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    Ragazzi d'oggi: ideali-valori-problemi



    Emilio Zeni

    (NPG 1976-10-81)

    Il Consiglio Permanente della CEI nella «lettera» inviata all'Azione Cattolica Italiana il 2/2/1976 invita ad essere «vivi» e «veri», «freschi» ed «agili», a rendersi presenti con tipicità, originalità, specificità accanto agli altri. Perché la Chiesa che è nata dal Concilio, orientata e sollecitata dallo Spirito Santo «compie una ricognizione dei carismi e dei ministeri di cui lo Spirito Santo l'ha arricchita e continua a farle dono». Per questo, in termini pastorali, non ci si può permettere il lusso di «sprecare»» possibilità, ignorare «doni», di trascurare «presenze».
    Ogni persona nasce e viene innestata nel «Corpo Misterioso» secondo una Economia precisa, insondabile, perché serve all'edificazione comune. Trasferendo il discorso specificamente sulla porzione eletta di ragazzi che la Chiesa ci affida, pare sentire l'urgenza di scoprire in essi la originalità del loro dono nella Chiesa, lo spazio preciso cui essi hanno diritto, per farsi sentire e crescere insieme agli altri, per collaborare, in definitiva, alla costruzione del Regno.
    E l'atteggiamento in cui, crediamo, deve porsi l'educatore che crede nella svariata molteplicità di carismi presenti nella Chiesa e, nel caso, all'interno del mondo dei ragazzi.
    E ciò significa anzitutto «ascoltare» la voce dei ragazzi. Essi non hanno solo compito di «imparare» ma, come ogni cristiano, hanno qualcosa da dire alla Chiesa che è popolo in cammino: si effettua con il carismatico interscambio dei doni di cui tutti siamo portatori, che è fatto di silenzi e di parole.
    Si è detto che la preadolescenza e ancor più l'adolescenza è un continente sconosciuto da esplorare in continuità: un'immagine che esprime quanto di segreto, di sconosciuto e di prezioso raccolga ancora l'età dei ragazzi con i quali intendiamo costruire la Chiesa del futuro.
    Nelle pagine che seguiranno abbiamo dato ascolto ai ragazzi. Essi hanno parlato abbondantemente e con sincerità. L'educatore potrà meditare e rallegrarsi per il «dono prezioso» che i ragazzi hanno offerto, riconoscere la forza vitale che la Chiesa porta con sé e riconfermare la gioia e l'impegno di una missione, fra i ragazzi, non sempre facile, ma ricca di speranze. Per fare con essi, veramente, Chiesa che dialoga e che cresce, insieme.

    Fare pastorale oggi in un mondo che varia con sorprendente rapidità in mezzo ragazzi di cui si conosce solo qualcosa della loro vita, non è facile.
    Gli ostacoli provengono dalla natura stessa dell'uomo, nel caso specifico, del ragazzo ancora in maturazione, e dalla società secolarizzata, borghese, atea.
    Ma anche le stesse problematiche, nuove e impensate, dei ragazzi d'oggi collaborano a rendere più precaria l'azione dell'educatore. Soprattutto nel caso in cui esse non fossero note, o non capite, o, peggio, non valutate nelle dimensioni in cui i ragazzi le vivono.
    Conoscere dunque i ragazzi e le loro profonde istanze per affiancarli efficacemente nella ricerca seria di soluzioni possibili, religiosamente e umanamente accettabili, è il primo compito dell'educatore che intenda buttarsi nella pastorale dei preadolescenti.

    CHI SONO E COSA PENSANO I RAGAZZI

    Limitiamo il discorso a qualche accenno al fenomeno preadolescenziale e alle problematiche religiose o intimamente legate ad esse.
    L'abbondante materiale ce lo offre una équipe di sacerdoti della diocesi di Vittorio Veneto che hanno inchiestato su sedici domande preparate dall'UPS di Roma e dal CCS di Torino, mille ragazzi (500 maschi e
    500 femmine) di la e 3a media, in tre zone specifiche della diocesi: urbana, agricola, operaia.
    Qui raccogliamo alcuni dati che sembrano essenziali per la riflessione che vogliamo proporre a chiunque si dedica alla pastorale dei preadolescenti, rimandando il lettore alla lettura completa delle analisi e delle conclusioni in «Ragazzi 75» [1].

