Elaborazione redazionale
(NPG 1976-04-29)
UN OBIETTIVO EDUCATIVO GLOBALE
Una progettazione soggettiva «orientata»
La monografia (Note di Pastorale Giovanile 1975/12) ha orientato verso una conclusione, del resto abbastanza assodata oggi: non esiste un modello univoco di essere donna. Quelli sul mercato, soprattutto se si rifanno all categorie culturali tradizionali, sono troppo legati ad una deformazione pericolosa: collegano a dati di ordine naturale quanto invece dipende da suggerimenti di tipo storico, politico, sociale; dimostrano, cioè, l'immutabilità del progetto-donna e delle caratteristiche che lo descrivono assumendo motivazioni non corrette.
Ciascuno è chiamato ad elaborare quel progetto di sé che gli è soggettivamente significativo. Il suggerimento oggettivo che proviene dalla costituzione naturale dell'uomo, consiste proprio nella spinta ad inventarsi soggettivamente un personale modo di esistere.
Si tratta di una soggettività «relativa», d'accordo. È importante ricordarcelo, anche per il clima esasperatamente soggettivistico in cui viviamo. Esistono valori normativi. Per noi, prima di tutto il progetto di Dio sull'uomo: Cristo «uomo» realizzato e definitivo. Nel Vangelo e nel cammino di maturazione che la Chiesa ha percorso, questi valori trovano una consistenza irrinunciabile. Non c'è un progetto «cristiano» di essere uomo o donna, da indossare come un abito pronto all'uso. Ci sono però sensibilità e prospettive di una radicalità normativa: pensiamo al valore della persona, alla legge dell'amore, alla costitutività del dono della grazia, alla dialettica morte-vita, peccato-salvezza...
In secondo luogo va considerata la responsabilità sociale e collettiva. Ogni progetto di sé chiama sempre in causa altri, perché la libertà è segnata di solidarietà e di intersoggettività. I valori culturali con cui si descrive l'esistere storico di un uomo e di una donna non sono normativi in assoluto, ma determinano comportamenti che vanno considerati attentamente, per facilitare l'inserimento e «la contemporaneità» sociale di ogni persona.
Non basta, in altre parole, decidere soggettivamente come si vuole essere, per pensare che questa progettazione sia valida sempre e comunque, perché personale.
Il progetto personale è chiamato a misurarsi con valori oggettivi, che lo giudicano, lo orientano, per evitargli lo scacco e l'accettazione della negatività etica.
Questi valori sono soprattutto decisi dai due orientamenti globali ricordati: la dimensione trascendente dell'esistenza umana e quella sociale.
Da queste considerazioni, sviluppate a fondo nella monografia citata, si conclude sulla necessità di costruire un tessuto di impegni e di atteggiamenti che permettano a ciascuno di progettarsi in termini oggettivamente maturi, in senso umano e cristiano, personale e sociale.
Autenticità personale nella complemetarietà
Il primo impegno educativo consiste nell'aiutare ciascuno a progettarsi in modo autentico, rispondendo alla domanda cruciale «chi sono io - oggi qui». All'interno di una risposta globale, trovano spazio e consistenza gli aspetti specifici dell'essere uomo o donna. Perché ciascuno è se stesso oggi-qui, in quanto uomo o donna.
L'obiettivo educativo perciò è prima di tutto concentrato sulla definizione matura di sé; successivamente (di una successione più logica che cronologica) ci si preoccupa degli aspetti specifici dell'essere uomo o donna. In secondo luogo l'accento è posto sulla complementarietà. Si può definire cosa significhi essere uomo o donna, solo partendo dalla struttura umana uomo-donna. In questa bipolarità - in cui entrano aspetti naturali normativi (si pensi alla «maternità»), interpretati e amplificati dai fatti culturali - ciascuno può definire se stesso, rispondendo alla «vocazione» che l'altro gli lancia.
La struttura uomo-donna è il luogo privilegiato dell'incontro interpersonale e del riconoscimento personale dell'uomo da parte di un altro essere umano.
L'educazione ad essere se stesso parte da questa complementarietà, proprio per aiutare ciascuno a definirsi tenendo conto del dialogo esistenziale a cui è chiamato.
È facile avvertire che non si tratta di un gioco di parole. C'è un capovolgimento notevole di prospettive. Un tempo le ragazze erano educate ad assumere atteggiamenti ritenuti tipicamente femminili: sul livello di coerenza con questi si misurava la loro realizzazione personale. Oggi invece ci si preoccupa che ciascuno sia se stesso, senza voler definire a priori «come» essere se stessi, «perché» uomo o donna. In questa globalità umana e nella relativa complementarietà inizia la ricerca sul significato dell'essere uomo o donna.
