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    L'impegno dei cristiani di fronte all'emarginazione giovanile



    Michele Pellegrino

    (NPG 1976-03-25)


    Per prima cosa, dovendo parlare di emarginazione - forse è la deformazione professionale di un antico filologo - ho fatto questo: ho preso alcuni vocabolari recenti per cercare che cosa voleva dire emarginato, emarginazione.
    Ecco i risultati della mia inchiesta: emarginare: «voce nuova, segnare, annotare a margine di carte amministrative» - ed è assai brutta parola, inutile e da evitare; emarginato: «annotato nel margine» - neologismo bruttissimo, ma forse ancora più brutto è il fatto di cui ci dobbiamo occupare.
    E allora, che cosa dovevo fare? Visto che i vocabolari non mi aiutavano, ho cominciato a guardarmi intorno per vedere se conoscevo degli emarginati e mi sembra di averne individuati alcuni.
    Non mi fermo in particolare sui tossicomani, anche se è ben chiaro che Ir nel campo dell'emarginazione occupano un posto tristemente privilegiato, ma vorrei limitarmi a portare alcuni esempi così come mi sono venuti in mente.

    LA REALTÀ DELL'EMARGINAZIONE

    Intanto comincerei a dire che l'emarginazione non è un'invenzione dei nostri tempi. Quando Tertulliano - ne è passato del tempo da allora! - ricordava quella norma che metteva al bando i cristiani: «non licet esse vos», «non avete il diritto di esistere voi cristiani» non faceva altro che dire: voi cristiani siete degli emarginati.
    Vogliamo pensare ad una storia recente? In uno degli ultimi numeri della «Civiltà Cattolica» ho letto un articolo che fa la storia della eliminazione degli esseri improduttivi, indegni di vivere, da parte dei nazisti. È una pagina che è una vergogna per l'umanità del secolo ventesimo. L'emarginazione è spinta fino all'eliminazione fisica in un forno crematorio: l'emarginazione degli ebrei. Non dimenticherò mai un colloquio con un collega ebreo all'università di Torino quando nel '38 uscirono le leggi razziali: «denunciateci, processateci, impiccateci, se siamo dei criminali; ma solo perché siamo degli ebrei voi ci eliminate». L'emarginazione è ben attuale anche oggi: penso a certi fatti di cronaca, come alle ragazze reclutate nell'America Latina e mandate in Italia per imparare la lingua - si dice - , collocate alla pari in famiglie «distinte», con una scaltrezza che rende ben difficile anche alle autorità arrivare al nodo del problema. Quando poi dopo qualche mese sono prese nel giro della prostituzione, domando come potranno uscirne.

    Emarginazione nella scuola

    Mi diceva qualche settimana fa un preside: «per me è un fatto di emarginazione quando i genitori analfabeti, che nella mia scuola sono il 20%, sono esclusi dalle elezioni del consiglio di disciplina e del consiglio di classe dove c'è, perché non possono scrivere i nomi, come se i nomi non potessero farli scrivere da una persona di fiducia». E poi ci sono i genitori «bene», anche tra i pilastri della parrocchia, i quali vorrebbero scartare gli alunni meno provveduti confinandoli in classi speciali. Del resto in molte scuole è pacifico il criterio di ripartizione fra le varie sezioni dall'alto in basso, che finisce poi con l'emarginazione dei più sprovveduti. Recentemente è stato notato ciò che talvolta avviene precisamente in questo campo (non generalizzo, d'accordo ma so di mettere il dito su piaghe reali). «Le famiglie appartenenti allo stato informe del sottoproletariato, estranee all'organizzazione produttiva e condannate alla lotta quotidiana per la sopravvivenza, scontano fino in fondo lo scompenso culturale nei confronti dei modelli dominanti. La socializzazione dei bambini avviene a livello della strada e della soffocante promiscuità, imprimendo nella loro personalità uno scarto ideativo e linguistico che li renderà non idonei ad una tranquilla integrazione nel mondo scolastico. La scuola sarà per loro ostile ed estranea; la famiglia, dominata dalla precarietà e dall'incapacità di darsi una struttura stabile, si mostrerà del tutto rassegnata o indifferente al fallimento scolastico dei figli, così omogeneo, d'altronde al suo destino» (Testimonianze, n. 169, p. 716).
    Sono cose che non avvengono soltanto nella scuola elementare o media. Vi sono al Politecnico di Torino degli studenti negri, provenienti dal Tanzania, che coabitano in cinque in una pensione con sette operai, i quali naturalmente vengono a turno a riposare, in una soffitta di sette metri per otto, con servizi solamente esterni. Alcuni alloggiano in pensioni dove si pagano da trentacinque a cinquantamila lire mensili in camere a due letti con tre servizi in tutto per una pensione che accoglie settanta persone circa. Assistenza sanitaria nulla, non mutua, non convenzioni, in balìa dei rispettivi consolati, quando se ne occupano.

