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    Condizione giovanile e esperienza cristiana


    Articolo redazionale

    (NPG 1978-01-3)


    Il progetto editoriale di quest'anno prevede di raccogliere gli studi attorno ad unico tema centrale: nuova condizione giovanile ed esperienza cristiana. O, meglio: integrazione tra la vita e la fede nella nuova condizione giovanile.

    1. I motivi di questo lavoro redazionale
    Il progetto ha una doppia funzione. La ricordiamo, anche perché ci interessa molto il confronto con i lettori.
    - La rivista ha operato, lentamente e progressivamente, molte scelte pastorali. Esse sono fondate sulla meditazione dei grandi temi della fede e aprono a suggerimenti operativi molto concreti. Troppe volte abbiamo dato per scontati sia i primi che i secondi. E questo non ha facilitato il dialogo con tutti i lettori. Il tema di quest'anno ci permette di evidenziare le linee teologiche portanti, concentrando l'attenzione su alcuni argomenti nodali. E soprattutto ci costringe ad elaborare prospettive di azione pastorale coerenti con le scelte operate. Per questi motivi il lavoro redazionale risulta (per noi e per i nostri lettori) particolarmente impegnativo e stimolante.
    - Non vogliamo fare la ricerca in astratto ma ci muoviamo attorno allo studio dell'attuale condizione giovanile. Molti affermano che i giovani di oggi, di questi mesi, sono diversi dai loro coetanei di qualche anno fa. E' vero? Perché? Dove stanno le diversità? Questo facilita o complica il dialogo con l'esperienza cristiana?

    2. L'articolo in sintesi
    Iniziamo lo studio con un primo intervento, elaborato sul materiale raccolto in diversi incontri redazionali. Esso fa il punto sul problema. Suggerisce le linee di fondo della nostra interpretazione e del nostro progetto.
    Molti argomenti sono trascritti in modo conclusivo. Altri, invece, sono appena accennati e richiedono ulteriori approfondimenti. L'articolo ha quindi la funzione di ritagliare un quadro globale, dal quale rileggere gli interventi successivi e nel quale collocare tutta la ricerca.
    Riprenderemo poi singoli temi, per motivarli e precisarli.
    Il lettore è sempre invitato a rifarsi a questo progetto di sintesi; gli spunti introduttivi lo aiuteranno, di volta in volta.
    La nostra ricerca si muove in tre tappe successive: esse corrispondono ad un corretto metodo di analisi pastorale.
    - In primo luogo, vogliamo evidenziare un ritratto del giovane di oggi, nella nuova condizione che stiamo sperimentando.
    - In secondo luogo, raccogliamo alcuni imperativi per l'azione pastorale, facendoli emergere da una lettura credente della situazione descritta
    - In terzo luogo, elaboriamo un progetto, suggerendo tendenze sul piano dei contenuti da privilegiare e su quello delle strategie concrete di intervento.
    Questi tre momenti sono vissuti sempre mediante approcci interdisciplinari. Consideriamo cioè un unico globale problema (condizione giovanile ed esperienza cristiana) da comprendere e risolvere mediante contributi specifici (sociologo, psicologo, teologo, metodologo...), unificati dall'unica prospettiva di lavoro: l'interesse pastorale

    3. Per una piena utilizzazione dell'articolo
    Per salvare la completezza del discorso, abbiamo fatto un articolo più lungo di quelli normalmente presenti nella rivista. Lo stimiamo però molto importante, pregiudiziale a tutti gli interventi successivi. Per questo, vogliamo facilitare la lettura, premettendo ad ogni parte una sintesi. Essa ricorda varie cose:
    - il significato della parte (grosso modo quello che abbiamo scritto anche in questa presentazione);
    - i singoli punti dello svolgimento;
    - i «temi» sui quali pensiamo di ritornare mediante articoli successivi;
    - il rimando ad alcuni interventi già apparsi sulla rivista, che sviluppano argomenti presenti in questo articolo.
    Questa è la nostra proposta, molto interlocutoria. Ci interessa il parere dei lettori soprattutto in merito ai temi da approfondire attraverso articoli successivi. Quelli segnati sono i più importanti? Oppure ce ne sono altri? Quali? Il confronto con gli operatori diretti è decisivo per la funzionalità e la concretezza del nostro lavoro.


    0. UN ANNUNCIO «RELATIVO» ALLA CONDIZIONE GIOVANILE?

    Questa parte serve da premessa. Vuole rispondere ad una domanda pregiudiziale, di metodo pastorale: perché interessarsi della condizione giovanile, per fare la proposta cristiana? Non è sufficiente approfondire il messaggio evangelico?
    Noi affermiamo che la Parola di Dio è salvezza per la persona, quando si incarna nella sua condizione. Perciò dobbiamo essere molto attenti alla condizione giovanile, per operare una corretta «incarnazione». La dimostrazione di questa affermazione è teologica e non sociologica; questa parte introduttiva fa quindi un discorso tipicamente di teologia pastorale.

    SONO ANALIZZATI I SEGUENTI PUNTI:
    0.1. La «grande svolta» del Concilio ci invita a due importanti atteggiamenti: la riscoperta dell'evento di Gesù Cristo «incarnato» (0.1.1.); l'approfondimento del significato di una formula come «educare alla fede» (0.1.2.)
    0.2. L'atteggiamento dell'operatore di pastorale giovanile nei confronti della condizione giovanile: un ascolto attento e critico dei giovani.
    0.3. La proposta cristiana deve essere «relativa» ai destinatari, ma non può mai perdere la sua carica trascendente e non può rinunciare alla completezza e globalità.

    I TEMI DA APPROFONDIRE IN ARTICOLI:
    Vogliamo approfondire le affermazioni relative al rapporto che esiste tra «evento dell'incarnazione» (0.1.1.) e «educazione alla fede» (0.1.2.), per mostrare concretamente in che cosa debba consistere il «cambio di mentalità» suggerito.

    ABBIAMO GIÀ PARLATO DI:
    Abbiamo già approfondito il tema della fedeltà a Dio e all'uomo nella pastorale giovanile, nello studio di G. Gatti (1976/79, 72-80).
    Stiamo facendo un'operazione insolita, se la paragoniamo con la prassi pastorale dominante fino a pochi decenni fa.
    Come andavano generalmente le cose, in campo di educazione dei giovani alla fede?
    Ci si preoccupava soprattutto dei «contenuti» da trasmettere e del «modo» con cui trasmetterli. Il criterio, unico e fondamentale, era l'ortodossia: la retta interpretazione e comunicazione del «depositum» della fede. Nella definizione dei metodi, l'attenzione era concentrata sul dosaggio tra «grazia» di Dio e «intelligenza e volontà» dell'uomo. La fede era ancorata ad un mondo di formule» immobile, fuori dai problemi quotidiani. Dalla fede, attraverso un processo deduttivo, si arrivava alla vita, considerata il luogo della coerenza, lo spazio esistenziale in cui la persona «dimostrava» che aveva accettato il dono della fede, perché traduceva i valori perenni in gesti coerenti. Non esisteva un riflusso, di senso contrario, dalla vita alla fede; e nemmeno ci si preoccupava troppo dello svolgersi quotidiano della storia, perché la fede era al riparo da questi problemi.
    Le «risposte» del catechismo (e cioè un insieme di «formule» precise e ben codificate) condensavano alla perfezione i trattati teologici, e andavano bene per tutti (almeno così si pensava).
    In questo orizzonte nessuno si poneva il problema che invece vogliamo affrontare: quale esperienza cristiana per giovani di oggi?

    0.1. La grande svolta del Concilio

    «Il rinnovamento della catechesi» apre il capitolo dedicato a definire i criteri «per una piena predicazione del messaggio cristiano», capovolgendo le prospettive, come un soffio impetuoso di vento che sconvolge i fogli ben ordinati sul proprio tavolo di lavoro. Dire, infatti: «La misura e il modo di questa pienezza (la pienezza dell'annuncio del messaggio di Cristo) sono variabili e relativi alle attitudini e necessità di fede dei singoli cristiani e al contesto di cultura e di vita in cui si trovano» (RdC 75).
    Le abbiamo ripetute tante volte queste battute. Ma vanno meditate e comprese in tutta la loro ricchezza pastorale. Ci ricordano che il compito della comunità ecclesiale, di annunciare e di celebrare con integrità e pienezza il messaggio cristiano, non è «sopra» la persona, ma «per» la persona.
    Si richiede quindi un rispetto profondo alla «misura» storica del suo esistere e della maturità raggiunta. La Parola di Dio è «salvezza» per la persona, quando si «incarna» nella sua condizione. Questa incarnazione è l'unico modo serio di «rispettare» l'evento di salvezza.
    Dobbiamo motivare questa affermazione, per rivelarne tutta la carica teologica: solo da questa ricomprensione nella fede si giustifica il nostro orientamento pastorale.

