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    La gestione dei campi-scuola



    Franco Floris

    (NPG 1977-05-38)

    Nel momento in cui si decide di organizzare un campo-scuola, buona parte degli interrogativi riguardano la proposta da fare e il come farla. Non minore attenzione si deve tuttavia porre agli interrogativi relativi alle strategie da usare perché il campo sia una esperienza maturante. In effetti la capacità educativa di un campo-scuola è la risultante di diverse componenti: la validità della proposta ín sé, l'abilità e la competenza degli esperti e più in genere degli animatori, il clima di accettazione reciproca e di confronto autentico tra tutti i partecipanti... Un dosaggio non facile da ottenere e che al momento della progettazione del campo suscita perplessità.
    Un aspetto di questa perplessità, ed è su questo che vogliamo soffermarci, riguarda la gestione del campo-scuola, a chi affidare cioè la responsabilità organizzativa ed ideologica, e il tipo di presenza giovanile da programmare per un lavoro costruttivo al campo. È meglio che ogni gruppo o comunità giovanile organizzi i campi per conto proprio o è preferibile darsi da fare per creare dei campi intergruppo? Conviene allacciare un collegamento diretto tra i diversi gruppi o è preferibile fare affidamento su centri specializzati che possono mettere a disposizione una loro équipe e hanno già una loro proposta di campo? Conviene spingere i membri di una comunità giovanile a disperdersi, magari a gruppetti, per prendere parte ai campi-scuola più disparati o è meglio prendere parte tutti insieme allo stesso campo? All'interno di una comunità giovanile, le diverse associazioni devono farsi i campi per conto loro o è preferibile che partecipino tutte ai campi della comunità?
    Ogni alternativa ha la sua ragion d'essere non solo sul piano tecnico-operativo (disponibilità o meno di forze per organizzare il campo) ma anche su quello educativo: dalla necessità di fare gruppo e «camminare insieme» nasce la opportunità di fare il campo da soli; dal bisogno di apertura sociale ed ecclesiale nasce l'opportunità di andare al campo insieme con altri gruppi... Quali scelte fare? La decisione va presa tenendo conto del momento particolare che il gruppo sta vivendo. Alla luce tuttavia di alcune indicazioni che nascono dal fatto che la nostra attenzione è rivolta a giovani che consideriamo, con un termine per altro poco espressivo, in formazione e perciò a campi-scuola organizzati come servizio a tali persone e ai gruppi di cui sono parte, in quegli anni in cui ognuno fa le scelte fondamentali della sua vita, sia sul piano umano che su quello specificamente religioso.

    UNO SPAZIO OMOGENEO PER UNA PROPOSTA DI VITA

    Partiamo da una costatazione. Nel linguaggio corrente di una larga fascia di giovani dire «gruppo oratoriano-parrocchiale» vuol dire gruppo che sa di ghetto, di «chiesuola», di scarsa attenzione ai problemi reali della società. Un'immagine stereotipa che tuttavia trova troppe conferme nello scarso grado di apertura sociale ed ecclesiale di certi gruppi la cui vita e i cui discorsi si consumano dentro la cerchia ristretta delle classiche quattro mura. Gruppi che non sentono l'esigenza di confrontarsi con altre forze sociali e per i quali è di scarso interesse la partecipazione ad una vita ecclesiale di largo respiro.
    Il problema del confronto con gli altri gruppi per un arricchimento reciproco è del resto fortemente sentito da molti gruppi giovanili. Molte volte quello che manca sono gli strumenti adatti per un confronto non occasionale. I campi-scuola, da anni, per i gruppi che sentono questa esigenza sono una realtà ricca di prospettive. Le settimane al campo, fianco a fianco ad altri gruppi, permettono effettivamente di arricchirsi, di mettere in crisi le proprie idee e schemi, di trovare nuove soluzioni a vecchi problemi, di riprendere fiato e coraggio per quanti sentono la fatica di fare gruppo.
    All'interno di questo discorso è evidente l'importanza dei campi-scuola soprattutto per quei gruppi che ... meno ne sentono il bisogno. L'insistenza sulla apertura verso l'esterno e su campi-scuola di confronto, non deve tuttavia far dimenticare un'altra serie di problemi connessi alla concretezza della scelta di un progetto di vita e alla coerenza che deve caratterizzare una proposta di fede. La proposta di fede soprattutto, è credibile nel momento in cui è proposta incarnata in un modello vivo qual è una comunità giovanile. La scelta di fede viene mediata dalla aggregazione a tale comunità e dalla adesione ai suoi valori, al suo stile di vita, al suo credo. In fondo la comunità giovanile è il vero spazio in cui i «nuovi» (intendendo con questo termine sia gli adolescenti che sono cresciuti nel giro della comunità sia gli adolescenti che si aggregano durante le scuole superiori) debbono venir aiutati a elaborare un loro progetto di vita e di fede integrata con tale vita.
    A partire da questo ordine di riflessione il discorso sulla gestione dei campi si precisa maggiormente. Per quanti sono, come dicevamo, «in formazione» i campi-scuola hanno senso se organizzati dentro la comunità giovanile, come uno dei momenti forti in cui i nuovi maturano le loro scelte.

