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    Modelli di pastorale giovanile oggi



    Riccardo Tonelli

    (NPG 1976-04-02)


    Ci sono molti modi di fare pastorale giovanile: in teoria e in pratica.
    Come risposte differenziate a situazioni giovanili diverse e come traduzione pratica di scelte teologiche e antropologiche, diverse. Anche in questo campo, il pluralismo culturale che respiriamo, fa sentire il suo influsso.
    Alcuni modelli sono corretti: rispondono a visioni teologiche e educative oggettive. Altri, invece, possono contenere pericolose lacune.
    Come scegliere?
    In «Fare pastorale giovanile oggi» abbiamo tracciato una serie di «criteri» che possono orientare la decisione dell'operatore (cf pag. 31-45).
    Per fare un servizio più preciso, in questo articolo tentiamo di raccogliere i modelli che oggi ci sembrano più significativi e li analizziamo.
    Ogni comunità può valutare la propria scelta alla luce di questa proposta. E può aggiustare il tiro, ritrovando quei valori pastorali che forse sono assenti nella propria direzione di cammino.
    Dall'insieme dei modelli nasce così un progetto ampio, organico e articolato, di pastorale giovanile. Ad una condizione, pregiudiziale: superare la tentazione pericolosa di assolutizzare la propria esperienza e di scomunicare chi non sa ripeterla passivamente.
    Una pastorale giovanile che voglia essere «fedele a Dio e fedele al giovane concreto» deve riconoscere la necessità di un'ampia pluralità di orientamenti, di scelte, di prassi. Deve accettare il contrappeso delle diverse esperienze. E deve, soprattutto, mettersi continuamente sotto il giudizio della fede (sensibilità ecclesiale e interventi magisteriali) per conservare una reale fedeltà al progetto di Dio, nella ricercata fedeltà all'oggi giovanile.


    1. QUALE CLASSIFICAZIONE?

    LA PRASSI PASTORALE OGGI

    Basta uno sguardo anche sommario sulla prassi pastorale italiana, per costatare una larga pluralità di modelli operativi di pastorale giovanile. Riesce persino disagevole tentarne una rassegna sufficientemente armonica, perché mancano precise categorie che possano essere utilizzate come criteri di valutazione e quindi di classificazione. I motivi sono molti, di peso diverso. Ne elenchiamo alcuni.
    * In primo luogo, manca una presenza riflessa di scelte qualificanti.
    I modelli di pastorale giovanile sono spesso di tipo pratico-operativo. Sono orientati direttamente alla prassi più spicciola, senza preoccupazioni teoriche di sostegno.
    D'accordo: ogni modello ha necessariamente alle spalle una visione teoretica che traduce in scelte concrete. Per troppi operatori pastorali questa visione a monte è confusa ed eclettica. Riprende istanze teologiche, antropologiche e metodologiche dai riferimenti i più disparati. Il pluralismo ideologico, di questo nostro tempo di transizione culturale, pesa gravemente nella prassi pastorale: quando essa non si pone in termini riflessi l'esigenza di verifica e di fondazione, diventa spontaneo raccogliere le proposte che si presentano con i tratti di un fascino immediato, senza interrogarsi su problemi di coerenza interna.
    Modelli di pastorale giovanile così disarmonici hanno ben pochi elementi in comune. Per tentare un processo di classificazione, è necessario un lavoro previo di decantazione: bisogna, cioè, far emergere e «condensare» le scelte più impegnative, presenti nel sottobosco di tanti piccoli orientamenti operativi.
    * Un secondo motivo rende difficile la ricerca di criteri di valutazione, anche per quei modelli di pastorale giovanile che cercano e curano un entroterra teoretico serio e fondato.
    Fino a poco tempo fa, uno spartiacque abbastanza preciso era determinato dalla assunzione (o dal rifiuto) dei dati antropologici nella pastorale. Si poteva parlare di modello kerigmatico e di modello antropologico, sulla base del «punto di partenza» (metodologico) per la proposta cristiana e dell'itinerario che concretamente si privilegiava.
    Il modello kerigmatico partiva dall'annuncio di fede, per mettere in risalto il suo significato per la vita. Quello antropologico preferiva invece muovere dalla vita del giovane concreto, con l'intento di «far vedere», per mezzo dell'annuncio di fede, la salvezza di Dio presente e operante in ciascuno.
    Abbiamo l'impressione che, dopo le prime resistenze e i primi entusiasmi, le distinzioni in questa linea si vadano riducendo. Sul piano pratico ci si è accorti presto della impossibilità di assumere in modo riduttivo e esclusivo un metodo o l'altro. L'annuncio allo stato puro si svuota, perde di senso e quindi di incidenza, per una fetta sempre più larga di giovani. Senza un diretto coinvolgimento della vita reale nella sua quotidianità, la significatività esistenziale della proposta di fede è assai ridotta. Nello stesso tempo, si è spenta, tristemente tra le mani, la speranza quasi messianica che l'approccio antropologico fosse risolutore di tutte le difficoltà pastorali. I rischi di un antropologismo chiuso e riduttivo sono diventati costatazione in prima persona, anche da parte degli operatori più risoluti. E così neppure la distinzione tra metodo antropologico e metodo kerigmatico permette una adeguata classificazione dei vari modelli di pastorale giovanile.
    D'altra parte la sensibilità ermeneutica oggi acquisita ci aiuta a scoprire la parzialità anche teorica di questa distinzione. Di fatto ogni modello pastorale, per diventare storico, deve assumere una «cultura», e quindi un'antropologia. Ogni annuncio di fede utilizza un «linguaggio»: esperienze umane, categorie espressive, modelli culturali, in cui si incarna per diventare «parola (di Dio) all'uomo».
    * Il problema è un altro: la sintonia o la dissonanza tra il linguaggio antropologico in cui prende corpo l'annuncio e l'esperienza di fede, e il linguaggio reale dei destinatari concreti di tale annuncio.
    Troppe volte si tratta di due mondi molto lontani. Le stesse parole hanno una risonanza opposta. Possono variare i punti di partenza privilegiati (dall'esperienza umana o dall'annuncio di fede), resta la verifica se la «materia» antropologica che dà corpo alla fede corrisponde o meno a quella storica, del qui-ora concreto delle situazioni giovanili con cui si dialoga.
    Affiora un criterio valutativo interessante. Ci permetterà di classificare alcuni modelli attuali di pastorale giovanile, «giudicandoli» alla luce della loro fedeltà al giovane storico.