    0.1.1. Riscoprire l'evento dell'Incarnazione
    La giustificazione del fatto che la pastorale entra nei problemi umani, li assume come suo spazio di intervento, scende dal piedistallo comodo delle sicurezze per rendersi «relativa» alla misura dei destinatari concreti, è Gesù Cristo. Il «metodo» dell'incarnazione nasce dall'«evento» che è Gesù stesso.
    Non siamo noi che incarniamo la fede nella vita, per tentare di inventare un metodo raffinato, quando sono ormai saltati tutti i ponti, nel difficile dialogo tra giovani e fede. E' Dio stesso che in Gesù Cristo si è fatto carne, ha assunto tutta la condizione umana, diventando veramente dei nostri, «consostanziale» a noi.
    L'evento dell'Incarnazione è riscoperto non solo come «mistero da celebrare» ma come progetto salvifico di Dio, da realizzare.
    I discepoli e le prime comunità cristiane, meditando il significato del mistero di Gesù, hanno elaborato una prassi pastorale che è normativa anche per noi, per la nostra comunità ecclesiale.
    I discepoli di Gesù avevano capito di essere amati da lui. Essi sperimentarono che in Gesù la vita umana trovava un senso: la loro situazione senza speranza e senza sbocco, carica di problemi, diventava in Gesù importante, interessante, affascinante. Era «parte» del Gesù storico con cui dialogavano.
    Assunta in Gesù, la vita umana era restituita ai discepoli, piena di significato. Essi, poi, compresero che tutto ciò Gesù lo diceva e lo faceva nel nome di quel Dio che chiamava Padre. Nella bontà che gli uomini sperimentavano in Gesù, nel suo perdono, nella sua proposta di libertà e di gioia, c'era il Padre. In Gesù, Dio era accanto all'uomo.
    In questo orizzonte, la comunità ecclesiale si è costituita, ha agito e proclamato, animata dallo Spirito di Gesù. Essa ha così fondato una sua prassi pastorale. Rileggendo il suo oggi storico alla luce del mistero di Gesù, ha trovato una risposta ai problemi che il quotidiano le lanciava. Ha colto l'unità dell'amore a Dio e dell'amore all'uomo, nella coscienza che la radice del problema-uomo, la sua fondazione, è Dio stesso, colui che Gesù chiama suo Padre. Questo evento di salvezza interpella oggi le nostre comunità ecclesiali. Orienta ogni progetto di pastorale sulla linea di una reale incarnazione nell'oggi storico, per essere, in Gesù, la presenza del Padre accanto all'uomo; per essere la salvezza di «questo» uomo.

    0.1.2. Si può educare alla fede?
    Abbiamo messo l'accento sull'evento dell'Incarnazione. Questo fatto ci permette di procedere oltre, affrontando un argomento che è tipico della pastorale giovanile e che segna un altro notevole passo in avanti nella riflessione sullo statuto della fede (e quindi sul modo di «educare alla fede»).
    L'evangelizzazione ha come contenuto fondamentale il mistero di Dio in Gesù Cristo. E cioè l'alleanza: un'alleanza d'amore tra tre Persone nella unità di una stessa vita (ciò che Dio è); un'alleanza d'amore tra Dio e l'uomo per la realizzazione della salvezza (ciò che Dio fa); un'alleanza l'amore tra gli uomini e Dio nella e per la fede (ciò che Dio attende). Questo annuncio ha un carattere trascendente: supera ogni capacità di apprendimento da parte dell'uomo. L'azione pastorale ha come compito condurre all'incontro personale con la Parola pronunciata nella Rivelazione: Gesù Cristo.
    Si può educare a questo incontro?
    La domanda è molto seria. Dalla risposta che viene data, si decide un modo di fare pastorale (di intendere, per esempio, il rapporto tra grazia e responsabilità dell'uomo, la funzione dei sacramenti, il significato della preghiera...).
    La pastorale tradizionale era preoccupata più dell'oggetto della proposta (che cosa comunicare) che del soggetto (la condizione esistenziale, la maturità reale di «questi» giovani), perché rispondeva prevalentemente di no alla domanda; la fede, si diceva, è dono da accogliere, perciò non si può parlare di «educazione».
    Il riferimento all'evento dell'Incarnazione ci costringe, invece, a ragionare in modo diverso.
    L'Incarnazione ci ricorda due grandi cose: la Parola di Dio è sempre «incarnata», assume cioè una sua visibilità umana, storica, per farsi vicina e accessibile all'uomo, in vista della fede; la risposta dell'uomo è sempre una risposta concreta, storica, «incarnata» nella sua vita e condizione, espressa attraverso «mediazioni».
    La fede è un atto che impegna tutto l'uomo nel più profondo del suo essere, che lo mobilita integralmente. Essa è sempre decisione-risposta umana, anche se sostenuta dal dono stesso, animata dallo Spirito Santo. Perciò è segnata da tutti i caratteri dell'umano: la progressività, per esempio, la storicità, la comunitarietà, la dipendenza dai condizionamenti ambientali e culturali. E questi sono tutti elementi sui quali si può intervenire attraverso i processi educativi. Anche i segni della Rivelazione (i segni biblici, liturgici, dogmatici, storici) sono contrassegnati di dimensioni storiche e culturali che li rendono più o meno significativi per questo destinatario concreto.

    0.2. L'atteggiamento di fondo di ogni operatore pastorale

    Per educare alla fede i giovani, dobbiamo chiederci «chi sono»: dobbiamo ascoltarli, condividere in modo riflesso la loro condizione, rispettare il livello di maturità soggettiva. Questa è una conclusione «pastorale», legata cioè alla fede e alle dimensioni tipiche del ministero pastorale. Per molti educatori si tratta di una affermazione ormai pacifica. Troppe volte, però, più facile da ricordare che da realizzare.
    Ciascuno di noi entra nella realtà con una matrice culturale. Non possiamo, infatti, sognare di essere così «disarmati», così «neutrali», da rinunciare a quello che siamo, ai nostri compiti e alla nostra esperienza. Questa nostra «collocazione» è importante ma pericolosa: facilita gli approcci, ma li orienta con il rischio di trovare nella realtà solo la conferma dei nostri punti di vista.
    Qual è l'atteggiamento corretto?
    Per noi è determinato da due modi di fare. Prima di tutto ci vuole una grossa capacità critica verso sé stessi, per superare i pregiudizi e i giovanilismi.
    Un pregiudizio, molto frequente, è quello che ci fa dire: i giovani sono «problema». Questo significa che le nostre attese su loro vanno deluse. Da qui il problema: la realtà ci disturba.
    Se guardiamo i giovani di oggi da quest'ottica, il giudizio diventa negativo, perché i motivi di delusione non sono pochi. Troppi modelli sono saltati, buttando all'aria processi che sembravano consolidati. Troppi aspetti della nuova condizione giovanile scalzano i principi sui quali noi siamo cresciuti. Nelle valutazioni che corrono sulla grande stampa (e, qualche volta, anche tra gli educatori) predominano gli stereotipi, fino a far assurgere a simbolo sociale universale ciò che invece è soltanto emergenza di poche frange. Del resto, è molto difficile fare un discorso sui giovani, in un tempo come il nostro in cui esistono sfaccettature molteplici e contraddittorie della stessa condizione giovanile.
    Il secondo modo di fare è costituito dal coraggio di saper esprimere chiaramente la propria precomprensione, per giocare a carte scoperte, lasciandosi giudicare anche sulle promesse.
    Con questo spirito vogliamo analizzare la nuova condizione giovanile. Sappiamo che essa possiede valori e disvalori, come ogni espressione umana. Crediamo che ogni giovane abbia una propria consistenza e responsabilità autonoma, anche se molte sue caratteristiche sono acquisite dal contesto culturale di cui è parte; esistono potenzialità di trasformazione non collegate in modo deterministico con il sistema sociale, pur essendo la interrelazione certamente stretta.
    Affermiamo, per una lettura credente della storia, che anche in questo «mondo» è all'opera la potenza della salvezza di Dio, capace di far nuove tutte le cose. Questa salvezza possiede anche nei giovani di oggi (in tutti) un «già» di realizzazione, pur nel non-ancora della attesa. Per questo la nostra ricerca si muove partendo dal positivo, con l'ottimismo del Dio creatore. Sappiamo però che ogni valore umano ha bisogno di salvezza, per essere purificato e consolidato; per questo non possiamo affidare neppure ai giovani d'oggi una funzione catartica universale.

