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    Ma in tutto questo, Cristo cosa c'entra?



    Un gruppo come gli altri, con un sacco di problemi

    (NPG 1976-07/09-25)

    La necessità di rispondere alla richiesta di una «storia della fede della comunità», ci ha messo di fronte alla storia delle scelte della comunità con andamento sintetico tra il cronologico e l'ideologico, la storia cioè del nostro progetto di vita cristiana personale e comunitario.
    La chiarezza ha esigito un certo sacrificio della precisione cronologica, raggruppando fatti e scelte che forse erano con più precisione situati in un contesto leggermente differente.
    Abbiamo anche dovuto scontrarci con maggiore chiarezza e maggiore sofferenza con l'impossibilità di redigere la «storia della fede»... a prima vista perché:

    – Per noi non è esistita una dimensione di fede se non sempre all'interno di un progetto di vita che si veniva maturando, e ciò con i suoi pregi di concretezza e aggancio alla vita, con i suoi limiti di imprecisione e di impoverimento della proposta evangelica.

    – Per noi non è mai potuta esistere una «vita di fede» celebrata nella normalità della vita di comunità, per il fatto che le nostre «manifestazioni religiose» (eucaristia, preghiera, sacramenti) si sono sempre volute e dovute verificare nella normalità della vita parrocchiale, che non riconosceva in noi la linea portante della comunità parrocchiale, d'altronde inesistente: rinunziare a pregare in un certo modo per restare nella Chiesa.

    – Per noi non è quasi mai esistito un prete: il nostro cosiddetto prete ha sempre fatto l'animatore soprattutto, l'educatore, il politicante, lo scenografo, il giornalista, il pensatore, lo psichiatra, il capoufficio, ma in otto anni non ha mai celebrato l'Eucaristia in Parrocchia con noi, ha raramente celebrato la riconciliazione con noi. Noi il prete, quando ci serve, ce lo siamo andati a cercare un po' di qua e un po' di là!

    – Per noi soprattutto però è stato vissuto il lungo travaglio dell'incontro tra le «due anime», l'anima ex clericale e lo spirito ex marxista di cui tenteremo di raccontare l'avventurosa storia.

    STORIA DI QUESTO CRISTO

    (Evoluzione del progetto cristiano all'interno dell'esperienza di fede della nostra comunità giovanile).
    A un certo punto ci si accorge che la nostra storia è la storia di un certo Cristo nel senso che man mano che la vita andava avanti, il Cristo ci si presentava con dei connotati precisi, più precisi, diversi anche se conseguenti ai precedenti. A un certo punto ti prende lo sgomento perché ti domandi se quel Cristo che è ora per noi ragione di vita e di lotta è Io stesso Cristo che chiama gente nella Parrocchia accanto, o peggio ancora se è lo stesso Cristo sul quale giocavi la vita 8 anni fa, quando nacque la Comunità.

    Come mai? Perché solo chi cambia è un vivente

    Perché il nostro Cristo non era un enunciato teologico da credere o da non credere ma un progetto di vita da vivere insieme. Ecco il punto. È tutta questione di un «certo» progetto di vita, personale e comunitario, che si viene scoprendo pian piano, a confronto con altre esperienze con cui ti misuri, a confronto con la Parola che ti misura sempre con un metro sempre più esigente. E la storia di questo progetto? Com'è nata quest'avventura per la quale molti di noi gettano salute, soldi, famiglia, professione, casa, pace?
    È imbarazzante un po' come scrivere la storia di una famiglia, di un Amore. Sarebbe più bello poter sfogliare l'album delle foto ricordo, rivedere i volti degli amici, riandare insieme con nostalgia ai momenti forti e drammatici della nostra storia, sognare insieme per il futuro... Ecco: è solo a questa condizione che possiamo andare avanti a scrivere qualcosa, solo indovinando al di là di queste pagine non lo sguardo attento dello studioso o dell'«operatore pastorale», ma il volto invece del giovane, dell'animatore, innamorato e stressato come sempre, del credente che scruta la nostra storia per cogliervi non le ricette o i malanni, ma per inseguire egli pure il Progetto-Cristo-oggi-qui.
    Il nostro progetto di vita cristiana è maturato in varie ed alterne fasi ma attualmente, osservando il passato con gli occhi della «fede» per cogliervi la «storia della salvezza» che vi si veniva scrivendo, ci pare di cogliere quattro fondamentali stagioni della comunità, e siamo attualmente in attesa della quinta stagione, di quel «salto» qualitativo e definitivo che poi diremo.
    Verremo così enumerando le scelte fondamentali e specifiche del nostro progetto di vita cristiana non certo come organicamente dovrebbero concepirsi ma come i fatti, la storia, le persone, le difficoltà, le persecuzioni, i fallimenti ce le hanno fatte vivere, componendo man mano, tra ritocchi e cancellature, il disegno che ora man mano stiamo vedendo comporsi. Amico, abbi pazienza rispettami, rileggi queste righe come il diario di una «storia d'amore», quest'amore che ci lega tra noi 515 piccoli e grandi e tra noi 515 e Lui, il Cristo!
    Sì, una Storia d'Amore.
    Diremmo anzi più precisamente che la storia del progetto di vita cristiana della nostra comunità lo sentiamo attualmente come la storia di un tormentato fidanzamento che giunge ora in vista del matrimonio: il fidanzamento dell'anima ex clericale con lo spirito ex marxista verso l'incontro nel progetto cristiano.
    Siamo nati così, dall'incontro per fortunose circostanze di giovani provenienti da queste due esperienze, apparentemente così diverse, che storicamente però si erano incontrate in quel fortunoso momento che fu il 1968: noi ci sentiamo ancor ora tanto «figli del '68» e nel «noviziato» che facciamo fare ai nostri più giovani cominciamo sempre la storia della comunità dalle «barricate» di Parigi e dalle botte con la polizia nella nostra città.