    LA GESTIONE DEI CAMPI DI FORMAZIONE-BASE

    Ogni progetto di campo-scuola va pensato nella dinamica dei due poli che abbiamo ora delineato: l'apertura verso l'esterno come condizione per un arricchimento continuo del gruppo e metro su cui misurare la propria crescita sociale ed ecclesiale; la scelta cristiana come adesione ad una determinata comunità giovanile in cui fare esperienza concreta di fede e di chiesa.
    È muovendosi tra questi due poli che occorre chiedersi se sia più utile per il gruppo un campo-scuola da soli o con altri gruppi, se il portarli ad un campo di confronto con altre esperienze sia l'occasione per far fare al gruppo un salto di qualità e non invece l'inizio della parabola discendente verso la fine dello stesso gruppo.
    In linea di massima sembra che la proposta di fede e la apertura verso l'esterno debbano maturare insieme: da un minimo di apertura verso l'esterno nel periodo in cui, sui 14-16 anni, si incomincia a porsi con una certa serietà il problema della propria identità, ad un massimo di apertura quando le scelte di fondo (umane e di fede) sono ormai stabilizzate. Il minimo di apertura iniziale permette che ognuno riceva una proposta di vita abbastanza organica e possa fare le sue scelte muovendosi in un ambiente abbastanza omogeneo sul piano pastorale. L'apertura progressiva verso l'esterno permette invece non solo di superare certi atteggiamenti provinciali che potrebbero caratterizzare la fase iniziale della formazione, ma anche e soprattutto dí fare una esperienza sempre più matura di chiesa e di inserirsi attivamente nella società,
    Ne deriva che i campi-scuola di formazione-base è opportuno, fin dove è possibile, che vengano organizzati dalle singole comunità, magari in collaborazione con una équipe specializzata, mentre quelli successivi è meglio che vengano organizzati in collaborazione con altri gruppi.
    Quanto detto non deve però essere capito come invito a fare proposte «a senso unico», ma solo come insistenza sulla coerenza del servizio che si intende fare all'unità interiore dell'adolescente. Del resto, più che alle diverse proposte di vita oggi circolanti nel mondo giovanile e con le quali è evidente che qualsiasi proposta umana e di fede deve fare i calcoli, si vuol riferirsi al confronto con altri gruppi ecclesiali e alla partecipazione indiscriminata a qualsiasi esperienza e campo-scuola durante l'adolescenza. Che senso ha, per fare un esempio, portare dei sedicenni prima ad incontri di preghiera di stile carismatico o intimista e poi a campi-scuola in cui la proposta di fede viene fatta in termini di fede e impegno politico?