    0.3. La funzione normativa della fede

    Stiamo delineando gli atteggiamenti fondamentali da assumere, per definire in modo corretto il dialogo tra esperienza cristiana e nuova condizione giovanile. Non siamo ancora entrati nei contenuti; ci siamo solo fermati alla soglia, affermando i «criteri» con cui vivere il processo.
    Prima di procedere, dobbiamo ricordare un'altra importante dimensione: la funzione normativa della fede.
    Come dicevamo, una tradizione pastorale diffusa nel passato giocava tutte le sue carte nel conservare «intatto» il deposito della fede; l'annuncio si misurava solo su questo parametro di integrità e di completezza.
    La riscoperta del principio dell'Incarnazione, con le conseguenze educative che abbiamo ricordato, mette invece l'accento sul rispetto dei destinatari e, quindi, sulla «variabilità» alla loro misura storica.
    Questo però non può farci concludere nel «relativismo» (tutto va bene, purché vada bene ai destinatari...) o nell'indebita «riduzione» del messaggio cristiano, cancellando dall'annuncio le cose scomode o quelle che non corrispondono agli interessi immediati dei giovani.
    Gesù Cristo è la salvezza di Dio per l'uomo, va annunciato e incontrato nella sua sconvolgente totalità. Ci salva «incarnandosi»: quasi «svuotandosi», per farsi sulla misura delle condizioni concrete di ogni persona e di ogni cultura. Ma si incarna per «salvare»: per comunicare a tutti una vita e un annuncio che è radicale dono di Dio, da accogliere nella sua pienezza e alterità, che ci supera e ci giudica. In questa doppia attenzione si comprende il rapporto tra crescita e oggettività.
    Il confronto con l'evento di salvezza che è Gesù Cristo (testimoniato nella «storia» della comunità ecclesiale) garantisce la radicazione del dono di Dio. Da questo confronto nasce la progettualità, la crescita nella creatività, come sviluppo e definizione sempre nuova di quello che ci è stato donato e che ci costituisce come «persone salvate».
    Si potrebbe fare un esempio, pensando all'avventura esistenziale di ogni uomo. Ogni giorno «veniamo all'esistenza», in una vita da inventare quotidianamente. Ma cresciamo «dentro» il nostro codice genetico fondamentale. Esso ci costituisce come irripetibilità personale, anche nel costante sviluppo della nostra vita. Queste riflessioni hanno un peso molto importante nell'azione pastorale: dobbiamo salvare la «normatività» che compete alla fede, proprio mentre se ne vive la «relatività» alle persone e condizioni storiche. In caso contrario, non si fa pastorale, perché non si educa alla fede, né si fa esperienza di salvezza: non c'è salvezza se non nella potenza di Dio e non c'è fede se non nell'adesione incondizionata alla sua Parola.
    Lo ricorda, in modo suggestivo, la lettera agli Ebrei: «La fede è un modo di possedere già le cose che si sperano, di conoscere già le cose che non si vedono» (11,1). Per essa ci giochiamo, accettando di entrare in un progetto che ci supera mentre ci interessa profondamente, perché ci parla di quello che siamo e viviamo.

    1. LA «NUOVA» CONDIZIONE GIOVANILE

    Questa prima parte, di natura prevalentemente sociologica, analizza e interpreta i tratti caratteristici della nuova condizione giovanile, pensando soprattutto ai problemi che nascono per l'educazione alla fede. Non ci interessa il giovane di sempre, con i suoi problemi e attese di ordine oggettivo; ma «questo» giovane, trascinato tra angosce e speranze per il fatto di vivere in un sistema sociale di crisi e di transizione come è il nostro.

    SONO ANALIZZATI I SEGUENTI PUNTI:
    1.1. I fattori culturali (legati cioè a problemi di mentalità, di valori, di atteggiamenti) e quelli strutturali (legati cioè a condizionamenti politici, economici, di gestione della cosa pubblica: a fattori che superano la responsabilità e la buona volontà delle singole persone), che sono alla radice della nuova condizione giovanile.
    1.2. Il riflesso che questi fattori esercitano sui giovani di oggi, per tentare di descrivere chi» sono questi nostri giovani.
    1.3. Una nuova domanda religiosa? Questo punto entra nel vivo del problema pastorale, per analizzare come i giovani di oggi «sentono» il fatto religioso.
    1.4. Tutto questo interessa tutti i giovani o solo alcune frange? La grande maggioranza dei giovani è quella di sempre?

    I TEMI DA APPROFONDIRE IN ARTICOLI:
    Vogliamo approfondire tre argomenti:
    - studiare l'attuale condizione giovanile nello sviluppo vissuto in questi ultimi anni, per vedere concretamente cosa c'è di totalmente nuovo e cosa invece è legato al passato; - approfondire il problema: «tutti i giovani o solo alcuni?» (1.4.), anche per suggerire i diversi esiti e le diverse collocazioni giovanili (maggioranza/minoranza, studenti/ operai, città/campagna, maschi/femmine, integrati/rivoluzionari...);
    - ricercare quali sono le «esperienze privilegiate» che spingono i giovani a porsi oggi il problema religioso (1.3.).

    ABBIAMO GIÀ PARLATO DI:
    Per un'analisi molto ampia dei fattori strutturali che stanno alla base della crisi attuale, rimandiamo allo studio di F. Garelli (L'adolescente 1977 vive in un mondo così), in 1977/7, 12-18.
    Esiste un rapporto molto stretto, anche se non deterministico, tra la situazione strutturale e culturale di una società e le modalità con cui si autoprogettano le persone. L'affermazione, generale, ha una risonanza tutta speciale quando viene riferita ai giovani. Essi, infatti, sono i più facili catalizzatori delle tensioni emergenti e coloro sui quali ricadono, con peso maggiore, le disfunzioni di ogni sistema. Partendo da questa premessa, studiamo la «nuova» condizione giovanile.
    La crisi che stiamo attraversando esercita un peso notevole sui giovani. La condizione giovanile di questi nostri anni possiede molti tratti specifici, che la diversificano da quella del sessantotto (tanto per fare un caso emblematico) e da quelle precedenti, perché nella nostra società sono avvenuti cambi molto grossi.

    1.1. I fattori culturali e strutturali

    Non vogliamo addentrarci in un'analisi che andrebbe troppo per le lunghe, trascinando le nostre riflessioni lontano dalle prospettive che ci interessano. Vogliamo evidenziare alcuni aspetti, sui quali fonderemo poi la definizione dell'attuale condizione giovanile e le strategie di intervento.
    Sottolineiamo tre dimensioni di un fenomeno globale.

    1.1.1. Fattori strutturali
    Molti dati dell'attuale crisi possono essere interpretati alla luce di fattori strutturali, a prevalente peso economico.
    Ricordiamo, tra gli altri: la caduta di sicurezza professionale, soprattutto per le quote-deboli del mercato del lavoro, caduta che spinge alla ricerca di un sistema di garanzie, alla sopravvivenza a tutti i costi, in una società che divora i suoi figli; l'emarginazione dai centri decisionali, soprattutto per i giovani, costretti ad una adolescenza prolungata a causa della disoccupazione incombente; la crisi delle istituzioni tradizionali con conseguente caduta di un modello di sviluppo egemonico (pluralismo).

    1.1.2. Crisi del modello educativo
    Un'attenzione particolare merita la crisi che ha investito i modelli educativi tradizionali. Si tratta di una crisi oggi senza apparente sbocco, perché sono stati spazzati via molti elementi certamente superati, ma non sono stati integrati nel tessuto sociale validi modelli alternativi.
    Lo sviluppo sociale, specialmente nell'epoca industriale, ha portato alla specializzazione delle funzioni, con conseguente frammentazione e dispersione dell'unico tessuto sociale.
    La formazione è un esempio tipico di questo fenomeno.
    Prima, questa attività veniva svolta dal gruppo sociale nella sua interezza e l'apprendimento avveniva attraverso la vita quotidiana.
    L'evoluzione sociale ha spinto sempre più ad isolare questa funzione, delegandola ad istituzioni specializzate. Il fatto ha prodotto innegabili vantaggi dal punto di vista dell'efficienza, ma ha provocato una separazione forzata tra «vita» e «apprendimento». Tra le molteplici conseguenze di questa situazione, ne sottolineiamo una: moltissimi giovani sono incapaci di apprendere dall'esperienza. La crisi strutturale che ha investito le istituzioni deputate a questo compito (famiglia, scuola, per esempio...) ha fatto il resto.
    Ci troviamo in presenza di una gravissima crisi di valori e di modelli educativi. I giovani si inseriscono nel sistema sociale senza poter disporre di un filtro culturale adeguato, che permetta loro di discernere le varie proposte.
    incombente la tentazione di elevare il gusto personale, la spontaneità, il quadro soggettivo dei valori, a criterio valutativo; l'autonomia diventa cosa assoluta. Sottolineiamo un ultimo aspetto di questo problema, per il peso che riveste anche in rapporto alla maturazione nella fede.
    Ci si ritrova immersi nel presente, catturati dal suo fascino. Esso - l'immediato, il concreto, il tutto-subito - è principio di intervento e di giudizio. Manca la capacità di collegamento con il passato. Alla «contemplazione» si contrappone la prassi. Per questo sono franati valori come il sacrificio, l'impegno, la responsabilizzazione, la sobrietà di vita, quei valori per i quali valga la spesa costruire qualcosa.
    L'accento sul presente chiude anche l'immaginazione e la prospettiva: il futuro è voce priva di senso. Entrano in crisi anche le ideologie e i sistemi culturali che rilanciano la soluzione del presente verso un futuro.
    I giovani del sessantotto si ribellavano in nome degli ideali affermati e traditi dalla generazione dei loro padri. Molti giovani di oggi si ribellano in nome del presente, del tutto-subito.

