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    Introduzione a: La preghiera del preadolescente


    (NPG 1976-06-3)

    «La preghiera – osserva Enzo Bianchi – è sempre stata un problema, come la fede è un problema».
    Un problema ancor più intricato nel momento in cui si affronta un tema come quello della educazione dei preadolescenti alla preghiera.
    Un tema che andava affrontato, dopo anni di attenzione al solo mondo giovanile.
    Il Centro Salesiano Pastorale Giovanile e Note di Pastorale Giovanile lo hanno fatto nel giro di un anno in due momenti. Anzitutto con la pubblicazione di RAGAZZI IN PREGHIERA, che offre agli animatori materiale e spunti non solo per «far pregare» i ragazzi, ma soprattutto per educare a pregare. E poi organizzando un convegno per educatori proprio sul tema LA PREGHIERA DEL PREADOLESCENTE.
    Il convegno si è tenuto a Roma, dal 19 al 21 marzo, con una partecipazione lusinghiera sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo.
    Questa monografia vuol essere una specie di «atti del convegno», ma allo stesso tempo un tentativo di rielaborare organicamente il materiale emerso.

    Adattamento o reinterpretazione?

    AI di là dei singoli interventi, ci sono delle scelte di fondo che caratterizzano qualsiasi progetto di educazione dei preadolescenti alla preghiera, progetti che di fatto risultano collocati dentro scelte ancor più vaste di ordine teologico e antropologico, pedagogico e culturale.
    C'è chi, ad esempio, considera la fanciullezza e la preadolescenza come un'area di parcheggio, e perciò esclude i ragazzi da certe attività per adulti, come la preghiera, perché «non sono in grado»...
    C'è anche chi ha una concezione univoca di preghiera e intuisce che essa è allo stesso tempo una cosa seria e complicata e perciò «adatta» il modo di pregare degli adulti, lavorando di taglio e cucito, come si dice.
    C'è poi chi si preoccupa che il ragazzo preghi «a modo suo», ma di fatto lo costringe entro forme culturali ed espressive di un mondo che non è certo quello del preadolescente.
    Il nostro approccio al problema parte da altri presupposti. Due in particolare:
    Il primo è che il preadolescente non è un uomo in miniatura ma un modo originale di essere uomo: egli è dunque capace di preghiera ma di una preghiera diversa da quella degli adulti e dei giovani. Questo presupposto ci ha portato ad una ricerca interdisciplinare per rispondere alla domanda che cosa sia il preadolescente e attraverso quali modalità interpreta il mondo che lo circonda per viverlo a modo suo.
    Il secondo presupposto è che ogni discorso sulla preghiera coinvolge un tentativo di «reinterpretazione», che decodifichi il modo di pregare delle generazioni precedenti (principalmente quelle neotestamentarie) per separare i contenuti teologici dalle forme culturali in cui sono espressi e tentare
    successivamente di reincarnare gli stessi contenuti nelle nuove culture, in questo caso quella dei preadolescenti.
    È questo il compito che ci siamo assunti procedendo su tre piste che continuamente si intersecano:
    – quella teologica per cogliere il dato della fede come si è venuto coagulando lungo la storia;
    – quella esperienziale per valutare i tentativi di educazione alla preghiera oggi alla luce del messaggio cristiano e delle esigenze psicosociali del ragazzo;
    – quella metodologica per tradurre in interventi educativi le affermazioni e le conclusioni delle due piste precedenti.

    l criterio dei destinatari

    L'attenzione alla originalità del preadolescente e soprattutto all'ambiente culturale ed educativo in cui vive, ci hanno portato a non pretendere di presentare un progetto di educazione alla preghiera da privilegiare in assoluto, ma a fornire una griglia di lavoro attraverso cui le comunità educative possano valutare il loro impegno sullo sfondo di tre modelli educativi (oggettivo, esperienziale e comunitario) elaborati a partire dalla concreta esperienza degli educatori dei preadolescenti.
    Una varietà dunque di modelli che ci richiama al pluralismo che Il Rinnovamento della Catechesi ha giustificato e fatto suo affermando che in ogni intervento educativo occorre tener conto dell'età, capacità, mentalità, grado di crescita ecclesiale, responsabilità e genere di vita dei vari destinatari (RdC 75). Un discorso sulla preghiera pertanto rispettoso della identità della preghiera ma soprattutto a servizio della unità interiore e maturazione armonica del preadolescente.
    Gli articoli contenuti in questa monografia sono stati ripresi dalla registrazione e rielaborati in redazione.

