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    Non c'è missione senza comunione. Non c'è comunione senza missione



    Centro missionario diocesano - Trento

    (NPG 1976-02-42)

    IL CAMMINO DI UN GRUPPO

    La validità di una proposta non deriva solo dalle intuizioni di fondo che la sostengono ma anche dalla sua incarnazione in un modello concreto proponibile ad altri.
    Queste due condizioni sono presenti nell'esperienza del Centro Missionario Diocesano di Trento. Man mano che gli anni passano (sono ormai nove) la loro proposta assume credibilità sempre più grande soprattutto alla luce del travaglio ideologico maturato nel seno del gruppo sotto la spinta delle istanze giovanili degli anni attorno al '68, istanze che hanno avuto in Trento uno degli epicentri.

    Una sensibilità acquisita ed un fattore scatenante

    Perché si verifichino certi eventi è necessaria la combinazione di diversi fattori, combinazione a volte casuale a volte cercata. All'inizio di molti gruppi c'è un fatto quasi traumatico che ha scosso il perbenismo di un numero di giovani e li ha proiettati nella azione. Spesso però la loro risposta è stata di tipo solo emotivo e operativo senza lo sforzo di delineare le motivazioni di fondo per l'impegno e il quadro dei rapporti sociali e culturali in cui veniva ad inserirsi la loro azione. È il caso della casa costruita sulla sabbia di cui parla una parabola del vangelo. Il vento della contestazione o della stanchezza hanno fatto in fretta a spazzare via tutto.
    Nella esperienza di Trento troviamo un punto di partenza meno emotivo e più riflesso. L'humus in cui nasce è la tendenza universalista dei giovani degli anni '60, tendenza che trova i suoi modelli nella fine della guerra fredda, nella ricerca di ciò che ci unisce più che di ciò che ci divide predicata da papa Giovanni, nella simpatia con cui vengono seguiti i movimenti di liberazione africani e asiatici, nel ripensamento dei rapporti chiesa-mondo voluti dal concilio in una linea di servizio e collaborazione con tutti, nella riaffermazione della natura missionaria di ogni chiesa («Quando la chiesa prende coscienza di sé diventa missionaria»: Paolo VI).
    Il fattore scatenante viene pertanto a focalizzare due serie di attenzioni già vive all'interno del gruppo della A.C. giovanile di Trento. Anzi, lo stesso fattore scatenante è cercato e voluto come sbocco alla rinnovata sensibilità ai problemi del mondo intero e alla rinnovata coscienza ecclesiale: l'Operazione Formigueiro.
    L'Operazione nasce nel 1964 per sostenere la costruzione di 4 Centri Sociali promossi da alcuni sacerdoti diocesani partiti per il Brasile. A due di loro, tornati a Trento per descrivere la situazione in cui lavorano, i giovani del gruppo centrale di Azione Cattolica dicono: «Non vi lasceremo soli: pregheremo per voi, ci interesseremo di voi, ci sacrificheremo per voi». Dalle parole ai fatti. Sul tavolo appaiono carte geografiche, cifre, fotografie, dati, pieghevoli.

    Da «gruppo di appoggio» a «gruppo missione»

    A Trento sorge in fretta un gruppo di appoggio missionario che con la parola d'ordine «Non possiamo lasciarli soli» mobilita amici e parenti, colleghi di lavoro e compagni di scuola.
    Il gruppo si assume di percorrere in lungo e in largo tutta la diocesi. Gli incontri si moltiplicano. La risposta supera le attese. Molti gruppi già esistenti (in particolare quelli di A.C.) danno la loro adesione. Altri si costituiscono per l'occasione. In poco tempo si può contare su oltre 150 gruppi giovanili periferici che a loro volta mobilitano parenti ed amici. Il gruppo centrale non ha tanto compiti organizzativi quanto di sensibilizzazione (sarebbe arduo calcolare i chilometri percorsi per raggiungere tutti i gruppi per proporre la iniziativa) e di collegamento (scambi di esperienze, anche attraverso un foglio di collegamento).
    In sei mesi l'Operazione Formigueiro è portata a termine, ma il cammino dei gruppi non si ferma. Ci si concentra su altre «microrealizzazioni» e sull'appoggio ai laici missionari.

