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    L'impegno cristiano per la giustizia secondo i documenti ecclesiali recenti



    Mario Midali

    (NPG 1976-2-70)

    Molte volte, nei gruppi e nelle comunità ecclesiali, il tema dell'impegno politico fa rottura. Costringe a schierarsi e quindi mette sotto crisi posizioni che parevano assodate.
    Per il cristiano, la parola del Magistero, anche in questo campo, è normativa, in quella autorevolezza oggettiva di cui i singoli interventi sono segnati. Qualche volta il riferimento ai documenti ecclesiastici diventa invece un nuovo motivo di divisione, perché è troppo facile strumentalizzarli alla personale posizione precostituita.
    Come contributo di riflessione, offriamo ai gruppi giovanili e ai loro educatori questa «sintesi», molto pregevole e stimolante. Fa il punto sulle prese di posizione dei documenti più recenti a proposito dell'impegno cristiano per la giustizia.
    li titolo ci ricorda una cosa importante. Oggetto di questa sintesi, come dei documenti stessi, non è l'analisi strettamente politica ma la ricerca di elementi specifici «del» cristiano e «per il» cristiano nell'impegno politico.

    I DOCUMENTI PRESI IN CONSIDERAZIONE

    L'impegno della Chiesa e, in essa, delle sue diverse componenti, per la giustizia nella società contemporanea è stato oggetto di attenta riflessione pastorale in non pochi documenti ecclesiastici recenti. Questo articolo prende in considerazione quelli emanati dal Papa, dal Sinodo dei vescovi e delle Conferenze episcopali a partire dalla «Octogesimo adveniens» (14 maggio 1971) di Paolo VI, fino alle dichiarazioni dell'ultimo Sinodo (ottobre 1974). I documenti delle Conferenze episcopali riguardano le Chiese delle seguenti nazioni: Francia, Olanda, Portogallo, Spagna, Brasile, Cile e Madagascar. Si è pure preso in esame un documento pubblicato dal segretariato del CELAM nel 1973, relativo all'intera America latina. Le due date indicate racchiudono un periodo in cui Papa e vescovi sviluppano il discorso della «Gaudium et spes» e della «Populorum progressio» (1967), aggiornandolo alle mutate situazioni mondiali e locali degli anni 1971-1974. Tale discorso è abbastanza unitario.
    I documenti indicati hanno un'intonazione in parte uguale e in parte differente, e rivestono una loro autorevolezza che non va né maggiorata né sminuita. Per tanti aspetti portano l'impronta del provvisorio, ma a livello di riflessione di fede, di rilettura attualizzata del messaggio evangelico circa la giustizia oggi, rivestono un valore duraturo. Ed è su questo che si attirerà in modo particolare l'attenzione.

    LA GIUSTIZIA E LA SOCIETÀ OGGI

    I vari documenti affrontano il tema della giustizia non in astratto ma in concreto. La considerano nella prospettiva del Vaticano II, come l'organizzazione delle relazioni sociali a tutti i livelli, entro le comunità ecclesiali e nella più vasta comunità umana, in vista del rispetto della dignità della persona umana e dei suoi diritti, e al fine della costruzione di una società più giusta.
    Più precisamente, attirano l'attenzione su alcune questioni in parte nuove e urgenti (l'industrializzazione e l'urbanizzazione, la crisi della solidarietà internazionale), su alcune situazioni più gravi di ingiustizia (si pensi alle varie relazioni del Sinodo '74 sui paesi in via di sviluppo), su alcuni diritti più minacciati (anche qui si ricordi il documento del medesimo Sinodo), su alcune aspirazioni a una più piena giustizia: aspirazione allo sviluppo, all'uguaglianza e alla partecipazione, a tutti i raggi.

