il superamento o il rinnovamento radicale dell'istituto tradizionale. Le piccole comunità pedagogiche appaiono infatti facilitate nel loro compito di liberazione, potendo realizzare strutture più dinamiche. In tali comunità l'educatore esce dal ruolo di difensore dell'istituzione per lasciarsi coinvolgere in un rapporto che si concretizza in una disponibilità più piena verso la faticosa opera di ricupero.

    DISADATTAMENTO MINORILE NELLA SOCIETÀ D'OGGI

    La devianza, il disadattamento sociale,la delinquenza minorile sono stati inizialmente studiati con un'ottica giuridica e interpretati in senso delinquenziale. Di essi ci si occupava solo in rapporto al loro grado di rifiuto della legalità.
    Dal criterio giuridico si è passati ad uno psico-pedagogico, in cui viene evidenziato il significato di vissuto personale patologico o di soluzione patologica dei problemi di adattamento.
    Il comportamento deviante include tutti quei casi in cui una singola persona o un gruppo viola le norme e tiene un comportamento non conforme ai modelli culturali dell'ambiente sociale a cui appartiene.
    In questo contesto un atteggiamento deviante rappresenta l'adattamento al di fuori di quel quadro di riferimento, che taluni individui sono incapaci di trovare o perché deficitari di dotazioni personali o perché le difficoltà presenti nelle strutture sociali e culturali rendono oggettivamente ardue le «scelte» normali.
    Come conseguenza l'individuo può sviluppare un «vissuto patologico» oppure costruirsi un nuovo «quadro di riferimento» con valori contrastanti a quelli riconosciuti validi dalla comunità. Nel primo caso si parlerà di DISADATTAMENTO, che va considerato come soluzione patologica personale dei problemi di adattamento non risolti, nel secondo di DELINQUENZA, intesa come soluzione patologica di gruppo o realizzata socialmente.
    Sono pertanto disadattati quei soggetti che in rapporto alla loro disponibilità ed inclinazioni, hanno incontrato difficoltà di coesistenza con la realtà socio-ambientale in cui si sono trovati.
    Questi due aspetti quindi, pur trovando una motivazione ultima in comuni problemi sociali, presentano modalità diverse sia nel costituirsi sia nel realizzarsi. La stessa realtà socio-ambientale può essere considerata disadattante sotto vari aspetti. Citiamo i più rilevanti:
    a) Istituzioni costruite su esperienze passate e ormai superate.
    b) I nuovi bisogni dell'individuo e le nuove situazioni non vengono sempre recepiti né in breve tempo né positivamente.
    c) La società non riesce a cogliere i diritti umani e il valore dei propri membri e a rispettarne le caratterizzazioni o le varianti.
    d) Le emigrazioni portano l'individuo ad un rifiuto dei modelli socio-culturali di provenienza senza dare la possibilità di acquisirne altri alternativi.
    È inoltre necessario tener presente che l'adattamento sociale assume caratteristiche e manifestazioni particolari in ogni fase dello sviluppo sia fisico sia psichico ed è in rapporto con il grado di intelligenza, di esperienze e con il tipo di relazioni personali e sociali, che si instaurano.
    Secondo Franchini ed Introna (1) il disadattamento presenta due aspetti costitutivi: uno oggettivo che è dato dai comportamenti antisociali e comunque presentanti una difficile integrazione con la società e che hanno ripercussioni dannose sugli altri, l'altro soggettivo che consiste nella mancanza di qualcuna delle disposizioni favorevoli o dell'esistenza di condizioni che impediscono o disturbano l'estrinsecazione favorevole delle disposizioni stesse.
    Prima di passare in modo più dettagliato alle cause del disadattamento, risottolineiamo che quest'ultimo è un problema di carattere globale che investe la personalità del minore e l'insieme dei suoi rapporti con la famiglia e la società che lo circonda. Sotto quest'aspetto un intervento che sia diretto a risolvere problemi di disadattamento, non può riguardare il singolo aspetto del comportamento ma deve ricollegarsi ai più complessi condizionamenti plico-sociali che lo determinano. Un'effettiva opera di prevenzione deve essere improntata essenzialmente alla salvaguardia della regolarità dello sviluppo del ragazzo in ogni suo aspetto, con riguardo a tutte le cause che lo condizionano.