    PRIMAVERA

    La nostra primavera fu il momento in cui si incontravano senza fondersi le esperienze «oratoriane» di chiesa e di sacrestia, tutt'al più di babisitteraggio e le esperienze di lotta di quei credenti che allora si erano illusi di poter con poca fatica vivere insieme la fede come una bandiera e la lotta come una molotov.

    1. Il primo modello di «vita comune» tra noi richiamava abbastanza da vicino, pur con tutta l'utopia, la «comune», il «kibbuz», il «kolkoz», il «gruppetto».

    2. Lo spunto per darci il coraggio di nascere e di «fare qualcosa» non ci venne dalla «Chiesa» ma dall'«Antichiesa», la contestazione ecclesiale: ci era parso che valesse la pena di vivere combattendo per Cristo contro i cristiani.

    3. Lo stile di vita della contestazione veniva accolto tra noi, riletto nel contesto biblico dei «poveri di Javhè», dei ribelli e dei perseguitati, ed anche la facciata di hippysmo fu e resta tuttora per noi una componente essenziale del nostro stile di vita.
    Le nostre «pazzie» erano il modo per dire a noi ed agli altri che non accettavamo l'integrazione nel sistema politico ed ecclesiale, era la certezza che per fortuna noi credevamo ancora alla befana, «siamo realisti, domandiamo a noi ed agli altri, l'impossibile!».

    4. Ancora oggi capita di passare sporchi ed infangati da una gita nel bel mezzo della via più lussuosa della città, a cantare inni di chiesa ed inni della resistenza, mentre la gente si allontana con timore ma con simpatia! E così gite in 450 bambini sul treno, così l'andare a Lourdes in bicicletta, così capita di provocare incendi nel vicino bosco durante i giochi dei bambini, così farsi calare in una carriola da un campanile alto 80 metri, così il ballo di Pasqua in piazza, così gli scherzi piromani...

    5. Di quei tempi ci pareva di dover fare anche della fede una «forza d'urto». Per la festa patronale avevamo allestito un grandioso altare dentro la chiesa parrocchiale con tutto un vasto discorso teologico composto da oggetti veri e naturali che comprendevano un manichino da sposa, un martello pneumatico, un razzo, una tomba, una zattera sul lago... Fu un successone, arrivò la stampa, in prima pagina sui giornali cittadini. E arrivarono anche le calde lacrime del Vescovo!
    Si disse allora «nella Chiesa per una certa Chiesa».

    6. E i «piccoli»? Noi ci trovavamo con una schiera enorme di bambinetti: ma le statistiche ci dicevano che se nell'oratorio passavano quasi tutti i bambini del quartiere, poi quasi tutti a 14 anni se ne andavano: ci siamo allora trovati sospinti ad alcune scelte radicali:
    – La soppressione della squadra di calcio: allora diventava alienante e solo dopo aver negli anni seguenti ben calibrato «binarii e quadretti» se ne riaprì un'altra, solo dopo cioè che fu acquisito «prima la comunità e poi lo sport».
    – L'abolizione del «gruppo escursionistico»: non doveva esistere per i ragazzi lo sbocco di un qualunquistico ambiente fatto per far trovare moglie o marito e poi scomparire.
    – No al chiuso della sacrestia: la «giornata mondiale dei lebbrosi» ci vedeva ad affiggere manifesti, striscioni, bandiere, naturalmente abusivi, per varie ore della notte del sabato, e poi gran corteo in piazza con i bambini dalla prima elementare in su!
    – Sì al «tempo libero pieno»: pian piano i ragazzi devono decidersi a lasciare ogni altro ambiente che non sia il nostro, dai 13 ai 17 anni: è in questo tempo che si giocano le carte definitive per il progetto cristiano di vita e stare con noi dev'essere tanto bello, attraente, grintoso, ed esaltante che ogni altra compagnia, naturalmente compresa la famiglia, devono essere abbandonate: tutto il tempo libero, domenica ed estate compresa, i ragazzi la passano con noi.
    – Rottura con le famiglie: la gran maggioranza delle famiglie è ovviamente contraria a che noi educhiamo cristianamente i figli; anzi i più contrarii sono
    ovviamente quei genitori che vengono a messa e che speravano dalla messa la paralisi di tutte le migliori possibilità del figlio, come di fatto spesso avviene. Allora per 6 anni, dalla seconda elementare alla seconda media, ci conquistiamo affettivamente il ragazzo, poi lo «mettiamo contro»: non certo i genitori ma contro i progetti che i genitori hanno di lui facendone sentire l'alternativa: «chi ama suo padre o sua madre più di me non è degno di me». Ovviamente molte famiglie considerano la comunità giovanile come la peggiore rovina dei loro figli. Certo: «chi non perde la propria vita in questo mondo...».