    Dalla azione alla riflessione

    La riflessione è stata sempre una delle attenzioni del gruppo, fin dai primi tempi viene accentuata l'importanza dello studio delle situazioni locali in cui operano i missionari e delle cause del sottosviluppo in genere. Ma è soprattutto al termine della Operazione Formigueiro e delle microrealizzazioni che sullo slancio sono sorte, che il gruppo si trova a dover approfondire la propria identità e il significato della propria azione. Si entra in una nuova fase della vita dei gruppi, quello centrale in particolare. Il passaggio è segnato da un travaglio soprattutto ideologico. Siamo ormai nel vivo della contestazione giovanile. Il gruppo non rifiuta il confronto con le nuove idee, anzi le assume e le matura al suo interno. Il punto cruciale è la dialettica tra impegno politico e politica del buon samaritano, evangelizzazione e sviluppo, lotta e contemplazione.
    Sul principio si creano tensioni derivate da un compromesso tendente ad accontentare entrambe le esigenze, a scapito però dei veri problemi.
    Lentamente si operano delle scelte. Alcuni si orientano verso altri impegni, più politici, ritenendo la evangelizzazione troppo intimista e non risolutiva. Per altri invece nascono nuovi punti di convergenza, ritrovati nel collegamento più che nella opposizione fra i termini: evangelizzazione e sviluppo, lotta e contemplazione, eucaristia e politica.

    Tre interrogativi

    1. Stimolati da altri gruppi giovanili, interessati particolarmente alla presenza di laici nel Terzo Mondo e alla ricerca di soluzioni più a monte delle cause del sottosviluppo, ci siamo frequentemente chiesti se il nostro tipo di missionarietà era un effettivo contributo, se pur modesto, agli enormi problemi o se non fosse necessario orientare diversamente il nostro servizio al T. M. e alla evangelizzazione, contestando da un lato, il sistema capitalistico, che sembrava essere la causa determinante del sottosviluppo e dall'altro, impegnandoci piuttosto a «ringiovanire il volto» della nostra Chiesa prima di impegnarci nella «plantatio» delle giovani chiese sorelle.
    Una risposta illuminante a questi grossi interrogativi, ci sembra di averla trovata sulla linea della Populorum Progressio: anche noi siamo convinti che il cristiano deve impegnarsi anche sul piano politico, rilevando seriamente e denunciando coraggiosamente qualsiasi forma di razzismo e di sfruttamento.
    Infatti i paesi poveri non sono tali perché in condizioni di impossibile produzione o perché non valorizzano le loro enormi risorse naturali, ma sono poveri perché i paesi ricchi li sfruttano ingiustamente.
    Ma ci sembra anche necessaria e indispensabile, pur nella coscienza del nostro limite, una azione di intervento immediato verso i poveri.
    Oggi, nessuno lo può ignorare, sopra interi continenti, innumerevoli sono gli uomini e le donne tormentati dalla fame, innumerevoli i bambini sottonutriti, al punto che molti di loro muoiono in tenera età, che la crescita fisica e lo sviluppo mentale di parecchi altri ne restano compromessi, che regioni intere sono condannate per questo al più cupo avvilimento.

    2. Il secondo interrogativo riguarda la validità e l'opportunità dell'aiuto economico.
    Il problema non è nuovo e non è soltanto nostro.
    Noi riteniamo che per avere una risposta chiarificante il problema vada considerato a due livelli: in rapporto allo sviluppo dei popoli: in rapporto ai problemi più direttamente connessi con l'evangelizzazione.
    Il contributo allo sviluppo dei popoli più che sul piano dell'elemosina o dell'assistenza, ci sembra vada visto sul piano più alto della giustizia sociale e dei rapporti internazionali (vedi Populorum Progressio n. 48).
    Il contributo economico invece connesso con i problemi dell'evangelizzazione ci sembra che a sua volta vada visto:
    - in rapporto alle persone, in modo da rendere possibile la loro presenza
    - in rapporto al loro servizio pastorale (centri assistenziali, scuole, cappelle, ambulatori, ecc.)
    - in rapporto alla comunione con la loro gente che spesso pone problemi immediati ed urgenti di tipo assistenziale (lebbrosi, ecc.). Per cui riteniamo che il nostro appoggio economico sia:
    - un doveroso gesto di fraternità verso quelli «che Dio ha scelto per questo nobilissimo compito di esercitare l'attività missionaria tra le genti» (AG 37)
    - un gesto di comunione con le giovani Chiese sorelle sulla scorta delle prime comunità cristiane che si ritenevano in dovere e onorate di fare collette e inviare attraverso le mani dell'Apostolo Paolo ai fratelli nella fede di altre comunità che erano nel bisogno.