    1.1.3. Crisi dell'istituzione ecclesiale
    La crisi generale che ha investito ogni istituzione pubblica conduce ad una diffusa crisi dell'istituzione ecclesiale, nelle sue forme ufficiali. Crisi che è acuita dalla marginalità strutturale a cui è condannata, nel nostro sistema culturale. Il pluralismo (anche se più apparente che reale) è oggi realtà diffusa e normativa; costringe quindi alla marginalità ogni istituzione che si affermi depositaria di valori totalizzanti. A questo si aggiunga il conflitto oggettivo di valori, tra il permissivismo dominante e la radicalità delle proposte cristiane. Non va trascurata neppure la crisi interna, legata ai processi di cambio che la Chiesa sta vivendo.
    La crisi di significatività dell'istituzione ecclesiale non conduce solo al rifiuto scoperto delle sue proposte. Pone grossi problemi di appartenenza anche a coloro che vogliono continuare a valutarla come importante.
    Dobbiamo aggiungere un ultimo rilievo.
    Molti giovani non vivono questo problema in modo diretto. Per essi, la crisi dell'istituzione ecclesiale inizia quando entra in crisi il gruppo a cui appartengono, perché l'unico loro contatto esperienziale con la Chiesa è quello mediato dal gruppo. D'altra parte, però, la perdita di prestigio di molti gruppi e movimenti ecclesiali o la loro ripresa secondo determinate direzioni è segno della più larga crisi istituzionale e dei diversi suoi esiti.

    1.2. Il riflesso sui giovani

    Questi fenomeni, di ordine e di peso diversi, si ripercuotono sui giovani di oggi, determinando alcuni tratti di personalità molto diffusi, che definiscono la «nuova» condizione giovanile.
    Li elenchiamo di seguito, per descrivere un quadro interpretativo globale.
    - In molti giovani la crisi attuale ha attivato un senso di grande responsabilità. Essi sentono (e vogliono) essere protagonisti della storia, da trascinare verso nuovi modelli, per la liberazione di sé e degli altri.
    - Esiste una sensibilità diffusa verso i valori a carattere sociale: senso del collettivo, coscienza di classe e dei valori delle classi povere, apertura verso qualsiasi proposta, atteggiamento di ricerca, realismo...
    - La crisi produce però una grossa rivincita di «autonomia», di soggettività. I giovani disorientati e frustrati scelgono uno sbocco immediato, a piccolo cabotaggio, per affermare il loro bisogno di sopravvivenza, di spazio vitale. Le emergenze di questa rivincita del soggettivo sono molte e diverse: il piccolo gruppo, il sesso, la violenza, l'integrazione nel sistema, la sua eversione radicale, il beffeggio o l'avventura dell'«indiano metropolitano»... La radice, però, è identica: una diffusa mancanza di prospettiva: esistenziale (quale «qualità di vita») e professionale.
    - Assistiamo ad un notevole disorientamento culturale, causato da quella crisi dei modelli culturali ed educativi che abbiamo ricordato. Molti valori sui quali noi abbiamo impostato la nostra vita (professionalità, laboriosità, impegno, previsionalità, attesa...) non dicono più nulla. La crisi strutturale li ha vanificati. Purtroppo non sono stati rimpiazzati con altri valori. L'impatto con la vita avviene sulla giornata, sul contingente, sull'immediato: manca ogni altro che permetta di valutare e organizzare le diverse proposte, in una progettazione di sé armonica e articolata.
    - Molti giovani che avevano creduto al politico e al sociale, sono entrati in crisi, perché si sono accorti della immensa capacità di recupero di cui il sistema è fornito. La nuova contestazione è definita dal revival del «privato», affermato spesso in termini totalizzanti e contrapposto al collettivo e al politico (i rapporti personali, l'ascolto e l'accoglienza intimistica, la rivendicazione a carattere corporativo, una certa riscoperta della sessualità e del proprio corpo...).
    - La conflittualità diffusa porta alla radicalizzazione delle posizioni: si ragiona a slogans; nei momenti assembleari diventa impossibile il dialogo e il confronto; anche lo «stare assieme» diventa scontro ed emarginazione.
    - Questi tratti, fortemente negativi, conducono a riconoscere in molti giovani un senso di angoscia, di insicurezza, un'incapacità a sperare, a guardare avanti. Essi dichiarano a parole e con i fatti un grande bisogno di essere accolti, compresi, ascoltati («convoco un'assemblea perché ho bisogno di qualcuno che mi ascolti», è stato scritto sui muri dell'università di Roma).
    Nell'elenco sono presenti atteggiamenti contraddittori (capacità critica ed espressioni sloganistiche, responsabilità e disimpegno, privato e collettivo...). Non è una svista redazionale. Siamo, infatti, convinti che l'attuale condizione giovanile, anche a causa dei fenomeni ricordati sopra, sia attraversata da grosse ambivalenze. Esse investono spesso anche la medesima persona, trascinata in posizioni disarticolate e conflittuali.

    1.3. Una nuova domanda religiosa?

    Questi fatti, l'angoscia e l'insicurezza, sono la nuova domanda religiosa dei giovani d'oggi? Da molte parti lo si afferma, con toni decisi.
    Qualcuno ricorda che sono venuti meno molti approcci tradizionali; sorgono anche nuove possibilità per riallacciare il difficile dialogo tra condizione giovanile ed esperienza cristiana. Anche noi crediamo che ciò che si attende dalla fede raramente è stato cos grande come oggi. Non possiamo però concludere il discorso con toni troppo svelti. Corremmo il rischio di fare dei cortocircuiti.
    Esiste una innegabile «domanda religiosa», espressa con termini diversi da quelli tradizionali e non immediatamente orientata alle nostre «risposte» religiose. Essa va però compresa e interpretata.
    - Molte domande religiose si collocano nell'ottica della fuga, della rinuncia, del disimpegno. La religione e vista come risposta ad un bisogno intimistico e individualistico di sicurezza. Il dialogo domande-risposta si sviluppa fuori e accanto ai processi storici: non tocca la crisi del sistema. Quando l'esperienza cristiana non scalfisce la storia, è fondamentalmente «alienazione».
    - Molte domande si muovono verso la ricerca di una nuova qualità di vita.
    Esse si orientano attorno a tre nodi: un innegabile bisogno di senso, che permane anche al di là della soddisfazione o della negazione delle esigenze materiali della vita; il recupero del personale, come cerniera tra il «pubblico» e il «privato»; la ricerca di valori gratuiti, fuori della logica consumistica, aperti al ludico (senso della festa) e allo spontaneo.
    Si tratta di domande umane, legate all'esperienza quotidiana. Contengono però una radicale apertura al trascendente, nel senso che l'annuncio della salvezza di Dio si colloca proprio nel fuoco di queste problematiche antropologiche: le Molti giovani vivono queste domande in un orizzonte ancora troppo privatistico: non tocca la crisi del sistema, se non come appendice.
    Molti giovani, infine, avvertono l'esigenza di gestire la crisi storica in termini di partecipazione, di responsabilizzazione. Colgono le contraddizioni del nostro tempo, ma vivono una speranza di cambio. Dalla loro vita emergono tendenze orientate attorno a questi temi: una fortissima carica di solidarietà, che supera il valore della persona in quanto individuo e include la fede in un comune destino degli uomini; la convinzione che la vita dovrebbe essere diversa, che sta a noi trasformarla, che facendo così giochiamo la nostra vocazione umana; la coscienza del male che opera attraverso lacerazioni e contraddizioni, spesso non riducibili a semplici responsabilità strutturali, coscienza che suscita un desiderio di trasformazione globale.
    Queste «domande» costituiscono la base per una proposta religiosa non alienante. Molti giovani, infatti, vivono questa loro esperienza come una grande certezza che tutti gli impegni di liberazione sono parte di un definitivo progetto di salvezza globale dell'uomo e della storia.

