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    Professione e quotidiano: spazi umani per la realizzazione di sé



    Giuseppe Sovernigo

    (NPG 1976-12-54)

    SCELTE GIOVANILI E REALIZZAZIONE Dl SÉ

    Molte sono le scelte che ogni adolescente fa ogni giorno, alcune più importanti, altre meno. Riconducendole ad un denominatore comune che le illumini tutte, possiamo osservare come ogni adolescente e giovane nell'arco di età compreso tra i 12-13 e i 20-25 anni deve fare molte scelte in ordine:
    - alla costruzione di se stesso, di un certo tipo di uomo, secondo un dato progetto di avvenire. Ciò consente di dare un significato ultimo ed unitario alle proprie scelte quotidiane orientandole verso l'obiettivo interno del progetto di vita. Si tratta di una scelta, una opzione fondamentale sfaccettata in tante scelte quotidiane, che faccia emergere una «linea di vita preferenziale».
    Ciò consente, mediante l'elaborazione di un ideale di sé, cui si cerca di conformarsi, di realizzare se stessi, facendo emergere a poco a poco la propria identità.
    Si tratta della scelta di un modo di vivere.
    - alla scelta di uno stato di vita (la famiglia, la consacrazione religiosa di vario tipo, il servizio sociale) come mezzo e luogo per realizzare se stessi e servire gli altri.
    Si tratta di una scelta affettivo-vitale riguardante la propria capacità di amare e il bisogno di essere amati che consente la realizzazione di sé in un dato modo, appunto quello scelto.
    Nessuno da questo punto di vista può autorealizzarsi da solo. Ognuno è ad un tempo affettivamente incompleto e complementare. Due sono, ridotte all'essenziale, le vie per ottenere questa pienezza di sé: l'integrazione affettiva eterosessuale mediante un partner e l'integrazione affettiva celibataria (celibato consacrato e non consacrato).
    - alla scelta professionale. Si tratta della scelta di un mestiere o professione, della chiamata ad intervenire sulla materia per trasformarla e porla al servizio dell'uomo, oppure della chiamata a mettersi a servizio delle persone perché possano divenire se stesse mediante un servizio pedagogico di vario tipo.
    Dalla qualità di queste tre scelte vissute nel tempo dipende il valore di una data persona, quella autorealizzazione di sé che dà senso di compiutezza ad una vita.

    Professione e vissuto quotidiano

    Interessa in questo momento approfondire il senso della professione, la capacità di autorealizzazione di sé soprattutto nel vissuto quotidiano di ogni persona.
    La professione, qualunque sia, accompagna ogni persona dal giorno in cui viene assunta fino al compimento della vita, conferendole una tonalità, un senso del valore di se stessi rispetto agli altri; consente di sentirsi socialmente inseriti e riconosciuti.
    Diversa è la posizione di ogni persona di fronte alla professione in base: all'età al sesso alla preparazione ricevuta al luogo in cui viene esercitata al contesto culturale in cui si è inseriti al ruolo svolto nella propria famiglia alle necessità di fondo cui essa fornisce una risposta alla visione di vita che dà senso alle varie scelte quotidiane.
    Ma qual è il rapporto che ogni persona stabilisce tra la professione che esercita e la realizzazione di sé?
    Di fatto poche persone oggi sono veramente soddisfatte del loro lavoro. Molte persone si dicono soddisfatte, e di fatto in un certo senso lo sono per ragioni dipendenti dall'orario, dal tempo libero, dalla fatica, dalle relazioni sociali, dalle mete sociali raggiunte, soprattutto dal guadagno consentito. È questo un livello certamente importante ma piuttosto superficiale rispetto alla realizzazione di sé.