Liberazione contro emancipazione o dipendenza
Per definire il cammino di maturazione della donna, preferiamo utilizzare la categoria della «liberazione», che si riconduce alla pedagogia della liberazione e alle istanze socioculturali che la distinguono. Non ci piace parlare di «emancipazione»: ci pare un discorso individualistico e troppo a carattere rivendicativo.
Sottolineiamo le motivazioni che orientano la scelta, perché possono descrivere un insieme di percezioni verso cui orientare il personale «essere donna» e il relativo processo educativo.
* La crescita non è mai eliminazione delle proibizioni e diffusione di permissività. Educare è darsi un personale progetto di impegno, in dialogo costante con i modelli più realizzati. Oggi si insiste sulla necessità di liberare dalle pastoie di molti comportamenti «femminili», a cui spesso si educavano le ragazze. Tutto ciò diventa maturante, però, se è collegato alla ricerca di seria autenticità personale, alla accettazione di un continuo riferimento «normativo» ai valori, agli «altri» che li incarnano, all'Altro definitivo che si propone in dimensione trascendente. Liberazione è quindi autocostruzione di limiti significativi, per essere autentici. È credere, nei fatti, che la vita fiorisce sulla morte, che per essere in pienezza, bisogna saper «perdere» qualcosa di sé: «Se il chicco di grano non muore...».
* La liberazione, inoltre, non è la conquista di un ruolo nuovo, di un modo nuovo di essere se stesso, da possedere e consumare nel chiuso della propria individualità. Liberazione è sempre una crescita globale: diventare diversi, nuovi, «liberati», per farsi liberatori. Un crescere assieme (uomo e donna, in un reciproco aiuto di maturazione) per far crescere la società, «liberando» le strutture alienanti, che riproducono uomini e donne per il consenso.
* Liberazione è, infine, un fatto collettivo: deve investire tutti, per essere reale e concreto. Molte ragazze accettano ruoli femminili inadeguati. Si riconoscono nelle proposte dominanti, anche se egoistiche, alienanti, disumanizzanti. Nessuna donna può essere totalmente se stessa, in modo nuovo, se qualcuna ancora non lo è o non lo vuole essere: la solidarietà collega il nostro esistere come umanità. Liberazione è quindi impegno per dare una coscienza nuova a coloro che ne sono privi. Ma con una metodologia davvero di liberazione che rifiuta cioè la manipolazione, l'indottrinamento, il consenso forzato. Che fa crescere l'altro piuttosto di costringerlo ad essere diverso.
* La categoria della liberazione colloca quindi l'educazione femminile nella giusta dimensione politica che le compete. Chiama in questione il problema delle correlazioni: cambiare le strutture sociali che alienano la donna e/o coscientizzare le ragazze verso un modo nuovo di essere da cui nascerà una società nuova; liberare l'uomo per promuovere la liberazione della donna e/o liberare la donna per realizzare anche uomini nuovi.
Ricorda un metodo di azione politica coerente: la via dell'animazione culturale e della circolazione delle idee contro le manipolazioni e le violenze alla autonomia personale. Sottolinea la centralità della prassi: la liberazione della donna «si fa» (non la si annuncia a parole), coinvolgendo progressivamente tutte le donne in progetti nuovi di identità, di presenza e di partecipazione (si pensi a quanto sia importante questo discorso, per esempio, nelle nostre tradizionali istituzioni ecclesiastiche, ancora tanto maschili...).
Essere se stessi per liberare
In una concezione capitalistica dell'esistenza, le differenze sono spesso principio di sopraffazione: il diverso coincide con l'inferiore. La donna è «diversa» dall'uomo, dunque gli è inferiore. Per riconquistare potere e prestigio, bisogna capovolgere i quadri. Possedere in proprio le caratteristiche che danno potere, per dominare colui a cui sono state sottratte. Perciò la corsa all'emancipazione fatta di aggressività, di dominio, di denaro, di libertà smodata, di controllo, di rifiuti.
Noi crediamo al valore della persona, prima e indipendentemente dagli aggettivi con cui si qualifica. Essere se stessi significa necessariamente essere «diversi» dagli altri: realizzarsi secondo i modi irrepetibili con cui si è e si agisce. Da questa specificità personale nasce il servizio agli altri e all'insieme sociale.
La distinzione non passa attraverso la sessualità, anche se essa configura in modo decisivo l'esistere di ogni persona.
È facile avvertire come questo discorso diventa immediatamente concreto, quando è riferito all'educazione femminile. Per molti la donna è realizzata, solo se fa le cose dell'uomo: se lavora in proprio, se ha denaro, se è potente, se guida spericolatamente, se è aggressiva e spregiudicata. Queste categorie non fanno la realizzazione di nessuno: né dell'uomo né della donna. La donna è realizzata quando è se stessa. Quando imposta la sua crescita e il suo agire secondo le modalità che le sono congeniali, come persona e come persona-sessuata.