    CHI SONO I RAGAZZI

    Premettiamo alcune note di psicologia dell'età evolutiva che per altro supponiamo ben presenti nella mente degli educatori e che meglio aiuteranno a interpretare le reazioni dei ragazzi alle domande.

    Un fenomeno chiamato preadolescenza

    La preadolescenza è un'età delicata di passaggio. Essa costituisce senza dubbio, uno dei momenti più impegnativi dello sviluppo umano. Conoscere i dinamismi di crescita di tale età, diventa necessario sia per gli educatori, che per gli stessi ragazzi, se si vuole avviare seriamente un processo di maturazione della personalità.
    A livello conoscitivo, la preadolescenza si caratterizza per il superamento della logica concreta e per l'uso sempre più facile dei procedimenti logici. Cresce la capacità di generalizzare, di usare le astrazioni e i concetti, di riferirsi con esattezza alla categoria «tempo». In questi anni si raggiunge la logica formale, cioè la capacità mentale di subordinare il reale al possibile, di dare una sistemaizone alle proprie conoscenze e di seguire un insegnamento organico (Cfr. I. Piaget, De la logique de l'enfant à la logique de l'adolescent). Tuttavia non dobbiamo pensare a un semplice sviluppo rettilineo; E. Michaud ci mette in guardia contro questo pericolo: «... se lo scopo è raggiunto da alcuni privilegiati, non dobbiamo dimenticare che a 14/15 anni il ragazzo è ancora lontano dal termine della sua evoluzione, la spiegazione rimane ancora per molto tempo confusa con l'opinione, il giudizio di esistenza con il giudizio di valore». Il Falorni aggiunge: «La fisionomia del preadolescente, dal punto di vista intellettivo, non può non apparire estremamente disorientante... il preadolescente comincia ad essere capace di tutte le operazioni intellettuali, ma questo non significa che sia possibile, nei piani di lavoro, fare diretto e sistematico riferimento al livello superiore» (Aspetti psicologici della personalità nell'età evolutiva, Ed. Universitaria, Firenze).
    Anche il comportamento affettivo-tendenziale comincia ad essere particolarmente ricco e personalizzato. Gli interessi variano, per oggetto e intensità, in corrispondenza e sotto l'influsso della maturazione intellettuale dello sviluppo fisiologico e delle pressioni ambientali. Il sistema dei valori rimane in generale quello precedente, determinato dai genitori, ma ha inizio ormai il processo di interiorizzazione; il preadolescente comincia a giudicare ciò che è buono o cattivo in base a motivazioni liberamente accettate, lungo una linea di progressiva indipendenza. Essendo il preadolescente un essere disponibile, è possibile che dia nei suoi pensieri un posto considerevole ai valori spirituali, soprattutto se aiutato dall'educazione precedente e da un ambiente favorevole.
    Egli inoltre inizia già a manifestare la capacità di controllare le emozioni spontanee, di interessarsi alle persone e di comprenderle, di identificarsi col gruppo, di ridimensionare realisticamente le proprie aspirazioni.
    Il preadolescente inoltre evidenzia una crescente tendenza all'inserimento sociale. A quest'età si verifica una progressiva emancipazione dai genitori, l'inserimento in un gruppo ristretto di coetanei, una presa di coscienza più realistica della società.
    A causa dei mutamenti fisiologici e psicologici e della frequenza scolastica, egli vive sempre più fuori dall'ambiente familiare. Il suo atteggiamento fondamentale è caratterizzato da una certa ambivalenza: la tendenza all'autonomia, da una parte, e la ricerca di protezione dall'altra. Capace di impostare rapporti sempre più personali, egli comincia a mettere in discussione, criticare, valutare, e spesso rifiutare i modelli offerti dagli adulti; ma è sull'approvazione di questi che egli continua a riporre la sua sicurezza. L'emancipazione è ricercata e fuggita, desiderata e temuta nello stesso tempo.
    Il gruppo di coetanei, acquista un ruolo sempre maggiore, In esso il preadolescente va in cerca di uno «status» più soddisfacente, un nuovo quadro di riferimento nel momento in cui quello della fanciullezza deve essere abbandonato, un appoggio emotivo nell'opera di emancipazione dai genitori, un mezzo per difendersi contro le interferenze dell'adulto.
    Lo sviluppo morale è strettamente legato allo sviluppo delle funzioni conoscitive e alle modificazioni nelle relazioni con gli adulti e con il gruppo dei coetanei. La miglior comprensione delle regole morali lo sviluppo delle capacità di autocritica, il processo di emancipazione dai genitori avviano il graduale passaggio dall'eteronomia morale dei fanciulli all'autonomia morale dei giovani.