    IL RICUPERO DELLA DIMENSIONE SOCIALE ED ECCLESIALE

    Affermata la opportunità che, quando è possibile organizzarli con una certa serietà, i campi-scuola di formazione-base vengano gestiti in proprio dalle diverse comunità giovanili, rimane da pensare come, già durante il periodo della formazione, si possa ricuperare la dimensione sociale ed ecclesiale per una crescita matura. Se, in fondo, i campi-scuola di formazione-base è giusto considerarli dei momenti di «concentrazione» della comunità, è altrettanto importante programmare dei tempi dí «dispersione». Momenti del genere sono quelli in cui si partecipa a incontri occasionali con altri gruppi per un confronto su temi specifici, corsi di qualificazione intergruppo per la catechesi, lo sport, l'animazione nel quartiere, le giornate a Spello o a Taizè...
    Anche certi campi-scuola possono ritornare utili in tale direzione. Intendiamo riferirci ai cosiddetti campi di specializzazione, come potrebbero essere quelli sui problemi della scuola, sull'educazione all'amore, sui diversi tipi di servizio a cui avviarsi dentro e fuori del gruppo giovanile... Questi campi di per sé trovano la loro collocazione più esatta al termine del ciclo dei campi di formazione-base, ma possono essere organizzati con frutto anche durante il ciclo formativo, se vi si partecipa comunitariamente e se si svolge un grosso lavoro di preparazione prima e di ripensamento dopo nei singoli gruppi.
    Anche questi incontri non eliminano tuttavia un rischio in cui possono cadere comunità giovanili che per diversi anni organizzano in proprio i campi di formazione-base. Il rischio è che i contenuti, il metodo di lavoro e lo stile dei campi non corrispondano più alla evoluzione del mondo giovanile. Il rischio, ad esempio, che agli adolescenti del 1977 si parli come si parlava ai giovani del '68. Un rischio a cui si può rimediare non solo con una continua attenzione ai problemi delle nuove generazioni ma anche con un confronto continuo tra i diversi gruppi, magari in collaborazione con centri specializzati, per ripensare continuamente i progetti di campi, i contenuti, lo stile in vista delle nuove esigenze che stanno affiorando nel mondo degli adolescenti.

    DUE IPOTESI DI GESTIONE

    Bisogna in ogni caso tener conto delle forze che si hanno a disposizione. Non è facile organizzare un campo-scuola che segni una tappa decisiva nella vita del gruppo e nella maturazione delle persone. Se l'ideale è dunque che ogni comunità progetti i suoi campi, la realtà è che poche comunità sono in grado di farlo e che è altrettanto difficile coordinare i campi direttamente con altri gruppi, presi come si è, giorno per giorno, dal ritmo normale delle cose da fare.

    I campi-scuola gestiti da centri specializzati

    Diventa in questi casi decisivo l'impegno dei centri che offrono delle proposte concrete di campi o un servizio di coordinamento tra i gruppi per organizzarli.
    Le perplessità non mancano. Una proposta di campo che venga dall'alto o dal di fuori va sempre valutata con attenzione.
    È subito da scartare il metodo di quegli animatori che «spediscono» i giovani ai campi organizzati dai centri, qualunque sia la loro proposta – tanto, dicono, male non fanno – e senza soprattutto che loro stessi vi prendano parte. I guai, a parte il rischio non indifferente che i campi facciano una proposta non coerente con lo stile pastorale con cui è animato normalmente il gruppo, cominciano al ritorno dal campo, quando i giovani, galvanizzati dalla esperienza appena vissuta, hanno in testa mille progetti per rinnovare e vivificare la vita del gruppo. Troppo spesso l'animatore e la «maggioranza silenziosa», formata da quanti non sono stati al campo, non gradiscono il loro entusiasmo e accolgono con freddezza le loro proposte. E così, nel giro di poche settimane l'entusiasmo diventa delusione, ritorno alla mediocrità, apatia, abbandono dello stesso gruppo. A volte sono gli stessi animatori che, non avendo maturato insieme con i giovani al campo le nuove idee e iniziative, impongono l'aut-aut... E normalmente tocca ai giovani andarsene, magari proprio a quelli più disposti a fare qualcosa di serio e impegnativo. Come non pensare ai conflitti suscitati da proposte fatte ai giovani durante i campi-scuola come il consiglio oratoriano o la corresponsabilità nella gestione del gruppo o l'impegno politico, conflitti che hanno spinto tanti giovani ad abbandonare il gruppo e anche la fede?
    Al campo, pertanto, non devono partecipare solo i giovani ma anche i responsabili della comunità giovanile. La partecipazione attiva dei responsabili dovrebbe anzi iniziare molto prima, al momento in cui, in collaborazione con i centri e con gli altri gruppi, si progettano gli stessi campi, determinandone le finalità e i metodi. Spesso è il disimpegno da parte dei responsabili che fa sì che i campi diventino delle fabbriche di giovani frustrati.
    Questo non vuol dire che non bisogna partecipare ai campi... per non turbare il quieto vivere del gruppo o per non costringere i responsabili dei gruppi ad una verifica del loro metodo pastorale.
    In ogni caso, partecipare a campi intergruppo richiede qualcosa di molto ovvio a cui però non sempre si fa attenzione e cioè che il gruppo che va al campo deve già esistere. Il campo-scuola intergruppo non è affatto l'occasione migliore per portare su della gente che appena si conosce e «fondare» il gruppo. Non solo. Anche ai gruppi che già esistono i campi intergruppo richiedono una grossa mole di lavoro prima e dopo il campo.
    Il campo-scuola intergruppo, anche durante la formazione-base, può invece riuscire utile se tutti i gruppi sono presenti in numero abbastanza consistente, se l'équipe del campo è affiatata e ha programmato il campo in stretta collaborazione con i diversi gruppi. Molto stimolante risulta la presenza di animatori dei lavori di gruppo che abbiano già numerosi campi-scuola alle spalle e che magari provengono da comunità giovanili molto vivaci e ricche di stimoli per gli altri gruppi.