    7. Questo comporta che tutti i grandi passino un periodo con i piccoli e poi si tirino su i piccoli lungo tutto l'arco della crescita fino a che, arrivati ai 18 anni, possano fare vita insieme. I grandi, cioè, scegliendo i piccoli come loro servizio di animazione, sanno che in linea di massima non si tratterà del servizio di un anno, ma di tutta la vita: perché proprio così veniva maturando che la comunità non aveva molto senso se a un certo punto fosse finita. Noi attualmente contiamo di vivere insieme fino alla morte: per questo ci si sposa sempre a gruppi di coppie e cerchiamo di andare ad abitare vicino o insieme.
    Come vivere l'esperienza del Vangelo se non in vita comune?

    8. La liturgia: il primo tempo della nostra comunità fu abbastanza travagliato: noi credevamo fosse possibile pregare in chiesa secondo le nostre esigenze. Ed allora ci si era dati da fare in mille modi per rendere più vive le cosiddette funzioni, le «vie crucis», le messe, i canti, la spiegazione del vangelo... Molto presto arrivarono le proibizioni e la nostra fantasia fu esclusa dalla preghiera ufficiale.

    9. La collocazione ecclesiale: era il tempo dei «gruppi del dissenso». Cosa ci ha trattenuto dall'imboccare la fascinosa strada dell'avventura ecclesiale? La fede? Certo! La risposta di don Mazzi: «chi è Gesù Cristo per te?», «un operaio!», ci ha spalancato gli occhi. Ma forse dietro le giustificazioni pur valide ha giocato un fatto affettivo: la gente. Ci sentiamo dentro una «vocazione popolare», non élitaria. Restare con la gente voleva dire anche restare con la parrocchia, dentro la parrocchia, voleva dire essere disponibili a tutte quelle mutilazioni che vennero dopo. E la storia ci avrebbe dato ragione.

    10. E la catechesi? La catechesi restava in parrocchia, restava una manifestazione coreografica, un doveroso marcare presenza per poi ricevere Comunione e Cresima. Si alimentava così una vita di fede che doveva recuperare al di fuori dell'istituzione quell'esperienza di Vangelo che ci spingeva a restarci, nell'istituzione! Così i ragazzi imparavano il catechismo della parrocchia e poi si beccavano il catechismo alternativo, vivenziale del gruppo: tutto a posto per una vita di fede schizofrenica.

    11. E la preghiera di noi grandi? Schizofrenica abbastanza anche questa. «Lettere dal deserto» di Carlo Carretto fu il nostro iniziale «best seller», ma proprio l'«apostolo» di questo profeta, la prima «colonna» della comunità, proprio lui crollò ben presto sotto il peso delle sue intuizioni.
    Un altro filone spirituale comunitario tentava la strada delle allora di moda «preghiere» di Quoist, che poi sono abbastanza poesie e non preghiere. Iniziava in quel tempo l'uso delle «celebrazioni paraliturgiche» realmente a misura d'uomo, diverse dalle celebrazioni liturgiche a misura di legge.

    12. Il primato dell'uomo, del singolo, del piccolo: nascendo come comunità giovanile a servizio dei piccoli, pur entro il filone socio-politico, restava poi facile intuire appunto il primato dell'uomo sulle strutture, il primato dell'amore sull'organizzazione.

    13. La prassi dei «documenti»: la nostra comunità conta una quindicina di «documenti», ciclostilati cioè in cui dopo lunga elaborazione si fissano in diverse pagine le «norme comportamentali» acquisite, accanto alla molteplicità di giornalini e di avvisi vari (almeno uno al giorno). Così venivamo elaborando un primo discreto ciclostilato sull'educazione all'amore fatto dalla vita, e la prima puntata del «Pierino», la novella a puntate, fatta dei nostri sogni e della nostra realtà, che man mano incarnava per noi e per i più giovani che crescevano lo stile del progetto di vita cristiana, una «puntata» ogni 2 anni.

    Durante questa nostra «primavera» la fede certo era un po' soprattutto una «bandiera» da sventolare nella battaglia «terrestre», più che l'esperienza di un incontro col Cristo, e col Cristo Liberatore: fede e storia vivevano accanto l'un l'altra, garante della non sconfitta la prima, garante della non alienazione la seconda. Davvero un fidanzamento difficile!

    ESTATE

    Questo difficile incontro delle due anime, l'anima ex marxista e lo spirito ex clericale, incarnati di fatto in due diverse serie di persone entro la stessa comunità, si sbilanciava, dopo i primi due anni (68/69), verso una netta accentuazione della dimensione politica nel progetto di vita cristiana, nei secondi due anni di vita della comunità (70/72).