    RIFLESSIONE SULLA PRASSI

    Questo criterio valutativo ci permette di iniziare una «riflessione» sulla prassi.
    Non è l'unico, certamente. Nell'area pastorale italiana operano anche modelli di pastorale giovanile, organici e coerenti. In molti casi essi hanno a monte scelte teologiche e metodologiche, precise e meditate. Vari «movimenti» educativo-pastorali hanno iniziato una riflessione corale, aggiornata alle problematiche più vivaci dell'ora presente, per elaborare un quadro di riferimento. Il loro peso, nell'area pastorale italiana, permette un riflusso anche agli operatori delle istituzioni pastorali più tradizionali.
    Accanto ai problemi che rendono difficile la catalogazione dei vari modelli di pastorale giovanile, ci sono perciò «documenti», scritti o vissuti, che orientano in direzioni abbastanza precise.
    Su questo materiale, ricco e problematico ad un tempo, conduciamo la nostra riflessione.
    Non vogliamo descrivere una realtà. Ma «riflettere» sui dati che emergono nella realtà di pastorale giovanile. Riflettere significa prima di tutto tentare alcuni collegamenti e favorire il coagulo delle tendenze in atto, attorno ad orientamenti che ci pare di dover valutare come «portanti». Riflettere significa, in secondo luogo, raccogliere dalla prassi valutazioni e indicazioni, in vista di un progetto più organico di pastorale giovanile. Per questo motivo, la nostra riflessione corre spesso sul livello della «intenzionalità», passa cioè dai fatti ai loro significati, presenti o sotterranei. Si preoccupa di far emergere quanto è solo sotteso, di rivelare i collegamenti culturali e strutturali che le singole scelte richiamano, di evidenziare i pericoli e le tendenze racchiuse in una determinata prassi. Da una parte è vivo l'impegno di catalogare elementi di origine diversa in un ampio rispetto all'oggettività; dall'altra la nostra riflessione è già in qualche modo orientata. Siamo convinti che l'attuale pluralismo di stili di pastorale giovanile abbia al suo interno grossi stimoli positivi: le intuizioni concrete degli operatori pastorali e la presenza dello Spirito nella sua Chiesa, possono offrire contributi preziosi, per un progetto «nuovo», più armonico e unificato, di pastorale giovanile.
    La nostra riflessione è «orientata» da questa precomprensione. Il dosaggio degli elementi descritti, le sottolineature e le articolazioni, conducono il lettore verso questo obiettivo.
    Analizziamo solo modelli di pastorale giovanile: modelli, cioè, il cui obiettivo sia l'educazione alla fede. Nella rassegna partiamo però da un'ottica che ci pare ormai scontata nella sensibilità ecclesiale italiana, almeno a livello di interventi ufficiali: l'interesse e fa rilevanza della maturazione personale nell'esperienza di fede, e viceversa; anche se i rapporti tra «fede» e «realizzazione di sé» sono diversi.
    In questo ambito, abbiamo l'impressione che oggi stiano consolidandosi tre modelli di pastorale giovanile, paradigmatici anche della prassi spicciola:
    - Un modello che chiamiamo «storico-oggettivo», perché mette l'accento sul confronto tra la norma rivelata e la realizzazione personale. Come si noterà, è una reinterpretazione, aggiornata teologicamente e metodologicamente, della linea tradizionale di pastorale giovanile.
    - Un modello che chiamiamo «esistenziale», perché privilegia invece l'autorealizzazione, come luogo dell'esperienza di fede. Esso risponde alla sensibilità sociale e partecipativa emersa dopo la ventata della contestazione, e si rifà soprattutto alla teologia della liberazione.
    - Un modello che chiamiamo «esperienziale-comunitario», perché ascrive al gruppo-comunità il compito di gestire la realizzazione di sé e l'esperienza di fede. Si tratta di tendenze abbastanza recenti, che riprendono i temi del dopo-secolarizzazione, in una luce soprattutto ecclesiologica.

    UNA CHIAVE Dl LETTURA

    La descrizione dei tre modelli di pastorale giovanile, in cui ci pare di poter riassumere le tendenze in atto oggi, non è una semplice raccolta di dati e di fatti. Lo dimostra anche la «chiave di lettura» utilizzata per definire i vari modelli e per riflettere su essi.
    Abbiamo privilegiato alcuni aspetti. Perché?
    Li abbiamo derivati dalla prassi pastorale corrente, facendo emergere i punti nodali su cui normalmente ogni operatore pastorale di fatto si pronuncia, nel momento in cui si fa attento alla globalità per un maturo servizio di pastorale giovanile.
    L'evidenziazione di questi aspetti, la loro successione e concatenazione logica, corrispondono però ad una nostra ipotesi di lavoro. In base alla ricerca sulla prassi e alla relativa riflessione, ci pare di dover concludere che gli elementi determinanti la nostra chiave di lettura, sono aspetti formalmente normativi: su essi è necessario articolare ogni progetto di pastorale giovanile, per renderlo operativo, coerente, funzionale. Un modello che non dica «qualcosa» su ciascuno di questi punti, soffre di pericolose lacune e corre il rischio di assumere dei dati in modo disarticolato.
    Una parola veloce di approfondimento per ciascuno degli elementi che determinano la nostra chiave di lettura.

    (a) Obiettivo
    Ogni modello di pastorale giovanile che si pone il problema del rapporto tra «fede» e «realizzazione personale», progetta una sua sintesi capace di assicurarne la reciproca integrazione. Per classificare il modello non basta perciò ricorrere agli obiettivi generali: tutti gli operatori pastorali... vogliono educare alla fede. comunicare il dono della salvezza, e cose simili. Il discorso diventa concreto solo individuando il tipo di «integrazione» che si vuole raggiungere e il processo educativo con cui si intende perseguire l'obiettivo.

    (b) Giudizio sull'oggi
    La definizione dell'obiettivo e la decisione di privilegiare un itinerario metodologico avviene sempre all'interno di un determinato giudizio sulla concreta situazione storica. Ogni progetto di pastorale giovanile pronuncia una sua valutazione sulla «cultura» del tempo in cui viviamo, sui valori-disvalori di cui essa è carica. È un giudizio molte volte solo indiretto e non riflesso, che però gioca un ruolo determinante sulle singole scelte metodologiche. Per aiutare a cogliere questo rapporto, evidenzieremo le tendenze più generali che conseguono sul piano metodologico dalla valutazione dell'oggi storico.

    (c) Orientamento metodologico e prassi educativa
    La tensione verso l'obiettivo da raggiungere, condizionata dal giudizio sulla situazione culturale dominante, determinano una serie di scelte educative concrete. Anche quando apparentemente sono slegate e possono apparire dettate dalle situazioni spicciole, esse sono riconducibili ad alcune opzioni più generali che le giustificano e le orientano.
    Per valutarle, è necessario superare la frammentarietà, e giungere agli orientamenti metodologici globali.

    (d) Rapporto Chiesa-mondo
    Educare alla fede significa, necessariamente, collocare in un certo modo nel «mondo». Perciò ogni progetto di pastorale giovanile vive, in una particolare modalità, il rapporto Chiesa-mondo (l'idea di salvezza, l'impegno storico, la specificità dell'essere cristiano e il significato dei momenti tipici dell'esperienza cristiana nel confronto del quotidiano...).

    (e) Quale Chiesa
    Da tutti questi dati è possibile risalire all'immagine di Chiesa che percorre il modello. Un contributo particolare alla definizione di Chiesa viene offerto dai «destinatari» del servizio pastorale. Per valutare, cioè, «quale Chiesa» interessa un determinato modello, basta considerare i destinatari: se ci si rivolge a giovani dell'élite, particolarmente impegnati, si progetta una Chiesa élitaria; se si dialoga con «tutti» i giovani, si cerca una Chiesa di massa.

    (f) Associazionismo
    L'esperienza di gruppo è una costante nella sensibilità giovanile attuale. Per tradizione o per scelta specifica, essa fa anche parte delle prassi educativa e pastorale. Ci sono però modi diversi di vivere l'esperienza di gruppo. Il ruolo che il gruppo assume nell'insieme della pastorale giovanile, le sue caratteristiche interne coltivate, il necessario collegamento con l'esterno... sono altri elementi preziosi per descrivere l'antropologia e la teologia in cui ogni modello intende collocarsi.

    2. MODELLO STORICO OGGETTIVO

    OBIETTIVO

    Il modello di pastorale giovanile che definiamo «storico-oggettivo» mette fortemente l'accento sulla iniziativa di Dio: sul progetto di salvezza e sulla sua importanza per la realizzazione personale di ogni uomo.
    Nel dono di salvezza presentato agli uomini dal Padre, in Cristo, attraverso la mediazione storica della Chiesa, sta la realizzazione personale e sociale. La singola persona, l'insieme degli uomini, la società stessa raggiungono il loro pieno significato solo accettando il dono di Dio.
    Il rapporto tra «fede» e «realizzazione personale» è risolto lanciandolo sul piano oggettivo. Le difficoltà e i problemi personali nascono dalla mancata traduzione nella propria vita di questi valori.
    Alla pastorale giovanile compete, quindi, il compito di educare e abilitare il giovane ad accogliere e far proprio vitalmente il progetto di Dio sull'uomo e sul mondo. Egli sarà realizzato solo in questo accoglimento. In termini operativi, l'obiettivo viene vissuto così:
    - La fede trasforma la vita se è accettata e conosciuta.
    Perciò è importante moltiplicare i contatti tra il dono della fede e la vita del giovane. Da qui la centralità del momento catechistico, vissuto come «annuncio» del progetto di Dio, perché i contenuti della fede sono la risposta definitiva e rivelata alle domande che la vita quotidiana pone. Di qui, ancora, l'insistenza sulla pratica sacramentale, perché i sacramenti sono i «mezzi» della salvezza e quindi della realizzazione personale.
    - La coerenza nella vita manifesta, con i fatti, che si è accettata la fede.
    La persona è realizzata quando vive una vita coerente con il piano di Dio. Da qui l'insistenza verso i comportamenti oggettivamente corretti e il largo uso di «norme» etiche, capaci di orientare verso questi comportamenti.