    ASPETTI DEL RINNOVATO CONTESTO POLITICO ED ECCLESIALE

    Fa parte della missione della Chiesa combattere le ingiustizie, tutelare i diritti e rispondere fattivamente alle aspirazioni di giustizia indicate. Ma per assolvere tale missione oggi, la Chiesa non può sottrarsi al delicato compito di considerarla e approfondirla nell'attuale contesto politico, perché è in esso che vengono prese le decisioni dalle quali dipende, in larga parte, la giustizia o ingiustizia della società. Sorge così il grave e complesso problema dei rapporti fra fede e politica, tra Chiesa e politica, affrontato da tutti i nostri documenti al fine appunto di precisare le responsabilità ecclesiali in questo campo.
    Nel farlo, indicano alcune caratteristiche del rinnovato contesto politico nella misura in cui mettono in questione la visione globale dell'uomo. Distinguono tra politica in senso ampio che può essere chiamata civismo e politica in senso stretto, che comprende tutte le attività volte alla conquista, alla spartizione e all'esercizio del potere. Segnalano i seguenti fenomeni generali: l'influenza sempre più grande e sovente decisiva della vita politica nella realtà quotidiana; il diffuso sentimento di impotenza dell'uomo della strada di fronte ad essa; l'influsso dei mass media che a volte la personificano; la presa di coscienza della dimensione politica della propria vita da parte di un numero crescente di cittadini di tutti i paesi; la diffusa situazione conflittuale che crea, i rischi di essere assolutizzata a cui espone e il carattere drammatico che riveste a causa delle ideologie che si contrappongono in forme sempre più violente.
    Quanto alle ripercussioni di questi fenomeni sulla vita interna delle Chiese, vengono descritte le seguenti: la diversità del modo di considerare le relazioni tra fede e politica che divide i cattolici; il pluralismo politico dei cattolici; le forme in parte nuove di intervento dei vescovi, dei preti e dei differenti gruppi di cristiani; le prospettive nuove in cui si pongono le relazioni tra la comunità ecclesiale e la società politica.

    IL MESSAGGIO EVANGELICO DELLA GIUSTIZIA E LA MISSIONE DELLA CHIESA

    Immersa in questo nuovo contesto sociale, politico ed ecclesiale, la Chiesa come comprende il messaggio evangelico della giustizia e come intende attuare la sua missione?

    Rilettura attualizzata del Vangelo

    Nel rispondere a questi due interrogativi, i nostri documenti fanno una rilettura attualizzata del vangelo, nel quale Dio «indica nuove strade per operare in favore della giustizia». Da un lato, l'attuale situazione dell'umanità e della Chiesa aiutano a leggere più profondamente il messaggio biblico sulla giustizia, sul rapporto fede e politica, e sulla responsabilità cristiana in questo settore. D'altro lato, la parola di Dio così letta, offre dei criteri per analizzare e valutare pastoralmente le attuali situazioni e per far assumere gli impegni e atteggiamenti maggiormente rispondenti tanto alle sue esigenze insopprimibili quanto alle istanze ineludibili dell'ora presente. I temi biblici che vengono sviluppati sono: il regno di Dio e l'intervento liberatore del Padre nella storia, ad opera del Cristo; gli atteggiamenti del Signore Gesù nei confronti dell'uomo e della realtà socio-politica; la visione cristiana dell'uomo e della sua responsabilità nella storia; il messaggio dell'amore, della libertà e della fraternità cristiana. Mettono pure in guardia contro i rischi di una lettura del vangelo in chiave di lotta di classe, per le inaccettabili riduzioni a cui espone.
    Il messaggio evangelico della giustizia va visto nel quadro dell'insegnamento sull'amore cristiano del prossimo, che implica un'assoluta esigenza e che è rivelativo di un amore autentico verso Dio. Tale amore invita gli uomini a non rassegnarsi alla ingiustizia e li chiama ad un'azione incisiva per vincerla nelle sue radici spirituali, nelle strutture in cui prolifica, anche attraverso i conflitti, ai quali bisogna guardare in faccia con lucidità e coraggio, perché consentono, se superati, di fare veri progressi.

    Fede e politica

    Il messaggio cristiano sull'uomo, sulla sua vocazione unitaria, sull'amore e sulla giustizia costituisce l'apporto specifico della fede alla politica. Tra fede e politica vi è un principio di unità che esclude ogni dualismo; è costituito dal piano unitario di Dio che svela il significato globale e ultimo dell'esistenza individuale e comunitaria nella storia. Vi è pure un principio di distinzione che fa di fede e di politica due ambiti con una propria autonomia. La politica non può essere dedotta semplicemente dalla fede, e la fede ha un ruolo autonomo di fronte alla politica, in quanto il regno di Dio o la salvezza in Cristo, centro della fede, trascende ogni progetto politico; se in una certa misura tutto è politica, in quanto questa è il coagulante sociale che consente a tutte le attività umane di trovare il proprio compimento, tuttavia la politica non è tutto l'uomo; una medesima fede cristiana può ispirare progetti concreti di società differenti; la fede non è però componibile con ogni progetto di società e con ogni scelta politica.

