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    Al di là delle esperienze: indicazioni educative



    Maria Luisa Petrazzini

    (NPG 1978-03-56)

    Una «Pasqua giovane» solo fino ad un certo punto può essere trapiantata in un gruppo diverso da quello in cui è maturata. Il confronto con dei modelli già realizzati può essere perciò costruttivo solo se si sa relativizzarli. Per ritrovare in essi degli stimoli, delle proposte, ma niente più. Il grosso del lavoro, dopo i confronto con le esperienze è ancora da fare. Riprendiamo in questo senso alcuni brevi indicazioni emergenti dalle stesse esperienze.

    SITUARE LA PASQUA DENTRO UN PROGETTO EDUCATIVO GLOBALE

    Nelle esperienze presentate la celebrazione della Pasqua è punto di arrivo, noi conclusivo tuttavia, di un lento cammino che ha richiesto tempi lunghi di maturazione. La celebrazione cioè non appare come un momento isolato, ma si inserisce in un progetto educativo-pastorale d'insieme, da tradursi poi nell'itinerario di vita cristiana che un gruppo intende percorrere.
    Appunto perché motivato da una tensione ad essere cristiano, tale itinerario ha già fondamentalmente un carattere «pasquale»; ossia è già imperniato su una permanente situazione di «passaggio» dalle sponde della schiavitù a quelle della «libertà» in Cristo.
    Una esplicitazione di tali elementi tipici della Pasqua in vista di una loro interiorizzazione e appropriazione da parte del gruppo dovrà già essere tenuta presento nella fase di progettazione dell'itinerario educativo. In modo da prevedere al suo interno alcuni precisi obiettivi pasquali in funzione dei quali saranno scelti momenti, forme, stili di celebrazione e di impegno che coaguleranno per così dire nel momento culmine dei giorni di celebrazione pasquale.

    Valorizzare alcuni temi tipicamente pasquali

    Dalle esperienze emergono anche abbastanza chiaramente dei temi che danno tono pasquale alle attività di quei giorni:
    – la strada: «fare strada insieme» suscita solidarietà, attenzione reciproca; «mettersi in cammino» comporta esperienza di disagio, stanchezza, senso del provvisorio, distacco dalle sicurezze di una vita sistematica;
    – l'esodo: «uscire fuori» dalla abitudinarietà della vita di ogni giorno per vedere in una prospettiva di novità il quotidiano; «uscire fuori» da se stessi per andare verso gli altri: senso di universalità; «passaggio» dalla sponda della schiavitù a quella della libertà; marcia verso un futuro migliore; «cammino» verso la propria identità cristiana;
    – il deserto: esperienza di silenzio: per ritrovare se stessi, per collocarsi o ricollocarsi di fronte a Dio e attraverso questo incontro filtrare le proprie esperienze e speranze; esperienza di solitudine, nella prospettiva degli altri che stanno vivendo la stessa esperienza;
    – la festa: l'incontro tra le persone, il canto, gesti espressivi che riprendono la vita per «immaginarla» in modo diverso, «nuovo», il coraggio di progettare un futuro diverso, incominciando dalla riconciliazione e perdono comunitario per affermare che c'è speranza anche per l'uomo d'oggi.
    Quando si dice di valorizzare questi temi pasquali si vuol dire non che vengano proposti o imposti come qualcosa di già scontato, ma che vengano fatti progressivamente emergere dalla presa di coscienza dei singoli e del gruppo.
    Con particolare attenzione alla situazione religiosa del gruppo stesso, ai suoi termini di riferimento socioculturale, alle sue aspirazioni.
    Questa fase di ricerca consapevole, faticosa, porterà il gruppo a scoprire il senso teologico e cristologico della propria storia e a cogliere in profondità la realtà di salvezza che opera nel cuore della vita di ogni giorno: Cristo è la nostra strada, il nostro deserto, il nostro esodo, la nostra pasqua, perché in lui si sono compiute e personificate queste realtà.