    GIUDIZIO SULL'OGGI

    Si parte dalla costatazione che la nostra cultura è globalmente non cristiana per la presenza di alcune tendenze, come il pluralismo culturale, la secolarizzazione, il rifiuto delle istituzioni, il permissivismo, gli accenti insistenti sull'autorealizzazione... Perciò il giudizio su questi fatti è largamente negativo: sono valutati come tendenze pericolose, da superare o da controllare.
    Non è sempre possibile intervenire a livello strutturale, modificando la crisi alla radice. Superare queste tendenze significa soprattutto realizzare uno spazio umano alternativo, dove circolino valori opposti, dove si respiri un clima maggiormente cristiano.
    Ne consegue o il potenziamento delle strutture pastorali tradizionali (parrocchia, oratorio, scuola cattolica...), in una forte dose di contrapposizione con l'esterno, oppure il tentativo di costruire strutture diverse, alternative a quelle dominanti (il gruppo come fatto totale, la comunità, l'organismo «cattolico»...).
    Certo non è sufficiente «inventare» nuove strutture. Come renderle efficaci e normative? Il giovane cristiano va aiutato a superare le difficoltà presenti, attraverso la costituzione di una mentalità capace di accogliere la proposta cristiana e di«resistere» a quelle contrarie. Sono perciò favoriti i seguenti atteggiamenti:
    - rifiuto di ogni atteggiamento remissivo o troppo problematico, per raggiungere una precisa e coraggiosa identificazione del cristiano;
    - sicurezza e certezza nei contenuti della fede;
    - riconoscimento dell'autorità, sia nelle persone, sia nel significato normativo e sostentativo delle istituzioni e delle pratiche: la tendenza a conservare usi, tradizioni, comportamenti deriva dalla necessità di non lasciare campo a pericolosi soggettivismi.

    ORIENTAMENTO METODOLOGICO E PRASSI EDUCATIVA

    In questo modello prevale nettamente un orientamento metodologico di tipo «discendente».
    L'accento è sulla iniziativa di Dio. Ciascuno è invitato ad inserirsi nel suo piano. Le tappe possono essere così descritte:
    - momento storico-dottrinale: prevalenza ad una rivelazione oggettiva, in cui si sintetizzano gli aspetti storici, liturgici ed ecclesiali, in un sistema organico;
    - momento sacramentale: la Chiesa attualizza nell'oggi la storia della salvezza; la vita liturgico-sacramentale è la proposta attuale di Dio all'uomo;
    - momento vitale-personale: l'uomo risponde alla iniziativa di Dio con la sua vita: la vita «morale» è la personale collaborazione alla realizzazione della salvezza.
    Un itinerario così oggettivo-deduttivo incontra resistenze oggi, perché la cultura dominante spinge verso processi più personalizzanti.
    Per superare queste resistenze, per creare attenzione e disponibilità verso quei valori oggettivi che nel modello hanno la preminenza, diventa necessario il ricorso ad alcune costanti educative:
    - Per motivare gli orientamenti e per dimostrare la oggettività storica del piano della salvezza, si insiste molto sulla razionalità: l'educazione alla fede è fatta soprattutto di fondazioni su prove e dimostrazioni simili a quelle che si possono ottenere con gli esperimenti scientifici. I segni della rivelazione sono trattati come argomenti rigorosi, di fronte ai quali chiunque dovrebbe arrendersi, come ci si arrende di fronte all'evidenza. --Predomina una accentuata fiducia nell'efficacia intrinseca degli strumenti pastorali e dei «mezzi» di salvezza. Per cui si valuta più la capacità «ex opere operato» dei sacramenti e della preghiera che la dimensione umano-educativa, che esige una previa disponibilità del soggetto. Non manca la pressione educativa per una ampia pratica sacramentale, motivata dal «bene oggettivo» dei giovani.
    - Per favorire questa accettazione dei valori oggettivi, un ruolo impegnativo è affidato alle istituzioni educative. Esse hanno il compito di «sostenere» la vita cristiana, eliminando i rischi che il contesto culturale invece diffonde a larghe mani. Queste istituzioni tendono a coprire quasi tutto il tempo reale del giovane, per offrire una protezione ampia e sicura. Sono preziosi, in questa prospettiva, tutti gli strumenti che possono «attirare» e consolidare l'appartenenza.
    - È infine frequente il riferimento a modelli oggettivi, intesi come «normativi» per i comportamenti quotidiani, attraverso un procedimento che amplifica la funzione esemplare: si tratta di «imitare» il modello, riducendo al minimo la fatica di una reinterpretazione personale.
    Da tutto, si nota come la prassi educativa sia di tipo protezionistico. La presenza dell'educatore e degli interventi educativi é largamente finalizzata ad eliminare i rischi e i condizionamenti negativi, a creare sostegno e identificazione, per facilitare l'impegno personale e la coerenza morale. Anche i sacramenti e la vita liturgica assumono una funzione prevalentemente terapeutica: superare i difetti, migliorare i comportamenti, meritare il Paradiso... Prevalgono modelli individualistici.
    Il progetto educativo, nella sua globalità, si rifà largamente alla «pedagogia del consenso», con tendenza a sostenere il consenso attraverso la razionalità delle motivazioni.

    RAPPORTO CHIESA-MONDO

    Questo modello si ispira ad un rapporto Chiesa-mondo di tipo funzionalista: le attività profane sono promosse per fini religiosi (si pensi ad una concezione di «scuola cattolica» e, in altro settore, all'uso dello sport nella pastorale...). Oppure di tipo dualista: mondo e Chiesa sono visti come entità contrapposte, tra le quali si instaurano rapporti o di opposizione e diffidenza, oppure di dialogo e collaborazione, ma sempre tra due realtà autosufficienti e adeguatamente distinte.
    Tipico è il rimbalzo di questa visione sulla definizione di impegno «sociale». Si tende ad esprimere un giudizio normalmente negativo sulla storia, ma a partire da analisi di tipo religioso, con prevalenza sui fattori moralistici.
    I fenomeni sociali sono ascritti più alla buona-cattiva coscienza degli uomini che a cause di ordine strutturale e collettivo.
    La salvezza cristiana è quella «escatologica», con scarsa incidenza nella storia quotidiana. La vita vissuta con impegno religioso «merita» la salvezza e, per riflesso, modifica e risolve le disfunzioni sociali.
    L'impegno sociale ha uno spazio molto ridotto. L'impegno religioso lo assorbe quasi totalmente, sia nella direzione di una coerenza individualistica capace di creare situazioni sociali più giuste, sia per un riferimento di tipo sacrale (liturgia e preghiera come «mezzi» di cambio sociale o terapie per una coerenza personale...).
    L'impegno tecnico-politico è lasciato alla sfera umana, autonomamente competente. Esso, come il resto delle attività profane, è visto come banco di prova per la coerenza morale e come occasione di testimonianza di vita cristiana. I modelli che sono raccomandati, mettono in risalto soprattutto questi aspetti, slegati da una valutazione intrinseca sull'etica professionale («è un buon politico, e va a messa quotidianamente...»).

    QUALE CHIESA

    Destinatari di questo modello di pastorale giovanile sono tutti i giovani. Si evita decisamente ogni élitarismo. Generalmente, però, l'immagine di giovani cui ci si riferisce è definita in termini più metafisici che storici. Si sottolineano caratteristiche dell'essere-giovane in assoluto, dimenticando il condizionamento del qui-ora.
    Fa quindi da fondale l'immagine più comune di Chiesa. Una Chiesa di massa, indulgente verso la mediocrità e aperta a tutti, presente nel mondo attraverso le sue istituzioni visibili e forte delle sue tradizioni.
    Non esiste praticamente il problema dello «specifico del cristiano». L'insieme delle scelte che caratterizza questo modello spinge a definire il cristiano in termini precisi. La sua identità è netta e consolidata come è forte l'identificazione oggettiva nell'appartenenza alla Chiesa e la contrapposizione recisa nei confronti di chi è «lontano»: si parla frequentemente di «noi» e «loro».
    È una identità, però, più legata alla pressione educativa che a scelte personali. Nei momenti di conflitto risulta fortemente in crisi: aperta a brusche inversioni di tendenza e al rifiuto, o alla marginalità, se cade la pressione educativa o emerge con maggiore virulenza la spinta contraria dall'ambiente esterno.