    Missione liberatrice della Chiesa

    La missione della Chiesa nel campo della giustizia è stata così definita dal Sinodo del 1971: «l'agire per la giustizia e il partecipare per la trasformazione del mondo ci appaiono chiaramente come dimensione costitutiva della predicazione del Vangelo, cioè della missione della Chiesa per la redenzione del genere umano e la liberazione da ogni stato di oppressione». Ciò è giustificato dal fatto che l'amore e la giustizia sono parte essenziale del messaggio evangelico, il quale per essere credibile oggi, deve essere dalla Chiesa attuato concretamente. Ciò costituisce anche la ragione per cui la Chiesa ha «il diritto e il dovere di proclamare la giustizia» nei vari campi, e quello di «denunciare le situazioni di ingiustizia, allorché i diritti fondamentali dell'uomo e la sua stessa salvezza lo richiedono». In tutto questo la Chiesa non è sola, ma ha una missione specifica.
    Atteso il contesto attuale della società, dominato da tante forme oppressive, tale missione ecclesiale si esprime in una multiforme azione liberatrice che è «parte integrante della missione della Chiesa», come ha detto l'ultimo Sinodo. Ma vi sono liberazioni vere e liberazioni false. I nostri testi denunciano alcune interpretazioni erronee e delle deviazioni in questo campo, ad esempio, la riduzione dell'evangelizzazione a pura promozione umana; la priorità data al processo di liberazione socio-politica rispetto all'annuncio del Vangelo; l'accento posto sulla liberazione dalle strutture ingiuste e la minor attenzione portata sulla liberazione interiore dall'egoismo; l'interpretazione, in termini di violenza, del messaggio evangelico della libertà. La fedeltà alla parola di Dio resa significativa oggi, esige invece di parlare di «liberazione piena», di «liberazione integrale». Ed ecco come il Sinodo '74 ha descritto la missione della Chiesa in merito:

    «Fedele alla sua missione evangelizzatrice, la Chiesa, quale comunità veramente povera, orante e fraterna, può molto per procurare la salvezza integrale ossia la piena liberazione degli uomini. Essa può ricavare dal Vangelo stesso gli argomenti più profondi e impulsi sempre nuovi per promuovere una generosa dedizione al servizio di tutti gli uomini, e specialmente dei poveri, dei più deboli, degli oppressi e per eliminare le conseguenze sociali del peccato, che si traducono nelle strutture sociali e politiche. Anzi, la Chiesa, appoggiata sul Vangelo di Cristo, e fortificata dalla sua grazia, può salvare gli stessi intenti e sforzi per la liberazione dalle deviazioni. Così la Chiesa non rimane nei limiti meramente politici, sociali, economici, elementi certo di cui deve tener conto, ma conduce alla libertà, sotto tutte le sue forme, libertà dal peccato, dall'egoismo individuale e collettivo, e alla piena comunione con Dio e con gli uomini. In questa maniera, la Chiesa, col suo modo evangelico, promuove la vera e piena liberazione di tutti gli uomini, gruppi e popoli».

    L'IMPEGNO PER LA GIUSTIZIA, IN AZIONE

    La Chiesa e i diversi gruppi che la compongono come attuano la missione liberatrice per l'avvento di una società più giusta? L'impegno per la giustizia, infatti, può essere svolto in forme e gradi diversi.

    La testimonianza della giustizia all'interno della Chiesa

    «Se la Chiesa deve rendere testimonianza alla giustizia – dichiara il Sinodo '71 – essa riconosce che chiunque ha il coraggio di parlare della giustizia agli uomini, deve lui per primo essere giusto ai loro stessi occhi. È necessario quindi che noi stessi facciamo un esame circa il modo di agire, i beni posseduti e lo stile di vita, che si hanno all'interno della Chiesa. Quest'ultima affermazione indica i settori dell'impegno intra-ecclesiale per la giustizia: rispettare i diritti in seno alla Chiesa; un uso dei beni che non sia controtestimonianza; uno stile di vita credibile. Ad essi va aggiunta la solidarietà con le Chiese più povere.