    Valorizzare la quaresima come tempo di conversione e riflessione sulla propria identità

    Particolare importanza riveste in questo senso il tempo di Quaresima come tempo in cui approfondire la ricerca della propria identità sia a livello di idee che di prassi, sia cioè mediante l'approfondimento culturale e teologico delle problematiche esistenziali sia mediante la conversione e il rinnovamento delle strutture in cui si vive. Tutto ciò che si compie viene così ad acquistare una consapevolezza tipica, quella della fede: all'origine di ogni realtà sta il «dono» di Dio, la sua liberazione. Era una delle intuizioni fondamentali già acquisite dalla riflessione teologica sull'antica Pasqua ebraica: ricordati che eri schiavo e Dio ti ha liberato; eri in terra straniera e Dio ti ha condotto in un paese fertile e fecondo; per questo, perché Dio ti ha liberato, concederai anche tu la libertà al tuo schiavo e farai parte dei tuoi beni al povero, all'orfano e alla vedova (cf Deut 14,28-29; 15,7.11.12-15; 26,6-9).
    In questo contesto di «memoriale» del gesto di liberazione di Dio verso il suo popolo trovano esatta collocazione e significazione le categorie pasquali individuate più sopra. E assumono anche senso pasquale gli svariati gesti di impegno e servizio, di solidarietà e di amicizia, di attenzione alla vita e ai bisogni degli altri che da ciascun gruppo possono essere inventati come modi di celebrare la Pasqua nel tessuto concreto della vita.

    EDUCARE A CELEBRARE LA PASQUA NELLA AUTENTICITÀ E NELLA FEDE

    Per dei ragazzi e dei giovani che si aprono alla vita in tutti i suoi aspetti e dimensioni è naturale e comprensibile uno slancio di vitalità esuberante e ridondante Nelle esperienze presentate questo lo si percepisce da un certo clima di euforia e festosità enfatizzata, di «novità» entusiasmante, di forte carica emotiva.
    Ciò contribuisce a dare all'insieme dei diversi momenti ed azioni il carattere di un'unica, grande celebrazione corale.
    Si rende necessario però decantarla attraverso una valutazione degli elementi che la compongono; ed i gruppi interessati hanno dimostrato di averne consapevolezza, attraverso la verifica critica delle loro stesse esperienze.
    Partendo dai loro apporti a questo riguardo si possono sviluppare alcune considerazioni.

    Educare ad esprimere la propria fede nei gesti simbolici

    Non è sufficiente far entrare la vita nella celebrazione o la celebrazione nella vita con dei gesti un po' inconsueti e di «rottura»; e non è neppure sufficiente che questi gesti abbiano valore e significato per chi li pone. Bisogna che essi rimandino a Cristo e che questo rimando sia percepito da chi compie i gesti.
    Entra in gioco, a questo punto, la capacità di esprimere la dimensione e la trasfigurazione simbolica della realtà: realtà vissuta che diventa celebrazione perché rimanda ad un al di là, implica il riconoscimento che Dio interviene ed «partner» di tutti quei gesti che esprimono il prolungarsi dell'atto di Cristo e perciò diventano decisivi per la verità della fede in quanto vita che si apre ad un senso nuovo.
    Assumono adeguato valore simbolico le varie espressioni che un gruppo avrà individuato più consone alla propria identità con altri, momenti di celebrazione più propriamente liturgici e di preghiera: la realtà vissuta, già trasfigurata ne gesti simbolici che ne hanno fatto cogliere il senso profondo, viene ulteriormente, ripresa, trasformata, riespressa alla luce della parola di Dio; tradotta in canti gesti, preghiere, più direttamente significativi di un atteggiamento di fede.
    All'interno di questo movimento occorre distinguere ancora due momenti.