    ASSOCIAZIONISMO

    Nel suo movimento, il modello privilegia un rapporto educativo e pastorale di tipo individualistico. Anche i momenti in cui l'attenzione è posta sulle strutture e istituzioni, sono in questa logica. La maturazione dell'individuo è raggiunta e ricercata in sé: lo spazio umano in cui l'individuo vive e agisce ha solo funzione di condizionamento, positivo o negativo, da favorire o da controbilanciare.
    Da questa visione consegue la scarsa considerazione di cui è circondato il gruppo. Esso è normalmente relegato tra le «attività facoltative», di peso educativo poco rilevante, utili per occupare i «tempi marginali», in modo non ozioso.
    È invece ampio l'interesse per l'associazionismo (inteso come struttura di collegamento tra gruppi): esso è avvertito come preziosa agenzia di trasmissione di valori e come luogo di impegni e di esperienze apostoliche. Il motivo dell'interesse determina anche le tendenze di utilizzazione:
    - assodato che educano «buoni contenuti» fatti circolare, è importante soprattutto trovarne i canali adeguati;
    - il gruppo di base non è fonte di clima educativo ma «occasione» per mettere i singoli giovani a contatto con i valori educativi proposti;
    - gli «specialisti» sono incaricati di elaborare e proporre i contenuti, attingendo in forma prioritaria all'oggettivo della tradizione e dell'esperienza; la «base» ha il compito non di creare ma di recepire;
    - la struttura organizzativa è funzionale alla trasmissione discendente di valori, favorisce l'ampia partecipazione e permette il superamento di alternative che distraggono dal gruppo;
    - un buon clima di gruppo facilita l'accettazione dei valori proposti: le molte attività non sono prima di tutto orientate a «fare gruppo» (nel senso con cui se ne parla oggi) ma a rendere «interessante» il gruppo per assicurare l'identificazione dei suoi membri con i «valori» educativi proposti.

    3. MODELLO ESISTENZIALE

    OBIETTIVO

    Questo modello di pastorale giovanile, che accetta la lezione della secolarizzazione, prende le mosse dalla costatazione diffusa che per molti giovani la fede dice soggettivamente poco: è un fatto marginale. I giovani d'oggi sono molto sensibili alla personale realizzazione. I modi possono variare, ma alla radice emerge sempre un tentativo di risposta ai problemi di fondo sul senso della vita. In questa ricerca di senso, spesso la fede viene recepita come insignificante e inutile. O perché ci si trova con le mani piene di risposte, tutte chiuse nella spirale dell'immanenza: per la fede non c'è più spazio. O perché la proposta di fede non viene vissuta ed esperimentata come una risposta a questi problemi esistenziali: essa parla di altre cose, lontane e distaccate dalla vita di tutti i giorni. Prima di essere un discorso vero-falso, la fede è avvertita come proposta «priva di senso», dunque inutile, da emarginare.
    Il modello «esistenziale» di pastorale giovanile vuole offrire una proposta capace di reinserire l'esperienza di fede nel suo originale significato per la vita umana, raggiungendo così una matura integrazione tra fede e realizzazione personale.
    Il modello si muove all'interno di queste tendenze:
    - Il centro di attenzione educativa e il luogo privilegiato dell'azione pastorale è la vita concreta e quotidiana dei giovani.
    La vita, interpella ciascuno a definire il senso della personale realizzazione. A progettarsi. L'intervento educativo ha la funzione di stimolare a definire la propria realizzazione come «riconoscimento» dell'altro e impegno a «promuoverlo».
    - In questo progetto di autorealizzazione la fede è oggettivamente in causa: impegna, sostiene, orienta e autentifica il personale progetto.
    L'intervento educativo vuole stimolare una presa di coscienza soggettiva di questo dato oggettivo: cogliere l'urgenza di un serio progetto di realizzazione personale, capace di coinvolgere la significatività della fede. --Per molti giovani, la manipolazione culturale e strutturale di cui soffriamo, ha già raggiunto anche il livello della progettazione di sé. Essi vivono catturati dal fascino di risposte monche, chiuse o alienanti. L'intervento educativo stimola una continua problematizzazione della propria esperienza, per aprirla ad interrogativi più veri, in vista di risposte più ampie.
    - La realizzazione di sé non è mai un fatto strettamente personale: investe dimensioni sociali e collettive. Le tendenze educative e pastorali ricordate sono perciò vissute sempre in questo respiro sociale e politico.[1]

    GIUDIZIO SULL'OGGI

    Il modello assume ed accetta i fenomeni che caratterizzano l'attuale cultura: la secolarizzazione, l'istanza partecipativa, la centralità della persona, la dimensione sociale... Per questi fatti, si ricorre a motivazioni teologiche, come fondazione di valore e giustificazione. Del resto la preoccupazione di elaborare un progetto pastorale «in situazione», spinge ad accogliere la cultura presente, almeno come dato di fatto.
    Questo realismo non sempre critico, la ricerca delle intuizioni teologiche più avanzate per motivare le scelte, spingono spesso verso un ottimismo, più emotivo che verificato.
    La cultura dominante, nonostante gli aspetti positivi di cui è carica, e il progetto nelle sue scelte qualificanti, possono ridurre lentamente la fede alla marginalità. Si cerca di ovviare a questo grosso rischio, assumendo alcune attenzioni pastorali:
    - I contenuti della fede sono visti non come un modello di autorealizzazione, finito e già elaborato, da assumere nella personale esperienza come un abito «pronto all'uso». La fede ha piuttosto la funzione di «critica permanente» dei vari progetti di autorealizzazione che la cultura fornisce.
    - Si accentua la distinzione tra esperienza storica, da condividere largamente con tutti (e quindi orientata a pluralismo di scelte, senza particolari etichette «cristiane») e l'esperienza ecclesiale, come luogo in cui si realizza la «difficile comunione» in Cristo e nella sua Parola.
    - Le tradizionali strutture educative e pastorali sono di conseguenza orientate verso il riferimento, smontando lentamente tutti gli elementi che possono invece favorire l'appartenenza o la funzione di «supplenza».