    CAUSE DEL DISADATTAMENTO SOCIALE

    Premettiamo che nei giovani disadattati non esistono caratteristiche psichiche in più o in meno rispetto a coloro che non lo sono. Solo quando alcuni tratti normali vengono sollecitati eccessivamente e si combinano insieme nello stesso individuo diventa più alta la probabilità che si sviluppi un comportamento giudicato anomalo.
    Nella famiglia l'individuo, nei suoi primi anni di vita, costruisce le strutture della sua personalità e della socialità. I molteplici bisogni vitali del bambino fanno sì che le figure parentali giochino un ruolo fondamentale.
    Una positiva relazione madre-bambino ha notevole incidenza non solo sulla sicurezza dell'io e sul normale sviluppo intellettivo e somatico, ma anche sul processo di adattamento sociale dell'individuo. Infatti la privazione della figura materna nella continuità può portare ad una indifferenza affettiva nell'individuo, dovuta alla perdita dell'oggetto d'amore e al rifiuto di ogni legame affettivo per timore di perderlo nuovamente. Ciò, evidentemente, condiziona negativamente i futuri rapporti interpersonali e stimola una compensazione aggressiva, che può culminare in asocialità.
    La figura paterna ha un ruolo essenziale nella formazione del Super-Io e rappresenta, secondo Mastropaolo, l'elemento qualificante della famiglia e il modello normativo di base per la costituzione di una coscienza etico-sociale. Il padre rappresenta, con il superamento del complesso edipico, il più rilevante modello di identificazione. La progressiva espansione della socialità e il senso dell'autorità sono legati ai vissuti con la figura paterna.
    Le capacità di adattamento sono vincolate al grado di introiezione dell'ideale della persona adulta, che si concretiz7a nel padre e nella madre. L'immedesimazione del bambino è tale che orienterà i propri affetti e i propri interessi ad immagine e somiglianza delle persone introiettate.
    Quando l'identificazione avviene con i genitori che gestiscono comportamenti irregolari, le conseguenze sul piano dell'adattamento sociale saranno negative e il bambino potrà strutturare la propria personalità in senso antisociale. Un vasto numero di ricerche sperimentali ha focalizzato alcune cause familiari del disadattamento sociale. Elenchiamo le motivazioni o situazioni più significative:
    – presenza di disorganizzazione familiare nei bisogni o attenzioni fondamentali;
    – mancato controllo e aiuto verso i figli.
    – stimolazione diretta alla delinquenza;
    – identificazioni con modelli negativi;
    – timori di punizioni immotivate o sproporzionate;
    – nucleo familiare disgregato (separazione, lunghe assenze, orfani, ecc.);
    – nucleo familiare disturbato da continui litigi e violenze (alcolismo, debolezza mentale, ecc.);
    – aspirazione sociale e impossibilità, da parte di uno o più membri del nucleo, di arrivarvi.
    Il fattore culturale è senza dubbio molto rilevante tra le cause del disadattamento e si presenta sotto varie sfaccettature.
    Come è già stato precedentemente affermato, il fenomeno dell'immigrazione porta con sé capovolgimenti culturali e tradizionali che causano una iniziai< incapacità d'inserimento nel nuovo contesto e il rifiuto di quello originario Ne consegue un senso di emarginazione.
    Alcune ricerche tra i giovani disadattati hanno addirittura rilevato una differenza nel quoziente intellettivo. Infatti tali soggetti ottengono risultati migliori nel prove di ordine pratico manipolativo e inferiori in quelle richiedenti capaciti di pensiero astratto, attenzione continuativa, ordinato processo di ricerca e soluzioni del problema.
    Queste considerazioni portano ad alcune conseguenze sul piano dell'organizzazione della condotta:
    • minore capacità di superare per via indiretta, cioè con azioni a più lungo termine, certe difficoltà che non possono sempre essere risolte con poche e semplici azioni (ad esempio possedere un oggetto) ma che richiedono una iniziale rinuncia per conseguire l'obiettivo (es. apprendimento di un mestiere per poter possedere l'oggetto);
    • minore capacità di previsione delle conseguenze del proprio agire. Vengono così viste le conseguenze immediate ma non quelle future e anche se queste ultime vengono prese in considerazione hanno un aspetto reale minore;
    • ritardo scolastico tanto più accentuato quanto l'insegnamento si basa su concetti mnemonici astratti e sul rendere l'alunno oggetto passivo;
    • carattere in genere estroverso tendente a liquidare sul piano dell'azione qualsiasi risentimento e ad un immediato soddisfacimento dei propri desideri.
    Il nucleo familiare disgregato, l'emarginazione scolastica, le differenze sociali-culturali-ambientali, spingono il ragazzo ad isolarsi dal mondo adulto e a socializzare con coetanei, che presentano le sue stesse problematiche. Ne nasce il gruppo o la banda, chiamata delinquenziale, che può portare a scelte radicate di asocialità. A questo punto di solito le persone per bene iniziano a chiedere la pena di morte!
    Se è incontestabile lo sdegno di fronte alla violenza, è addirittura immorale non avere il coraggio di ricercarne le autentiche cause.
    I quartieri ghetto di tutte le grandi città, quali reali possibilità danno all'uomo per inserirsi nel tessuto sociale? In quale modo le strutture sociali (scuole, ospedali, centri sportivi, ambulatori, consultori, ecc.) rispettano l'uomo? In quale modo le stimolazioni consumistiche costruiscono e propongono scale di valori? In che misura gli aspetti disumanizzanti della società capitalista sono causa principale delle realtà psicologiche anomale descritte?
    Alla luce di questi interrogativi forse si può capire maggiormente la «rabbia del povero» e le obiettive difficoltà di adattamento nella nostra nevrotica realtà quotidiana.
    Di fronte agli appelli dei ragazzi disadattati, appelli di aiuto, di disperata ricerca di umanità e di comprensione, cosa ha fatto e cosa fa la società prima che si trasformino in aperta ribellione?