    TEOLOGIA DELLA PREGHIERA A DIECI ANNI DAL CONCILIO

    L'angolatura da cui intendiamo affrontare la preghiera in questa monografia è di tipo pastorale. Parliamo di preghiera cioè in vista della educazione dei preadolescenti.
    Ma a quale preghiera vogliamo educare?
    Pur accettando ogni forma di preghiera come tensione profonda alla preghiera di Cristo, rimane da chiederci in che consista quella che viene chiamata la «preghiera cristiana».
    È evidente che il modello biblico di preghiera rimane per noi normativo poiché esprime la dimensione di fondo dell'annuncio cristiano (l'evento di Cristo come liberazione di tutta la storia) e che perciò è necessario rifarsi sempre alla Scrittura per un giudizio critico sulla nostra preghiera. Ma i problemi della preghiera non si esauriscono a questo punto.
    Proprio per impostare correttamente un discorso di educazione alla preghiera occorre subito precisare che, paradossalmente, non esiste la preghiera ma solo delle persone che pregano e che nella preghiera rivivono la loro visione dell'uomo, della realtà, del rapporto mondo-Dio... Nel momento in cui l'atteggiamento religioso dell'uomo si fa preghiera, questa si incarna infatti nella cultura di chi prega. Ne utilizza il linguaggio, le esperienze tipiche, i modelli culturali, le forme espressive.
    È un discorso questo che tocca da vicino anche la preghiera della Bibbia dove possiamo distinguere tra i contenuti che costituiscono la specificità dell'annuncio cristiano e la cultura (ebraica o greco-romana) in cui vengono espressi. Dopo una trattazione che evidenzia la preghiera biblica si apre allora un discorso di tipo ermeneutico attraverso cui si tenta di separare kerigma e cultura sottostante, per essere poi in grado, in un secondo momento, di recepire il kerigma all'interno della nostra cultura e di pregare con la nostra cultura.
    L'importanza di queste considerazioni è più evidente se teniamo presente il tentativo che stiamo facendo di precisare alcuni criteri per l'educazione dei preadolescenti alla preghiera. Se come cristiani siamo chiamati a confrontarci seriamente con una teologia biblica della preghiera (ed è questo il senso dell'articolo di Joseph Aubry), come educatori siamo tenuti a reinterpretare successivamente il messaggio biblico sulla preghiera. Solo a questo punto potremo parlare di progetto educativo fedele a Dio e all'uomo, di preghiera fedele a Cristo e su misura del ragazzo. E questo è lo scopo di tutta la monografia.

    PLURALISMO DEI MODELLI NELL'EDUCAZIONE DEI PREADOLESCENTI ALLA PREGHIERA

    L'educazione alla preghiera non si inventa a tavolino. C'è tutta una tradizione secolare che va valutata e di cui occorre tener conto per affrontare con serietà il problema. E c'è anche tutta una serie di tentativi che anche oggi offrono spunti interessanti per la riflessione sullo stesso problema. Di fatto, con risultati non sempre soddisfacenti, si educa alla preghiera. Attraverso quali procedimenti, è quello che vedremo ora presentando tre esperienze dal vivo. L'intenzione non è quella di offrire delle esperienze pilota da ricopiare tali e quali, ma piuttosto di tentare di delineare alcuni dei modelli più comuni di educazione dei preadolescenti alla preghiera. Non siamo pertanto in una fase di proposta, ma semplicemente di analisi, affinché le comunità educative abbiano tra mano una griglia di lettura della azione educativa che si sta conducendo in questo campo e, se necessario, possa orientarsi verso la scelta di un modello più consono alle esigenze locali.