    L'educazione alla giustizia

    Da essa dipende, in larghissima parte, la riuscita della missione della Chiesa in questo settore. Tutti i nostri documenti ne sottolineano l'urgenza. Il Sinodo del 1971 offre pure delle indicazioni di massima riguardanti la responsabilità di tutti i membri della Chiesa in materia; il metodo educativo che deve essere liberatore e non individualista; gli obiettivi dell'educazione liberatrice (la coscientizzazione sociale); la necessità dell'educazione permanente, teorica e pratica; i contenuti costituiti dalla dottrina della Chiesa in merito; i luoghi strategici (famiglia, scuola, istituzioni ecclesiali e civili, la vita liturgica).

    Intervento della Chiesa in materia politica

    Nello svolgere la loro missione di testimonianza della giustizia, di educazione ad essa e di evangelizzazione, le comunità cristane coi loro pastori sono portate a intervenire in campo politico, cioè ad assumere una propria posizione, in forza della specifica missione, in rapporto ai poteri politici, a tutte le forze politiche come i partiti e i sindacati, alle istituzioni economiche e culturali, al loro progetto di società e ai loro programmi di azione. Comunità ecclesiale e istituzioni politiche godono di una propria e legittima autonomia: la Chiesa non mira al potere né a creare un'alternativa di potere, ma piuttosto a prendere da esso le distanze, a garanzia 1113ertà. L'azione della Chiesa ha una dimensione politica, esercita cioè un influsso, lo voglia o no, sulle varie forze che ricercano o gestiscono il potere, ma la sua presenza nella società non va ridotta a questo, perché è piuttosto emanazione diretta della sua missione specifica, che la rende presente in maniera propria nella realtà politica. Non ha competenza né di diritto né di fatto, di proporre dei programmi, anzi, ha l'obbligo di rispettare l'autonomia della società politica; ha invece la competenza di illuminare alla luce del Vangelo, le situazioni, gli avvenimenti, i progetti concreti, i regimi e le ideologie politiche. Ha cioè una missione profetica che concretamente attua attraverso tipi differenti di intervento: la denuncia, l'approvazione, le proposte e lo stimolo, che vanno compiuti «con carità, prudenza e fortezza, in un dialogo sincero con le parti interessate».

    I vescovi, i preti, i religiosi e la politica

    Il loro intervento in questa materia deriva dalla loro qualifica di cittadini al pari degli altri, di cristiani come gli altri e di ministri di Cristo, chiamati ad essere guide del popolo di Dio anche nella politica. Di fatto, ognuno di loro incontra il problema politico in modo diverso, a motivo della propria origine e cultura, dell'ambiente in cui opera e della propria funzione e situazione. Ad ogni modo, l'azione dei vescovi e dei preti in questo campo non può essere che di ordine pastorale e si esprime nei seguenti atteggiamenti: aiutare i fedeli a percepire che la politica è una dimensione importante dell'esistenza umana e tale da essere vissuta nella fedeltà alla fede; aiutare i fedeli, e specialmente coloro che assumono incarichi politici, a farlo nello spirito del Vangelo e a verificare se la propria azione politica è conforme ai valori cristiani, rispettandone le scelte fatte secondo coscienza. Dovendo denunciare situazioni di ingiustizia, in nome del Vangelo, ne spiegheranno il significato, agiranno non come semplici rappresentanti della comunità, ma a nome del Cristo, evitando che il silenzio si trasformi in complicità con gli oppressori, a scapito della credibilità delle proprie comunità. L'universalità del loro ministero destinato a illuminare cristianamente tutti gli aspetti della vita umana (famiglia, professione, cultura) che hanno tutti un risvolto politico, li deve guidare a non assolutizzare la politica e a ricordare che essa non è tutto l'uomo. Il loro ministero è un ministero di riconciliazione e di unità ed esige da loro un particolare impegno nelle situazioni di conflitto in cui è immersa la vita politica: di qui la responsabilità di educare i fedeli a vedere le difficoltà, ad affrontarle con volontà di convergenza e a lottare contro l'intolleranza, l'odio e la violenza. Il retto esercizio di questo servizio alla comunità umana, comporta alcune esigenze da rispettare: l'acquisto delle conoscenze, sempre aggiornate; la revisione critica dei motivi che ispirano l'intervento o il silenzio. Eventuali impegni di partito
    o di cariche politiche, assunti da preti, vanno considerati eccezionali e vanno esercitati d'accordo col proprio vescovo, cogli altri vescovi, coi laici (e coi propri responsabili, nel caso dei religiosi e delle religiose). È essenziale infatti al loro ministero oltrecché la solidarietà coi poveri, la solidarietà nella comunione ecclesiale. Quanto alla presenza dei religiosi, i nostri documenti si limitano ad accenni fugaci, secondo i quali la missione e consacrazione propria dei religiosi conferisce un significato specifico alla loro testimonianza circa la solidarietà cogli oppressi, alla denuncia delle ingiustizie, alla relativizzazione della politica e all'accentuazione dei valori trascendenti del regno di Dio.