    ORIENTAMENTO METODOLOGICO E PRASSI EDUCATIVA

    Prevale nettamente un orientamento a carattere induttivo-ascendente. L'accento è sulla esperienza storica, sulla sua problematizzazione, in vista di collocare la proposta di fede in questa attesa di significati.
    - Punto di presa e di attenzione sono le esperienze e gli interessi dei giovani. Nella convinzione che ciò che piace al giovane può diventare principio della sua salvezza, nello spirito dell'incarnazione (RdC 96).
    Quindi anche le attività profane sono importanti nella pastorale.
    - Esperienze e interessi vanno però «salvati» nella loro originale consistenza umana.
    Problematizzati, per diventare problema a chi li vive. Autenticati, perché possano, nella verità, permettere una salvezza trascendente.
    Interessi e esperienze devono cioè diventare «autenticamente umani» per poter essere luogo di salvezza religiosa.
    - Le scienze umane sono indispensabili strumenti di problematizzazione e autenticazione delle esperienze: quindi importanti e insostituibili nella pastorale, anche se necessariamente provvisorie e parziali. Rivelano la «verità storica» dell'uomo per aiutarlo a vivere quella totale», trascendente.
    - All'interno di questa comprensione piena e autenticazione radicale delle esperienze, ha un ruolo insostituibile la «parola di Dio».
    L'annuncio diventa così «apertura ai propri problemi, risposta alle proprie domande, allargamento ai propri valori, soddisfazione alle proprie aspirazioni» (RdC 52).
    - Nell'impegno di approfondimento e di autentificazione, la dimensione «sociale e politica» di ogni umana esperienza è tenuta in attenta considerazione.
    - La fede è «risposta» all'incontro sconvolgente con la «proposta» di salvezza. Non «cose» da conoscere ma Cristo, persona viva, «evento salvifico presente nelle vicende quotidiana» (RdC 55).
    Abbiamo definito questo modello come «esistenziale» perché sposta l'accento dalla norma alla persona, dai valori in assoluto alle valorizzazioni soggettive, dal dato di principio alla situazione concreta, dai progetti astratti alle situazioni di esperienza. Esso corrisponde largamente alla sensibilità giovanile più vivace e, nel suo movimento più profondo, alla logica «evangelica»
    Non mancano tendenze che possono apparire problematiche, soprattutto quando l'educatore non ne ha una consapevolezza riflessa.
    - Nel processo di autorealizzazione, costante è la preoccupazione di rispettare la «misura» storica del singolo giovane, fino a slittare nella soggettività. Ritornano con insistenza temi educativi come «gradualità», «interiorizzazione», «criticità», «responsabilità personale»...
    - La razionalità è più sul negativo che per motivare le scelte positive. Di fronte al dato di fatto, la razionalità diventa visione critica. Di fronte alle proposte si preferisce parlare di creatività e di ricerca. È chiara, però, almeno a livello verbale, la distinzione tra valori in assoluto e modalità quotidiane con cui sono vissuti: la ricerca è in questa seconda direzione e non, evidentemente, nella prima.
    - Prevale il momento della prassi. L'approfondimento è spesso «riflessione sulla prassi». Anche i momenti religiosi (liturgici e sacramentali) sono largamente riferiti alla prassi, fino a diventare «celebrazione della prassi».
    - La scelta del pluralismo di impegni storici e della partecipazione ai movimenti non su una base confessionale, rende scarsa l'appartenenza ecclesiale e conflittuale l'identità cristiana.

    RAPPORTO CHIESA-MONDO

    Ci si richiama ad un rapporto Chiesa-mondo molto vicino a quello della Gaudium et Spes: la Chiesa è parte del mondo, per testimoniarvi il progetto di salvezza rivelatoci in Cristo. Chiesa nel mondo e per il mondo, in un movimento di invio e di servizio per cui essa «cammina con l'umanità tutta e sperimenta assieme al mondo la medesima sorte terrena ed è come fermento e quasi-anima della società umana, destinata a rinnovarsi in Cristo e a trasformarsi in famiglia di Dio» (GS 40).
    Si tende a dare un giudizio prevalentemente negativo e critico nei confronti della storia, utilizzando corrette analisi storico-politiche, fino a cogliere responsabilità anche di ordine strutturale. In questo giudizio la fede è vissuta come «riserva critica», che sa riconoscere l'importanza delle scienze umane e le rispetta nella loro autonomia.
    Una definizione di salvezza che comporta livelli diversi (dalla comunione con Dio alla liberazione umana) spinge a vivere la propria identità cristiana anche nell'impegno politico.
    L'impegno religioso è molto legato a quello sociopolitico: si richiamano a vicenda, per evitare una concezione alienante dell'uno o dell'altro. I momenti tipicamente religiosi sono vissuti come celebrazione dell'impegno storico, suo significato definitivo: come recupero di speranza, contro lo scoraggiamento a cui sono soggetti coloro che vogliono impegnarsi nella storia e contro le facili assolutizzazioni verso i «nuovi idoli». Non sempre, nei singoli interventi, emerge una visione così corretta. Le difficoltà, di mentalità e di prassi, e le resistenze, rendono talvolta problematico il rapporto fede-storia, chiesa-mondo:
    - o per lo svuotamento della specificità della fede, sotto l'incalzare delle ideologie, anche perché sono ridotti al minimo i «contenuti» specifici della fede;
    - o per la privatizzazione delle istanze di autorealizzazione: le difficoltà a realizzarsi secondo modalità soggettive in un contesto molto rigido e poco aperto ai valori della persona, costringono a progettare la realizzazione personale nel chiuso della propria autonomia personale (o di piccolo gruppo).

    QUALE CHIESA

    Destinatari di questo modello di pastorale giovanile sono tutti i giovani, senza privilegiare particolari élites. La concretezza del modello aiuta a definire i giovani nel loro quotidiano contesto culturale, a coglierli come sono di fatto, «misurati» dalle reali situazioni storiche.
    Fa quindi da fondale un'immagine di Chiesa capace di accettare la lezione della secolarizzazione e che si pone quindi al servizio del mondo, in termini di presenza e di promozione. Una Chiesa povera di strutture. Ma coinvolta in autentici impegni di liberazione, per essere annuncio credibile della salvezza in Cristo.
    Accettare una presenza nel mondo in termini di secolarizzazione e di pluralismo comporta di conseguenza la conflittualità dell'identità cristiana. Per i giovani, educati alla fede secondo gli orientamenti metodologici di questo modello, il senso di appartenenza ecclesiale è labile e la definizione sullo specifico del cristiano molto problematica. Spesso i modelli di comportamento religioso sono facilmente sostituiti da motivazioni profane, anche perché ci si accorge che per molte persone la sostituzione è un dato pacifico, che nulla ha diminuito della abituale coerenza e impegno di vita.

    ASSOCIAZIONISMO

    L'esperienza di gruppo è uno dei perni del modello.Il gruppo è importante:
    - come spazio concreto in cui vivere un impegno di autorealizzazione, superando le dissociazioni e i conflitti presenti nel quotidiano,
    - come spazio dove gestire in prima persona una istanza partecipativa e di respiro collettivo,
    - come spazio dove esperimentare e vivere il senso dell'appartenenza alla Chiesa.
    Questo gruppo è di fatto il gruppo «di base»: quello locale. Non sono avvertiti importanti altri contatti. Per cui è spontanea la resistenza e il rifiuto a collegamenti, a forme associazionistiche, a movimenti.
    Appare chiara la funzione formativa che il gruppo assume in sé, nelle modalità con cui viene gestita la sua vita interna. Per evitare processi di manipolazione, è ampio il ricorso allo studio della dinamica di gruppo. Il gruppo tende a diventare sempre più di riferimento, per i suoi membri: passa cioè da luogo dove si agitano impegni e attività, a spazio umano dove coloro che hanno vissuto impegni storici, nelle strutture profane tipiche, si ritrovano per celebrare la fede e la speranza.

    4. MODELLO ESPERIENZIALE-COMUNITARIO

    OBIETTIVO

    Questo modello concentra tutto l'intervento educativo nella creazione di una forte esperienza comunitaria. Il movente è semplice, di quotidiana costatazione: quando un giovane riesce a vivere intensi rapporti di identificazione con una comunità cristiana impegnata, è sostenuto nella sua crescita ed è capace di interiorizzare i contenuti della fede e della proposta.
    Il rapporto tra fede e realizzazione di sé è risolto non attraverso una verifica sui contenuti dei due momenti (fede e vita), come, al limite, fanno i due modelli precedenti, ma favorendo l'esperienza e il contatto con un «fatto» vissuto: una comunità in sé proposta affascinante di vita cristiana.
    Le motivazioni formali riprendono temi caratteristici, nella tradizione ecclesiale.
    La scoperta della fede non è un fatto culturale, né tanto meno di ordine razionale. L'annuncio è prima di tutto invito a condividere un'esperienza: «Vieni e vedrai!». Per credere alla fede, bisogna far parte di una comunità che viva di fede. Per i giovani d'oggi, figli di una cultura antirazionale, la credibilità è un dato esperienziale, una connaturalità ottenuta attraverso la frequentazione perseverante ed appassionata di un certo mondo di persone. L'amore è l'aspetto più sensibile della novità di vita di cui la fede è carica. Toccare con mano una esperienza intensa di amore, significa scoprire il fascino della proposta: «Vedi come si amano...». La dimensione costitutiva di una comunità che vuole farsi annuncio di fede è perciò nell'amore che in essa si respira e nel continuo riferimento a Cristo, segno dell'amore che il Padre ci porta.
    Chi ha la fortuna di vivere questa esperienza forte, in un mondo come il nostro segnato da rapporti di egoismo e di anonimato, sente di aver incontrato qualcosa di nuovo, di sconvolgente. L'esperienza comunitaria dà un nuovo senso alla vita e costringe a diventare testimoni dell'amore del Padre, verso gli altri. La comunità è annuncio e missione, proprio perché é comunità di amore.
    Purtroppo ben poche strutture ecclesiali tradizionali permettono una simile esperienza. Perciò è fondamentale costruire «nuove comunità» capaci di realizzare l'obiettivo: strutture alternative in cui sia possibile offrire proposte credibili dell'amore. Per cui sia possibile nuovamente correre il rischio di invitare: «Vieni e vedrai!».
    Gli altri problemi pastorali, come l'approfondimento dei contenuti della fede, la vita liturgica e sacramentale, la pratica cristiana, sono «conseguenze», in costante riferimento e all'interno della comunità.