    RICERCA DI SOLUZIONI

    Fino a pochi anni fa il prelevare i minori e l'intrupparli in mega-istituti o riformatori, lontano dagli occhi indiscreti, era, per quei tempi, l'unica soluzione attuabile. Non esisteva attenzione al singolo ma solo all'ordine disciplinare dei gruppi.
    Quando si toglie dalla circolazione le persone disturbanti si crede di superare il problema ed è così possibile dormire sogni tranquilli, convincendosi che certe realtà non esistono più. Istituti, riformatori, ospedali psichiatrici, ospizi per anziani, carceri hanno sotto questo aspetto molti punti in comune.
    L'istituto tradizionale inteso come struttura chiusa, repressiva o paternalista, che non porta ad una crescita interiore ma rallenta processi di responsabilizzazione e favorisce ogni sorta di immobilismo e di parassitismo non può non essere condannato e abolito.
    Le cause del disadattamento devono essere rilevate al momento del loro insorgere e nell'ambito dell'ambiente in cui vive il minore.
    Gli operatori di quartiere (assistenti sociali, psicologi, educatori, ecc...) sono i primi ad essere coinvolti. Solo in questa sede si rilevano in maniera idonea i reali bisogni del ragazzo ed è possibile avviare un preciso plano di aiuto. A seconda delle varie situazioni si tenderà preferenzialmente a dare un aiuto alla famiglia e a creare nell'ambiente socio-culturale del minore delle strutture di appoggio (scuola a tempo pieno, semi-convitto, aiuti economici, ricerca di disponibilità di posti di lavoro).
    Solo se la permanenza presso il nucleo di provenienza si rivela dannosa, antieducativa ed irrecuperabile si aprono un insieme di altre possibilità: affidamento familiare, comunità, centro base, ecc...
    La possibilità di affidamento familiare nasce da un'accertamento sociale che, visti gli aspetti antieducativi della famiglia di origine, propone l'affidamento del minore ad un'altra famiglia. Questo provvedimento non comporta per sé la perdita della patria potestà.
    L'affidamento familiare richiede un'attenta preparazione della famiglia ospitante e del minore, poiché i danni psico-affettivi provocati da un fallimento sono ben più gravi di quelli della istituzionalizzazione.
    Uno degli elementi di disturbo può essere provocato da negative interferenze tra la famiglia originaria, che può ricattare affettivamente quella ospitante. Purtroppo si sono verificati da parte degli operatori sociali atteggiamenti di superficialità e di scelte forzate verso questa soluzione, senza tener molto conto delle effettive necessità dei ragazzi.
    Non è assolutamente vera la diffusa opinione secondo la quale l'affidamento familiare sia la soluzione ottimale e necessaria per i vari casi.
    Le comunità sono strutture educative aperte, situate in alloggi dei vari quartieri cittadini e finanziate dal comune, regione o provincia, tramite rette versate per ogni minore ospitato. La gestione delle comunità, attualmente affidata in maggior parte alle IPAB (Istituzione di Pubblica Assistenza e Beneficienza), dovrebbe-con la legge 382 venire assorbita dalle strutture competenti.