    1. La scoperta di Nomadelfia ci apre il cammino verso la concezione di un certo tipo di coppia e di matrimonio e di famiglia non come collante al sistema ma come dirompente del sistema. Queste famiglie di don Zeno alle quali all'atto del matrimonio vengono offerti in regalo i figli, gli orfani, ci innamorò di un «certo stile» di «fare l'amore» e noi tutti sappiamo come la dimensione affettiva sia importante per i giovani e rischi di diventare spesso deviante o addirittura alienante. Ebbene proprio qui avremmo fondato il nostro progetto di vita cristiana, ed il nostro futuro lo avremmo chiamato «famiglia di famiglie», il più possibile con cassa comune, con casa comune, con cuore in comune, con casetta per le ferie in comune, radicata nella comunità e nel quartiere, al punto che attualmente, come in un ordine monastico, non si accettano fidanzamenti se non tra i partecipanti alla comunità o almeno con qualcuno che ne desideri venire a far parte: in caso contrario si lascia la comunità. Se ai ragazzi domandiamo di «scegliere la comunità per la vita fino alla morte» come sarebbe possibile vivere fino alla morte assieme ad uno che questa scelta fondamentale non la condividesse?

    2. È ancora di questi tempi la scoperta dei «santuari» della Chiesa dei giovani d'oggi. Dopo Nomadelfia, Loppiano, poi Taizé, poi Bose, poi Cuneo, la Cittadella di Assisi, Spello. Da allora durante la Settimana Santa di ogni anno, la comunità parte in diaspora e si gira per l'Italia o anche fuori, ai vari campi di lavoro o campi per animazione missionaria: questa diventa per noi una necessaria educazione alla mondialità e più ancora il modo concreto di vivere la Chiesa. Non faceva forse fin dal tempo del Medio Evo un sacco di chilometri a piedi la gente per andare non certo come oggi a «visitare» i santuari ma per incontrarsi con dei significativi centri di fede?
    Quest'anno poi ultimo, nel quale stiamo scrivendo, abbiamo utilizzato un articolo de «Il Regno» che ci parlava di «un nuovo cristianesimo sociale» (gennaio '75) ed abbiamo scritto una gustosa lettera circolare a tutte queste comunità che sono consociate con la «Caritas» nazionale ed abbiamo trascorso una folgorante esperienza presso il gruppo «S. Egidio» di Roma. Così per spiegare ai più giovani i varii aspetti della vita di fede usiamo ormai tramite registrazioni e diapositive utilizzare proprio le esperienze pasquali: i giovani apprendono così davvero la fede della Chiesa, quella di oggi e di domani.

    3. Particolare rilievo ebbe poi il campo scuola su «Liberazione: un dono che impegna» fatto dal Centro Salesiano Pastorale Giovanile a Ulzio: fu come intravvedere che tutte le intuizioni migliori della nostra esperienza di elaborazione di un Progetto di vita cristiana non erano intuizioni giovanili ma erano già state «sistemate» entro il recinto dei laboratori delle varie teologie politiche. Dopo anni di «praticismo» ecco profilarsi la sicurezza e il fascino degli orizzonti intellettuali, assieme al pericolo dell'intellettualismo.

    4. Ecco allora la corsa alle riviste ecclesiali. Possiamo dire che siamo rimasti nella Chiesa anche e soprattutto perché nel deserto di fede, entro la steppa dei ritualismi in cui viviamo, ci siamo abbeverati all'acqua viva, anche se a volte inquinata, delle riviste cattoliche.
    Quest'anno abbiamo speso 200.000 lire, fatte di nostri risparmi, proprio per diffondere abbonamenti omaggio ai cristiani più vivi della nostra città. Una Chiesa, ed una certa Chiesa passa anche tanto per certe riviste. Quali? Inizialmente «Dimensioni», che serve per i ragazzi dopo la terza media, poi «Note di pastorale giovanile», poi «il Regno», «Concilium», «Servitium», «Catechesi», ecc.

    5. Fu di quel tempo anche la scoperta cosciente dell'«Azione Cattolica Nazionale»: al di là della crosta di un popolo di bigotti, le linee portanti del rinnovato statuto dell'Azione Cattolica ci davano realmente tanto spazio e tanta creatività e tanta partecipazione: non ci siamo mai pentiti di pagare ogni anno oltre un milione di lire in tessere dell'Azione Cattolica.

    6. Poi la scoperta della Bibbia come «libro dell'Alleanza», come «diario di bordo della liberazione in cammino», una liberazione dell'uomo e della storia. E allora eccoci ai salmi, la preghiera dei poveri, del popolo, degli oppressi, di Cristo... sono le scoperte fatte a Bose!
    Allora si tentano nei «campi scuola» le esperienze di liturgia viva entro le quali si celebrano gli avvenimenti forti, i patti e le alleanze fondamentali della comunità, durante le quali si conferiscono gli «incarichi» (come le «sacre ordinazioni») e si scoprono i «carismi»... durante le quali i singoli ed i gruppi fanno le «promesse di fedeltà alla comunità, alla Chiesa, a Cristo», durante le quali ci si sposa o ci si vota al celibato...
    7. Prima ancora si era scoperto «Pregare giovane» ma servì un po' meno alla preghiera e un po' di più alla «quadratura» delle linee portanti del progetto di vita cristiana. Fu per noi un testo certamente basilare che ci abituò a «leggere la fede nella storia», il testo che ci aiutò a interiorizzare i valori di fondo del nostro vivere insieme, il testo nel quale avvertimmo la continuità tra la novità cristiana e la istintiva novità di vita della psicologia giovanile.