    3. Il terzo interrogativo riguarda l'impegno della preghiera che riteniamo debba caratterizzare un gruppo autenticamente missionario.
    Infatti se l'attività di un gruppo missionario non è altro che continuare l'azione di Cristo, annunciando con franchezza il suo mistero, senza arrossire dello scandalo della Croce, ciascun membro di un gruppo missionario, seguendo l'esempio del suo Maestro, dovrà rendere testimonianza al suo Signore, rinnovarsi di giorno in giorno nello spirito per essere luce nel mondo.
    Per questo, sia le «punte avanzate» come le «retrovie» animati da viva fede e da incrollabile speranza, saranno uomini di preghiera, porteranno con spirito di sacrificio la morte di Gesù nel loro cuore, e spenderanno volentieri del loro e anche tutti se stessi nello zelo delle anime; sicché nell'esercizio quotidiano del loro dovere crescano nell'amore di Dio e del prossimo (AG 2425).
    In base a queste considerazioni riteniamo che un gruppo che voglia qualificarsi missionario non possa vivere e operare se non «attorno all'Altare» nella graduale riscoperta dell'azione missionaria di Cristo che dovremmo oggi ripresentare alle genti, ben convinti che il tralcio staccato dalla vite non porta frutto (Giov 15).

    Una nuova proposta: fare chiesa per essere missionari

    Dalla riflessione una nuova proposta: la missionarietà come dimensione che emerge dal fare chiesa. È importante sottolineare il cammino del gruppo. Una generica sensibilità missionaria viene fatta maturare da una iniziativa di impegno missionario, l'Operazione Formigueiro. A sua volta la stessa esperienza, portata avanti con correttezza, rimanda il gruppo alla ricerca del fondamento della sua azione. La risposta del gruppo, sulla linea del concilio, è che la missione non è che una estensione della comunione. La comunione è sintesi di un processo armonico di raccoglimento e di distensione, di ritrovamento e di proiezione. In fondo il gruppo ha provato seriamente a vivere la dimensione di comunione ed ha scoperto che la comunione non fa che moltiplicare la missione. Se questo non si verifica la comunione non è che intimismo.
    Forte della sua esperienza il gruppo matura una scelta: fare una proposta di comunione autentica per arrivare ad una missione altrettanto autentica.
    Lentamente emerge l'idea di un Centro Missionario Diocesano come punta avanzata di una missionarietà fondata sul rinnovamento della comunione nei gruppi, nelle parrocchie e nella intera diocesi.