Facciamo un esempio più concreto.
Ci sono valori che la donna ha tradizionalmente coltivato come propri o che le sono stati attribuiti come propri: l'umanizzazione dei rapporti personali, la festosità, una presenza capace di dialogo, che anima gli incontri e strappa dalla solitudine, la cura degli anziani, il dialogo con i bambini... Oggi siamo convinti che non si tratta di valori «specificamente» femminili: non derivano probabilmente alla donna dalla sua natura, ma dalla cultura sociale. Si tratta però di valori molto importanti. Dovrebbero caratterizzare ogni persona. Se la donna se ne disfà per essere «emancipata», la società perde atteggiamenti preziosi. Questi valori la donna li ha normalmente gestiti come propri. Essi possono essere reinterpretati dal modo quotidiano con cui la donna li vive per essere da lei trasmessi all'uomo.
L'uguaglianza non è affermata sopraffacendo, ma «crescendo insieme».
PROPOSTE PER UN PROGETTO METODOLOGICO
Nelle pagine che precedono abbiamo soprattutto tratteggiato l'obiettivo: uno stile educativo globale con cui caratterizzare l'educazione ad essere donna, oggi. Dobbiamo però scendere a suggerimenti più concreti. Non è facile, perché ci muoviamo in un terreno dove tutto è da inventare. Ci pare importante privilegiare per questo una categoria educativa, già sottolineata in altri contesti: l'educazione ad atteggiamenti coerenti con il progetto globale.
Gli atteggiamenti per essere donna oggi
Ricordiamo alcuni atteggiamenti che avvicinano il discorso generale alle tematiche dell'educazione femminile.
- La capacità di essere creativi, liberandosi con coraggio e meditata riflessione dalla accettazione acritica dei modelli correnti, sia tradizionali che alternativi.
- Coscienza dei condizionamenti: la creatività esige la capacità di essere autonomi rispetto ai condizionamenti. Troppe volte, invece, i valori per cui uno si batte, sono stati indotti da forme subdole di manipolazione.
- Senso della gradualità o della globalità, coscienti che la strada da percorrere per realizzare un progetto alternativo di donna, rispettoso e coerente, è davvero lunga. Il rapporto storia-cultura non sopporta brusche inversioni di rotta.
- La concretezza educativa che sa valutare senza preconcetti emotivi i modelli tradizionali e quelli nuovi, sa misurare i riflessi sociali dei singoli comportamenti, la oggettiva capacità di assorbimento delle nuove proposte, il riflesso che esse possono avere nelle persone concrete con cui si è in rapporto.
- La coscienza della relatività dei modelli: è conseguenza logica della scoperta che ogni modello è legato ad una cultura. Relativizzare i modelli tradizionali con la motivazione che sono «culturali» e non «naturali», comporta di logica congruenza il coraggio di non assolutizzare quelli alternativi.
- Rispetto del pluralismo di situazioni. Altra conseguenza che scaturisce dal rapporto modello-cultura. Le culture concrete sono diverse: si pensi alla diversità culturale che percorre l'Italia dal Nord al Sud e, in una stessa regione, dalla città alla campagna. D'accordo: la cultura tende ad omogeneizzarsi e il processo è da favorire... Ma, nell'attesa, non possono essere forzate le sensibilità.
- Capacità di «soffrire». Il proprio ruolo va conquistato nella sofferenza, nell'accettazione !quotidiana della conflittualità. Non può essere né una conquista indolore né un felice possesso. Sia a livello personale: perché connota una grande libertà interiore. Sia a livello sociale: perché si tratta spesso di andare controcorrente.
- Capacità di reinterpretare i valori tradizionali (ne abbiamo elencati alcuni nelle pagine precedenti), per coglierne il significato attuale da vivere personalmente e da donare agli altri.
Questa capacità coincide con la non-accettazione motivata della posizione riduttiva: per essere autentici bisogna rifiutare tutto ciò che è stato proposto come femminile.
- Capacità di un reale e maturo «anticonformismo» che permetta una autenticità personale anche in situazioni culturali alienanti (e mentre ci si impegna per modificarle).
- Recupero e gestione autentica dei valori che caratterizzano il dialogo interpersonale: l'amicizia, la capacità di comunicazione, l'amore.
- Reinterpretazione, in un nuovo contesto di globalità e complementarietà, della «maternità», vissuta come momento «naturale», significativo e portante, dell'essere donna.