    8. Un particolare incrocio tra l'anima ex clericale e lo spirito ex marxista
    lo trovammo nella dimensione «missionaria» o «terzomondista», a seconda appunto da che parte lo si volesse vedere.
    Ci parve anche di cogliere il valore profetico del fatto che là dove il mondo nuovo nasceva, cioè in America Latina, là appunto fossero i cristiani a farlo nascere, nelle «comunità di base». Non ci sembrò una coincidenza casuale ma come il riscontro che dove più viva si esperimentava una certa utopia della fede, là appunto più nascesse un uomo nuovo per la storia.
    Fu così che i più grandi di noi se ne partirono tutti per il terzo mondo per un campo di lavoro estivo. Poi non se ne fece più niente, ma una cicatrice indelebile marchiò per sempre la nostra ribellione contro la cosiddetta civiltà, ribellione condivisa per noi accanto a quei missionari che ci avevano ospitato: e i due ricordi restarono vicini.

    9. Fu in questo tempo di approfondimento politico che la nostra Comunità di Azione Cattolica visse alcuni anni insieme alla locale ASCI: quando più tardi aumentarono le opposizioni politiche ed ecclesiali, i nostri scouts si staccarono per imboccare di fatto la strada del dissenso prima della secolarizzazione poi e forse della disgregazione, come gruppo ecclesiale.
    Quello con Acli fu per noi un incontro pieno di interrogativi: non potevamo agire come gruppo parrocchiale nelle strutture politiche senza pagare il tributo alla DC. Ci decidemmo allora a fondare o meglio rifondare le Acli in delegazione: fin tanto che non c'è la sede tutto va bene, poi arriva la sede e le incomprensioni.

    10. Nel frattempo alcuni di noi avevano tentato la strada della doppia militanza, sia comunitaria come educatori e liturgisti, sia come attivisti di gruppi politici scolastici. Attualmente diversi ci riescono assai bene, allentatasi la morsa dell'integrismo circostante, ma i primi passi in questo senso furono cosparsi di cadaveri; altri ci lasciarono. E il tributo delle scelte, dei tentativi prima di imboccare la strada giusta.
    Questi scossoni indussero allora la comunità a precisare le norme della propria appartenenza, ed ecco il «Censimento», un documento con cui ognuno è chiamato a confrontarsi per verificare la propria posizione. Di fatto la linea di demarcazione di appartenenza alla comunità per un verso lascia più spazio a tutti di esserci dentro, come singoli, mentre la comunità si precisa sempre più il sentiero e l'obiettivo.

    11. Un cenno particolare merita la crisi del sacramento della penitenza o riconciliazione che dir si voglia. Nei primi anni c'era la fila al confessionale, poi meno, poi quasi più niente, o meglio solo in certe circostanze:
    solo cioè dopo un preciso itinerario quaresimale di conversione, solo ìn certi precisi «tempi» e momenti forti, solo dopo un profondo ed imbarazzante «spogliarello pubblico dell'anima», su di un «esame di coscienza» in dodici pagine che ci siamo fatti, e durante la celebrazione paraliturgica: ecco il valore ed il pericolo di fare dei gesti solo quando la fede cambia visibilmente e subito qualcosa!

    12. L'area di parcheggio dell'impegno politico.
    Per le esperienze effettuate una militanza politica effettiva e «normale» portava alla crisi di appartenenza al gruppo. Ecco allora che la fedeltà alla storia viene sacrificata alla fedeltà a Dio (!!!) inserendosi nella sola DC, spostandosi sull'impegno terzomondista, accentuando la portata personale, al limite moraleggiante della «testimonianza d'ambiente». E normalmente i ragazzi sono stati al gioco: hanno capito che alla lunga, sulla lunga distanza, era meglio rinunziare a qualcosa per non perdere tutto, l'identità cristiana.

    13. Particolare rilievo veniva intanto assegnandosi alla scelta professionale: Tutte le professioni erano forse morali? Oppure le professioni più direttamente legate al sistema dovevano essere pressantemente sconsigliate? Di qui un dolce condizionamento morale sui ragazzi per invitarli ad intraprendere le professioni liberanti soprattutto insegnamento e professioni paramediche. Se l'Amore cristiano non diventava amore politico sarebbe rimasto velleitario come tanto spesso in passato.

