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    Nell'esperienza cristiana della «fraternità» l'impegno per la liberazione



    Segundo Galilea

    (NPG 1976-02-28)

    Tra i giovani di oggi è molto viva l'istanza comunitaria. Spesso il gruppo ecclesiale diventa uno spazio totale «alternativo»: la testimonianza cristiana di forme comunitarie della nuova società. Alla radice c'è la ricerca di un modo nuovo di essere Chiesa, uno stile di vivere il cristianesimo che rappresenta un apporto decisivo per i nuovi tipi di società in formazione.
    SI tratta di una percezione specificamente cristiana, che si rifà all'idea evangelica della «fraternità».
    Talvolta però non mancano le ambiguità. C'è il rischio di assumere dati che si riferiscono a fatti socio-culturali e di contrabbandarli come esperienze cristiane. Una corretta spiritualità non solo cerca la «fraternità» come luogo privilegiato di vivere ogni impegno di liberazione. Assume anche il coraggio di verificare le caratteristiche di ogni fraternità alla luce del Vangelo.
    L'articolo descrive questi elementi specifici della fraternità evangelica. La rassegna può diventare il punto di riferimento della reale «ecclesialità» dei gruppi giovanili: la meta a cui tendere per vivere una matura esperienza di Chiesa, attraverso il gruppo.

    È molto importante riflettere sul come Gesù e il suo evangelo propongano la fraternità e sulle caratteristiche ed esigenze di essa.
    Queste caratteristiche non solo costituiscono la pietra di paragone per il rinnovamento di ogni gruppo ecclesiale e per la sua partecipazione decisiva alla liberazione, ma ci serviranno anche da elementi per una spiritualità fondata sulla fraternità dell'evangelo.

    GESÙ CRISTO, FRATELLO DEGLI UOMINI

    La fraternità cristiana è segnata da un fatto originale: Gesù Signore si è fatto veramente fratello degli uomini. Pertanto la fraternità trova il suo perno nel rapporto fraterno che abbiamo con lui.
    L'incarnazione storica di Dio nella razza umana attraverso Gesù, il figlio di Maria, non è un mito né un'idea astratta, ma significa ch'egli rimane per sempre nostro fratello, fratello maggiore certo (Rm 8,29), ma in nulla diverso dai suoi altri fratelli (Eb 2,17). D'ora in poi, la base puramente naturale della fraternità – la razza umana, concetto vago e destinato a diluirsi – viene ricostruita mediante il rapporto fraterno che ogni persona è chiamata ad avere coll'uomo Gesù; il che stabilisce fra ciascuno di noi un nuovo rapporto interpersonale.
    In altri termini, siamo fratelli perché Gesù è fratello di ciascuno di noi. Tuttavia, questo fatto eccezionale ammette diversi gradi di fratellanza. Se Cristo è fratello di tutti gli uomini, lo è specialmente di coloro che cercano nella loro vita la verità, la giustizia e l'amore (Mt 12,50; Mc 3,35: «Chi fa la volontà del Padre, costui è mio fratello...»). Inoltre, Gesù ha un rapporto fraterno originalissimo e proprio con i cristiani, suoi discepoli, con coloro che chiamò a volte in forma esclusiva «miei fratelli» (Mt 28,10; Gv 20,17; At 1,15; Rm 1,13; 1 Cor 1,10; e in generale la terminologia degli Atti degli Apostoli).
    Ciò costituisce una delle tensioni dialettiche proprie del cristianesimo, cioè fra «il cristiano è fratello di tutti» e «il cristiano è fratello a titolo unico degli altri cristiani». Per questo il cristiano deve realizzare la carità fraterna innanzitutto con gli altri cristiani (Mt 8,15), esistendo un'esigenza del tutto particolare a che l'avvenimento della fraternità umana cominci col concretizzarsi all'interno della fraternità cristiana.

    LA FRATELLANZA UMANA HA UN PADRE

    La fraternità cristiana si fonda su quella che può considerarsi la grande rivelazione di Gesù al cuore dell'uomo: il fatto che la fratellanza umana ha un padre.
    È questa forse la differenza fondamentale fra la fraternità cristiana e le altre ricerche di fraternità (laiche, marxiste, ecc.), il cui grande limite è la volontà di costruire una fratellanza senza padre. Ciò sta alla base di molte frustrazioni ideologiche e del dramma dell'ateismo umanistico e marxista, d'altra parte portatori di validi ideali; la fraternità e la solidarietà umane debbono fare riferimento al padre dei fratelli.
    La fraternità cristiana non è solo secolare e intramondana. Ci consente di sperare che essa certamente si realizzerà un giorno, nonostante i limiti umani, dato che non è solo prodotto dei nostri sforzi ma anche la proiezione della paternità di Dio sulla razza umana. Ci permette di sopprimere ogni discriminazione, poiché il fatto di avere un Padre comune cancella ogni pretesto di distinzioni o superiorità; di superare la tentazione di vivere un cristianesimo puramente secolare e fraterno, poiché, da quando Dio ci si è rivelato come Padre in Gesù, ogni sforzo sincero di creare la fratellanza umana ci conduce al Padre (anche implicitamente), e prefigura la fraternità definitiva di tutti gli uomini con lui. Ci consente, infine, di superare l'idea che la liberazione sia un compito puramente temporale e politico, mentre è sostanzialmente l'azione, nella storia, di Cristo liberatore, dono del Padre, anche se mediata a livello temporale.