    Gruppi ecclesiali e impegno politico

    È uno dei fenomeni più caratteristici della vita ecclesiale di questi ultimi anni. È importante distinguere la natura di questi gruppi, perché, pur appartenendo al popolo di Dio, non impegnano la Chiesa allo stesso modo, e perché si impegnano in politica in gradi differenti. I gruppi o associazioni che cooperano direttamente al ministero dei vescovi e dei preti, o che si collegano a una Famiglia religiosa, oppure che si riuniscono attorno a un centro di incontro o di riflessione religiosa generalmente si dichiarano «apolitici» o «apartitici». Possono tuttavia realizzare il loro impegno politico, in senso ampio, nei seguenti modi: promuovere la formazione sociale dei loro membri o dei settori in cui operano; svolgere attività assistenziali verso i poveri; promuovere iniziative concrete contro le varie forme di oppressione, ad esempio formulando giudizi evangelici su situazioni della vita economica, sociale, politica contrarie alla giustizia... Gli interventi di questo tipo fanno parte normale dell'opinione pubblica nella Chiesa, ma non ne rappresentano la posizione ufficiale fin tanto che non vengano in qualche modo avallate dalla gerarchia. Ci sono pure movimenti per i quali il loro stesso impegno apostolico li porta a prese di posizione pubbliche che sono evangeliche nella loro ispirazione ma che hanno una particolare incidenza sul comportamento politico dei membri e sul modo con cui i componenti di un determinato ambiente percepiscono la Chiesa. Altri gruppi infine vanno ancora più lontano e fanno della loro scelta politica un'opzione caratterizzante.

    Partecipazione attiva dei cattolici alla vita politica

    Se c'è un punto su cui il Papa e i vescovi ritornano con accorata insistenza è quello del dovere dei cattolici di partecipare attivamente alla vita politica. Rimarcano l'urgenza di un cambio di mentalità che faccia superare l'indifferenza e la paura di fronte alle oscurità e pesantezze della realtà politica, e aiuti a comprendere che «la politica è una maniera esigente – ma non la sola – di vivere l'impegno cristiano di servizio agli altri» (Paolo VI), perché per il cristiano è espressione di amore e risposta all'esigenza dell'uomo moderno di maggiore partecipazione alle responsabilità e alle decisioni in materia pubblica. C'è da aggiungere che l'azione politica va praticata con spirito di serietà, di lucidità, di rigore e con immaginazione.