    Emarginazione per immigrazione

    Uno studente straniero, rifugiato politico, fa lo scaricatore dalle cinque e mezza alle sette del mattino ai mercati generali, lottando con i lavoratori locali perché senza documenti nessuno lo assume al lavoro. Recentemente un giornale di Torino ha promosso un'inchiesta al riguardo. Sentite le parole di un parroco, sulla cui testimonianza non posso assolutamente nutrire alcun dubbio: «abbiamo diffuso migliaia di volantini per la "riconciliazione" con i meridionali. Perché la gente cominci a riflettere, si chieda se ha veramente le mani pulite di fronte alla violenza delle nostre strade, di fronte a tanti ragazzi traviati... per le nostre strade, in alcuni bar, adolescenti che hanno già provato il Ferrante Aporti (cioè il riformatorio di Torino) o il carcere fanno scuola ai più piccoli o insegnano i trucchi del mestiere. All'oratorio, come a scuola, non passa giorno che qualcosa non sia fracassata.
    Nei giardini, panchine divelte e giochi fuori uso. Per molti la vita è stata troppo dura. Famiglie numerose, stipate in luoghi malsani con uno stipendio paterno appena sufficiente per sopravvivere, ragazzi buttati fuori troppo presto da una scuola che non ha saputo dar loro una mano... alunni di quindici anni che frequentano ancora le elementari, e al doposcuola non c'è posto per alcuni di loro. Sono insopportabili, si dice... E per chi non riesce a insediarsi con profitto, restano solo due strade: il ritorno, sfuggito come marchio d'insuccesso e di degradazione, o la progressiva discesa verso la povertà assoluta e l'esclusione dalla vita sociale anche dei compaesani più fortunati». Questo è il fenomeno dell'immigrazione in certi suoi aspetti più tragici.
    Un paio di settimane fa, un giornale di una cittadina della diocesi dove ero stato in visita pastorale intitolò così un trafiletto: «Il cardinale scomunica i proprietari di casa». Era avvenuto questo: nell'assemblea che si tiene in occasione della visita pastorale mi era stata rivolta questa domanda: «che cosa ne dice lei quando il nostro giornale pubblica inserzioni di questo tenore: "alloggio da affittare, esclusi i meridionali"?». Io dissi semplicemente: «Spero che chi fa queste inserzioni non vada a Messa»; l'avevo scomunicato!
    Ma non è soltanto a Torino che succedono queste cose. A Genova, un avvocato mi parla di un cliente: «16 anni: ha collezionato cento furti di macchine, sempre Innocenti e Giulia super, e quando gli domandavo: perché rubi queste macchine? lo sai che gli acquirenti hanno lavorato e risparmiato a fatica per acquistarle? mi diceva: "Ma no, io rubo soltanto nel quartiere di Albaro" (quartiere alto di Genova). È convinto che questa è un'opera buona, e mi spiega esattamente come fa per aprirle. La madre faceva la prostituta e da poco è stata uccisa, ma lui non lo sa; il padre è ignoto, il padre putativo abusò di lui quando era bambino; il giovane è affidato a una nonna che vive (si fa per dire) con la pensione sociale; se gli si trova una occupazione, si fa subito licenziare».