    14. Il fidanzamento «controllato» fin all'inizio e poi nel suo svolgimento, nella sua apertura agli altri, nella sua incidenza a riguardo della «produttività» nell'impegno comunitario, il riferimento preciso a «coppie pilota», la codificazione del «fidanzamento ideale» in un prontuario dei fidanzati perfetti, rendeva pian piano sempre più determinante la dimensione «progettuale» dell'amore in comunità, fino a che diremo «matrimonio fatto politico», precisando le norme comportamentali, dalla preghiera di coppia all'abito per sposarsi, dall'arredamento domestico alle mete significative per il viaggio di nozze, tipo Taizé o i baraccati, dallo stile dei regali per il compleanno ai «suggerimenti amorosi» perché ogni gesto d'affetto sia realmente d'affetto, dalla confessione di coppia alla «scelta di classe» come prerequisita al volersi bene, dalla domenica della coppia in comunità con gli altri alla cassa comune di coppia e di coppie... Fino ad arrivare al matrimonio di cinque coppie insieme durante la stessa messa, in una grandiosa festa di famiglia, con i bambini che circolano per la Chiesa, la predica scritta dagli sposi tutti assieme, un vertiginoso abbraccio comune al segno della pace, sull'altare i fiori di campo raccolti dai bimbi... e il pranzo di nozze tutti e 500 assieme sui prati...

    1970-1972, furono realmente gli anni dell'estate, gli anni cioè dei frutti, in cui si poté realmente vedere maturare tanti frutti dall'albero di questo progetto, ma erano un po' come i frutti d'un albero ancora selvatico...

    L'AUTUNNO

    Il tempo cioè in cui le avverse condizioni atmosferiche esterne sembrano spogliare l'albero di tutto il suo splendore.
    Ed era necessario, non solo ma atteso: un progetto che voleva essere alternativo non avrebbe potuto essere tale senza una reazione di rigetto da parte di quei «sistemi» sociale e clericale ai quali voleva appunto essere alternativo.
    Ed i morsi del rigetto non tardarono a farsi sentire:
    La «pace sociale» agevolmente gestita nel quartiere dall'immobilismo interveniva apertamente tutte le volte che i ragazzi, sotto qualunque etichetta, agitavano le acque chete della zona, per la scuola, per l'occupazione degli spazi per le costruzioni pubbliche, od anche molto più semplicemente quando i ragazzi partecipavano alla manifestazione antifascista del 25 aprile, od anche solo per il fatto che i ragazzi agivano nel quartiere senza delegare agli altri le attività.

    1. Era il tempo in cui si doveva né restare nella schiavitù dell'Egitto né entrare nella terra promessa della Palestina ma vestire la tuta blu del compromesso, restare a metà fra le due barricate di un mondo che muore ed uno che nasce, farsi «ponte»: su di noi sarebbero passati gli altri per passarci avanti! Stava a noi restare fedeli a questo popolo, tradito, sia da chi teneva il Vangelo con le briglie, sia da chi si lanciava in esaltanti fughe in avanti! Quante volte ci siamo fermati, ci siamo aiutati a fermarci, a trattenerci, dicendoci: meglio fare tutti e mille un passo che mille passi da soli!
    Compromesso: è una parola dura per giovani, ma noi l'abbiamo voluta usare sempre, proprio come un padre è obbligato ai compromessi perché ha la famiglia, e così noi avevamo sulle spalle queste centinaia di ragazzi che non potevamo abbandonare!

    2. Ma voi non v'immaginate la tristezza di essere guardati da quelli che proprio noi avevamo strappato alla spirale avvolgente del qualunquismo,
    e proprio qui da noi avevano imparato a spendere la vita per la causa degli ultimi, e poi, vedendoci fermi, paralizzati dalle circostanze, se ne andavano, per fuggire in avanti, magari mica tanti, sette od otto, dicendoci che restavamo insieme nella parrocchia solo perché eravamo o mediocri o sentimentali, legati ai ricordi dei campeggi.

    3. Le batoste esterne ci spingevano a trovare ossigeno, oltre che ovviamente tramite le prolungate boccate d'ossigeno a tutte quelle località-santuario che il Popolo di Dio dichiara tali con la sua affluenza, nei cosiddetti «gruppi di vita per la vita», persone cioè che a gruppetti di sette od otto, tentavano un itinerio di conversione comune prima per un anno, poi per due, e per la vita: le avremmo chiamate «cordate», gente adulta che mette il più possibile tutto in comune senza un preciso interesse operativo comune, anche se oltre il Vangelo e i soldi c'era la comunità in comune. Il pericolo dell'intimismo si evitava con delle sane «regole» di tipo monastico.

    4. Fu di quel tempo la proibizione di incontri di preghiera fuori chiesa contemporanei alle funzioni religiose in chiesa, per evitare che venissero considerate preghiere «alternative» alla preghiera ufficiale della Chiesa.

    5. Fu di quei tempi che ci fu chiesto «bisogna che sia una croce e non una ciminiera il punto più alto del vostro quartiere». E allora ci volle una cuspide absidale di 70 metri e ci vollero 80 milioni a quei tempi... e anche i ragazzi furono chiamati a collaborare come potevano, con dei campi di lavoro per costruire quel monumento invece che case per i senza tetto! Fu il prezzo e ci parve di doverlo pagare: anche se giovani, dicevamo, non scegliamo le bombe, ma l'evangelico granello di senape che, gettato sulle realtà cadenti non le distrugge ma, lento ed inesorabile, si radica e si estende, in mezzo ai mattoni vecchi fino a farli cadere... e già sotto ci trovi la pianta fresca!