    Nel comportamento morale del preadolescente si notano anche delle incoerenze, degli alti e bassi (cedevolezza-perfezionismo) dovuti all'immaturità emotiva e alla più forte pressione degli impulsi.
    Le ricerche mettono però in risalto anche la «permanenza» del carattere morale: i sentimenti fondamentali verso la vita e i modi tipici di agire persistono. Questo è dovuto soprattutto al fatto che l'ambiente familiare, ancora determinante, rimane identico.
    La religiosità del preadolescente dipende ancora in larga parte dall'ambiente, tuttavia il processo di interiorizzazione e di individualizzazione fanno passi evidenti in questi anni in cui, per la maggor parte de ragazzi, c'è un risveglio dei sentimenti religiosi: «Il ragazzo non è più religioso perché deve esserlo come negli anni precedenti, ma perché vuole esserlo. La religione non è più una costrizione o un conformismo, ma una aspirazione» (Guittard, Pedagogia religiosa degli adolescenti, Edizioni Paoline). Tutto ciò, evidentemente, a livello di stadio iniziale.
    Le preoccupazioni morali vengono ad acquistare un'importanza sempre maggiore nella coscienza del preadolescente, di modo che non pochi parlano di «moralismo» come caratteristica di questa fase dello sviluppo. In realtà il preadolescente è portato a mettere in relazione l'obbligo religioso con il suo comportamento morale.
    Il senso della colpa diventa più acuto e dà un particolare tono affettivo alla sua religiosità; esso può spingere o a una pratica più intensa e personale della religione od anche all'insofferenza e all'abbandono di essa, sentita in qualche modo come una barriera alla libera espressione degli istinti.
    Le pratiche religiose possono assumere direzioni diverse. In generale la preghiera diventa più personale. Il magismo ritualista va scomparendo e la frequenza ai sacramenti può riuscire più consapevole non solo in funzione della vita morale, ma anche come esplicitazione della vita di fede. Affrontando più esplicitamente il tema nel suo atteggiamento di fede, sembra che possano essere fatti i rilievi seguenti.
    La preadolescenza si presenta come una tappa importante nel processo di maturazione della fede: essa segna il momento in cui la dimensione essenziale di rapporto personale comincia ad essere particolarmente evidenziato. Il preadolescente, che è ormai impegnato a respingere quanto sa di imposizione e di conformismo, comincia a sentirsi solo di fronte a se stesso. Per tutti gli anni inquieti che seguiranno, resterà costante in lui un'aspirazione: egli cerca, egli spera di trovare un amico che lo sopporti, che lo comprenda e che lo accetti come è. In questa sua solitudine, tra le contraddizioni in cui si dibatte, .il preadolescente è preparato a scoprire qualcuno che lo chiama. Nel Cristo può trovare la risposta agli appelli contradditori che porta in sé: il suo ideale prende corpo in Cristo e la fede acquista prevalentemente i tratti dell'amicizia con lui.
    Si tratta di una scoperta decisiva. Egli si è aperto a una dimensione permanente della fede cristiana; l'accettazione di Cristo, che incarna nella sua persona la stessa religione.
    E molto importante tuttavia che, nella religiosità del preadolescente, si sappia distinguere accanto agli elementi validi e alle acquisizioni permanenti, ciò che tale non è. Vi facciamo qualche accenno. Oltre all'instabilità (così caratteristica di questa età), un'ambiguità fondamentale può farsi sentire anche nella preadolescenza: credere significa andare a Cristo o farlo venire a sé?
    Si tratta di servire Cristo o di garantirsi un mezzo con cui realizzare se stessi?
    Il preadolescente, perseguendo il proprio ideale, sente il bisogno di essere aiutato nello sforzo di superamento; egli si avvicina a Cristo soprattutto nei momenti difficili, lo cerca come chi cerca di assicurarsi i servizi di una guida nei frangenti più pericolosi. Il suo incontro con Cristo può essere, dunque, notevolmente segnato dal soggettivismo e dall'egocentrismo.
    Inoltre, per lui peccare significa principalmente tradire il proprio ideale, e meno rompere l'alleanza con Dio e danneggiare i fratelli.
    La sua pratica sacramentale, sulla quale pesano in misura più o meno rilevante anche delle motivazioni utilitaristiche, resta esposta a facili deviazioni.
    Egli infine è proclive a collocare fuori del tempo e del mondo l'incontro con Cristo: il mistero della Chiesa, principio e ambiente vitale del nostro essere cristiani, non gli è facile, non avendone fatta esplicita esperienza. (Cfr. Catechesi-Fotoproblemi n. 9, 1975).