    Categorie di emarginati

    Emarginati: pensiamo agli anziani, soli o ricoverati in ospizi dove troppe volte la dignità dell'uomo non è rispettata. È vero tuttavia che per gli anziani qualche cosa di concreto si sta facendo per iniziativa di singoli e di istituzioni.
    Emarginati: pensiamo ai non pochi lavoratori trattati non come uomini, ma come macchine (ma spesso le macchine si cerca di trattarle meglio perché poi se si guastano bisogna spendere per ripararle o cambiarle). Pensiamo ai licenziamenti, alla cassa integrazione con tutte le incognite che ne possono venire, alla chiusura di molte aziende.
    Emarginati: e i malati che in certi ospedali debbono vivere mangiando cibi freddi perché chi dovrebbe procurarglieli caldi fa sciopero e chiude le cucine e fa il picchettaggio perché non si porti loro il brodino caldo?
    E gli scioperi delle ambulanze per cui un uomo colpito da infarto arriva dopo tre quarti d'ora all'ospedale, morto? Mi si dirà che ingigantisco casi particolari: per me è triste anche quando si verifica uno di questi casi, ma purtroppo non è uno solo.
    Emarginati: pensiamo alla terribile realtà in atto dell'aborto e alla minaccia che si profila di aggravamento della situazione con una legislazione che si propone di rendere lecito il crimine commesso contro l'essere umano che non può difendersi.
    Penso all'eutanasia. Le Piccole Suore dei poveri vecchi a Torino mi dicono che in Francia devono informarsi, quando accettano un anziano, se non c'è per caso un patto di eutanasia. E quello che è preoccupante è che nella società attuale, se è vero quello che sento da persone che operano molto intensamente nel campo dell'assistenza, gli emarginati sono sempre più numerosi. E lo capisco anche: il progresso scientifico e tecnologico tende ad allargare la frattura fra chi può beneficiare del progresso e chi invece resta indietro; questo non avviene soltanto nei rapporti tra il mondo sviluppato e il terzo mondo, ma avviene anche nell'ambito del nostro stesso mondo. E poi l'altro fenomeno da tenere ben presente è che oggi, e questo è positivo, si va prendendo maggior coscienza di questo fatto dell'emarginazione, perciò noi sentiamo particolarmente vivo e grave il problema.

    Emarginazione nella chiesa

    Mi si permetta una domanda, perché soprattutto un Vescovo deve farlo questo esame di coscienza: e nell'ambito stesso della Chiesa non dobbiamo mai assistere a fenomeni di emarginazione? Ai tempi del Nuovo Testamento il pericolo c'era come mostrano queste parole che troviamo nella lettera di S. Giacomo: Fratelli miei, non mescolate a favoritismi personali la vostra fede nel Signore nostro Gesù Cristo, Signore della gloria. Supponiamo che entri in una vostra adunanza qualcuno con un anello d'oro al dito, vestito splendidamente, ed entri un povero con un vestito logoro. Se voi guardate colui che è vestito splendidamente e gli dite: «tu siediti qui comodamente», e al povero dite: «tu mettiti in piedi lì» oppure: «siediti qui ai piedi del mio sgabello» non fate voi stessi preferenze e non siete giudici perversi? Questo non avviene mai nella Chiesa d'oggi? Non so se - per esempio - tutte le cerimonie nuziali siano perfettamente uguali come prescrive l'articolo 32 della Costituzione sulla sacra liturgia.
    Nell'esame di coscienza io qualche volta mi domando: non c'è pericolo che nella nostra pastorale noi, senza volerlo, in buona fede, emarginiamo qualcuno? Cioè quando certi fratelli li consideriamo irrecuperabili e li lasciamo da parte, invece di imitare il Buon Pastore e andare in cerca della pecorella smarrita. E questi che lasciamo da parte non sono sempre necessariamente della povera gente. Saranno anche, per esempio, degli intellettuali a cui non sappiamo rivolgerci con una pastorale adatta, degli uomini politici ai quali non sappiamo venire incontro con gli aiuti di cui la Chiesa è loro debitrice. E questo perché avviene? Perché si dimenticano gli insegnamenti e gli esempi di cui la Chiesa abbonda. Io citerò tre passi di Paolo:
    - Colossesi 3,11: «Qui non c'è più Greco o Giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro o Scita, schiavo o libero, ma Cristo è tutto in tutti».
    - 1 Corinzi 12,13: «Noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti ci siamo abbeverati a un solo Spirito» (ma comprendiamo che cosa voleva dire ai tempi di S. Paolo schiavi o liberi?).
    - Galati 3,28: «Non c'è più né Giudeo né Greco; non c'è più né schiavo né libero; non c'è più né uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù». Semmai ci debbano essere delle preferenze, siano per gli umili; così ha fatto Cristo, così nei secoli hanno fatto i più autentici imitatori di Cristo.
    L'altro giorno, al Cottolengo, due suorine mi dicono: «Venga a dire una volta una Messa alle nostre padrone». Volevano dire le «buone figlie», come al Cottolengo chiamano le deficienti.
    Parlando di emarginazione e di emarginati, penso a colui che fu veramente l'Emarginato e lo è ancora da parte di alcuni!
    - Isaia 52,14: «Come loro si stupirono di lui - tanto era sfigurato per essere d'uomo il suo aspetto e diversa la sua forma da quella dei figli dell'uomo».
    - 53,3: «Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia, era disprezzato e non ne avevano alcuna stima».

    PERCHÉ? COME Sl ARRIVA A QUESTO FENOMENO DELL'EMARGINAZIONE?