    Legittimo pluralismo politico dei cattolici

    Questo fenomeno è sentito da alcuni come uno scandalo. Altri lo considerano come segno di maturità politica e di rispetto della competenza propria della Chiesa in materia politica. I documenti esaminati si schierano tutti, con sfumature differenti, per questa seconda posizione, che riconosce ai cattolici «una legittima varietà di opzioni possibili» in campo politico. Ma bisogna intendere bene questo pluralismo, scomodo e pur necessario. Non si tratta assolutamente di garantire tutti gli atteggiamenti attualmente esistenti e le opzioni politiche in atto. Si tratta piuttosto di riconoscere la legittimità di una concezione della vita politica che fonda una possibile pluralità di scelte concrete. In concreto, queste sono condizionate da un certo numero di elementi di origine diversa: la solidarietà con l'ambiente sociale, con le culture, le classi, le situazioni; la diversità di temperamento che porta i profeti alla denuncia e gli uomini di governo a discernere il possibile dall'immaginario; le ideologie, i progetti concreti. Riconoscere la pluralità e relatività non dispensa dalle scelte. Ma solo l'atteggiamento pluralista «può unire la convinzione più appassionata con l'umiltà profonda, escludendo la neutralità e l'intolleranza». Esso obbliga a non assolutizzare la propria scelta, a rispettare la parte di verità dell'avversario e a difendere la propria parte di verità. Questo non vuol dire che tutte le scelte politiche siano compatibili con la fede e che si equivalgano. Ci sono dei limiti e dei criteri evangelici che non consentono di celare, sotto il pluralismo, progetti politici contrari alla concezione cristiana dell'uomo e della società. Un discernimento è necessario ed è normale che venga fatto nell'ambito delle comunità ecclesiali, nella ricerca comune, nella comunione coi propri pastori, in dialogo con gli altri uomini di buona volontà e nella volontà di valorizzare di più ciò che unisce che non ciò che divide.

    Una situazione conflittuale e suo superamento

    Il pluralismo così presentato è vivamente contestato da un certo numero di cristiani che fanno appello, quali più quali meno, al marxismo. Se ne interessano appositamente le Conferenze episcopali di Francia, del Portogallo, della regione tarragonese (Spagna), del Cile, del Brasile, dell'America latina, del Madagascar. Il fenomeno si presenta con caratteristiche differenti da luogo a luogo e secondo i suoi esponenti. Gli episcopati generalmente rigettano non poche esagerazioni e accuse ingiuste dirette contro la Chiesa da questi gruppi, ma sono sensibili alle valide istanze presenti in essi. Tra esse, alle seguenti. Sotto forme diverse, i conflitti e le lotte fanno parte della storia umana. Una falsa concezione della carità e un'erronea pastorale dell'unità hanno spesso impedito agli ambienti cattolici di guardare in faccia la realtà dei conflitti, delle lotte e della violenza, le quali, se affrontate in vista del bene comune, sono benefiche e addirittura necessarie al superamento delle difficoltà e delle crisi sociali. La geografia mondiale delle lotte e dei conflitti è assai varia. La società industriale tende ad ampliarli e a imporli anche ai gruppi non industrializzati, che vengono a trovarsi in una situazione sfavorevole. Il marxismo ha avuto ragione di mettere l'accento sul conflitto che nasce a livello di rapporti di produzione e ciò è servito a molti cattolici, marxisti o meno, di intervenire assai più incisivamente nel tessuto economico-politico. I vari episcopati si mostrano invece critici su questi altri punti. La lotta di classe rappresenta una lettura tra le altre. Non è l'unica possibile. Non basta che si affermi scientifica per esserlo. Ci possono essere altre letture. All'interno dello stesso marxismo vi sono interpretazioni molto diverse, alcune delle quali si appellano ai problemi della cultura, della tecnica e del potere. La sua pretesa scientifica non può sfuggire al fatto che, come ogni scienza sociale, è condizionata da dei presupposti, da dei postulati e da opzioni ideologiche. Per questo rifiutano di accettare questa tesi che ha un taglio radicale e pretende di essere dedotta per via dimostrativa dell'analisi scientifica. Per questo, rifiutano di legare le coscienze a un assoluto politico in cui invece c'è molto di relativo. Infine non è possibile ridurre tutta la storia al solo sviluppo dei conflitti. Vi è all'inizio sesso della vita sociale un dinamismo di riconoscimento delle persone e di solidarietà senza di cui il conflitto non potrebbe esistere, perché esso è prodotto dal desiderio di riconoscimento reciproco. Per i cristiani, questo ricongiunge la fede a una dinamica di comunione e di riconciliazione, che ha la sua origine in Dio.
    L'impegno politico o per la giustizia coinvolge i cristiani nei conflitti sociali e politici, ma in essi sono chiamati a rendere testimonianza al Vangelo, «dimostrando che nella storia esistono altre fonti di sviluppo diverse dalla lotta, cioè l'amore e il diritto» (Sinodo '71).


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