    GIUDIZIO SULL'OGGI

    Sono normalmente rifiutate le tendenze che caratterizzano la cultura dominante e spesso, almeno implicitamente, le motivazioni teologiche che le giustificano.
    La fede totalizza l'esperienza umana, l'afferra nella sua globalità e chiede di essere vissuta in un movimento pieno. Riconoscere il ruolo della secolarizzazione e l'autonomia del profano, soprattutto nel tempo impegnativo della prassi (politica!), ha come sbocco la privatizzazione della fede e la riduzione del momento ecclesiale a spazio non totale dell'esistere cristiano. Questo rischio è insito nella nostra cultura: lo dimostra, a posteriori, la storia di molti gruppi. Da qui il giudizio negativo sull'oggi. Come innescare una inversione di tendenze?
    La risposta è quella generale: creando comunità al cui interno circolino contenuti diversi.
    In questa posizione c'è un dato che la distingue dal primo modello presentato. Si rifiutano i contenuti della cultura attuale come nel modello precedente, ma viene assunta la sua «logica», come metodo d'intervento. Oggi i contenuti sono comunicati e assimilati prima di tutto sulla forza di identificazione, sulla circolazione di modelli ed esperienze carichi di questi valori. La razionalità fredda non è «metodo» sufficiente di comunicazione.
    Se si desiderano contenuti alternativi, non basta fondarli e sostenerli sulla forza di motivazioni. Per i giovani d'oggi diventa urgente costruire comunità alternative: luoghi capaci di forte presa emotiva, di identificazione, al cui interno circolino modelli e valori alternativi.

    ORIENTAMENTI METODOLOGICI E PRASSI EDUCATIVA

    Come si diceva, l'orientamento metodologico ha come perno la costituzione di una larga esperienza comunitaria. Sono perciò privilegiati tutti gli interventi educativi in qualche modo finalizzabili alla formazione di gruppi primari:
    - intensificazione di rapporti «a faccia a faccia»;
    - creazione di un'ampia omogeneità interna al gruppo, sia attraverso il controllo sul dissenso interno, che mediante l'accesa contrapposizione verso l'esterno;
    - circolazione di modelli di comportamento e di informazioni omogeneizzanti e carichi di fascino;
    - accentuazione degli aspetti comunitari dell'esperienza cristiana. Prevale il modello kerigmatico, perché meno pluralista e più carico di valori «suggestivi». La lettura della bibbia in direzione mistagogica, la riscoperta della preghiera di gruppo, il revival mistico ne sono aspetti importanti;
    - tendenza a creare un linguaggio di gruppo, con ampio uso di simboli e di ritualizzazioni.
    Questi e simili interventi creano facilmente una intensa esperienza di gruppo, che favorisce la maturazione (almeno apparente) dei membri ed un alto livello di conformismo, sugli atteggiamenti e i comportamenti che il modello considera normativi. Le conseguenze pratiche sono molto appariscenti. In breve tempo avvengono cambi notevoli nei giovani che accettano di vivere totalmente l'esperienza. È ampio il valore di attrazione della proposta: sia come proselitismo presso nuovi giovani, sia per consolidare l'appartenenza dei membri.
    Un aspetto problematico è invece determinato dalla tendenza a paragonare in forma assolutizzata la propria esperienza con il resto delle esperienze ecclesiali. Da una parte si mira a definire l'appartenenza a questa comunità coincidente con l'appartenenza alla Chiesa, senza bisogno di altre mediazioni: «la Chiesa siamo noi». Dall'altra si rifiuta il pluralismo dei modelli e la necessaria parzialità delle normali realizzazioni ecclesiali: «solo noi siamo la Chiesa».
    Il progetto educativo si rifà globalmente ad una «pedagogia del consenso», mascherata sulla forza di conformità di cui il gruppo è carico. Il gruppo dà al singolo l'apparente consapevolezza di gestire decisioni personali, mentre il consenso è diretto dalla sottile manipolazione del gruppo stesso.

    RAPPORTO CHIESA-MONDO

    Il rapporto Chiesa-mondo è orientato dalla scelta che abbiamo ricordato poco sopra: un giudizio negativo sulla storia e l'assunzione di responsabilità precise in vista del cambio sociale. Per gestire il cambio, si cercano però spazi di intervento efficaci e capaci di salvare l'elemento specifico del cristiano: l'amore.
    Il cambio sociale è possibile solo «testimoniando» un modo alternativo di vivere i rapporti interpersonali.
    Se si pretende di intervenire a livello strutturale, i risultati sono assai deludenti, con relative frustrazioni, integrazioni o estremismi politici. Il cambio sociale è invece raggiungibile creando strutture alternative: piccole «isole» al cui interno ricostruire un clima di rapporti interpersonali, di rispetto della persona, di esperienza di fede. Dal cambio culturale nascono nuove strutture.
    La comunità cristiana è il luogo dove le cose sono diverse, dimostrano di poter essere diverse: luogo quindi di efficacia politica, anche se l'impegno non è direttamente a livello strutturale. Essa è il germe di un modo nuovo di essere nel mondo e di fare la storia.
    In questa presenza, la fede ha qualcosa di specifico da dire: si gioca nel profano, investendolo con la totalità della sua proposta.
    Operativamente possono realizzarsi due modalità in cui vivere questo rapporto:
    - Si tende a far coincidere il momento religioso con quello profano, fino a dare alla comunità una funzione totalizzatrice, e a derivare dalla fede ogni prassi, educativa o politica che sia. Ne consegue l'esigenza di «unificare», attraverso la comunità, anche le scelte pratiche dei membri.
    - Oppure, sulla sponda opposta, si dà Come assoluta l'armonia e l'omogeneità interna della comunità, e i rapporti primari tra i membri come criterio normativo di ogni decisione. Questo rifugio nell'intimismo costringe ad emarginare ogni impegno storico e ogni sussulto conflittuale che potrebbe diventare motivo di rottura dentro il gruppo.
    Alla radice di questo modello sta una scelta tipicamente educativa, intesa a favorire la consistenza dell'esperienza di fede dei giovani in un contesto pluralista e fortemente scristianizzato e la qualificazione del loro servizio in quanto cristiani. Non sono assenti tentazioni di integrismo.

    QUALE CHIESA

    Destinatari della proposta sono coloro che la sentono come congeniale. Un modello del genere, per il carattere impegnativo e discriminante che ha in sé, può diventare difficilmente proposta aperta di fatto a tutti i giovani, nel qui-ora storico in cui viviamo. La secolarizzazione è, per molti, struttura mentale ormai congenita: essa spinge a rifiutare ogni attentato all'autonomia del profano e ogni deduttivismo religioso.
    Al carattere selettivo della proposta fa quindi da fondale una immagine di Chiesa a stile élitario: una piccola Chiesa di perfetti, forte della convinzione ed esemplarità dei suoi membri, anche se povera di istituzioni. L'accento posto sulla dimensione comunitario-misterica fa passare in secondo piano gli aspetti istituzionali-societari. Libera da questi condizionamenti, questa Chiesa può diventare il pugno di lievito gettato nella pasta del vasto mondo.
    Per i giovani che accettano la proposta, l'identità cristiana è forte e sicura, tendente alla totalizzazione. Sono eliminati i conflitti di appartenenza, nell'identificazione all'unica comunità. La forza di coesione di gruppo sostiene l'assimilazione dei contenuti che definiscono l'annuncio della fede.