    Tali comunità dovrebbero presentare alcune caratteristiche:
    • Possibilità di ospitare un numero di minori non superiore ad otto elementi.
    • Presenza di tre o quattro educatori con consulenza psico-pedagogica continua.
    • Inserimento nella zona attraverso collegamenti con le forze sociali presenti.
    • Funzioni polivalenti rispondenti alle caratteristiche del disadattamento, quali effettivamente si presentano.
    È inoltre doveroso citare alcune esperienze di comunità familiari composte da ragazzi appartenenti ad una stessa famiglia e gestite da educatori che condividono, con una presenza prolungata, l'esperienza di rieducazione (per es. in Torino da alcuni anni esiste una comunità gestita da due educatrici che seguono sei fratelli rimasti orfani della madre, che era stata uccisa in loro presenza dal padre).
    Il centro base è formato da un insieme di piccoli gruppi-comunità e risponde ad alcune necessità particolari:
    • Offrire ospitalità anche per periodi brevi a seconda delle varie situazioni familiari.
    • Offrire possibilità di spazio e di elasticità strutturale per i soggetti più disturbati.
    • Creare gruppi terapeutici.
    • Prestare opera di supplenza dove sono assenti le auspicate strutture di base.
    Le soluzioni al disadattamento si focalizzano alla base nella misura in cui sono presenti operatori che usufruiscono di ampio spazio creativo, superano le prevenzioni sociali e decidono di attuare scelte personali di vita a favore dei ragazzi loro affidati.
    Le capacità e la disponibilità dei singoli educatori sono le principali condizioni per una buona riuscita dell'esperienza rieducativa. Non esistono purtroppo delle occasioni di formazione specifica e di aggiornamento per tali educatori. In Italia, ad es., non esiste la professionalità, per cui gli istituti e le comunità devono assumere personale che ha un altro tipo di qualifica e iniziare la preparazione praticamente da zero. Solo in alcune grandi città vengono tenuti alcuni corsi di formazione per educatori, ma di fatto questi non sono che un piccolo avvio verso la professionalità. Ne nasce di conseguenza che l'esperienza di un educatore è un fatto transitorio nella sua vita, in quanto dopo pochi anni deve trovare uno sbocco professionale più consistente e sicuro.

    Note bibliografiche

    BANDINI-GATTI, Dinamica familiare e delinquenza giovanile, Giuffrè, Milano 1972.
    BERTOLINI P., Questioni di sociologia, Vol. 2°, La Scuola, Brescia 1966.
    BERTOLINI P., Delinquenza minorile e disadattamento, Armando, Roma 1971.
    COHEN, Controllo sociale e comportamento deviante, Il Mulino, Bologna 1971.
    FRANCHINI-INTRONA, Delinquenza minorile, Cedam, Padova 1961.
    GLUECK, Dal fanciullo al delinquente, Universitaria, Firenze 1967.
    Rivista: Esperienze di rieducazione, Istituto Poligrafico, Roma.

    NOTA

    (1) FRANCHINI-INTRONA, Delinquenza minorile, Cedam, Padova 1961.


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