    A servizio della propria chiesa

    Invece di costituirci come gruppo missionario indipendente abbiamo scelto di metterci concretamente al servizio della chiesa locale, convinti che la missionarietà non è compito di un singolo gruppo o di una singola persona ma dovere fondamentale di tutta la chiesa (Ad Gentes 35) che appare in forma visibile specialmente nelle comunità parrocchiali e diocesane (Ad Gentes 37) e in collaborazione col vescovo, primo responsabile dell'animazione e del coordinamento di tutta l'attività missionaria (Ad Gentes 29 e 38).
    La scelta non è di poco conto perché implica una soluzione concreta a tanti problemi in cui molti gruppi si ribattono ancora oggi.
    a) Si offre in primo luogo una soluzione alla polemica: «istituzioni sì, istituzioni no». Il gruppo riconosce la validità della istituzione e accetta di animarla dal di dentro. In fondo ritrova nella istituzione una sensibilità e una capacità di impegno insospettata (questo è uno dei frutti della Operazione Formigueiro).
    b) A questo punto il gruppo opera una seconda scelta: la politica dei tempi lunghi. Morire alla voglia di fare «subito» qualcosa, di ottenere risultati immediati attraverso un impegno diretto per il Terzo mondo, per alimentare la sensibilità missionaria di tutta una diocesi; morire al desiderio di avere subito tra mano dei «fondi» missionari, per percorrere il cammino più lungo, ma anche più onesto, di animare le comunità affinché diventino «luoghi di comunione a cerchi concentrici sempre più estesi».
    c) Il tutto con una convinzione: il cristianesimo esige il massimo di «decentramento» personale e comunitario. Il compito che il gruppo si assume è educare la comunità diocesana a questo decentramento. Tutti i problemi, anche quelli interni ai gruppi e alle parrocchie, non devono essere affrontati con un'ottica provinciale ma universale. Una comunità aperta ai problemi dello sviluppo e della evangelizzazione attua il massimo di decentramento e può costruirsi al suo interno senza cullarsi in inutili polemiche.
    d) Infine il gruppo sceglie la strada della concretezza, dei «gesti di comunione» all'interno dei gruppi e al suo esterno. Quanto al gruppo significa superare le polemiche «da tavolino» del mondo adolescenziale per assumere la capacità di servizio come metro di misura della propria maturità. Il raggiungimento di obiettivi esterni (come il portare a termine delle microrealizzazioni) è a sua volta il metro con cui viene misurata la vita della intera comunità. Da una parte dunque il «gesto» di comunione esprime il livello di ecclesialità, dall'altra lo spessore stesso dei problemi insiti in una microrealizzazione spinge ad immergersi nella comunione da cui può nascere l'impegno autentico.

    IL CREDO DI UNA CHIESA MISSIONARIA

    Una delle scoperte dei giovani impegnati nella Operazione Formigueiro non è stata solo l'esistenza di molti gruppi giovanili missionari, ma l'esistenza di circa 400 gruppi missionari parrocchiali su un totale di 480 parrocchie della diocesi.
    Questa costatazione li ha maggiormente convinti che le missioni e il terzo mondo non sono solo un problema dei giovani ma di tutta la comunità.
    È l'intera comunità che deve vivere in stato di missione e non solo il gruppo missionario. Di conseguenza l'attività missionaria non è un hobby di qualche persona, ma è una dinamica, una dimensione che deve investire, con i singoli, anche tutte le strutture della comunità cristiana. Consigli pastorali, catechesi, orientamenti pastorali non possono considerare l'attività missionaria come qualcosa di parallelo, e tanto meno di marginale, ma devono avvertirla come l'elemento costitutivo, componente essenziale della propria vitalità.
    La missionarità della chiesa non deve rimanere solo una affermazione di principio: occorre proporla alla assimilazione dei gruppi e delle comunità. Per fare questo, anno per anno, il Centro Missionario elabora alcuni temi missionari e li propone alla riflessione comune. Vediamo alcune delle intuizioni già proposte, intuizioni che finiscono per formare una specie di credo missionario.

    Non c'è vera missione senza comunione, non c'è vera comunione senza missione

    «Formigueiro siamo noi»

    Questo slogan può essere assunto come punto di sutura tra le due fasi della vita del gruppo. La missionarietà prima di essere un obiettivo esterno alla comunità è una sua dimensione interna. Il primo campo della missione è la comunità: «evangelizzarci per evangelizzare». Forte della vita di comunione vissuta nel gruppo, il Centro fa una proposta missionaria di nuovo tipo: «essere ovunque fermenti di comunione», uomini di comunione: capaci di ascolto e pronti al servizio, impegnati per la giustizia e la liberazione, portatori della gioia che viene dalla speranza cristiana, aperti al dono divino della conversione. Ogni cristiano che si impegna per diventare uomo di comunione diventa «missionario». La crescita della comunione diventa forza generatrice di missione.
    Così espressa, la proposta missionaria diventa accessibile a tutti. Non diventa più un problema di organizzazione e di giornate per la raccolta di fondi. Non ci si sente più chiedere di «aiutare» le missioni ma di diventare missionari impegnandosi a costruire una comunità che si aprirà dal di dentro ai problemi della evangelizzazione e promozione umana. La proposta diventa interessante. Lo dimostra anche la simpatia con cui viene accolta dalla chiesa trentina.