    VERSO UN PROGETTO DI EDUCAZIONE ALLA PREGHIERA

    Non esiste un progetto di educazione dei preadolescenti alla preghiera da privilegiare in astratto perché la bontà di un progetto è un concetto relativo sia alla situazione In cui di fatto si trovano i preadolescenti sia alla specificità del progetto educativo globale in cui questi sono inseriti.
    Esistono invece, lo abbiamo visto, dei modelli educativi elaborati a partire dalla esperienza concreta di quanti hanno tentato di educare con serietà alla preghiera. Tocca alle comunità educative pertanto orientarsi nella scelta del progetto in un primo tempo cercando di precisare quale tipo di progetto in pratica si sta già realizzando per verificarne la consistenza e la coerenza interna ed in secondo tempo aggiustando, per così dire, il tiro, attraverso una qualificazione maggiore degli interventi educativi.
    Del resto la scelta di un modello piuttosto che un altro non è affidata al caso ma è legata ad un duplice criterio: quello dei destinatari e quello del progetto educativo globale. Quello dei destinatari anzitutto, perché non è più possibile usare il termine preadolescenza in senso univoco. Esiste ormai una tipologia abbastanza larga di preadolescenti. Un qualsiasi progetto educativo deve tenerne conto mettendo in luce come « questi » preadolescenti vivono i bisogni psicosociali e gli interessi tipici della preadolescenza, senza nascondersi i diversi condizionamenti ambientali e culturali cui sono soggetti.
    Rispettare la situazione dei destinatari significa anche tener conto del secondo criterio di scelta e cioè del progetto educativo globale. Ogni ambiente educativo infatti ha un suo progetto pedagogico fatto di mete educative, e di metodologie attraverso cui giungervi, di interventi operativi tipici e di strumenti concreti. Una educazione alla preghiera che voglia rispettare il ragazzo non può non tener conto di tutto questo se non vuole sottomettere il preadolescente a delle tensioni che si risolvono in genere in indifferenza o in adattamento, anche alla preghiera, ai fini della sopravvivenza. Certe esperienze pilota in ambienti educativi tradizionali possono essere traumatizzanti, non meno di una educazione alla preghiera vicina al modello oggettivo in una scuola che fa uso abbondante di metodi induttivi di ricerca e sperimentazioni.
    In vista del lavoro della comunità educativa offriamo una serie di interventi che illuminano diversi aspetti della elaborazione di un progetto:
    – analisi di alcune caratteristiche psicologiche della preadolescenza e delle indicazioni metodologiche cui danno luogo (intervento di Severino De Pieri);
    – alcune piste di sensibilizzazione antropologica alla preghiera in vista di una educazione tesa più ad educare a degli atteggiamenti che a ottenere dei comportamenti (interventi di Joseph Gevaert e di Rosy Bindi);
    – una serie di interventi educativi fondamentali in ogni progetto di educazione alla preghiera (intervento di Pietro Gianola);
    – interventi educativi concretizzati secondo i diversi ambienti e momenti educativi: catechesi (Roberto Giannatelli), parrocchia, famiglia e gruppo dei preadolescenti (Erminio De Scalzi), « esperienze educanti » (Franco Floris);
    – la Bibbia come strumento di educazione alla preghiera (intervento di Cesare Bissoli).

    Modalità psicologiche della preadolescenza ed educazione alla preghiera

    Al centro della educazione alla preghiera non sta la preghiera ma il preadolescente in stato di educazione. t un ritornello che si ripete in questa monografia ma che ci porta a formulare di volta in volta delle precisazioni.
    Il rispetto della originalità della preadolescenza può essere falsamente inteso se apre la strada ad un falso silenzio sul mondo della preghiera cui il ragazzo non potrebbe prendere parte o ad una specie di semplificazione del mondo della preghiera ad uso dei preadolescenti, o ancora ad una pura ricerca di strategie educative che ci permettano di vendere la nostra merce. Il problema è più profondo e consiste nel come dare un sostegno educativo al preadolescente affinché reinventi la preghiera dal di dentro del suo mondo e della sua umanità. Rispetto che non esige di sostituirsi allo sforzo e alle decisioni personali, ma l'impegno di aiutare il ragazzo a liberare la propria capacità di preghiera.
    Ma qual è, in fondo, questo mondo del preadolescente a cui vogliamo essere fedeli e quali sono i processi attraverso cui egli si educa? L'intervento dí Severino De Pieri non offre solo un'analisi di tipo astratto del mondo psicoaffettivo del ragazzo, ma soprattutto, ed è quel che conta, ci aiuta a riflettere sulle modalità della sua maturazione. È nella fedeltà a queste modalità che anche un discorso serio sulla preghiera diventa possibile.

    Una scelta metodologica: dai comportamenti agli atteggiamenti

    Al di là del modello che si intende adottare per educare i preadolescenti alla preghiera nel rispetto della loro reale situazione, una scelta si impone per tutti: il passaggio dalla preoccupazione di far acquisire dei comportamenti (sentire la preghiera come un dovere per il cristiano, pregare secondo certi ritmi, apprendere certe formule...) alla preoccupazione di costruire degli atteggiamenti (gratitudine, povertà, accettazione degli altri, bisogno di aiuto...).
    Non parliamo, per ora, di atteggiamenti di preghiera ma di atteggiamenti umani in genere che « aprono » al mondo della preghiera e, prima ancora, della fede. Preoccuparsi di questi atteggiamenti significa riconoscere che l'educazione alla preghiera parte da lontano, perché deve fare i conti con gli atteggiamenti che il preadolescente acquisisce, per osmosi, nell'ambiente educativo e nel mondo di cui fa parte.
    Da un punto di vista pedagogico il « partire da lontano » esige l'impegno degli educatori in tre direzioni:
    – educare il preadolescente ad uno spirito critico verso gli atteggiamenti che circolano nella cultura dominante (sopraffazione, arrivismo, utilitarismo, disimpegno...);
    – una continua verifica, a livello di comunità educativa, degli atteggiamenti umani che, di fatto, regolano la vita dell'ambiente educativo, delle classi, del gruppo;
    – una serie di interventi « positivi, tesi cioè a rinforzare quegli atteggiamenti che maggiormente si avvicinano al mondo della preghiera (senso della gratuità, accettazione dei propri limiti, capacità di rapporto interpersonale, scoperta di essere uomo perché « alla ricerca », attesa di salvezza, capacità di ascolto...).
    Nei due interventi proposti Joseph Gevaert approfondirà alcune piste di educazione agli atteggiamenti di base, piste che Rosy Bindi riprenderà con un altro linguaggio, in relazione agli adolescenti, termine di confronto per chiunque si occupa di educazione dei preadolescenti.