    1.4. Tutti i giovani o solo alcuni?

    Mentre si sviluppava la nostra ricerca, qualche lettore ha dato sicuramente voce ad un interrogativo importante: questa diagnosi si riferisce a tutti i giovani di oggi e riguarda solo alcune élites più sensibili?
    La domanda emerge facilmente in coloro che paragonano le cose lette con i giovani che incontrano quotidianamente. Essi sono «diversi», anche perché la descrizione rappresenta una situazione media e riassume tratti globali, diffusi in modo disarmonico sui singoli giovani.
    Chi ha ragione?
    La nostra risposta è articolata. La precisiamo, perché l'argomento è nodale. I fattori culturali e strutturali che abbiamo enunciato sono «globali»: toccano tutto il nostro sistema e quindi investono tutti i giovani.
    Il loro influsso, però, non è mai deterministico.
    Molte variabili intervengono: il misterioso gioco della libertà personale, l'esperienza educativa vissuta; il contatto più o meno fortunato con adulti, l'ambiente reale di vita; le mediazioni culturali; le ideologie in cui ci si riconosce e con le quali vengono interpretati i fenomeni strutturali; la maturità o la crisi di fede... Di qui l'esistenza di reazioni molto diverse. La ricerca di un appoggio e di una garanzia può essere vissuta, per esempio, nell'integrazione sociale, nell'eversione totale, nel disimpegno, nella politicizzazione, nella chiusura egoistica sui propri problemi o nell'assunzione di precisi e seri impegni.
    Queste reazioni hanno però un denominatore comune: quei fatti che stanno alla radice delle reazioni. Ed è proprio su questi fatti, sulla loro ricomprensione in termini maturi, che l'educatore è chiamato ad intervenire.
    Dobbiamo aggiungere una seconda precisazione.
    Molti giovani vivono la crisi in modo non riflesso. Riesce loro difficile dare un nome corretto ai disagi che provano. Le ricerche sulla condizione giovanile riconoscono che questi giovani rappresentano la maggioranza più larga dell'universo giovanile.
    Ma questo pone un nuovo problema educativo. Perché è un grosso guaio non sapere riconoscere quello che si sta vivendo.

    2. IMPERATIVI ALL'AZIONE EDUCATIVA E PASTORALE

    Questa seconda parte serve a decidere le linee di azione pastorale, necessarie per dialogare con i giovani d'oggi, così come li abbiamo descritti prima. Non ci sono contenuti né metodi pratici di azione; ma solo «imperativi», lince operative che ci sembrano urgenti oggi, se vogliamo raggiungere l'integrazione tra fede e vita in questi concreti giovani. Questa parte è stata scritta attraverso un processo circolare tra la fede e l'analisi socioculturale. La fede fa da «precomprensione»; con questo strumento «interpretiamo» la condizione giovanile, per raccogliere i suggerimenti all'azione.

    SONO ANALIZZATI I SEGUENTI PUNTI:
    Questa parte raccomanda sette «imperativi»:
    2.1. La necessità di dialogare con i giovani con un chiaro «progetto» in testa.
    2.2. La necessità di ritrovare il coraggio di «fare proposte».
    2.3. Educare le domande: e cioè partire dalle domande-bisogni dei giovani, aiutandoli però a esprimere domande-bisogni sempre più seri e impegnativi.
    2.4. In una società di largo anonimato, dobbiamo inventare nuovi spazi di aggregazione.
    2.5. La proposta cristiana è «una esperienza» di vita nuova.
    2.6. E' urgente rieducare al senso della storia, per leggere il presente alla luce del passato verso il futuro.
    2.7. Riscoprire la risonanza strutturale e collettiva dell'educazione alla fede.

    I TEMI DA APPROFONDIRE IN ARTICOLI:
    Vogliamo approfondire i seguenti temi:
    - cosa significa «educare le domande», soprattutto per aiutare i giovani a prendere coscienza riflessa della crisi che stiamo attraversando (2.3.);
    - l'uso delle «mediazioni» (riti, simboli, modelli, istituzioni, interventi c strumenti educativi...) nell'azione pastorale oggi.

    ABBIAMO GIÀ PARLATO DI:
    Ricordiamo soprattutto due numeri della rivista che sviluppano gli «imperativi» elencati: 1976/79 (destinato a suggerire modelli concreti di esperienza cristiana), 1977/2 (orientato ad analizzare il significato dell'esperienza nella proposta dei valori).
    Abbiamo delineato alcuni tratti della «nuova» condizione giovanile. Essi rappresentano, in positivo e in negativo, il problema a cui dare una risposta, per realizzare una proposta-esperienza di fede «relativa e variabile» ai giovani concreti.
    Su queste costatazioni inizia il lavoro tipicamente pastorale.
    Dobbiamo chiederci: quali «imperativi» emergono dalla situazione descritta? Quali elementi dobbiamo sottolineare. su quali dimensioni fondare l'esperienza cristiana, per poter presupporre che sia avvertita dai giovani come «risposta alle loro domande»?
    Il processo avviene mediante un confronto tra il dato della fede (la normatività della fede, come abbiamo già detto) e le condizioni storiche. Anzi, per fare le cose più concrete, il processo avviene secondo il criterio già pastorale dell'integrazione tra vita e fede.
    Obiettivo della pastorale giovanile è infatti la formazione di un'unica struttura di personalità i cui criteri valutativi e operativi si rifanno al messaggio cristiano non come ad un dato imposto dal di fuori, ma come ad esigenza e a risposta connessa con l'esperienza dei valori umani.
    Ci chiediamo, perciò, a quali condizioni la «fede» parla così espressivamente alla vita dei giovani da porsi come il significato decisivo dell'esperienza personale? E a quali condizioni la vita è così aperta al dono della fede, da accettarlo come criterio valutativo e operativo?
    Si noti: le domande non possono essere poste in astratto, pensando al «depositum» della fede o alla esperienza umana nella sua oggettività. Dobbiamo pensare spietatamente a «questi» giovani, al contatto che essi hanno con la fede cristiana, oggi-qui. Altrimenti ricadiamo nell'astrattismo pastorale, dimenticando i due criteri teologici che abbiamo sottolineato in apertura (l'evento dell'Incarnazione e la risonanza educativa della pastorale giovanile).
    Aggiungiamo una ulteriore sottolineatura, prima di offrire la nostra risposta a questi interrogativi. Sul piano della ricerca pastorale, possiamo parlare di «contenuti» e di «metodi» (il modo con cui viene fatta la proposta).
    Nello spazio esistenziale dei giovani la distinzione regge molto poco: contenuti e metodi si intersecano profondamente. Molto spesso un contenuto è accettato o rifiutato solo perché è mediato da uno «strumento-metodo» adeguato o inespressivo.
    In questo spirito cerchiamo gli «imperativi» alla pastorale giovanile, emergenti dalla condizione giovanile attuale: ricerchiamo cioè quelle linee (contenutistiche e metodologiche) che si propongono come orientative oggi-qui, se vogliamo raggiungere l'integrazione tra fede e vita in questi concreti giovani.
    Suggeriamo alcuni di questi imperativi, quasi a titolo di esempio, per spingere ogni comunità educativa a continuare la ricerca a titolo personale.

    2.1. Entrare nella realtà con un progetto

    Molti giovani d'oggi sono in crisi di prospettive: non hanno progetti, sono concentrati solo sull'immediato.
    Questo è un grosso problema. Il cristianesimo è «buona novella»; è cioè annuncio di un progetto, il grande progetto di Dio sull'uomo e sulla storia, realizzato in Gesù Cristo.
    Muoversi nella realtà senza un progetto, in termini spontaneistici o solo alla cieca, significa contraddire l'esperienza cristiana.
    Si richiede quindi la ricostruzione, lenta e graduale, della fiducia e della speranza; scoprirsi dentro un progetto, annunciato e testimoniato dalla comunità ecclesiale. Dobbiamo però intenderci bene.
    Annunciamo che c'è un progetto sulla storia, con lo stile del «buon seminatore» che semina il granello di senapa; non pianta alberi già consolidati... Il progetto annunciato è un piccolo seme, da far crescere e sviluppare nell'incertezza e nella ricerca quotidiana.
    Ogni epoca ha il suo progetto, perché Gesù Cristo, il progetto di Dio sull'uomo, è sempre «incarnato». Assume continuamente la storia come suo corpo. Il progetto testimoniato e annunciato è l'evento di Dio, ma «nella» storia di oggi e non in una trascrizione passiva e ripetitiva dalla storia di ieri.
    Per il cristiano, tutto è fatto (contro lo spontaneismo...), ma tutto è da fare (contro una fede pensata come proposta di modelli elaborati e definiti in modo ultimativo...) .