    L'importanza educativa delle «celebrazioni di gruppo»

    I tempi di preghiera e celebrazione che il gruppo si dà per conto suo permettono una maggior libertà creativa, in quanto si possono scegliere ritmi e forme espressive che consentano al gruppo e ai singoli di riappropriarsi gradatamente degli elementi fondamentali della celebrazione cristiana. Si correrà forse qualche rischio (sdoppiamento e sovrapposizione di riti diversi; un'eccessiva intensità d carica emotiva; una liturgia parallela a quella della più vasta comunità ecclesiale...).
    L'educatore, avvertito di ciò, porrà attenzione a salvare un certo equilibri( d'insieme; ma non pretenderà neppure di evitare il rischio ad ogni costo. Vali forse la pena che il gruppo cresca e si consolidi nella scoperta di che cosa vud dire celebrare e celebrare nella fede.
    È necessario dare tempo al gruppo per vivere ed esprimersi, perché si stabilisca una vera comunicativa degli uni con gli altri e si approfondisca il senso dell'incontro con Dio. È necessario che, al di là della propria identità di gruppo, al di là del sentirsi a proprio agio perché ci si ritrova fra giovani, al di là del dinamismo delle forze interpersonali che vi si esplicano, il gruppo arrivi a scoprirsi come chiesa, come popolo di Dio in cammino pasquale con Cristo.

    Dalla celebrazione nel gruppo alla celebrazione nella comunità ecclesiale

    La precedente evoluzione è necessaria perché maturi un ulteriore passaggio: l'apertura del gruppo-comunità alla comunità ecclesiale più vasta in cui è inserito. Se è vero che c'è un'esigenza di ritmi di vita e di crescita, di atti e di iniziative proprie ed originali di ogni gruppo, è altrettanto vero che il gruppo non esaurisce la vita di chiesa. È dall'unica chiesa, che vive nelle comunità particolari e locali, che puntualmente, ogni anno, ci raggiunge l'invito a celebrare l'unica Pasqua di Cristo.
    È importante evidenziare questo carattere di invito, di appuntamento e non di obbligatorietà perché ogni gruppo ed i singoli al suo interno, arrivino a riscoprire e ripensare in modo corretto il ruolo ed il senso profondo della celebrazione liturgica nella vita della comunità e nella spiritualità personale.
    Ed è interessante notare come tutti i gruppi di cui si è presentata la esperienza (ciascuno secondo il suo stile di vita e il suo progetto celebrativo) siano arrivati a cogliere spontaneamente questa istanza che li ha condotti ad inserirsi in più vaste comunità ecclesiali per celebrare in comunione con esse almeno la veglia pasquale, il momento culminante di tutta la Pasqua.

    CONCLUSIONE

    Ovviamente, le suggestioni e indicazioni emerse da una lettura educativo-pastorale di alcune esperienze vissute non potranno essere ricalcate materialmente da altri gruppi. Né sarà possibile realizzare tutto e subito.
    Insistiamo nuovamente sulla pazienza ed il coraggio di prendere tutto il tempo necessario, di partire con un progetto a tempi lunghi, purché si sappia dove si vuole arrivare.
    Tempi lunghi, però, non vuol dire tramandare di anno in anno, ma scegliere una strada che permetta di fare un maturo discorso di acculturazione sul «fare Pasqua», evitando soluzioni paternalistiche (l'educatore risolve tutto proponendo ciò che a lui, sulla base della sua esperienza magari fatta altrove, sembra opportuno) o giovanilistiche (ci si limita ad accogliere ciò che i giovani portano ed esprimono lasciandosene in qualche modo imprigionare).
    Anno per anno, invece, tutto il gruppo, per tempo, deve essere reso cosciente del bisogno di «fare Pasqua» in modo soddisfacente. Le soluzioni vanno cercate insieme e, dopo averle sperimentate, verificate insieme. Per essere in grado l'anno successivo di progettare una Pasqua «nuova», avvalendosi sia di quel che si è fatto l'anno prima sia dei nuovi stimoli che possono venire dall'interno e dall'esterno del gruppo stesso.
    Allora «Pasqua giovane» finisce per essere un modo sempre nuovo di celebrare Pasqua, nella fedeltà alla tradizione (anche quella che il gruppo lentamente si costruisce) e nella capacità di assimilare apporti sempre nuovi e di rinnovare gli schemi celebrativi.


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