    LA FRATERNITÀ SI FONDA SULLA FEDE

    Per tutto quanto abbiamo detto, la fraternità cristiana è basata, oltre che su tutti i valori di solidarietà umana che uniscono gli uomini, sulla solidarietà della fede comune.
    Storicamente, la fratellanza umana si crea e si consolida attraverso alcuni valori umani che producono solidarietà: il sangue, l'amicizia, la lotta e il destino storico comuni, gli interessi e il lavoro comuni.
    Pure la stessa esperienza storica ci insegna che, in molti casi, a livello esistenziale, la fraternità cristiana passa attraverso questi valori e li presuppone, allo stesso modo che la solidarietà in Cristo si scopre nelle vie storiche della solidarietà umana.
    Gesù, al di là dei valori comuni alla razza umana, che danno a quest'ultima la nostalgia della fratellanza universale, rese possibile questo sogno dell'uomo, ponendo la fede a sottofondo della fraternità cristiana. Tale fratellanza nella fede non è un consenso astratto a certe dottrine o alla valorizzazione di alcuni riti che già la pratica dimostra di essere da soli incapaci a creare fraternità. La fede, rivelataci dall'evangelo come lievito e dinamismo della fraternità cristiana, è l'accettazione della paternità di Dio come catalizzatore della fratellanza umana, di Gesù come vero fratello nostro, e del messaggio delle beatitudini come eredità comune dei cristiani (Mt 23,8; At 2,42).
    In questa ottica dovrebbe bastare, fra cristiani, la sola coscienza di questa fede comune per mettere in atto la fraternità. Tale coscienza sarà necessariamente rinforzata da valori psicologici e sociologici, ma molte volte ha già una forza propria per realizzare l'avvenimento della fraternità cristiana. Così, ad esempio, per celebrare l'eucaristia, non sempre è necessario che i partecipanti si conoscano in antecedenza – benché sia cosa utilissima sul piano psicologico –; lo stesso si può dire di qualsiasi riunione specificamente cristiana, a condizione che la coscienza comune della fede in Gesù e nel suo messaggio di fraternità sia sufficientemente presente.

    UNA FRATERNITÀ UNIVERSALE

    La fraternità cristiana non ha assolutamente caratteristiche settarie, ma è chiamata all'universalità e alla comunione con tutti gli uomini e gruppi umani.
    Si diceva prima che la fraternità cristiana è in tensione con la fraternità umana: il cristiano è fratello, ad un unico titolo, con gli altri cristiani – il cristiano è fratello di tutti. Un aspetto ci parla della specificità del cristianesimo, della fratellanza nella fede; l'altro, della sua continuità con i valori e le aspirazioni della fraternità umana e dell'universalità dell'evangelo. Se si calca solo sul primo faremmo del cristianesimo una setta; privilegiare il secondo significherebbe diluire l'evangelo. L'uno e l'altro aspetto si richiedono reciprocamente fino al punto che se, per un verso, la fraternità cristiana ha dei limiti (la fede comune), per l'altro queste stesse condizioni che la limitano ne esigono l'universalità. Anzi, la stessa esigenza della fede comune che definisce la fraternità cristiana spinge al servizio del tutto, alla realizzazione della fraternità universale. La rivelazione di Gesù propone un ideale antisettario alla fraternità cristiana, facendoci coscienti del fatto che, sia la paternità di Dio come il rapporto di fratello che ha Cristo con la razza umana, riguardano tutti gli uomini. Tutti sono chiamati a formare, così, la grande fraternità cristiana, universale e senza limiti. Ne consegue che gli attuali limiti della comunità cristiana sono sempre provvisori; debbono continuamente allargarsi sino a che la fraternità cristiana combaci un giorno con la fraternità della razza umana.