    Una sequenza di interventi educativi

    L'educazione alla preghiera, è evidente, non può essere lasciata alla improvvisazione e alle intuizioni dell'ultimo momento ma deve essere, programmata con attenzione in modo che l'insieme degli interventi possa essere considerato un «progetto metodologico».
    Perché possiamo parlare di progetto si richiedono due condizioni. La prima è che gli interventi coprano tutto l'arco della educabilità alla preghiera (dalla maturazione umana a quella cristiana, dalla formazione della coscienza allo sviluppo della socialità, dalla crescita affettiva al rinforzo motivazionale...), in modo che, direttamente o indirettamente, il preadolescente venga educato alla preghiera «a tempo pieno».
    Questo tuttavia non è sufficiente. Occorre infatti che tutti gli interventi si collochino nella stessa prospettiva teologica e antropologica a cui si crede di dover fare riferimento e siano perciò coerenti all'interno di una stessa logica. In fondo ritorna il tema dei modelli (oggettivo, esistenziale, comunitario) e delle metodologie che li caratterizzano (informazione e interiorizzazione, esperienzialità e lettura del quotidiano, partecipazione). Non si può dunque parlare di interventi educativi in genere ma solo di sequenze di interventi dentro uno stesso modello.

    Ambienti e momenti di educazione specifica alla preghiera

    Dopo aver presentato alcuni degli interventi che devono caratterizzare un progetto educativo focalizziamo la attenzione sugli spazi reali a disposizione per educare a pregare.
    Alla preghiera si educa in un doppio ambito:
    – la vita quotidiana nella sua profanità, in cui la educazione alla preghiera non è diversa dallo stile di vita che vien proposto al ragazzo e dalla ricerca di significato che vien fatta emergere dalle provocazioni del quotidiano;
    – il momento esplicito in cui la vita si fa preghiera, in cui cioè si abbozza una risposta alle attese di significato del quotidiano. In questo ambito possiamo anche parlare di «preghiera che educa alla preghiera», quando la preghiera dell'uomo in ricerca si incontra con la preghiera che Dio fa all'uomo, con l'appello alla comunicazione che Dio rivolge all'uomo e che permette all'uomo di trovare un senso alla sua vita.
    Questa distinzione è importante per evitare di ridurre l'educazione alla preghiera o al solo momento esplicito (dimenticando che è nel quotidiano che si educa agli atteggiamenti e che non si educa per il solo fatto che i ragazzi pregano) o al solo momento profano (identificando la preghiera con il lavoro e con la vita o chiudendola nella sola ricerca di senso).
    Parlando di educazione degli atteggiamenti abbiamo indicato alcune delle piste di educazione alla preghiera dentro il profano, attraverso la sensibilizzazione alle dimensioni umane di base per la preghiera e alla dimensione trascendente della vita umana.
    Nei tre interventi riposrtati vogliamo invece soffermarci più da vicino sui momenti di educazione esplicita in famiglia, nelle parrocchie, nella catechesi diretta, nelle cosiddette «esperienze educanti».

    Bibbia ed educazione alla preghiera

    L'educatore sa quale spazio occupa la Bibbia nella tradizione della preghiera cristiana, soprattutto comunitaria e ufficiale.
    Ma sa anche quale forte tentazione spinga oggi i ragazzi che crescono verso uno spontaneismo radicale. D'altro canto c'è l'urgente attenzione di dare spazio alla creatività in un rapporto cosi personale come può essere quello dell'uomo con Dio.
    Perché il rischio dello spontaneismo eccessivo non finisca per ridursi ad uno sfogo psicologico, ad un abbandono puramente emotivo, e d'altra parte perché il discorso dello spazio biblico nella preghiera non cada in una arida ripetizione di formule sia pure consacrate dal carisma dell'ispirazione trovano motivo queste riflessioni sulla urgente necessità che la Bibbia ritrovi il suo «vero» spazio in una educazione del preadolescente alla preghiera che sia robusta, ricca di contenuti, rispettosa, e fedele a Dio e all'uomo nel momento in cui si incontrano.


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