    2.2. Il coraggio della proposta

    Dalla prima affermazione ne scaturisce una seconda. La comunità ecclesiale ed ogni cristiano sl suo interno (come ogni educatore) sono chiamati a ritrovare il coraggio di fare la propria proposta.
    Purtroppo qualche educatore fa il suo servizio pastorale, passando da un estremo all'altro. Un tempo la proposta era vissuta in termini assoluti: venivano seminati gli alberi, per ripetere l'immagine di prima. Poi si è caduti nella rinuncia: ad un rispetto dei destinatari fatto di silenzio, di ricerca in assoluto, di vuoto...
    Crediamo che oggi sia il tempo di ritrovare una nuova presenza, capace di recuperare il coraggio della proposta nella prospettiva della ricerca comune. Dobbiamo fare proposte serie e concrete, con le quali ciascuno sia costretto a confrontarsi. E nello stesso tempo bisogna aiutare i giovani a vivere con tanta maturità l'impatto con la proposta, da permettere di rifiutarla, di scegliere altro, di farsi la loro strada. Il coraggio della proposta va congiunto all'offerta di strumenti critici che aiutino a giudicare ogni proposta.
    Lo richiede, del resto, la situazione di pluralismo, se pluralismo è confronto tra prospettive diverse e non egemonia di una proposta nel silenzio delle altre. Il tutto, però, ad una condizione: che la proposta corrisponda ad un reale «bisogno». E cioè possa essere avvertita come significativa, importante-per-me, per il tono con cui è offerta e per i contenuti di cui è carica.

    2.3. Educare le domande

    Abbiamo affermato molte volte che l'esperienza cristiana va vissuta come risposta alle proprie domande. E abbiamo ricordato che molti giovani vivono oggi una «domanda religiosa», anche se di tono diverso.
    Non possiamo chiudere il circuito domanda-risposta, senza preoccuparci di «educare» la domanda.
    Ci spieghiamo.
    Molte domande sono «indotte»; è il sistema culturale in cui viviamo che spinge in determinate direzioni, manipola le domande per smerciare le sue risposte. In questo caso, bisogna «liberare» le domande, offrendo ai giovani la fondamentale capacità di autoprogettarsi.
    Altre volte, le domande sono originate da fuga, da ricerca, da senso di insicurezza, dall'attesa non motivata di una generica «novità di vita».
    Anche in questo caso bisogna «educare» la domanda, nella direzione della liberazione, per evitare che l'esperienza religiosa diventi alienante.
    Ogni giovane, in prima persona, nell'autonomia e responsabilità che gli compete deve dare la sua risposta a queste domande di senso, ritrovando la fiducia nella sua esperienza esistenziale. Solo in questa riscoperta della propria positività, nell'assunzione di una precisa responsabilità storica e nella coscienza della finitezza esistenziale «dentro» le responsabilità personale, la Parola di Dio ha qualcosa da dire. E' un di più di significato che colloca in una prospettiva trascendente; è un progetto gratuito e sconvolgente che radicalizza il proprio desiderio di autenticità e lo indirizza verso una liberazione integrale, personale e collettiva. Il rapporto giovani-fede può essere oggi più facile, per la crisi di senso in cui ci troviamo. Ma può diventare pericoloso o può concludersi in una concezione della fede alienante, se si accelerano i tempi, quasi approfittando del fatto che molti giovani si dichiarano - insperatamente - disponibili e attenti.

    2.4. Inventare nuovi spazi di aggregazione

    Tra le attese dei giovani d'oggi, una delle più vive è quella relativa al recupero del personale dentro il sociale. In troppi questo recupero sfocia nella privatizzazione e nello spontaneismo.
    L'esperienza cristiana possiede una forza aggregante esplosiva, fonda la dimensione di festa, fa spazio alla irripetibilità della persona anche nei momenti più fortemente comunitari.
    Tutto questo è vero sul piano dei principi. Lo deve diventare su quello dei fatti, delle realizzazioni.
    Troppe comunità ufficiali hanno perso questa carica aggregante. Si richiede il coraggio della «rifondazione» e, soprattutto, l'invenzione di nuovi luoghi di aggregazione.
    Non spendiamo altre parole: basta guardarsi attorno. I gruppi ecclesiali e i movimenti che hanno presa oggi, sono quelli che hanno saputo cogliere a tempo giusto questo «segno» della nuova condizione giovanile. Gli altri vivacchiano, trascinati tra nostalgie e vuoti paurosi.
    Sottolineiamo solo una cosa, molto importante (di metodo e di contenuto). La fede cristiana possiede in sé, oggettivamente, questa dimensione aggregante. La condizione giovanile ci costringe a riscoprirla e a riviverla.
    Potremmo dire che si realizza una nuova incarnazione: l'evento di salvezza (che è comunione e «per» la comunione: i «salvati» da Gesù Cristo ritornano nella comunità degli uomini da cui erano stati cacciati: l'indemoniato, il lebbroso, il cieco...) prende carne concreta in una condizione storica fortemente attenta all'aspetto di comunione tra persone.

    2.5. Il tema dell'esperienza

    Ne abbiamo già parlato a lungo. Lo elenchiamo soltanto, per ricordare la sua funzione irrinunciabile, in campo di pastorale giovanile.
    I contenuti passano sulle mediazioni che li veicolano. Molto spesso la loro credibilità-significatività è giocata totalmente sulle mediazioni. Non esiste perciò proposta cristiana se non «facendo esperienza». Lo richiede lo statuto della fede: è «esperienza», prima di essere «contenuto»: un'esperienza carica di contenuti. Lo richiede appassionatamente la nuova condizione giovanile.
    Una esigenza importante, a proposito della funzione dell'esperienza, è determinata dalla necessità di saper integrare le esperienze-forti con la vita quotidiana. (questo richiede però l'abilitazione a selezionare il vissuto in termini critici e la capacità di accettare la conflittualità reale che deriva da questa irrinunciabile integrazione (per non scivolare nell'utopismo).

    2.6. Il senso della storia

    Ricordiamo questa esigenza come necessaria reazione alla crisi dei modelli educativo-culturali, denunciata sopra. Senza «coscienza storica» non si può vivere da uomini e da cristiani.
    Creare una coscienza storica (e il recupero va vissuto sul piano educativo, per poterlo utilizzare poi nella dimensione di fede: si pensi, per esempio, all'educazione al senso di Chiesa) significa abilitarsi ad interpretare il presente alla luce della storia, cioè del passato, e abilitarsi a utilizzare il passato e la storia per leggere il presente. Per comprendere il presente, in cui ci si trova a vivere e ad agire, lo sguardo al passato è necessario e insostituibile, perché il suo decorso storico è come ricapitolato nei vari fattori che determinano il presente.
    Si richiede anche l'apertura al futuro, al nuovo, al cambio. Il futuro contiene sempre un giudizio sul presente, perché annuncia una novità non ancora realizzata e denuncia quindi l'incompiutezza del presente, mentre fonda la speranza, perché il futuro è un «già», esperimentato nella dimensione del progetto, del non-ancora della responsabilità.

    2.7. La dimensione del collettivo: un'esperienza ecclesiale

    La pastorale giovanile ha condotto per molto tempo gli interventi educativi sul livello prevalentemente individuale. Le istituzioni normalmente deputate all'educazione dei giovani (la scuola, la famiglia, il gruppo, la parrocchia...) fornivano l'occasione al dialogo educativo. Non erano considerate un luogo di esperienza dei valori, con una risonanza strutturale e collettiva; ma come luogo in cui gli educatori facevano le proposte, in un approccio «a tu per tu». Inoltre tutto il processo era parziale rispetto all'andamento globale della comunità ecclesiale, gestito da educatori e da ambienti specializzati.
    E' indispensabile superare questi limiti, riscoprendo la risonanza strutturale e collettiva della pastorale giovanile.
    E' necessario creare un nuovo contesto globale e dinamico dentro il quale tutte le parti interessate collaborino vicendevolmente alla realizzazione dei comuni obiettivi.
    La pastorale giovanile ha significato come «pastorale specializzata» di tutta la comunità ecclesiale.
    Questa esigenza comporta molte cose concrete. Ne ricordiamo alcune. In primo luogo, unificare la pastorale giovanile nella pastorale della comunità ecclesiale significa coordinare l'obiettivo e i metodi dell'educazione pastorale dei giovani alle scelte con cui si caratterizza ogni concreta comunità ecclesiale.
    Inoltre, l'esigenza ci aiuta a non dimenticare che il termine del processo è l'inserimento dei giovani a tutti i titoli nella comunità. Questo concreto e fattivo senso di appartenenza può essere creato solo in modo esperienziale: attraverso un progressivo inserimento nella comunità ecclesiale, in stile di partecipazione e di corresponsabilità.
    La presenza dei giovani nella comunità ha, infine, anche la funzione di animare la sua concretezza pastorale.
    Come si vede, l'esigenza ha una radice educativa (l'importanza della dimensione collettiva nella maturazione dei giovani), ma apre immediatamente ad una risonanza ecclesiale, perché diventa la condizione irrinunciabile per costruire, oggi, senso di appartenenza alla Chiesa.