    CHE COSA PENSANO I RAGAZZI

    Ci riferiamo a tre grosse problematiche intimamente legate fra loro e che costituiscono l'ossatura fondamentale dell'azione pastorale in ogni ambiente:
    – Il senso della vita e della morte. Valori, interessi, relazioni interpersonali, felicità e infelicità presenti nella vita di ogni uomo.
    – L'esistenza di Dio, relazioni dell'uomo con Dio, Cristo, i suoi insegnamenti.
    – La Chiesa nella sua vita sacramentale, la gerarchia, la struttura parrocchiale.
    I ragazzi si sono pronunciati abbondantemente e con estrema sincerità. Presentiamo i dati più significativi.

    Il preadolescente e i problemi dell'uomo

    Fra i tanti ideali che le molteplici facce della odierna società presentano ai ragazzi sembra che essi privilegino in modo chiaro quelli vitali, insieme a valori autentici offerti da una religiosità esistenziale e dalla solidarietà umana, quali la fede in Dio, la pace, la solidarietà fraterna con gli altri, la famiglia, mentre abbandonano gli altri pseudovalori che, oggi, il contesto sociale dei consumi molto valorizza, come il fare soldi, la libertà sessuale, la carriera, il successo.
    Esistono a questo proposito sensibili varianti fra ragazzi di zone diverse. Sembrano più disponibili verso la famiglia i ragazzi della zona operaia mentre sono più attenti al problema dell'amore del prossimo e dell'aiuto concreto agli altri i ragazzi di città. Il valore della fede è invece accolto in misura assai rilevante da tutte e tre le zone.
    Ma di quale fede si tratta? E un problema che deve porsi il catechista, verso il quale qualche indicazione verrà data anche dalle scelte di cui parleremo più avanti.
    Scendendo in un'analisi più approfondita i ragazzi hanno dichiarato che esistono nella loro vita argomenti che più li appassionano, di cui si interessano in modo assai sensibile: in ordine di percentuale assoluta vediamo comparire al primo posto il problema della guerra e della pace nel mondo, seguito dal problema dell'esistenza di Dio con tutto ciò che esso comporta e dal problema della sofferenza dell'uomo.
    Relativamente alle classi notiamo però presenti altri grossi argomenti a cui si appassionano e, precisamente: nelle terze: l'origine dell'uomo, il comportamento fra ragazzi e ragazze, il problema del sesso, le relazioni fra genitori e figli; mentre nelle prime, provenienti come è evidente da una catechesi assai forte e eminentemente «catechistica» punte rilevanti di interesse sono la persona di Gesù Cristo, la messa e i sacramenti. Da un attento esame delle varie risposte, qui appena accennate, ci pare che le forme di religiosità e di pratica religiosa raggiungano il massimo livello verso i 10-11 anni per poi declinare dai 15 in poi.
    Si tratta allora di scristianizzazione del preadolescente o di cristianizzazione solo apparente?
    Nel gioco della vita di quest'età entrano di prepotenza i rapporti interpersonali.
    Quali sono le persone verso cui i ragazzi hanno maggiore fiducia? E perché?
    I ragazzi hanno scelto anzitutto i genitori e, di essi, la mamma (da parte soprattutto delle ragazze), e poi il papà.
    È la conferma di quanto alto sia ancora il ruolo educativo della famiglia e come essa rimanga per i ragazzi il punto di più sicuro ancoraggio. C'è da chiedersi come sarà possibile una profonda educazione dei ragazzi in un contesto familiare in sfacelo, o nel caso specifico, in un contesto di ateismo dichiarato o di pratico agnosticismo dei genitori. E, di riflesso, c'è da chiedersi ancora se l'operatore pastorale che si dichiara per i ragazzi possa disinteressarsi della famiglia come di un settore della pastorale (degli adulti, si dice) che non è di sua competenza.