    Interrogativi

    Perché alcuni, soprattutto gli apprendisti, cambiano facilmente professione, evidenziando una profonda insoddisfazione rispetto al lavoro? Perché alcuni vivono la professione come una parentesi nella loro giornata, tollerandola solo come una necessità dura?
    Al contrario perché altri vivono la professione come un piccolo assoluto, facendone il centro dei loro interessi più vivi a scapito di una presenza significativa nella propria famiglia e ambiente di vita?
    Da che cosa deriva quella usura personale, quella stanchezza di fronte alla professione che viene a galla con il passare degli anni rispetto alle speranze iniziali?
    Che cosa fare perché la professione sia un momento costruttivo per la persona, le consenta di autorealizzarsi verso una pienezza anziché divenire sorgente di disumanizzazione, fattore di abbrutimento?
    Quale relazione c'è e ci deve essere tra il lavoro quotidiano con le sue esigenze spesso indilazionabili e la vita nel suo insieme?
    Quale strada seguire per rifare l'uomo anche mediante la professione? La professione occupa la maggior parte del tempo di una giornata. Quale è la sua importanza ed il limite rispetto alla realizzazione di sé nell'arco di una vita umana?
    Non è certo facile rispondere a questi interrogativi, né c'è qui pretesa di esaurirli.
    L'uomo da sempre ha vissuto la professione come un fattore importante. Con la rivoluzione industriale il lavoro ha acquisito un valore e un significato nuovo per l'individuo e per la società di cui fa parte. Sta emergendo una nuova consapevolezza dell'uomo contemporaneo nei riguardi del suo impegno professionale.
    La professione viene collocandosi sempre più:
    - come occasione di realizzazione di sé
    - come accesso ad una maturità umana
    - come messa di sé al servizio degli altri
    - come rinuncia a disporre di sé come in un gioco.
    Solo accettando la disciplina costringente di un impiego serio, accettando che le esigenze degli altri abbiano dei diritti sulla propria vita si giunge ad una vita adulta, si raggiunge un certo livello di autorealizzazione umana senza della quale si resterebbe per tutta la vita «dilettanti».

    CONDIZIONI PER UN RICUPERO DEL «QUOTIDIANO» DELLA PROFESSIONE

    Perché la professione non si logori attraverso il vissuto quotidiano è necessario che la persona tenga presenti alcune condizioni indispensabili, pena lo scadere in una delle numerose condizioni di vita disumanizzanti. Il vivere quotidiano infatti ha la capacità, come una controprova, di rivelare la qualità di una persona che esercita una data professione. Va rilevato che in ogni tematica, da quelle più immediate e personali dei problemi della vita sessuale ed affettiva, della preparazione alla famiglia, fino a quella riguardante la fede, le soluzioni «vere» sono quelle che tengono conto della personalità globale del giovane, in riferimento alla sua condizione concreta, in questo caso la professione.
    Queste sembrano essere le principali condizioni che possono consentire al lavoro di essere un fatto costruttivo nella evoluzione della persona.

    Una professione adeguatamente motivata

    Perché l'impiego quotidiano di sé in una data professione consenta una discreta realizzazione di sé è necessario che il mestiere sia sostenuto da una motivazione sufficiente e sana, coordinata con le esigenze e le aspirazioni personali.
    Le motivazioni che sostengono l'impegno professionale variano da persona a persona e da ambiente ad ambiente, da situazione a situazione e di epoca in epoca.
    Nel passato, ed in parte anche tutt'oggi, queste sono state le principali motivazioni:
    - la costrizione derivante dal bisogno di denaro per vivere;
    - l'allettamento del maggior guadagno possibile.
    Erano, ed in parte ancora lo sono, motivazioni di carattere salariale. Dai valori di fame del primo periodo della industrializzazione tendenti a mantenere lo stato di bisogno che spingeva al lavoro molto prolungato, al salario differenziato secondo il rendimento o l'abilità nel lavoro (cfr. le qualifiche, i cottimi...).
    La prospettiva di un guadagno maggiore, fonte di un tenore di vita più elevato, portava ad accettare più facilmente il sacrificio di lavori duri, pesanti, prolungati nel tempo, abbinati talora al sacrificio dello studio nelle ore serali e festive, che alimentava la speranza di ottenere « domani », con minor sforzo, gli stessi vantaggi, assieme ad un maggior prestigio sociale.
    Le motivazioni più diffuse sono di questo genere: «tutto ciò che impari lo impari per te. Preparati un avvenire sicuro, fatti una strada. Oggi ti sacrifichi, ma i tuoi sacrifici saranno domani largamente ricompensati...». Un fatto nuovo: nella grande e media industria con i processi unificati ed automatizzati di lavorazione aumenta la, sensazione di essere soltanto «numero», elemento intercambiabile senza alcun valore proprio, al di là dell'apporto materiale alla produzione. Si accresce sempre più la mancanza di un vero e preciso rapporto « personale » tra l'uomo e la sua opera nella produzione industriale ed in molta parte dei «servizi».
    Ciò deve portare alla individuazione di una nuova motivazione che si rifà a nuovi valori: il lavoro come fatto sociale.
    È necessario passare dal lavoro come «produzione» e fonte di guadagno individuale ad una concezione del lavoro inteso come contributo personale e cosciente ad una crescita collettiva; dal lavoro inteso come pura «esecuzione» di un'opera che spesso può essere eseguita con maggior precisione e velocità attraverso i processi di automatizzazione, al lavoro inteso come «trasformazione» dell'ambiente in cui si vive sotto tutti gli aspetti, da quelli fisici a quelli connessi con la organizzazione della vita sociale, alla distribuzione di responsabilità e compensi, alla utilizzazione giusta dei frutti dell'opera comune, ecc:.
    Ciò sarà possibile se ci sarà una adeguata concezione dell'uomo, l'uomo «costruttore - creatore - trasformatore» della realtà che lo circonda.