    ASSOCIAZIONISMO

    L'appartenenza ad un gruppo-comunità è la struttura portante globale. L'accento sulla dimensione «misterica» dell'esperienza ecclesiale conduce ad atteggiamenti di sfiducia nelle analisi tecniche, con relativo rifiuto della dinamica di gruppo, incapace di cogliere «il dono di fare comunione».
    Sono accettati e consolidati i rapporti con gruppi che vivono valori simili ai propri: nascono veri «movimenti», con una circolazione di esperienze e di contenuti. La forte carica emotiva e la coesione intensa favorisce l'emergere, dentro il movimento, di «vertici» culturali (e qualche volta anche strutturali), destinati a controllare l'ortodossia dei singoli gruppi, a diffondere le informazioni con un sistema di andata-ritorno tutt'altro che neutrale.
    A causa del valore normativo con cui si definisce la propria esperienza, il contatto e il rapporto con gli altri gruppi e movimenti è spesso conflittuale.

    5. IL CRITERIO DEI «DESTINATARI» PER ORIENTARSI NEL PLURALISMO Dl MODELLI

    Come orientarsi nel pluralismo di modelli? Come sceglierne uno? In base a quali criteri preferire una opzione all'altra, tra i diversi modelli? I «destinatari» indicano un criterio normativo importante, anche se certamente non l'unico.
    L'argomento merita una riflessione attenta.

    PLURALISMO COME DATO Dl FATTO, OGGI

    Quando i temi che descrivono l'obiettivo della pastorale giovanile, diventano concreti e si traducono in linguaggi vicini alle sensibilità attuali, è difficile pensare in termini univoci. Le stesse preoccupazioni possono essere formulate in mete e formule diverse.
    Il pluralismo diventa ancora più ampio, quando si passa dalla enunciazione di obiettivi e mete alla ricerca dei metodi relativi. Sul piano metodologico le direzioni di marcia possono veramente essere tante. La rassegna di modelli di pastorale giovanile che abbiamo tracciato, indica un esempio di queste possibilità.
    Non si tratta di un pluralismo solo formale, come potrebbe apparire a prima vista, quasi si usassero dei sinonimi per esprimere le stesse realtà. Alla radice ci sono interpretazioni diverse degli stessi contenuti della fede. «Tutti i cristiani accolgono la medesima rivelazione di Dio in Cristo, ma ciò che essi ricevono non viene posto in linguaggio allo stesso modo. Il ricevuto, ciò che non è stato escogitato o pensato dall'uomo, eccede la capacità umana di espressione. Così l'immagine di Cristo dei Sinottici, la loro cristologia, presenta evidenti differenze dall'uno all'altro vangelo; e, presa come un tutto, la cristologia sinottica si distanza ancor più nettamente dalla cristologia paolina; e con l'immagine giovannea del Cristo ci sembra, come prima impressione, di entrare in un mondo di fede diverso».
    Oggi questo pluralismo di interpretazione della stessa fede è inevitabile e per alcuni versi, insuperabile. L'orizzonte di presupposti e di problemi che forma il filtro, la chiave di lettura e di espressione «personale» (di singoli, di gruppi, di «scuole») della stessa fede è molto diverso, perché si rifà ad antropologie e a filosofie diverse. «Nella Chiesa c'è sempre stato un pluralismo di scuole teologiche. Oggigiorno però ci troviamo di fronte ad una nuova forma di pluralismo. Una volta il pluralismo si situava dentro l'orizzonte di presupposti e di problemi che, in definitiva, erano comunemente condivisi da tutti. I concetti, i presupposti filosofici e l'unica lingua latina erano quasi comuni a tutti. Oggi le cose sono mutate. La stessa filosofia è diventata pluralista».
    Il pluralismo, sia di interpretazione che di scelte metodologiche, non può essere l'ultima parola. È necessario determinare un criterio (o, meglio, una serie di criteri) che possa diventare «principio di verificazione», normativo per la prassi. I teologi si sforzano di decidere quali siano questi principi, sul piano dei contenuti. Le loro risposte, anche se in direzioni diverse, coinvolgono necessariamente «il magistero ecclesiastico», in un preciso ruolo «dentro» la comunità ecclesiale.
    In campo di pastorale giovanile, non ci mettiamo a discutere queste conclusioni teologiche: non è compito della pastorale determinare l'ortodossia di una interpretazione della fede. Essa deve «mediare» la salvezza (così come la fede e la teologia la descrivono) nelle situazioni concrete di vita. Accogliere o rifiutare una serie di dati teologici, alla luce di principi di verificazione che superano la sua competenza. L'orizzonte d'obbligo per la pastorale è la fede: essa, prima di tutto, deve restare «fedele al progetto di Dio sull'uomo» (RdC 160).
    Nell'ambito dell'ortodossia, ci sono però obiettivi, mete, metodologie e interpretazioni diverse; c'è largo spazio per un corretto pluralismo pratico. La pastorale è orientata alla prassi, è scienza operativa. Per questo deve scegliere.
    Tra le tante possibili direzioni di marcia, deve privilegiare una direzione e muoversi in essa, con coerenza e armonia. Articolare i vari obiettivi attorno ad uno capace di fare da perno. Gli strumenti, le mete intermedie, le priorità operative, le verifiche, tutto l'apparato pastorale diventa funzione di questa decisione radicale.
    Quale «principio di verificazione» orientato alla prassi possiamo utilizzare, per decidere l'uso di un modello pastorale piuttosto che di un altro?

    MISURA E MODO «RELATIVI» Al DESTINATARI

    Come si vede, il problema è molto concreto. Chiama in causa la funzione tipica dell'operatore pastorale e della comunità educativa.
    La pastorale giovanile è chiamata a scegliere tra le molte linee operative possibili, quella che maggiormente facilita, al giovane concreto, il raggiungimento di una matura crescita di fede.
    L'esigenza è stata sottolineata, con una formula riuscita, da RdC: «I punti di partenza e i procedimenti della catechesi possono essere diversi, secondo le esigenze e le possibilità dei fedeli. Così si può partire dalla Parola di Dio o dalle esperienze quotidiane; si può procedere secondo i criteri strettamente dottrinali, o seguendo interessi di attualità; si può accentuare il bisogno di allargare le conoscenze, o di scoprire la realtà ecclesiale, o di approfondire il rapporto fede e vita. Il riferimento che dà valore a tutto il percorso catechistico, è sempre ad una realtà piena e concreta: la situazione viva del cristiano, la sua vocazione, la sua mentalità di fede, la sua comunione con Cristo nella Chiesa, la sua storia nel mondo, la sua destinazione all'eternità» (RdC 162). La scelta di un modello di pastorale va elaborata tenendo conto del «destinatario» concreto in rapporto all'obiettivo globale dell'azione pastorale. Per questo giovane, nel qui-ora della sua esperienza storica, quale metodo pastorale sembra più funzionale, per il raggiungimento della maturità di vita cristiana? La risposta diventa normativa. Quello che sembra più funzionale determina l'orientamento metodologico che l'educatore della fede è chiamato a scegliere. Non sono i suoi gusti personali, non è né l'esperienza passata né la strumentazione educativa che gli si è accumulata tra le mani. Tutto questo va ridimensionato sulla misura dei destinatari.
    Insistiamo su un aspetto che ci pare importante. In causa non è questa o quella tradizione pastorale, ma la pastorale nella sua globalità: l'interpretazione della fede in un qui-ora storico, la decisione sugli obiettivi, gli orientamenti metodologici, i modelli pastorali relativi. All'interno di un riferimento ortodosso, che la pastorale deriva dalla riflessione teologica e dai documenti magisteriali, «la misura e il modo della pienezza (della predicazione del messaggio cristiano) sono variabili e relativi alle attitudini e necessità di fede dei singoli cristiani e al contesto di cultura e di vita in cui si trovano. La Chiesa ha sempre predicato con particolare sollecitudine quelle verità che in un determinato contesto, possono essere integrate nel pensiero e nella vita dei vari ascoltatori, proponendole "secondo quanto conviene alla situazione e al dovere di stato di ciascuno"» (RdC 75).