    Il secondo posto fra le persone che godono maggiore fiducia lo occupa il sacerdote, anche se a grande distanza. Solo dopo, l'amico e l'amica. Scarso rilievo trova invece l'insegnante (2,5%).
    Le motivazioni delle scelte sono alquanto nobili e indicative di bisogni profondi che il ragazzo si porta addosso. «Mi guida e mi dà consigli, confido i segreti, mi ascolta, mi dà fiducia...».
    Dall'indagine emerge questo fatto: i ragazzi delle prime classi si ispirano a modelli autoritari, mentre quelli delle classi terze si orientano verso persone di fiducia cui confidare i propri segreti e riceverne incoraggiamento.
    Il ragazzo infatti è alla ricerca di una identità personale, è insicuro, è instabile. Ha bisogno di qualcuno cui aprirsi. Pochi hanno guardato alle doti esteriori della persona a cui danno fiducia. Ciò indica maturità e riflessione.
    Una minima parte ammette di non fidarsi di nessuno esprimendo giudizi assai negativi. Ciò resta un fatto problematico che pone seri interrogativi ad ogni educatore.
    Interrogati sulla attuale felicità o infelicità degli uomini rispetto al passato i ragazzi danno risposte assai mature. Dall'insieme si può dedurre che i ragazzi percepiscono l'impossibilità dell'uomo di realizzare da solo un destino di felicità; è questo un terreno quanto mai fertile per seminare il messaggio cristiano della salvezza.
    Intuiscono infatti che causa maggiore della infelicità dell'uomo (essi sostengono che non è più felice di un tempo) è posta nell'intimo stesso del cuore umano: sete di potere - egoismo - avidità. Siamo in perfetta
    sintonia con il messaggio evangelico che afferma: «ciò che esce dall'uomo contamina l'uomo».
    Anche la mancanza di fede in Dio è una causa che balza evidente alle menti dei più giovani con una punta massima nelle ragazze di prima media fino ad una punta minima della zona urbana, segno di una evidente secolarizzazione.
    Dunque si può dire che il mito del progresso ha subito un duro colpo in questi ultimi anni e giustamente si riflette nelle preoccupazioni dei giovani.
    Alcune grosse sorprese hanno invece rivelato le risposte circa il destino dell'uomo dopo la sua morte. Quasi drammatica la risposta di un ragazzo che afferma: «non lo so e non lo voglio sapere» e che può spiegare l'atteggiamento di quel 40% che o non si pronuncia o nega ogni sopravvivenza (ben 7%) o dichiara di non sapere.
    Due osservazioni si impongono: come è possibile la negazione della vita eterna o l'atteggiamento di dubbio in ragazzi che in altre occasioni ammettono di credere in Dio? Forse le spiegazioni possono ritrovarsi in una catechesi incompleta, in crisi di crescita dove la sistemazione logica delle proprie idee non ha ancora collocazione precisa, forse dall'influsso ambientale.
    L'altra osservazione è l'assoluta mancanza ad ogni riferimento alla risurrezione. Ed essa resta pur sempre un caposaldo della nostra fede, su cui, crediamo, il catechista dovrà impostare una seria catechesi.
    I ragazzi hanno dunque manifestato di essere sensibili ai grandi problemi dell'uomo. Hanno colto le radici dei mali ed hanno evidenziato valori e interessi di alta qualità.
    C'è da chiedersi: che cosa pensano in riferimento a possibili soluzioni dei grandi problemi di cui parlano?
    Anzitutto essi ammettono che l'uomo da solo, per quanto intelligente non riesce a risolvere i suoi problemi; grande ruolo invece vi gioca la fede in Dio e la solidarietà umana (rispettivamente con maggiore accento da parte delle zone agricole e delle zone urbane).
    Anche qui, come già altrove, c'è da chiedersi se si tratta di fede autentica o di una fede fatalistica o magica... Sarà compito dell'educatore chiarire gli equivoci.