    3. VERSO UN PROGETTO OPERATIVO

    La terza parte dell'articolo suggerisce alcuni elementi per costruire un progetto articolato di educazione alla fede. Si tratta della parte «concreta», che risponde alla domanda di sempre: che cosa dobbiamo fare?
    Progetti di educazione cristiana ce ne sono tanti. In questo, c'è qualcosa di caratteristico?
    Noi siamo partiti da una premessa teologica: l'esperienza cristiana è momento integrato con l'esistere di una persona. Se non esiste un modello-standard di cristiano che ogni generazione deve ricopiare di peso, dobbiamo cercare un «modo di essere cristiani», fedele a Dio nella fedeltà ai giovani di oggi.

    SONO ANALIZZATI I SEGUENTI PUNTI:
    3.1. Nucleo centrale dell'esperienza cristiana è Gesù Cristo. Come «incarnarlo» oggi, nella condizione giovanile attuale? Ecco la risposta: Gesù Cristo come rivelatore del senso della vita (3.1.1.); Gesù Cristo come profeta di ulteriorità (3.1.2.)
    3.2. Dobbiamo scoprire che la vita quotidiana è carica di senso e di problemi; nello stesso tempo appella a significati ulteriori, nella trascendenza. Questo vuol dire il tema della «sacramentalità».
    3.3. L'esperienza cristiana deve fare i conti con alcuni «nodi»: il rapporto fede-cultura, quello fede-storia, il problema del linguaggio.
    3.4. Allora, come parlare della preghiera, della grazia, del Paradiso, dell'impegno morale, della vita cristiana?

    I TEMI DA APPROFONDIRE IN ARTICOLI:
    Molti interventi successivi saranno destinati ad approfondire questa parte, centrale nel nostro piano editoriale. Concretamente:
    - i grandi temi della proposta cristiana, per suggerire un progetto «significativo» per i giovani d'oggi;
    - un esempio concreto: come parlare della speranza oggi?
    - un altro esempio concreto: come parlare della «grazia» oggi?
    - essere cristiano tra privato e collettivo: fede-storia nella vita quotidiana di un giovane cristiano.

    ABBIAMO GIÀ PARLATO DI:
    Alcuni «dossier» rispondono già a questa prospettiva: sono un tentativo di reinterpretare i contenuti fondamentali dell'esperienza cristiana alla luce della nuova condizione giovanile. Ricordiamo soprattutto 1977/1 (come «incontrare Gesù Cristo»), 1977/3 (per una educazione morale oggi), 1977/8 (l'impegno politico del giovane cristiano) .
    Dal quadro armonico degli «imperativi» alla pastorale giovanile, decidiamo un «progetto»: i termini concreti di una proposta di fede.
    La riflessione teologica e pastorale attuale, condensata per la Chiesa italiana ne «Il rinnovamento della catechesi», si pone davanti a due dati ormai acquisiti: è indispensabile unificare i contenuti della fede, in una armonia delle verità, per organizzare la proposta cristiana attorno ad un nucleo centrale; il nucleo centrale dell'esperienza cristiana e quindi di ogni annuncio è l'evento Gesù Cristo, salvezza di Dio per noi.
    Queste affermazioni hanno un grosso peso pastorale, per superare la frammentazione dell'esperienza cristiana o la sua riduzione ad un cumulo di informazioni da acquisire. Devono però essere ulteriormente concretizzate, sulla misura dei destinatari.
    Nella storia della Chiesa esistono diverse cristologie: l'unico «volto» di Gesù Cristo si è incarnato in culture e situazioni diversificate. Una riprova è offerta dalla stessa iconografia.
    Anche oggi dobbiamo incarnare questo evento, normativo e sconvolgente, nelle esigenze e aspirazioni dei giovani d'oggi; decidere «quale Gesù Cristo» per questa situazione particolare.
    I1 materiale di lavoro è molto e non possiamo pretendere di iniziare tutto da capo, dimenticando la riflessione e l'esperienza della Chiesa nella storia. Si tratta però di un «seme» da sviluppare e non di un «albero» da trapiantare. Su questa consapevolezza inizia la nostra ricerca.

    3.1. Gesù Cristo per i nostri giovani

    Nucleo centrale dell'esperienza cristiana è Gesù Cristo. Come incarnarlo oggi, per farlo esperimentare «salvezza-per-noi»?
    Crediamo che la ricerca debba muoversi attorno a queste due dimensioni:

    3.1.1. Gesù Cristo rivela il senso della vita
    Come risposta alla ricerca di senso, alla tragica esperienza del troppo nonsenso diffuso nella nostra storia, il Padre ci dona il suo progetto in Gesù Cristo. Egli è la certezza di senso, che sostiene la nostra speranza e la nostra ricerca. Questa affermazione si comprende attraverso riflessioni successive:
    - Gesù Cristo testimonia che la storia ha un senso. Dunque si può e si deve annunciare l'esistenza di un progetto, di una proposta: non viviamo nel buio, nel caos.
    - Questo senso è già stato donato da Dio alla storia, in Gesù Cristo. E' un già che fonda la nostra speranza. Questo senso ha già cambiato la realtà. Ogni situazione è già presenza di Dio. Esiste perciò una sacramentalità diffusa, che ci costringe a credere alla vita, al cammino in avanti della storia, che ci permette di riconoscere e di affermare la responsabilità di ogni uomo, la consistenza e la serietà di ogni sforzo umano.
    - Scopriamo così che la nostra esistenza è collocata in una costellazione di valori, di cui uno è assoluto (la radicalità dell'evento di Dio che è Gesù Cristo, segno del Padre: «solo Dio è Dio», affermiamo in atteggiamento credente, riconoscendo con gratitudine il dono per cui esistiamo, siamo e speriamo). Questo non è l'unico valore, anche se è l'unico assoluto. Esistono tanti altri valori, relativi ma non meno carichi di significato; quelli che si riferiscono all'autonoma avventura dell'uomo nella storia. La distinzione tra valore assoluto e valori relativi salva dall'integrismo perché distrugge i nuovi idoli. La loro reciproca integrazione sul tema della sacramentalità salva dall'ateismo.

    3.1.2. Gesù Cristo è profeta di ulteriorità
    Contro la tentazione di fissarsi nei vari significati parziali (che ci lasciano così frequentemente con le mani vuote), Gesù Cristo ci costringe ad andar oltre, verso la definitività del Regno, il senso ultimo e totale dell'avventura dell'uomo e della storia.
    E' importante cogliere che questo «andar oltre» in Gesù Cristo non ci viene offerto solo sul piano del modello, della «pretesa». Non è solo una spinta, una tensione. Tutto questo ci lascerebbe maggiormente inquieti. E non ne abbiamo affatto bisogno, in un tempo già così carico di motivi di inquietudine. In Gesù Cristo è un dono: un fatto. Egli è l'evento di salvezza di Dio per noi, proprio perché ci colloca ontologicamente nell'«oltre»: il Regno è il dono suo che già ci coinvolge e ci afferra. Le nostre quotidiane incertezze e le nostre pretese di speranza sono «salvate», collocate nel Regno.
    La nostra speranza si costruisce su questa professione di fede. Da essa sappiamo ritrovare il valore dell'attesa, del «tempo lungo» (contro la pretesa del tutto subito), della croce e della morte (il coraggio di pagare di persona per anticipare nell'oggi il futuro che attendiamo).