    PRIVILEGIANDO I PICCOLI

    La fraternità cristiana, in questo modo, è, per sua stessa natura, profezia e fermento dinamico di ciò cui tutti sono chiamati ad essere. t insomma al servizio dell'universalità.
    Tale esigenza di universalità senza confini la mette in un atteggiamento di fraterna uguaglianza (Gv 3,12-16; 1 Gv 2,9-12). Ogni tipo di divisione e di discriminazione, e non solo il settarismo, è soppresso (Fil 16). Non sono soppressi i limiti ideologici, storici e naturali che irretiscono gli uomini, fatto innegabile e spesso doloroso; ma possono essere realmente superati mediante la nostra fraternità universale in Cristo e le conseguenze che ne derivano (Col 3,11).
    La fraternità cristiana crea in noi un rapporto di fratellanza completamente nuovo e privilegiato con ogni uomo o gruppo umano oppresso o bisognoso (i piccoli dell'evangelo).
    È questa una delle rivelazioni più sorprendenti dell'evangelo di Gesù e certamente la più scandalosa per la cultura della sua epoca (o forse anche per noi?...): il cristiano deve riconoscere in ogni uomo un fratello e agire di conseguenza. Ma sono specialmente i piccoli i suoi fratelli.
    Chi sono i piccoli per Gesù? Sono gli uomini che subiscono l'indifferenza degli altri (Mt 18,10), che dipendono in qualche modo dagli altri (Mt 10,42), che patiscono giustamente o ingiustamente il bisogno o l'oppressione (Mt 25,40). In questo senso esistono dei piccoli, oggi in ogni paese, razza o classe sociale, soprattutto fra i poveri e gli oppressi. Sono certamente costoro che la fraternità cristiana deve privilegiare.
    Ma questa straordinaria affermazione di Cristo va molto al di là. Lo speciale rapporto di fratellanza che ci unisce agli oppressi e agli emarginati è indipendente dalla fede cristiana di questi ultimi: fratello è ogni piccolo, indipendentemente dal suo credo o ideologia (Lc 10,30 ss). La parabola del buon samaritano – il racconto etico più rivoluzionario di tutti i tempi – ci colloca proprio in questa prospettiva: il giudeo e il samaritano avevano ideologie diverse (uno era dissidente, diremmo oggi), ma l'atteggiamento del samaritano permette a quest'ultimo di fare dell'altro realmente un fratello (prossimo). «Fa anche tu così...», Gesù ci ha invitato, con queste parole, a farci fratelli di ogni uomo che soffre, che è piccolo, anche quando il nostro rapporto con quest'ultimo è quello di un giudeo con un samaritano.
    Inoltre, pure in forma di parabola, Gesù ci rivelò un'identificazione affatto misteriosa fra lui e gli oppressi e gli emarginati, analoga a quella operata dalla stessa fede (Mt 25,31-46). Nella famosa parabola del giudizio finale ci si dice che quanto facciamo – o non facciamo – ai piccoli è come se l'avessimo fatto – o meno – allo stesso Cristo (Mt 25,40). Non troviamo nell'evangelo un altro luogo in cui Gesù abbia voluto un'identificazione di privilegio con una categoria di persone. Tale identificazione è, inoltre, significata dalla scelta sociologica dello stesso Cristo, che volle appartenere allo strato dei piccoli, dei poveri e dei disprezzati dalla cultura ufficiale della sua epoca (Gv 1,46; Fil 2,7).
    È questa la ragione profonda per cui la fraternità cristiana, fin dagli albori del cristianesimo, ha l'obbligo di riconoscere in ogni povero e oppresso una speciale presenza di Gesù. Il piccolo è sacramento di Cristo, in modo analogo a chi è stato battezzato nella fede. Nella fraternità cristiana, la fede e i «piccoli» creano specialmente fratellanza, riproducono Cristo. Questo modo di vivere per il cristiano è un'esperienza contemplativa, che lo porta all'impegno concreto in favore dei piccoli e alla ricerca della loro liberazione.

    UNA FRATERNITÀ PER GLI ALTRI

    La fraternità cristiana esiste a beneficio degli altri (la massa). In questo senso, è erede del resto biblico unitamente alle promesse e alla missione di cui esso è depositario.
    La fraternità cristiana è chiamata a trasmettere al mondo le proprie caratteristiche, mediante la testimonianza, l'evangelizzazione e la immolazione, contribuendo così, in modo originale e decisivo, alla liberazione degli uomini.
    È questa una conseguenza di ciò che abbiamo detto prima. La fraternità cristiana, in mezzo alla moltitudine, è come il sale (Mt 5,13), la cui funzione è d'insaporire l'alimento fino a essere dimenticato a tutto vantaggio dell'alimento stesso ormai insaporito. Essa è come il chicco di frumento (Gv 12,24) che deve rimanere solo, marcire e dissolversi per potere trasmettere la propria fecondità; è chiamata a perdere la propria vita, non a conservarla (Gv 12,25), per arricchire tutti. Oggigiorno, le realtà che producono la secolarizzazione si caratterizzano per il fatto che la società secolare è portata a realizzare e a proclamare certi valori che prima erano esclusivi della comunità cristiana: la ricerca della pace e della giustizia, la carità pubblica, la dignità della donna, di tutte le razze, l'educazione, ecc. Ciò è motivo di consolazione per la Chiesa la cui missione non è di avere il monopolio di certi valori ma di ritornarli al settore secolare, assieme alle loro caratteristiche di fraternità. Invece di deplorare tale realtà come se fosse competitiva con la comunità cristiana o riduttiva dell'influenza della Chiesa, dovremmo contemplarla come segno che l'evangelo sta realizzando lentamente e impercettibilmente la propria missione, che la fraternità da esso proclamata sta diventando realmente universale e che la liberazione progredisce.


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