    Il preadolescente e i problemi religiosi

    La seconda parte dell'indagine si sofferma in modo specifico sulle problematiche di fede: Dio, i rapporti con Lui, Gesù Cristo.
    La stragrande maggioranza (82%) ammette di credere nell'esistenza di Dio. Ma analizzando le percentuali riferite alle classi si scopre che se la ragazzine di prima credono al 91 % quelle di terza crollano in un significativo 76%. Più stabile sebbene con simili variazioni, è la percentuale dei ragazzi. Altrettanto va detto in riferimento al dubbio sull'angoscioso problema.
    Motivazioni di fede sono poste nelle meraviglie del creato, nelle attestazioni del Vangelo, nella fiducia posta in persone credenti.
    I sentimenti che accompagnano questa «fede nell'esistenza di Dio» si coagulano in buona parte sulla amicizia e fiducia in Dio, sul bisogno nei momenti difficili. Qualcuno, fra i più grandi (4%) dichiara di avere nei confronti di Dio una certa paura. Comunque essi pregano soprattutto nelle difficoltà, nella crisi, o quando si sentono in peccato. E, per guardare gli estremi, il 24% dice di pregare molto spesso mentre il 5% ammette di non pregare mai.
    Si nota, dall'insieme, la mancanza di un programma nella preghiera e non si va oltre ad una preghiera istintiva. È una ennesima dimostrazione della necessità di una vera educazione alla preghiera, scelta come parte integrante del proprio progetto di vita inserito nel progetto di Dio, e di cui già più volte dalle pagine di Note di Pastorale Giovanile si è parlato.
    La stragrande maggioranza, interrogati su Gesù Cristo, danno un parere fortemente favorevole. Egli «è il figlio di Dio fatto uomo» (56%), è un amico di cui fidarsi, è una persona da imitare, è un grande personaggio.
    La maggior parte dunque ha preferito la definizione del catechismo. È spontanea la domanda: è essa una scelta di fede o la ripetizione mnemonica di quanto hanno imparato al catechismo?
    La catechesi, vista prevalentemente come trasmissione di conoscenze di verità, riesce a fare dei piccoli teologi ma forse non dei credenti. Inoltre il preadolescente spesso non è iniziato ad una vera esperienza di fede che si matura nella comunità, famiglia e parrocchia. E consuetudine, di fatti, strappare il fanciullo, per la catechesi di atcuni momenti forti della sua crescita cristiana (prima comunione, cresima), dalla famiglia che ha il primo compito educativo per demandarne il compito a catechisti, suore e preti. Con l'aggravante che, passata la festa, il fanciullo rientra nella comunità-famiglia dove spesso l'esperienza di fede è superficiale, marginale o essente quando non addirittura negativa. E un problema serio e impegnativa è la soluzione. Il RdC 200 si esprime tuttavia in modo esplicito: «Come non è concepibile una comunità cristiana senza buona catechesi, così non è possibile una buona catechesi senza la partecipazione dell'intera comunità».
    Che la risposta dei ragazzi in senso profondamente teologico possa prestarsi a qualche dubbio sulla reale forza di convinzione che l'ha dettata è provato dal fatto che giovani e ragazzi più grandi già all'inizio della crisi, posti di fronte a questa stessa domanda preferiscono abbandonare la «formula» per riconoscere nel Cristo un grande personaggio storico. Infatti nella inchiesta di cui ci occupiamo la differenza fra le prime medie e le terze tocca punte del 15% di spostamento fra la prima definizione teologica e l'altra più antropologica e storica.
    Ad ogni modo, Cristo raccoglie ancora ammirazione, ma appare come un personaggio assai lontano anche se il suo insegnamento è sentito. Ma anch'esso più in relazione ai bisogni umani che in riferimento alla costruzione del Regno di Dio.
    L'amore del prossimo, il perdono che si spinge fino verso i nemici, l'insegnamento della pace che gli uomini devono costruire fra di loro, sono riconosciuti come le proposte fondamentali di Cristo.
    Sono i problemi concreti di cui sentono parlare spessissimo nel contesto sociale in cui vivono. Più scarsa rilevanza hanno invece ottenuto quei riferimenti propriamente religiosi sulla vita eterna, sul perdono dei peccati, la paternità di Dio, sulla risurrezione... Perché? Forse perché la catechesi li presenta in maniera ancora troppo disincarnata e i ragazzi non sono stati aituati a recepire la stretta relazione fra questi insegnamenti di Gesù e i problemi che i ragazzi vivono in esperienza diretta. Un compito tutt'altro che facile ma assai necessario.
    Diversamente la dimensione propriamente religiosa dell'insegnamento di Gesù può sfuggire, o lasciare scarsa traccia sull'animo dei ragazzi che si ritroveranno poco alla volta in un pratico ateismo. Si veda, per esempio, il progressivo abbandono della pratica religiosa e della frequenza alla Messa.
    La sicurezza che i ragazzi hanno negli scritti evangelici non pone dubbi seri. Le poche cose negative sono espressioni alquanto stereotipate e frutto di una propaganda avversaria. Un discorso a parte meriterebbero invece le motivazioni che essi portano per dare la propria fiducia al Vangelo, per le quali rimandiamo alla lettura del testo che in altra parte abbiamo citato. Solo una conclusione pare necessaria; e cioè come sia urgente un'opera di serio accostamento dei ragazzi al Vangelo in forma viva, vitale e completa.