    6. Noi volevamo restare nella Chiesa a tutti i costi: guardandoci in giro avevamo visto fin troppo che quelli che credevano di trovarsi al bivio: o Chiesa o Cristo, e sceglievano di lasciare la Chiesa per fedeltà a Cristo, quelli tanto spesso perdevano anche Cristo!
    7. Fu quello il tempo in cui si mise a fuoco la vocazione del «consacrato» in comunità: persone che stanno scegliendo di sposare la comunità e di dedicare a questo pezzo del Suo Regno non solo la giovinezza ma direttamente tutta la vita. La verginità è un valore cristiano come il matrimonio! Ma il tentativo iniziale di riunire in «fraternità» i consacrati, andò fallito, mentre sembra avviato invece il «gruppo di vita per la vita»
    composto dalle diverse vocazioni tra persone che hanno maturato per un verso un più preciso e comune progetto di vita entro un più preciso profilo dello «stesso» Cristo, e per altro avvertono una particolare sintonia vivenziale.
    Veniva alla mente: «chi mai potrà staccarci dall'amore di Cristo?...».

    L'INVERNO

    L'inverno delle due anime non vuol dire la morte.
    Vuol dire invece che mentre i rami, lo scheletro, della comunità si stagliano più chiari sul cielo, mentre le attività cioè della comunità infittiscono, si solidificano, si moltiplicano, si specializzano, e si radicano stabilmente nel terreno fertile del quartiere e della parrocchia, mentre arriviamo a contare agevolmente 95, dico novantacinque riunioni settimanali, le due anime stanno marcendo sotterra, come i due spicchi dell'evangelico chicco di grano, stanno marcendo per morire come due anime e rinascere, risorgere una pianta nuova. Verrà questa quinta stagione che, superando il meccanicismo dell'evoluzione secondo le leggi della dinamica di gruppo sboccerà poi nel fiore della «comunità cristiana» per davvero? Questa è la nostra speranza, questa quinta stagione, che non è frutto degli uomini ma dello Spirito.
    Per intanto i rami, le strutture, le attività sviluppatesi in questi ultimi due anni si vanno evolvendo così come le vediamo. Facciamo conto di fare un giro in elicottero ed ecco quello che vedremo.

    Cosa si vede?
    Un gran daffare

    1. Ci sono i BAMBINI E I RAGAZZI
    Questi trecento che in un modo o nell'altro frequentano il nostro ambiente, ma nessuno viene per il pallone o per la squadra sportiva.
    Quando ci vengono ci vengono perché c'è un animatore adulto che sta con loro, che li incontra almeno due volte la settimana, che vive con loro oggi e opera domani.
    E fino alla seconda media sono divisi in 12 gruppi.
    Ed ogni gruppo comprende quattro sottogruppi.
    Ed ogni sottogruppo ha due animatori adulti.
    E gli animatori adulti si vedono ogni settimana una volta come animatori di gruppo ed un'altra volta come animatori di intergruppo!
    Ed ogni gruppo ha il suo programma di attività, orchestrato in collegamento più o meno organico con gli altri gruppi.
    E poi ci sono le attività mensili comuni di tutti i ragazzi e bambini fino alla seconda media...
    Il tutto naturalmente autogestito, anche finanziariamente: noi non riceviamo una lira né dallo Stato né dalla Parrocchia!
    Naturalmente per tenere in piedi tutta questa baracca di gruppi e sottogruppi... ecco, chi ci vuol conoscere potrebbe fare un passo al sabato pomeriggio verso le 17,30 quando torniamo dalle varie attività con tutti questi bambolotti... dicevamo che per tenere in piedi tutto ci vuoi diversa gente che si prenda l'esaurimento nervoso, gente che perde gli esami all'università, gente che decide di non sposarsi per fare la mamma tutta la vita ai figli degli altri, coppie di fidanzati che tagliano decisamente sul tempo loro privato, famiglie e case aperte... e gente che ci preghi su per non impazzire!

    2. Poi ci sono i giovani, divisi e collegati per sesso e per età, dalla terza media all'università, distribuiti in 9 gruppi, con i soliti sottogruppi, con i soliti animatori per sottogruppo, e gli incontri degli animatori per una pastorale collegata a strati di età.
    I gruppi di animatori e i ragazzi a quest'età stanno ormai scegliendosi definitivamente «per la vita».
    E i locali per raccogliere tutti questi gruppi e sottogruppi: non ci sono. Disponiamo del piano terra di un palazzo con una decina di stanze, ed ogni sera c'è la caccia al locale: chi arriva prima lo occupa, gli altri vanno sulla panchina! Naturalmente sia piccoli che grandi, campi scuola sia estivi che invernali.

    3. Solo ultimamente c'è il GRUPPO FAMIGLIE: ci son voluti otto anni per essere ben sicuri che il Vangelo lo avremmo letto in un certo modo e non in un certo altro, per accollarci la fatica di invitare dentro anche le famiglie.
    Per ora sono i giovani che si trovano responsabili nell'educazione dei loro genitori ma siamo ben certi che fra non molto si potranno, almeno in certi settori, invertire le responsabilità.