    PER UNA MOTIVAZIONE TEOLOGICA

    Nel pluralismo delle possibili opzioni, la decisione di assumere i destinatari come criterio normativo della pastorale, non è un ritrovato di sapore pedagogico. Non si tratta di «adattamento tattico», come ultimo ponte di un dialogo che si fa sempre più difficile, tra l'oggi della salvezza e i giovani. Nella prospettiva del RdC, è una scelta di ordine teologico. Elaborando una pastorale giovanile sulla misura dei destinatari, si è fedeli al mistero dell'Incarnazione, per il quale Cristo va «presentato come evento salvifico presente nelle vicende quotidiane degli uomini» (RdC 55, 96, 97).
    Sul piano operativo questa fedeltà al Figlio di Dio che si è fatto vero uomo, significa che la vita divina proposta ai giovani assume veramente i tratti della cultura giovanile: «le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce» dei giovani d'oggi (GS 1), cioè tutte le componenti psicologiche e sociologiche, che formano come l'umana carne, in cui la Parola di Dio si incarna.
    L'accento posto sulla motivazione teologica aiuta anche a superare il rischio di un adattamento che diventi «svuotamento» dell'irrinunciabile della fede. In questa incarnazione pastorale, il principio attivo è la salvezza di Dio, Cristo stesso; quindi è esclusa ogni subordinazione del mistero di Dio agli interessi giovanili. Ma questo dono di Dio non si sostituisce alla vita culturale dei giovani, creando quella frattura interiore, la «dissociazione tra fede e vita», che è «gravemente rischiosa per il cristiano» (RdC 53). Cristo si «incarna» nella realtà umana, assumendo senza pregiudizi ciò che è valido, liberandolo dal male e immettendo meravigliose novità, ben integrate con la realtà umana che salva.

    PER FEDELTÀ Al DESTINATARI, UNA LARGA PLURALITÀ Dl MODELLI PASTORALI

    La scelta dei destinatari come criterio per la pastorale giovanile, aiuta a districare il groviglio di problemi che hanno la loro origine nel pluralismo culturale in cui viviamo. Spinge a preferire un metodo all'altro, evitando che il pluralismo di opzioni degeneri in pressappochismo operativo. Ma, nello stesso tempo, motiva la pluralità di modelli di pastorale giovanile e ne fonda il diritto di cittadinanza nella pastorale ecclesiale, come concrete risposte alle diverse situazioni che caratterizzano l'attuale condizione giovanile.
    All'uscita della scuola secondaria inferiore, che è unica, la popolazione giovanile si disperde in un vasto ventaglio di strade: dal lavoro ai diversi tipi di scuola. Questo primo indice di pluralismo permette di cogliere quanto sia forte nell'età giovanile il pluralismo di situazioni, quindi di problematiche, di maturazioni e capacità culturali e religiose. Le diversità di carattere e di livello sociale in questa età diventano più storiche, più strutturate, più determinanti. Non esiste un fenomeno giovanile univoco; il fenomeno giovanile è caratterizzato da un chiaro pluralismo culturale. Tale complessità è determinata, tra l'altro, da fattori di età che vanno dal limite minimo in cui comincia il processo della vera desatellizzazione (14-16 anni) a tutti gli anni seguenti, unificati dal comune denominatore della ricerca di scelte ben definite e urgenti (la scelta professionale - la scelta matrimoniale - la scelta politico-culturale); da fattori situazionali di notevole incidenza, quali la scuola, il lavoro, l'università, le scuole serali, l'apprendistato, il fidanzamento, il servizio militare, la partecipazione a gruppi culturali, la programmazione autonoma del tempo libero, l'orientamento della vita verso vocazioni «religiose»; da fattori caratteriali dovuti all'accentuazione decisiva delle differenze culturali (operai, studenti), delle differenze tipologiche, sessuali e socioeconomiche; da fattori esistenziali, logico risultato di crisi metafisiche-affettive-edonistiche, di valutazione di diversi aspetti della realtà che sono avvertiti come dubbi profondi, di orientamento pessimistico o ottimistico, oppure contemplativo o attivo della realtà.
    La pastorale giovanile deve tener conto di questa situazione, e pur nelle indispensabili scelte, conservarsi rispettosa del pluralismo culturale. Pluralismo non significa però genericismo o pressappochismo: significa proporzionare il metodo ai concreti destinatari, senza assolutizzare una scelta a scapito delle altre.
    La carità di Cristo spinge l'educatore ad incarnarsi nelle diverse situazioni giovanili; preferisce sobbarcarsi la fatica di escogitare diverse forme di pastorale per dare a ciascuno un lievito adeguato alla sua pasta, finché tutti siano almeno incamminati verso il centro comune di verità e di vita.
    «Mai un educatore o una comunità educatrice hanno concluso il loro lavoro: una tensione spirituale profonda li tiene continuamente desti, sempre pronti a trovare il loro nuovo posto nella vita di coloro dei quali devono avere cura. Tutto diviene servizio e ansia di carità apostolica» (RdC 159).


    NOTE

    [1] Il rapporto tra fede e realizzazione di sé, sia a livello personale che nel necessario riferimento sociale, chiama immediatamente in causa il più ampio rapporto tra temporale e spirituale. Per definire entro quali termini concreti e specifici la fede è coinvolta nella personale realizzazione, ci si interroga oggi su questo problema: il primato va allo spirituale o al temporale? Si tratta di un serio e grave interrogativo, la cui risposta condiziona alla radice il modello (e la consistenza stessa) di una pastorale giovanile.
    Si parla di primato del temporale, trascinando alle esigenze ultime la secolarizzazione: « esse non implicano la secolarità del mondo, ma anche quella del cristianesimo e, più in generale, della religione; non implicano soltanto l'autonomia del profano, ma anche l'eteronomia del religioso » (136). « Il primato del temporale è un principio epistemologico: esso esige che le realtà religiose (Chiesa, teologia, Bibbia, esperienza religiosa, pratica sacramentale, ecc.) vengano studiate in primo luogo con un approccio profano, scientifico e filosofico, e che l'approccio teologico ne assuma le conclusioni » (137). Sul piano dei valori, dei progetti e delle finalità « il religioso non può essere che secondo rispetto alla maturazione personale e collettiva, la quale non è solo, beninteso, la ricerca del benessere e del piacere, ma include essenzialmente la dimensione etico-politica » (137).
    Le conseguenze pratiche di questa scelta sono, a nostro giudizio, molto problematiche. Ne elenchiamo alcune:
    - Bisogna affermare, prima di tutto, la totale autonomia dell'impegno politico e la decisiva laicità di ogni processo educativo. E quindi lo sviluppo del rapporto tra educazione alla fede ed educazione umana, a favore di quest'ultima. La fede non esercita alcuna funzione normativa nei confronti del progetto d'uomo e di società che si vuole costruire.
    - L'impegno politico, inteso come lotta per la liberazione politica, è dimensione essenziale e fondante ogni processo pastorale. Non c'è evangelizzazione senza impegno per la liberazione politica. « Ciò esclude una concezione spiritualista della liberazione e dell'educazione cristiana e, per ciò stesso, della missione di Cristo e della Chiesa, della Redenzione e della evangelizzazione. Affermando che la lotta per la liberazione politica è essenziale al cristianesimo, noi affermiamo anche, per parte nostra, il legame necessario fra questa lotta e le esigenze specifiche della liberazione cristiana. Il Cristo appare allora come Educatore e Liberatore per eccellenza dell'umanità, anche sul piano profano » (149-150).
    Al primato dell'evangelizzazione si sostituisce così il primato della liberazione.
    - Il riferimento al rapporto personale e collettivo tra Dio e l'uomo, tra Cristo e l'uomo, diventa la dimensione essenziale e il fondamento ultimo di ogni impegno di liberazione. Con questo richiamo si vuole salvare la specificità dell'esperienza religiosa cristiana. Essa perde ogni funzione normativa rispetto alla realizzazione personale, per diventare unicamente una significazione radicale, della comune lotta di liberazione.
    Da queste premesse nasce sicuramente un progetto educativo capace di integrare fede e realizzazione di sé, in modo globale e unificante. A nostro avviso, però, in una prospettiva troppo riduttiva della specificità della fede, svuotando così la consistenza stessa di una « educazione alla fede ».

    (Le citazioni sono ricavate da GIRARDI G., Educare: per quale società, Assisi 1975).


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