    Il preadolescente e la chiesa

    Più confuse sono le idee sul compito specifico della gerarchia ecclesiastica. Anche se i giudizi sono in grandissima parte favorevoli, difficilmente colgono il loro ruolo di centro di comunione con tutta la Chiesa: non si va al di là di un riconoscimento di «rappresentanza di Dio» di «capi della Chiesa e dei sacerdoti» «di ministri di culto perché amministrano cresima, predicano la fede, ecc.». Sotto sotto si avverte una concezione della Chiesa assai verticistica ed ecclesiastica. Per altri che scendono più al concreto la Gerarchia eccelsiastica è fatta di persone buone e «utili» perché insegnano ad amare il prossimo e lavorano per la pace. Più che un compito all'interno della comunità è qui avvertita una loro funzione sociale. Un discorso di Chiesa tutto da fare, sembra, anche se le cose ammesse sono positive e sembrano quindi sfuggire all'opera disgregatrice di un virulento anticlericalismo risorto.
    Esperienze più mature invece sono evidenziate attorno alla struttura parrocchiale. La parrocchia è vista infatti, soprattutto dai ragazzi delle terze, come «gruppo», come «comunità» di persone. Mano a mano che avanzano nell'età (nel caso, dalle prime medie alle terze) la parrocchia perde il ruolo di luogo di culto, di casa dei preti, di posto dove si ricevono i sacramenti, o dove si va a giocare per acquistare anche nella mentalità dei ragazzi il suo valore vero di «comunità di persone che vivono insieme la loro fede». E queste sono anche le attese che essi vogliono vedere soddisfatte nelle loro parrocchie, sia pure con sfumature diverse.
    Ci pare un grande cammino che la realtà parrocchiale ha fatto in questi ultimi decenni nella convinzione delle nuove generazioni. Ciò vuoi dire che una catechesi in profondità, anche se a volte difficile, è possibile e trova spazio e rispondenza presso i giovani. Un cammino da continuare.

    CONCLUSIONI

    Ci sembra che la preziosa inchiesta porti a queste conclusioni.

    – Prevalgono in assoluto i problemi concreti della vita.
    – Dio entra piuttosto di «striscio» o di «rito» nel vissuto dell'esistenza concreta.
    – Le «verità di fede» rimangono al livello alquanto astratto, catechistico e assai lontane da una reale incisività nel quotidiano. Sono, più che altro, una nozione fredda e disincarnata, una verità, appunto di stile scientifico, un dato abbastanza accettato o poco più.
    – Si nota un progressivo e abbastanza drammatico distacco dalla fede mano a mano che l'età si porta verso l'adolescenza, verso la maturazione, verso l'acquisto della propria indipendenza.
    – Ma, in parallelo, si nota il crescere di «esigenze più concrete e più serie» per coloro che, credendo, sono alle soglie dell'adolescenza.
    – Si nota ancora un vago senso dei destini eterni dell'uomo, idee alquanto confuse nel rapporto: uomo-chiesa (cristiani, vescovi, papa). È da notare anche un altro particolare: nel rapporto con la gerarchia il rifiuto più netto viene da settori femminili, forse per il ruolo troppo secondario che tradizionalmente la Chiesa ha dato alla donna. Una risposta, forse di inconscia contestazione.
    – Triste è la costatazione di quanto poco rilievo sia la condotta dei credenti per dare «credibilità» al Vangelo e, in definitiva a Cristo. Diverso fu per i primi convertiti che traevano forza proprio dal modo di vivere delle prime comunità cristiane (Vedi: Atti degli Apostoli, primi 5 capitoli).
    – E per ultimo, ma non meno importante, è la poca fiducia (con quali conseguenze, si può immaginare) che il corpo insegnante riscuote da parte dei ragazzi.