    3.2. Il tema della sacramentalità

    Una dimensione, spesso sottolineata, della nuova condizione giovanile è costituita dalla attenzione concentrata sul presente, sull'immediato. Questo fatto è un valore innegabile, perché costringe a non fuggire dalla vita; ma contiene i pericolosi scompensi ricordati (mancanza di storicità e di prospettiva) che sfociano poi nell'angoscia e nel disimpegno.
    Dalla constatazione nasce un imperativo educativo e pastorale: senza allontanare dal presente, bisogna rivelare il suo significato più profondo, che costringe a ricucire il presente al passato e ne trova il significato nel futuro.
    Il taglio con cui abbiamo «incarnato» la proposta cristiana corrisponde profondamente a queste esigenze.
    Gesù Cristo è salvezza nell'oggi: rivela il senso del presente alla luce dei grandi avvenimenti del passato e svela la sacramentalità del presente dalla prospettiva del futuro.
    Approfondiamo queste affermazioni, cariche di una fondamentale portata pastorale.
    Il dono di salvezza richiede una risposta personale. Con iniziativa gratuita il Padre ha offerto all'uomo una proposta di salvezza e di vita nuova, in Gesù Cristo. L'uomo è chiamato a rispondere, schierandosi: accettare di essere salvato da Cristo o respingere il dono di salvezza con la pretesa di salvarsi da solo.
    Come avviene la risposta alla proposta di salvezza?
    La risposta personale è, nella sua radicalità, costituita dalla vita quotidiana.
    I singoli gesti che fanno lo scorrere del tempo lungo l'asse della storia, ogni risposta personale alle provocazioni che ci circondano, negli altri, negli avvenimenti, nella costruzione di una città a misura d'uomo, tutta la vita, insomma, ha una sua consistenza e autenticità umana (o è «fallimento» umano). Ma, nella sua più profonda radicalità, essa è sempre adesione o rifiuto del dono di Dio che è Gesù Cristo: fedeltà alla alleanza o pretesa di salvarsi autonomamente.
    La vita che nel tempo si fa salvata viene celebrata (nella celebrazione efficace del mistero pasquale: sacramenti e liturgia), significata e autenticata, nella comunità ecclesiale, mediante la parola e i sacramenti.
    Di queste celebrazioni il cristiano avverte il profondo bisogno, non solo per esprimere nella comunità ecclesiale la comune esperienza di salvezza, ma soprattutto perché in essa trova la consistenza di quella salvezza che nel presente si realizza faticosamente, sotto la continua minaccia del rifiuto o dello scacco.
    In questa direzione si comprendono problemi vivi come quelli dello specifico cristiano nell'autonoma consistenza dell'esperienza storica e nella responsabilità politica che gli compete.

    3.3. I grandi «nodi» dell'esperienza cristiana oggi

    La condizione giovanile attuale è attraversata da alcuni grossi problemi: il rapporto tra privato-pubblico, per definire il significato della «persona», evitando di slittare nell'individualismo borghese o in una politicizzazione spersonalizzante; il rapporto tra fede-storia, per coniugare in modo corretto trascendenza e immanenza, responsabilità e disponibilità all'accoglienza, «speranze umane» e salvezza di Gesù Cristo.
    In questi anni si è riflettuto molto su questi argomenti. Il «problema» è ormai risolto sul piano intellettuale. Eppure rimbalza drammatico, continuamente; viene riproposto dalla prassi quotidiana. Perché?
    Abbiamo «capito» come debbano andare le cose. Mancano però i «modelli», le realizzazioni concrete, che ci facciano toccare con mano le soluzioni prospettate: non «capiamo» solo con l'intelligenza ma soprattutto con l'esperienza.
    La crisi del modello è a due livelli: mancano esperienze «proponibili», vicine e cariche di senso; troppo spesso, inoltre, i modelli che circolano (sia nel campo della fede che in quello della prassi storica) si rifanno a quadri culturali superati, sui quali non esiste più il consenso.
    Di fronte a questa constatazione siamo convinti che sarebbe errato percorrere ancora la strada delle chiarificazioni intellettuali, per risolvere il problema. Ci «capiremo» solo se qualcuno saprà vivere in modo nuovo il difficile rapporto tra fede e storia, tra privato e pubblico; e ce lo comunicherà con i fatti.
    L'accenno fatto ai «modelli» ci introduce nel terzo punto nodale della attuare pastorale giovanile: la crisi del linguaggio ecclesiale e la conseguente urgenza di inventare nuove mediazioni linguistiche.
    Parliamo di «linguaggio» in un senso totale, come traduzione (mediante parole, gesti, riti e simboli) della prassi e della visione del mondo che costituiscono una determinata cultura.
    Il linguaggio ecclesiale, quasi totalmente, è legato ad una cultura lontana da quella dei giovani d'oggi. Utilizza espressioni che per essi non sono più evocativo (salvezza, servizio, «Dio è amore», «i beni della terra e quelli del cielo»...); si esprime attraverso riti e simboli (le genuflessioni...) poco comprensibili; privilegia l'approccio logico-razionale in un tempo di larga comunicazione non-verbale. Si condanna, quindi a non farsi capire né soprattutto può «parlare alla vita». Si rende urgente la decodificazione di molti messaggi: sceverare il nucleo irrinunciabile dal rivestimento antropologico con cui esso viene mediato; per operare una nuova codificazione, in una «cultura» capace di rispettare l'irrinunciabile della fede e la significatività per i destinatari.
    Questo problema è complicato da una facile constatazione: il pluralismo culturale sta sostituendo quella omogeneità che caratterizzava il «mondo cattolico». Riesce di c le immaginare un unico linguaggio, che possa risultare quello finalmente adatto, perché il rapporto fede-cultura non avviene in uno spazio neutro, ma «dentro» il groviglio delle molte culture che oggi si incrociano, soprattutto a livello giovanile.

    3.4. Conseguenze alla pastorale giovanile

    L'azione pastorale con i giovani non può terminare nell'annuncio di Gesù Cristo. L'esperienza cristiana raccoglie la globalità della vita e coinvolge tutto il ricco bagaglio dei contenuti della fede, così come si sono delineati nello svolgersi della comunità ecclesiale.
    Sono in causa perciò i grandi temi della proposta cristiana e la loro integrazione negli atteggiamenti fondamentali dell'esistenza personale.
    La scoperta dell'evento Gesù Cristo e la sua ricomprensione attraverso i nodi del rapporto fede-cultura, fede-storia, pubblico-privato segnano perciò tutto il cammino dell'educazione alla fede per i giovani.
    Facciamo qualche esempio, anche per sottolineare temi sui quali dovremo ritornare.
    L'impegno morale del giovane cristiano può essere vissuto come coerenza «deduttiva» (dai valori alla vita), come lungo elenco di comportamenti da assumere o, invece, come progettualità: condivisione di un progetto (che investe la persona nella collettività) che si traduce in impegnatività quotidiana: il «mio» progetto nel progetto di Gesù Cristo (il Regno).
    La preghiera, la scoperta del dono di Dio che ci cambia radicalmente in forza della sua autocomunicazione (la grazia), il mistero della Chiesa, possono essere compresi come fatti privatistici, lontani dalla mischia della storia, o, invece, come esperienze-ricerche di senso (convissute nella comunione trinitaria e con tutto il popolo di Dio) per fare oggi «i cieli nuovi e la nuova terra». Il necessario approfondimento culturale sui contenuti della fede può diventare l'accumulazione di un bagaglio, inutile e insignificante, di informazioni o l'incontro sempre più vivo con l'evento di salvezza, nella comunione (anche storica: verso il passato) con coloro che confessano con gioia che Gesù è il Cristo.
    Una scelta non vale l'altra. Ciascuna è sostenuta da una visione teologica e antropologica e decide determinati orientamenti metodologici.
    La fedeltà alla condizione giovanile ci chiede il coraggio di reinterpretare le modalità e i contenuti di ogni proposta, alla luce dell'orientamento teologico globale.
    Purtroppo in questa direzione molto è da inventare. La riflessione teologica ad alto livello offre suggerimenti stimolanti. Gli strumenti che abbiamo tra le mani (molti libri di preghiera, molte omelie, la struttura di tanti edifici, certe prassi pastorali, le tradizioni educative...) sono ancora troppo orientati in una logica diversa. E' il dramma quotidiano di molti operatori pastorali, che tentano un dialogo tra giovani e fede, su vie nuove.
    Dobbiamo ripensare alla «grazia», al «peccato», all'esperienza ecclesiale, alla vita liturgica, alla «spiritualità» del cristiano, dalla prospettiva di quella cristologia che abbiamo delineato.

    4. PER FEDELTÀ AI DESTINATARI, UNA LARGA PLURALITÀ DI MODELLI

    Abbiamo tracciato un percorso, a grandi tappe. Molti temi richiedono un approfondimento specifico, perché sono nuovi o perché sono troppo centrali, per essere dati come scontati.
    L'itinerario evidenziato ha la pretesa di essere coerente con alcuni orientamenti generali (soprattutto i due criteri teologici ricordati in apertura) e articolato, perché investe la globalità dell'esperienza cristiana, anche se secondo linee molto sintetiche.
    Le concretizzazioni spicciole possono essere molto diverse.
    A queste condizioni, il pluralismo è ricchezza, perché coniuga l'imprevedibilità del dono di salvezza (mai riducibile alle nostre categorie e mai catturabile in esclusiva da una visione culturale) con i molteplici volti della nuova condizione giovanile.
    Questo significa rispetto ai destinatari (RdC 75).
    La scelta dei destinatari, come criterio operativo ultimo, aiuta a districare il groviglio dei problemi che hanno la loro origine nel pluralismo culturale in cui viviamo. Spinge a preferire un metodo all'altro, evitando che il pluralismo di opzioni degeneri in pressappochismo pratico. Ma, nello stesso tempo, motiva la pluralità di modelli di pastorale giovanile e ne fonda il diritto di cittadinanza nella pastorale ecclesiale, come concrete risposte alle diverse situazioni che caratterizzano l'attuale condizione giovanile.


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