    Lotta e contemplazione per diventare uomini di comunione

    Dalla proposta al metodo. Ci si ritrova d'accordo nello slogan lanciato da R. Schultz: lotta e contemplazione. Si evitano estremismi e si permette a tutti di partecipare all'unica impresa. La lotta viene specificata come cammino interiore per superare l'egoismo, l'individualismo, la tentazione di opprimere gli altri; come il coraggio di cominciare per primi, indipendentemente dal consenso degli altri; come costanza senza inutili ripensamenti, nonostante la scarsità dei risultati; come solidarietà con ogni uomo, secondo il vangelo.
    La lotta da sola non basta. Ci vuole la contemplazione, «un cuneo che penetra la dura realtà con la luce e la forza di Dio». Contemplazione è ascolto della parola di Dio per essere discepoli appassionati della sua parola; è preghiera, fonte di luce, forza e coraggio; è silenzio, nella coscienza della propria povertà riempita dalla potenza di Dio.
    Lotta e contemplazione non sono due aspetti rivali ma complementari: «La lotta senza contemplazione è un darsi da fare, senza però mai raggiungere lo scopo, perché diventa un modo di imporsi, di valorizzare se stessi, la propria azione. La contemplazione senza lotta diventa intimismo, escludere gli altri dalla propria vita, e non è vera perché non realizza la conversione di noi stessi. Ma lotta e contemplazione insieme, ci rendono uomini di comunione, perché siamo in comunione, e per questo la realizziamo continuamente, con una capacità di accoglienza, di ascolto e di servizio che ci viene dall'incontro con Dio e che quindi rende credibile il nostro cristianesimo, realizza la missione».

    La missione sotto il segno della personalizzazione

    La personalizzazione dei rapporti è una delle caratteristiche della esperienza trentina sia a livello di comunione intraecclesiale che di comunione interecclesiale. La missione è comunione fra due chiese: è dunque necessario uscire dall'anonimo e freddo contributo per le missioni di tipo economico. Né possono ritenersi sufficienti le preghiere per le missioni. La missionarietà è bidirezionale. Implica comunicazione reale di esperienza di fede, di problemi, di valori maturati nelle due chiese. La chiesa di Trento ha attuato questo in molteplici forme:
    a) Rapporto personale con i singoli missionari: «Sono dei nostri, dicono a Trento, e partono a nome nostro; non possiamo lasciarli soli».
    b) Rapporto mediato dai missionari, ma continuo, con le diverse chiese locali in cui essi operano fino ad attuare una specie di gemellaggio.
    c) Visita del vescovo o di altri rappresentanti della diocesi ai missionari trentini (circa 800) sparsi per il mondo. Il vescovo, in particolare, va a trovare tutti i missionari presenti in una zona e non solo quelli legati alla diocesi. Tutti, preti diocesani, religiosi e religiose, volontari laici, fanno parte della chiesa trentina, da cui (direttamente o indirettamente) sono stati «mandati».
    d) Le microrealizzazioni stesse che impegnano ad un rapporto personale continuato con una chiesa del terzo mondo generano simpatia e arricchimento reciproco. Esse sono segno di un desiderio di comunione interecclesiale e non un «contributo anonimo di assistenza».
    e) Ogni anno la diocesi compie un gesto di comunione con i missionari trentini: ad ognuno di loro vien fatta giungere una certa somma presa dalla raccolta della penitenza quaresimale, «un pane per amor di Dio». Un simpatico gesto di amicizia.

    Mai eucaristia senza politica, mai politica senza eucaristia

    Ogni intervento cristiano nella storia ha senso a partire dalla incarnazione di Cristo e dalla sua Pasqua. Dio, incarnandosi in Cristo, viene in mezzo a noi e combatte con noi, per la nostra liberazione. Lui è il protagonista della storia. L'Eucaristia è celebrazione e attualizzazione di tale dono. D'altra parte Cristo è venuto perché diventassimo uomini di liberazione.
    Al suo fianco noi costruiamo fin d'oggi cieli e terra nuova per tutti. Solo quando siamo realmente uomini di comunione ha senso celebrare l'Eucaristia.