- Capacità di rinnovamento, condizione dell'esistenza umana in quanto esistenza storica, per una progettazione di sé che sappia commisurare la permanenza di orientamenti con l'adattabilità e la reinvenzione dei propri ruoli.
- Coscienza dell'esistenza di valori normativi e di una diffusa responsabilità etica, per accettare un continuo giudizio sui personali progetti, da parte di «progetti più realizzati». In questo atteggiamento, tutt'altro che moralistico, trova una collocazione adeguata tutto ciò che concerne la specificità cristiana nella personale realizzazione.
Suggerimenti metodologici
Per concludere tracciamo un indice di suggerimenti metodologici «spiccioli». Sono nati dalla pratica di molti educatori. Possono tornare alla pratica in forma matura, se il lettore li fa propri, rileggendoli sulla lunghezza d'onda del suo concreto ambiente.
1. Liberare dai condizionamenti negativi di cui spesso le ragazze soffrono
Abbiamo già ricordato l'importanza di questo intervento educativo. La creatività fiorisce autenticamente solo sulla criticità: sull'analisi oggettiva delle situazioni in cui siamo immersi. È troppo facile, invece, che una ragazza si lasci sedurre dalle proposte sul mercato. Essa sente spontaneamente il disagio dei modelli tradizionali di cui è circondata. Ha bisogno di «altro»: di un progetto diverso. Ne vive la ricerca in modi emotivi, indefiniti, pronta ad accogliere con entusiasmo quello che vede nuovo, diverso, più libero, più gioioso. In concreto, «decondizionare» significa:
- riflessione guidata sui comportamenti abituali, per verificare la loro autonomia o la loro dipendenza da modelli imposti, l'autenticità o la manipolazione;
- riflessione guidata sui condizionamenti che emergono dall'ambiente educativo: scuola, famiglia, gruppi, istituzioni ecclesiali... Quali sono le attese, i comportamenti, le manifestazioni «premiate» e quelle «rifiutate»? Perché? Con quali motivazioni?
- giudizio consapevole: ci va bene questa proposta? Camminando secondo queste direzioni, dove si va a finire?
- elaborazione di modelli alternativi, concreti, possibili, graduali, maturi. Si tratta di una elaborazione da gestire «assieme»: perché i condizionamenti sono di fatto collettivi (= coscienza di una solidarietà reale) e perché le soluzioni non possono essere che a livello collettivo: un uomo nuovo, in una società nuova.
2. Attraverso un metodo di partecipazione diretta
Le ragazze devono prendere coscienza di questo processo educativo, attraverso una partecipazione diretta alla propria liberazione. Nessuno può sostituirsi alle interessate. Gli strumenti di partecipazione sono molti: il gruppo, il confronto con il materiale pubblicitario (riviste femminili e fotoromanzi), i dati culturali (letteratura e cinema), la discussione e il confronto.
Due raccomandazioni:
- è indispensabile la presenza di un adulto maturo, capace di «gestire» questo processo di liberazione e di fare proposte: l'educazione non coincide con la sola soppressione dei condizionamenti;
- alcune delle «ricerche» di tipo personale vanno condotte (si pensi a come preoccupi la ragazza il proprio fisico...) in gruppi solamente femminili, per permettere alle ragazze sincerità e autenticità, difficilmente realizzabili alla presenza di ragazzi, per evidenti motivi. Nel discorso invece a carattere sociale vanno invece coinvolti anche i ragazzi, perché spesso sono le loro «attese» che inducono, le ragazze ad atteggiamenti e comportamenti negativi e alienanti.
3. Un tempo educativo lungo
Il cammino non può essere percorso all'insegna del tutto-subito. Molto spesso sono più consapevoli e sensibilizzate quelle ragazze che meno ne hanno bisogno. Quelle che invece accettano modelli disumanizzanti sono più rassegnate e passive, hanno progetti di sé molto più integrativi. Questo comporta un'opera lenta di coscientizzazione, se non si vuole ridurre il processo di liberazione ad una ulteriore manipolazione.
Tempo privilegiato è quello dell'età evolutiva: le istituzioni che dialogano con preadolescenti e adolescenti hanno la più grossa responsabilità in merito.
4. Il gruppo come luogo formativo
Un peso notevole riveste anche il,.«gruppo» (normalmente misto): l'interscambio di ruoli e il consolidamento dei modelli uomo-donna può favorire una corretta maturazione nella personale specificità o può, al contrario, spingere al conformismo e alla imitazione, sotto la pressione della cultura che domina nel gruppo. Possono nascere gruppi in cui si cresce assieme o invece gruppi dove tutti sono «maschiacci» o «effeminati».
Il tema è importante. Ci ritorneremo, muovendo da esperienze e testimonianze concrete.