    Qualche volta si può parlare forse di autoemarginazione; è una spiegazione fenomenica forse troppo facile, ma accettiamola provvisoriamente. Certi barboni che vivono sotto i ponti o sotto le tettoie delle stazioni, alle volte sono delle persone che hanno dietro di sé un passato di cui non avrebbero proprio da vergognarsi. Come sono arrivati a quel punto? Pensiamo ai giovani di buona famiglia che finiscono vittime della droga. Certo non starò a dire che non ci siano delle responsabilità personali, che io evidentemente non sono in grado di giudicare, ma non posso dimenticare che c'è anche un peccato sociale, un peccato collettivo, che la società troppe volte è responsabile di queste spaventose deviazioni. Perché dunque - dicevo - si arriva a questo fenomeno? Mi pare che possiamo intanto domandarci: chi è che viene emarginato? È uno che non può più avere nulla; è un drogato irrecuperabile, è un feto che non può difendersi, è uno zingaro che vive alla ventura rubacchiando. E allora? Partendo dalla logica del «do ut des», che è assolutamente opposta alla logica della gratuità dell'amore, si considera l'altro come uno che non può dare nulla e lo si emargina. Il Cardinale Suenens cita una parabola, di un suo sacerdote morto sul lavoro mentre si occupava delle opere sociali della diocesi, dove dice fra l'altro: «Mi sembra grave... che il problema della droga, dell'erotismo, dell'avvenire professionale dei giovani, della disoccupazione, della creazione di nuovi impieghi, delle riconversioni economiche... che tutti questi problemi insomma siano considerati da troppi cristiani come assolutamente estranei al Regno di Dio». Come è difficile far penetrare in certe coscienze l'esigenza di quella promozione umana che, ci ha detto il Sinodo del 1974, entra come elemento costitutivo o come elemento integrante della evangelizzazione.
    Non c'è autentico annuncio del vangelo se non c'è nello stesso tempo lo sforzo di una promozione dell'uomo. Eppure i pochi, troppo pochi cristiani che ci credono sul serio, molte volte vengono sbrigativamente etichettati come simpatizzanti del marxismo.
    Perché - dicevo - si arriva a questa? Perché si ignora o si stravolge il senso dei valori. Paolo VI ha una parola che il Concilio ha fatto sua: l'uomo vale per quello che è, non per quello che ha. E invece secondo molti l'uomo vale per quello che ha: e quando uno non ha niente, quello non deve essere considerato uomo. Perché si arriva a questi fenomeni così tristi? Per orgoglio, anche consapevole, di individui o di gruppi, di classi, anche di persone che intendono «fare del bene», e non è detto che non ne facciano. Vediamo quello che dice un religioso che non è un demagogo, il P. Voillaume, fondatore dei Piccoli Fratelli di Gesù. Dice, parlando degli imprenditori: «Hanno spesso una coscienza elevata dei loro doveri sociali, ma a loro modo, e sono pronti a fare tutto il possibile, ma senza un rispetto autentico e una stima reale della personalità dell'operaio». Il quale si sente «ferito nel profondo». E il padrone, il colonizzatore che ha costruito dei dispensari o che avrà messo dei capitali per costruire Istituti per curare i figli dei suoi operai (o colonie), si stupirà di non raccogliere che amarezze e talvolta persino dell'odio, egli ha umiliato senza rendersene conto. Questo orgoglio inconsapevole tende a produrre emarginazione. Questo comportamento che non sa vedere nell'altro l'uomo, l'eguale, è in certo senso peggio della lotta che riconosce nell'altro un uomo. E poi chi sono questi emarginati? Vogliamo guardarli in faccia? Un padre cappuccino a Torino, mentre va verso la sua chiesa deve scendere per un guasto alla macchina e si mette a spingerla. È ancora abbastanza lontano dalla chiesa e passa lì accanto parecchia gente devota che va in chiesa. Devono andare a Messa, non possono mica fermarsi per dare una mano a quel poveretto. Invece un barbone, che se ne sta accoccolato sul marciapiede e obbliga la gente che passa a fare il giro, vede, si alza, va ad aiutare il frate e spinge la macchina fino alla porta del convento: e quando il cappuccino fa per dargli la mancia, la rifiuta: «Sono contento di aver potuto farle un piacere». Come non pensare al sacerdote e al levita che passano indifferenti accanto al Samaritano mezzo morto? L'aiuto è venuto, dunque, da un emarginato. Stiamo attenti a non lasciarci narcotizzare dall'abitudine, da una certa mentalità di cui siamo così facilmente vittime per pregiudizi ereditari. Ricordiamoci sempre che - dicevo un momento fa - l'uomo vale in quanto uomo, vale per quello che è e non per quello che ha.