    Mai azione senza riflessione, mai riflessione senza azione

    È stato, si è visto, uno dei chiodi fissi del gruppo trentino, sotto la spinta dei fermenti conciliari al suo interno e del rinnovamento della cultura giovanile al suo esterno. La riflessione si muove a livello di «motivazione» e a livello di «informazione». Al primo livello si tratta di interiorizzare il dono della liberazione che si attua nella Eucaristia e di enucleare i punti fermi per una interpretazione pasquale della storia, a partire dall'ascolto della Parola di Dio.
    A livello di informazione si tratta di cogliere di giorno in giorno i segni dei tempi e le voci profetiche che li esprimono e di continuare quello studio delle cause del sottosviluppo e delle proposte politiche che ne emergono, già iniziato ai tempi dell'Operazione Formigueiro.
    D'altra parte si vuole evitare di «perdersi nei gargarismi di parole». L'azione viene programmata su due fronti. L'azione è anzitutto di tipo politico: lotta per eliminare le cause dello sfruttamento insieme a tutti coloro che, come Cristo, si sono messi dalla parte dei poveri e degli sfruttati, per attaccare alla radice la loro condizione infraumana. Tuttavia è necessario anche il lavoro immediato per andare incontro, subito, ai casi più urgenti (ospedali, lebbrosari...) e per rendere possibile la presenza, il servizio e l'annuncio di chi parte per noi, i missionari. Questo impegno si realizza attraverso l'assunzione, da parte di una comunità, di una microrealizzazione da attuare nel giro di un anno attraverso il proprio lavoro (per esempio campi estivi di raccolta) e attraverso forme di autotassazione (uno per cento del reddito per chi lavora; 10% del disponibile per chi non lavora).

    Mai gruppi senza comunità, mai comunità senza gruppi

    Non ha senso fare il proprio cammino da soli perché il vero fondamento della missione è la comunione. Né d'altra parte la comunione deve essere vista solo come interna al gruppo, magari in opposizione alla parrocchia o alla comunità diocesana. Si potrebbe parafrasare san Giacomo e dire: «Se non ami la comunità che vedi, come puoi credere di amare la comunità che non vedi?».
    La scelta di inserirsi nella istituzione ecclesiale non è allora determinata dal desiderio di raccogliere una quantità più grande di aiuti ma dalla coscienza che solo creando una comunione autentica con quelli con cui si vive si può creare una sensibilità missionaria. I gruppi missionari sono così al servizio anzitutto della comunione nella chiesa locale.

    IL CENTRO MISSIONARIO DIOCESANO

    Nell'interno della diocesi che considera la missionarietà come componente essenziale della propria vitalità, il Centro Missionario intende essere espressione della comunità diocesana con compiti educativi e di collegamento.
    Ne fanno parte alcuni giovani, gli animatori degli istituti missionari presenti in diocesi, seminaristi e religiose. Si incontrano una volta alla settimana per verificare e progettare iniziative di animazione ed un'altra volta per «fare comunione» nell'ascolto della Parola e nella preghiera.

    Obiettivi

    Sono essenzialmente due. Il primo è quello di promuovere iniziative che facciano maturare la coscienza missionaria della diocesi, dei gruppi e dei singoli individui. Un servizio dunque di tipo «educativo» affinché la missionarietà risulti una dimensione interna del fare comunione.
    L'obiettivo è raggiunto nel momento in cui si responsabilizza la persona e il gruppo che entrano così nel giro di una ecclesialità in cui la comunione genera desiderio di comunione sempre più grande, genera missione. Il secondo obiettivo è quello di coordinamento o piuttosto di collegamento. Il Centro non si assume compiti organizzativi specifici: tocca ad ogni gruppo. Offre invece un servizio di collegamento a livelli diversi:
    - scambio di esperienze e intuizioni dei singoli gruppi: il cammino di un gruppo diventa spinta al cammino degli altri;
    - coordinamento tra le attività della diocesi e quelle specifiche degli istituti missionari presenti nella diocesi;
    - cerniera di collegamento tra la chiesa trentina e le chiese locali in cui operano missionari trentini ed in particolare i preti diocesani e i giovani che li hanno seguiti.