    Un'adeguata concezione della società in continua trasformazione

    E questo processo di trasformazione non affidato al caso o a presunte «leggi di natura», ma opera cosciente, guidata e dominata dalle libere scelte dell'uomo, non limitate alle scelte «degli addetti ai lavori» o dei più forti per potere o per denaro o per conoscenza, ma estesa alla più larga partecipazione possibile e coagulante la solidarietà.
    Ad es.: se in un reparto o in un capannone esistono, supponiamo, gravi pericoli per la salute (malattie professionali, pericoli di incidenti...) tutti vi sono esposti «in solido».
    Non si potrà credere di poter risolvere il problema con delle fughe personali (cambiamento di reparto, di azienda, raccomandazioni...). Queste farebbero soltanto ricadere il problema sugli altri. La soluzione «vera» si troverà soltanto nell'azione comune su situazioni che si condividono, si vivono, si subiscono, si trasformano assieme.

    Una capacità di analisi critica della realtà ambientale

    È necessario far maturare nella persona una capacità critica responsabilizzante, portatrice di crescita, di coscienza e di impegno.
    Queste persone capaci di analisi critiche e obiettive saranno pure capaci di sintesi efficaci, di un'azione incisiva e motivata. Ciò porterà ad una conoscenza della realtà che è conoscenza delle solidarietà che di fatto uniscono gli uomini tra di loro nel godere del beneficio che deriva da situazioni giuste, come nella sofferenza comune di fronte alla ingiustizia, in una vita in cui l'interdipendenza delle persone, dei gruppi sociali è sempre più forte ed evidente.
    E la realtà potrà essere vista in modo meno superficiale: «Ogni volta che userai esclusivamente per te dei frutti dello studio, sarai un buon profittatore, un ottimo arrampicatore sociale capace di sfruttare a proprio vantaggio tutte le occasioni, ma mai un uomo cosciente del suo ruolo e delle sue solidarietà effettive, che ricerca una qualificazione per essere più preparato nella società e nell'ambiente di lavoro per trasformarli ed umanizzarli».

    Una motivazione radicata ed alimentata da un progetto di vita

    Questo progetto può essere il progetto cristiano alimentato dal dinamismo della Pasqua (morte e risurrezione) e centrato sul Cristo risorto per costruire « cieli nuovi e mondi nuovi » a cominciare dall'ambiente in cui si vive; oppure il progetto marxista nelle sue varie versioni, alimentato dal bisogno di una profonda giustizia e uguaglianza e centrato nel far prendere corpo ad un modello di società socialista.