    4. Poi ci sono i GRUPPI DI SERVIZIO entro cui lavorano sia i giovani che le famiglie: il gruppo di servizio non coincide col gruppo di appartenenza, sono insomma quelli che noi chiamiamo «gli sbocchi» della comunità, dal punto di vista operativo, mentre «gli sbocchi» della comunità dal punto di vista di appartenenza sono i «gruppi di vita per la vita» (preghiera, confronto, condivisione).

    Sbocco educazione alternativa: accompagnando il bambino dalla prima elementare e poi per sempre facendogli vivere la proposta comunitaria codificata nei 15 documenti comunitari a seconda dell'età e del momento: è la «produzione in serie» o «scuola di partito» o «noviziato permanente» che dir si voglia per offrire ai ragazzi la possibilità di diventare «pierini» di Gesù Cristo, contestatori perenni a parole e con la vita dell'immobilismo politico ed ecclesiale.

    Sbocco quartiere: costante incentivo alla partecipazione di base, verifica puntuale delle decisioni di vertice, lavoro di spola tra gli organismi decisionali e quelli consultivi; opera di sensibilizzazione della cittadinanza sui maggiori problemi che la riguardano; inserimento nelle commissioni del Consiglio di Quartiere; partecipazione a tutte le manifestazioni significative del quartiere; raccordo tra l'azione di volontariato e le strutture partecipative comunali; sensibilizzazione comunitaria sotto il profilo della politica scolastica e dell'orientamento professionale. Circolazione dell'informazione politica. Distanze ufficiali da qualsiasi partito politico; progetto di collegamento con la Caritas nazionale.

    Sbocco emarginazione: obiettivo fondamentale gli immigrati, e gli immigrati giovani o bambini. Lotta sistematica contro la diffusissima delinquenza minorile che comprende una fascia anche nelle elementari, tramite la condivisione sistematica di vita dei ragazzi, doposcuola, attività ricreativa, sportiva, al limite partecipando alle scorribande e semiruberie di questi disadattati sociali, graduale inserimento nei gruppi della corrispondente età in comunità (da un anno seguivamo una banda di ladri di macchine: ora sono i custodi dell'Oratorio). Costante attività con l'istituto Orfanotrofio delle bambine in quartiere per inserimento sociale esterno.

    MA IN TUTTO QUESTO GESÙ CRISTO COSA C'ENTRA?

    Di fatto il pericolo era appunto proprio questo.
    Da una parte la partecipazione a tutta la vita liturgica della Parrocchia: la nostra Messa di comunità è quella parrocchiale in 1000 persone ogni domenica, i nostri «tempi forti» sono le varie novene alle quali partecipiamo al punto da chiudere i campeggi in modo da partecipare tutti alle novene; sono i Vespri della domenica con le vecchiette.
    Evidentemente questi momenti non potevano risultare realmente formativi ed i ragazzi li sentivano abbastanza come «tasse» da pagare per restare in comunità, senza reale continuità con tutta la problematica umana, spirituale e sociale vissuta nei gruppi.
    Dall'altra parte un intenso e snervante attivismo, sorretto da una ideologia del vivere comunitario, personale, sociale, politico che si veniva sempre più precisando staccato, accanto, alla esperienza liturgica normale. Questa situazione «schizofrenica» ci avrebbe portato ben presto a considerare la Chiesa non tanto come «luogo» dell'esperienza cristiana quanto come collocazione socioculturale, come filone storico di un certo umanesimo; di qui al trovarsi ad un certo punto a sentirsi cristiani perché fondamentalmente uomini il passo era breve, e ci si trovava poi di fatto in compagnia con un sacco di gente incontrata girando ai campi scuola, alle conferenze-dibattito, nelle lotte scolastiche, che sotto la spinta della secolarizzazione, avevano appunto ridotto il cristianesimo «salvezza che viene dall'alto» ad un umanesimo «di un uomo che si salva da sé». Fu davvero uno choc quando, ad un campeggio, ne prendemmo coscienza riflessa!
    Da allora la comunità si impegnò in una approfondita ricerca teologica sulla secolarizzazione.
    Ma fin che restiamo a livello di campi scuola e di documenti scritti il nostro potrà essere l'incrocio tra una azzeccata alchimia ideologica ed un oculato equilibrismo operativo, ma non ancora una comunità cristiana.
    E questa è appunto la quinta stagione che ci aspettiamo, una stagione che non può venire con la «natura», non può venire cioè per naturale evolversi della situazione.
    È questione che queste due anime, l'ex clericale e l'ex marxista, decidano finalmente di morire a se stesse per rinascere «nuova creatura», attraverso esperienze personali e comunitarie di fede e di preghiera operate da quelle stesse persone che di fatto sono i motori operativi dell'impegno per la liberazione, in modo da poter sentire quei momenti come reale continuità e reale prolungamento dell'impegno per la liberazione, momenti di interiorizzazione, chiarificazione e celebrazione dei motivi e delle speranze di fondo della liberazione.
    A livello concettuale il problema è risolto, ma è a livello esperienziale che è ancora da vivere!


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