    Criteri metodologici per l'azione

    L'azione di sensibilizzazione e animazione si svolge sempre secondo una serie di coppie di direzione:
    - Interiorizzazione delle motivazioni missionarie e formazione di una mentalità universalista; educazione all'impegno pratico e alla concretezza.
    - Missionarietà come risposta ai problemi del sottosviluppo e missionarietà come gioia di comunicare la buona novella. Evangelizzazione e promozione umana, dunque.
    - Aiuto concreto immediato (chi sta per morire non può attendere le soluzioni di tipo politico a lungo termine) e azione politica tesa all'eliminazione delle cause del sottosviluppo.
    - Comunione nelle finalità (la missione è comunione fra due Chiese locali) e pluralità dei modi di intervento, a scelta dei gruppi.

    Strumenti operativi

    Non è possibile fornire un elenco perché le iniziative si moltiplicano data la facilità con cui le singole esperienze vengono comunicate ai gruppi e proposte dalla periferia al Centro. Vediamo le più importanti:
    a) Contatto degli animatori del Centro con i diversi gruppi e con i singoli. Il Centro è punto di incontro, di riferimento e di comunicazione.
    b) Un foglio di collegamento, una lettera agli amici (Comunione e missione) non tanto per dar notizie sul Centro e del Centro quanto per comunicare ai gruppi e ai simpatizzanti (se ne stampano circa 2500 copie) le riflessioni, le intuizioni, le proposte dei gruppi stessi e per presentare le testimonianze dei missionari che attraverso il giornale sono così a contatto immediato con i gruppi e gli amici.
    c) Settimane di studio e preghiera per animatori missionari; corsi di sensibilizzazione e campi estivi di lavoro per giovani; assemblea annuale dei gruppi missionari con giornate di studio e preghiera secondo i grandi temi elaborati anno per anno, come ad esempio, «Lotta e contemplazione per divenire uomini di comunione» nel 1973, «Conversione, riconciliazione e impegno missionario» nel 1974.
    d) L'accoglienza e la valorizzazione dei missionari che ritornano in patria ricchi della fede delle Chiese in cui sono inseriti. L'incontro e il dialogo con loro è luogo di comunione interecclesiale. Lo scambio di esperienze reciproco ed arricchente per tutti.
    e) La preparazione e il lancio dei grandi appuntamenti annuali (le Giornate Missionarie Mondiali, la diffusione della stampa missionaria) ed in particolare della campagna di fraternità quaresimale sotto il titolo «Un pane per l'amor di Dio».
    f) La proposta ad impegnarsi concretamente in favore delle missioni curando la corrispondenza con missionari locali o amici, accogliendo cordialmente i missionari reduci o valorizzando le esperienze di fede delle loro giovani Chiese, assumendosi concretamente delle microrealizzazioni come segno di comunione tra la propria comunità ed una comunità dei paesi in via di sviluppo.

    COMUNIONE E MISSIONE, UNA PROPOSTA CHE NASCE DALL'ESPERIENZA

    L'originalità della proposta del Centro Missionario di Trento non risulta dalla quantità delle cose che fanno ma dallo stile originale con cui sono stati affrontati e risolti i problemi. Come conclusione sottolineiamo di nuovo alcune scelte:
    a) L'elasticità delle strutture e il continuo confronto all'interno che ha permesso all'antico gruppo di appoggio missionario di diventare Centro Missionario attraverso un travaglio ideologico permesso e sviluppato da un continuo rapportarsi al mondo esterno.
    b) Un obiettivo missionario che coinvolge in una proposta di vita cristiana incentrata sull'impegno di creare una comunione sempre più estesa, lasciando indietro così l'epoca delle «raccolte missionarie».
    c) L'attenzione a superare l'unilateralità di certe opposizioni per sottolineare la complementarietà di termini come comunione e missione, evangelizzazione e promozione umana, impegno politico e politica del buon samaritano.
    d) Una proposta nata dalla vita di un gruppo che proiettato in un primo momento nel fare, ha sentito sempre più prepotente il bisogno di approfondire la propria identità cristiana fino alla scoperta che la missione può nascere solo da una comunione in atto. La loro esigenza allora non è altro che riproporre all'infinito il cammino del gruppo: aiutare altri ad immergersi in una comunione per sua natura missionaria.


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