    Una professione socialmente significante

    La professione e il lavoro realizzano una persona
    - quando la professione le permette di esprimere se stessa e di partecipare alle decisioni che la riguardano;
    - quando essa è svolta da una persona consapevole dei problemi sociali più globali;
    - quando le consente spazi di intervento destinato a trasformare la società ed a liberare l'uomo.
    Una professione è vissuta in modo socialmente significante quando una persona, educata ad assumere responsabilmente un lavoro, è consapevole del contributo positivo e negativo che apporta non solo alla prosperità della azienda o all'istituzione cui è addetta, ma alla trasformazione della società ed alla liberazione dell'uomo.
    Questa consapevolezza di dover partecipare attivamente ad un processo di trasformazione è una dimensione nuova della professione, indispensabile perché il lavoro quotidiano sia un fattore vivo per la realizzazione di sé. Non basta perciò rinchiudersi unicamente nel «fare il proprio dovere» entro l'ambito assegnato, «essere competente» sul piano tecnico del proprio lavoro. Questo costituisce la base, ma bisogna andare oltre.
    Ciò richiederà:
    - una viva coscienza sociale.
    Non è possibile educare una persona in un settore particolare senza educare tutta la persona. Non è possibile educare a vivere il lavoro quotidiano in modo costruttivo senza educare a vivere nel contesto umano e sociale globale.
    Questo comporta la graduale presa di coscienza mediante l'esperienza diretta che ogni professione o lavoro sono funzionali nel sistema globale, che non esiste un lavoro neutro.
    È necessario vedere i collegamenti esistenti tra la singola professione e gli orientamenti politici, sociali ed economici più generali; maturare una «coscienza politica» che guidi alla partecipazione sociale e politica effettiva sia all'interno della professione, sia in modo collaterale.
    - un tipo di scuola adeguato.
    L'educazione alla professione comincia con la nascita e diventa particolarmente doverosa durante la scuola d'obbligo e successivamente quando l'adolescente compie le prime scelte.
    Educare lungo tutto quest'arco significa liberare dai condizionamenti, o almeno far prendere coscienza di essi in vista di un progetto da realizzare.
    Insegnare ad analizzare i condizionamenti e rendere il soggetto capace di superarli è dovere di ogni educatore. E i condizionamenti non sono solo di ordine economico-strutturale, ma anche culturale.
    Per esempio, nella scuola un educatore pone le premesse per una educazione professionale corretta nella misura in cui favorisce la partecipazione attiva, ne fa cogliere le carenze, come l'assenza di educazione sociale, ne analizza gli orientamenti di valore e di disvalore sottostanti ai programmi ed agli autori proposti allo studio, ne favorisce la capacità di autogestione.
    Sarà necessario perciò abbandonare la mentalità corrente che vede la scuola principalmente come uno strumento di ascesa sociale per mezzo di una promozione professionale, per trovare un buon posto; optare invece per una scuola che si metta a servizio degli uomini per porli in rapporto tra loro come uguali, per renderli più critici, più consapevoli e più umani. Dunque una cultura come apprendistato della liberazione di sé e degli altri e come coscientizzazione, e non solo come specializzazione tecnica per l'esercizio di una professione.
    Tentare di dare uno spazio di autorealizzazione e di liberazione a molte professioni e lavori di oggi può apparire utopistico, eccessivamente ottimistico. Tuttavia la direzione in cui muoversi è questa. Per troppo tempo, soprattutto nel campo dell'educazione cattolica, si è ricercato l'impegno e la soddisfazione personale al di fuori della professione, nel tempo libero e in forme di associazionismo caritativo oppure, a volte, alienante perché basato prevalentemente sul divertimento e sullo sfogo consolatorio e sostegno affettivo del piccolo gruppo.

    Una professione personalmente significativa

    Un lavoro è vissuto in modo personalmente significativo da una persona quando essa lo percepisce come carico di significato per la sua vita e per quella del gruppo cui appartiene. Perciò perché una data professione sia vissuta in modo significativo è necessario:
    - che la professione scelta, o quella che ci si trova ad esercitare per un complesso di circostanze, sia in consonanza e in sviluppo con le proprie attitudini ed interessi, o perlomeno non vi sia contraria;
    - che si prenda coscienza in modo riflesso della ideologia e delle finalità pratiche di cui si è, consapevolmente o meno, servitori. Ciò allargherà lo sguardo oltre l'orizzonte immediato.
    Ora vivere il «quotidiano professionale» in modo nuovo, critico e creativo è praticamente impossibile ad una persona che rimane sola. È necessario perciò che si operi un collegamento con altri per una presa di coscienza viva.
    - che si viva la professione come una vocazione.
    Si parla spesso di professione come vocazione. È certamente corretto farlo per un credente, purché non si aspetti la chiamata direttamente da Dio senza cogliere il senso di appello che gli avvenimenti concreti della vita contengono, senza una attenta analisi della società e dei suoi complicati meccanismi, senza una ricerca e conoscenza dei propri talenti ed attitudini, senza sentire il dovere di utilizzarli per sé e per gli altri nel modo migliore.
    La motivazione religiosa, «lavoro come collaborazione con Dio nella creazione, come trasformazione del mondo», è certamente valida. Va però vissuta all'interno della professione, non come una realtà giustapposta. Solo allora questa dimensione religiosa conferisce alla professione un dinamismo nuovo.


    T e r z a
    p a g i n A


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