    Per tutto ciò c'è una motivazione alquanto profonda.
    Fino ad alcuni anni fa il senso religioso della vita era profondamente radicato nelle famiglie. Tale senso religioso era sostenuto da una concezione piuttosto moralistica della religione secondo la quale il senso del dovere verso Dio, la paura del peccato e del castigo erano piuttosto marcati e da un contesto sociale statico e della apoliticità.
    La industrializzazione, la politicizzazione e una presa di coscienza maggiore del proprio ruolo e della possibilità di iniziativa nella società, una maggior tensione verso il proprio posto di lavoro non più garantito dall'eredità del patrimonio paterno e una maggior permissività a tutti i livelli pongono i ragazzi a vivere la loro adolescenza, la loro introduzione alla vita adulta in condizioni molto diverse da quelle di soli due decenni fa e li spingono con maggior immediatezza verso problemi di tipo concreto e di realizzazione immediata.
    Il benessere ed il consumismo stimolano ognuno a ricercare subito le proprie soddisfazioni e pertanto si è meno disposti a dilazionare nel tempo anche la realizzazione dei propri desideri. Molto più difficile diventa la elaborazione di ideali ed il vivere per essi.
    Da qui il minor interesse per ciò che può sembrare astratto e non subito rispondente a bisogni immediati.
    La religione stessa quindi può arrischiare di essere sentita come qualcosa di superfluo tanto più che richiede degli impegni quando già si è presi e preoccupati di tante cose.
    Ci pare a questo punto importante la raccomandazione che il Direttorio Catechistico Generale fa ai catechisti impegnati nel «trasmettere» ai ragazzi le verità religiose: «Compito dei catechisti non è più solo quello di fare direttamente la catechesi, ma anche di animare la comunità ecclesiale perché possa compiere la sua missione di testimonianza autenticamente ecclesiale. L'azione del catechista pertanto si inserisce in quella pastorale d'insieme, nella quale tutti i fattori della vita ecclesiale sono tra loro disposti e collegati in modo organico» (DCG 35).
    Concludiamo queste note riportando alla lettera due proposte con cui gli estensori dell'interessantissima inchiesta hanno concluso il loro encomiabile lavoro:
    «In base a queste considerazioni, possiamo sinteticamente dire che la pastorale dei ragazzi dovrebbe seguire due orientamenti:
    1) Curare e far molta leva sulla famiglia che rimane ancora nel momento presente un punto di riferimento valido e forse unico per i ragazzi.
    2) Impostare la catechesi non come contenuto di verità da trasmettere e da comprendere in se stesse, ma come risposta e illuminazione delle attese, dei problemi e dei bisogni che i ragazzi sentono così da stabilire un rapporto immediato con il «vissuto» dei ragazzi.
    Ciò richiede la conoscenza dei ragazzi e la capacità di sintonizzarsi con loro sia a livello di sensibilità che di problemi certamente diversi da quelli vissuti dall'educatore nella sua adolescenza.
    Buona potrebbe essere per questo la mediazione di una vita comunitaria ecclesiale intensa e vivace.
    Queste due proposte, frutto di un lavoro non facile e per molti aspetti faticoso, le presentiamo a tutti i nostri amici che sono impegnati nell'educazione dei ragazzi, fiduciosi che possano essere utilizzate anche per una programmazione pastorale globale».

    NOTE

    [1] Ragazzi '75 - ideali - valori - problemi - Indagine socio-religiosa condotta tra 1000 ragazzi della diocesi di Vittorio Veneto. A cura di un'équipe di sacerdoti diocesani. Richiedere presso Ufficio Catechistico Diocesano - Vittorio Veneto - L. 2.500.


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