    Il campo-scuola gestito in proprio dalle comunità giovanili.

    Per le comunità giovanili di una certa grandezza è invece da desiderare, come abbiamo già detto, che i campi di formazione-base vengano gestiti in proprio, perché i nuovi vengano a contatto di una proposta di fede incarnata nel quotidiano. Aggiungiamo alcune osservazioni.
    Nelle comunità giovanili di tal genere i campi-scuola per la formazione di base hanno anche un altro compito. La presenza al campo dei membri dei gruppo di interesse (dallo sport alla fotografia, dalla animazione teatrale all'impegno per la catechesi) e delle diverse associazioni (Scout,
    Azione Cattolica, Gex...) diventa importante educare le nuove leve a sentirsi prima chiesa e comunità giovanile e solo dopo associazione. I campi-scuola insieme diventano momenti in cui si pongono le basi per una comunione ecclesiale che non sia basata solo sul fatto che si circola negli stessi ambienti e in qualche modo ci si deve incontrare, ma anche e soprattutto sulla condivisione di alcuni valori umani e di fede, sull'assunzione di uno stile di vita abbastanza omogeneo, sulla voglia di ritrovarsi insieme per leggere la parola di Dio e pregare...
    È chiaro che per quanti all'interno della comunità giovanile fanno parte anche di associazioni come lo scoutismo, i campi-scuola comunitari, ai fini della stessa formazione, non sono sufficienti. Ogni associazione dovrà programmare altri incontri, secondo il proprio metodo educativo, per ripensare l'esperienza del campo nella fedeltà allo spirito della propria associazione e nella fedeltà alla comunità giovanile di cui è parte attiva.
    Dei rischi collegati ai campi-scuola gestiti ín proprio abbiamo già accennato. Occorre tenerne conto e programmare interventi educativi che in qualche modo pongano al riparo da rischi come lo spirito di ghetto, il provincialismo, l'autosufficienza, l'invecchiamento delle proposte... Occorre programmare con attenzione dei periodi di «diaspora», dei periodi in cui, come già dicevamo, ci si separa, ci si divide a piccoli gruppi, già durante il periodo della formazione, per incontrare altri gruppi, per partecipare a esperienze gestite da centri culturali e religiosi...
    Non esiste una formula unica per la gestione dei campi-scuola. Ogni gruppo, ogni comunità giovanile deve verificare in concreto qual è la formula più adatta in quel preciso momento e sceglierla tenendo conto non solo degli aspetti positivi ma anche di quelli negativi. E programmando degli interventi educativi che superino i rischi di ogni campo-scuola e utilizzino al meglio tutti i contributi che il campo può dare per la maturazione personale e di gruppo.


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