    COME COMBATTERE L'EMARGINAZIONE?

    Ricordiamo che questo modo di procedere è contrario alla volontà e all'esempio di Dio, Padre di tutti, il quale fa scendere la sua pioggia e sorgere il suo sole sui buoni e sui cattivi, sui giusti e sugli ingiusti; ricordiamo che comportarsi così vuol dire oltraggiare l'immagine di Dio perché qualsiasi creatura umana porta in sé l'immagine di Dio anche se deturpata.

    L'esempio di Cristo

    Emarginare un fratello è un procedere diametralmente opposto all'esempio di Cristo. Si direbbe che Cristo si compiace di sfidare l'opinione pubblica; se ne rendono conto i farisei e i capi del popolo che scorgono questa sfida nel solo fatto che Gesù si intrattiene con l'odiata classe dei pubblicani, con le prostitute, con i lebbrosi, con i reietti della società. Cristo si dona anche per coloro che rifiutano il dono; così la comunità che segue Cristo, che prende nome da Lui, deve donarsi incessantemente. Cristo è morto per tutti, morto per noi che eravamo empi. Ora, osserva Paolo, sembra un gran che se uno muore per chi è giusto. Cristo che muore per noi empi è la condanna di ogni discriminazione, come quelle discriminazioni che avvenivano in quelle adunanze di Corinto e che Paolo nel capo XI della prima lettera a quella Chiesa bolla così duramente. L'Eucaristia, un solo pane e un solo corpo offerto a tutti, è la condanna di ogni discriminazione. Una comunità, una Chiesa che emargina non è credibile perché smentisce con il suo comportamento l'esempio che le viene da Cristo. Che cosa fare? La prima e più essenziale cosa da fare è quella conversione interiore profonda a cui Paolo VI non si stanca di richiamarci e che porterà con sé la riconciliazione con tutti, specialmente con coloro che avessimo lasciato da parte.

    Realizzazioni oggi

    Quando si dice che cosa dobbiamo fare, conviene dire anzitutto che cosa si sta facendo. Accenno a qualche cosa che ho visto coi miei occhi e che vedono certamente tanti altri. Quando io penso a una casa del Cottolengo vicino a Torino, ove sono custoditi con amore geloso dei poveri esseri che non saranno mai in grado di ringraziare le suore, il fratello, non dico con una parola ma con un lampo, con un sorriso del loro sguardo spento - creature che hanno bisogno di tutto e che vengono assistite con un amore che non si stanca mai - ; quando penso ancora a quei fratelli e suore del Cottolengo che qualche anno fa nel Kenya hanno iniziato un'opera per gli spastici, e quei ragazzi che avrebbero continuato a strisciare sul terreno per tutta la vita, oggi li vediamo, grazie alle cure di questi nostri fratelli, aperti ad una vita nuova; quando penso agli incontri che ho avuto con il Gruppo Abele e i miracoli di redenzione e di salvezza conseguiti in mezzo a mille difficoltà; quando penso a quegli studenti o a quegl'industriali che vanno al Cottolengo a fare la toeletta ai vecchietti e ai deficienti; quando penso a quei giovani che ogni giorno vanno a visitare i vecchi del ricovero della loro cittadina, per imboccarli se ne hanno bisogno, per procurare loro un'ora di sollievo; quando penso al gruppo «Costruire insieme» promosso dai Vincenziani di Torino, dove attraverso cure fisioterapiche prestate da volontarie debitamente preparate si è potuto ridare la gioia di camminare a vecchi che altrimenti avrebbero consumato tutta la loro vita in un letto, doloranti per le piaghe da decubito; quando penso a quel carissimo sacerdote che passa la sua vita tra gli zingari abitando nella sua roulotte povera e fredda perché sa che il Padre celeste li ama e vuol fare capire loro che c'è qualcuno che li ama, allora ringrazio il Signore che c'è pure qualcuno che capisce cosa vuol dire essere emarginati e non risparmia sacrifici per darsi tutto a tutti, scegliendo di preferenza i più poveri.
    Si tratta non soltanto di istituzioni che operano spesso nell'incomprensione e che sono osteggiate da chi dovrebbe appoggiarle, ma di dedizione nascosta e silenziosa da parte di persone che non faranno mai parlare di sé e vanno a cercare proprio i più bisognosi, i più emarginati, per testimoniare loro un amore fraterno.
    Tenendo presente tutto questo, anche se certe costatazioni che ho fatto suonano pessimistiche, credo che siamo autorizzati a sperare bene per il domani della Chiesa nel mondo.


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