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    I giovani italiani di fronte al fenomeno religioso



    Franco Garelli

    (NPG 1976-3-71)

    Questo è il primo di una serie di articoli destinati a descrivere, in termini sociologici, il rapporto giovani-fenomeno religioso, per tratteggiare, anche se a larghe battute, un quadro della realtà su cui iniziare il progetto pastorale. Questo primo articolo offre il fondale di riferimento. Nei successivi saranno considerati la «media» dei giovani italiani, le frange più impegnate (ecclesialmente e socialmente), la rinascita a livello giovanile di atteggiamenti e comportamenti di tipo religioso-mistico.
    L'autore raccoglie, in questi suoi interventi, i contributi più significativi delle recenti ricerche di sociologia della religione.
    Prima di lasciare la parola a questa rassegna di «fatti», desideriamo fare una premessa che stimiamo importante per l'operatore pastorale.
    Il tema meriterebbe una analisi approfondita. Per il momento lo indichiamo a battute veloci, riservandoci una ripresa del discorso in altri contesti. Vogliamo fare una pastorale «in situazione»: legata cioè al qui-ora concreto dei destinatari. È una irrinunciabile esigenza di fedeltà all'incarnazione (RdC 77, 96). Perciò, sia nel momento dell'analisi che in quello della progettazione, non basta I semplice ascolto della fede, non basta la «teologia» Dobbiamo interpellare le scienze dell'uomo, competenti a parlarci del qui-ora dei giovani concreti. Per fedeltà all'incarnazione ricorriamo alla sociologia (come nel nostro caso), alla psicologia, all'antropologia, alle scienze pedagogiche...
    Questi diversi contributi vanno accolti, nel rispetto che loro compete, per l'autonoma consistenza che li caratterizza: non possiamo «strumentalizzarli», chiedendo loro una dipendenza teologica.
    Ma tutto questo entro due «limiti» ben precisi:
    – sia l'analisi di situazione che il progetto pastorale devono cogliere l'uomo integrale. Nessuna scienza è principio adeguato d'intervento se non raggiunge l'uomo nella sua totalità. Perciò nessuna scienza umana può diventare «criterio decisivo» di azione pastorale, perché tutte (la sociologia compresa) colgono or aspetto della complessità storica dell'uomo;
    – un lavoro multidisciplinare come quello che stiamo ipotizzando per la pastorale, richiede una unificazione, per servire veramente l'unità interiore della persona (RdC 159). Su quale criterio unificare le varie discipline che concorrono a fare una analisi e un progetto pastorale?
    In campo pastorale la risposta è precisa: l'unificazione si fa sulla fede. Perciò alla fede compete l'impegno di fornire un «pre-giudizio», una «precomprensione» che sappia vagliare le varie scienze umane che entrano nell'azione pastorale, pur rispettandole nella loro relativa competenza.
    Questa premessa ci aiuta a cogliere l'importanza e la parzialità della sociologia nella progettazione pastorale:
    – l'operatore pastorale ha bisogno di una lettura sociologica corretta della realtà su cui deve operare, se vuole lavorare nel concreto storico;
    – questo ricorso alle analisi sociologiche avviene, nella pastorale, sulla motivazione teologica del principio dell'incarnazione;
    – le analisi sociologiche vanno rispettate nella loro competenza: non è possibile chiedere al sociologo un contributo educativo o pastorale. Suo compito è la rassegna dei fatti. Anche se si tratta sempre di una rassegna necessariamente «collocata» in una posizione antropologica;
    – tocca alla fede valutare, dall'interno, la direzione «umana» dell'analisi, per raggiungere quel progetto d'uomo in cui sia possibile integrare il dono trascendente della salvezza;
    – le analisi sociologiche non sono mai principio immediato di azione, perché descrivono solo una dimensione dell'uomo.

    PREMESSA

    Prima di addentrarci nel tema occorre una premessa. Si tratta cioè di capire di quali giovani si voglia parlare in questo contesto, di che cosa si intenda per fenomeno religioso, e di indicare il taglio con cui si vuole caratterizzare questa analisi. Le pagine di questo primo articolo cercano di rispondere a questo triplice interrogativo.
    L'entrare nel merito delle definizioni e della delimitazione dell'ambito di indagine, presuppone la considerazione della natura della presente analisi. Non si tratta di un lavoro a tavolino, di un lavoro puramente teorico. Esso nasce dalla considerazione delle indicazioni che su questo argomento offrono le principali ricerche reperibili a livello nazionale (che per la verità non sono molte), e dalle analisi che l'autore ha portato avanti circa questo fenomeno attraverso strumenti di indagine diversi e a svariati livelli. Di tutte queste indicazioni empiriche a cui qui si accenna, verrà dato riferimento bibliografico preciso durante il lavoro. E là dove la parte teorica risulta più consistente (come nel caso di questo primo contributo) essa viene presentata come indispensabile chiave di interpretazione delle indicazioni emergenti dalle varie analisi sul campo.

    CHE COSA SI INTENDE PER «GIOVANI»

    Occorre precisare prima di tutto che cosa si intenda per «giovani», dal momento che ci troviamo in una società che tende ad ingrossare «l'esercito» dei giovani, che continua ad elevare la soglia del loro effettivo inserimento nel contesto produttivo e decisionale contribuendo così a prolungare lo stato di dipendenza della condizione giovanile. Ciò si verifica non tanto perché la società non inviti il giovane ad essere attore sociale, a giocare un ruolo nel presente assetto sociale (e sarebbe interessante analizzare di quale ruolo si tratti), quanto invece perché la società porta il giovane a vivere anzitempo un ruolo senza preoccuparsi di offrirgli una posizione sociale precisa nella struttura in cui vive.
    Pertanto la determinazione cronologica (15-24 anni) e la situazione di transizione (passaggio da una condizione psicologico-sociale non autonoma ad una relativa autonomia conseguente alla maturazione della personalità e al processo di apprendimento dei ruoli adulti) ancorché importanti, non sono più elementi sufficienti per delineare la fascia giovanile. Essi devono essere affiancati da altri indicatori dell'attuale condizione giovanile che trovano le loro origini in una situazione di esclusione, di emarginazione e di subordinazione che confina i giovani in una posizione di perifericità rispetto all'assetto sociale e decisionale (nullo o poco peso nel determinare le decisioni sociali; contraddizione tra potenzialità-capacità maturate dal giovane ed effettiva possibilità di applicarle a livello sociale; considerazione solo tattica, strumentale, consumistica della condizione giovanile...).
    Le nostre analisi e riflessioni sono pertanto rivolte a considerare quella fascia di popolazione che determinata da un punto di vista anagrafico tra i 15 e i 24 anni, vive una condizione che da una parte tende verso una relativa autonomia che consegue alla maturazione affettiva, ideologica,. sociale e che si rivela sufficiente per fondare la propria posizione e il proprio inserimento a livello sociale, e dall'altra palesa una situazione di emarginazione e di dipendenza sociali.
    In questo modo di definire i giovani c'è la preoccupazione di non parlare di essi in termini generali, di non interessarsi ad essi per mettere in risalto quei tratti che possono caratterizzare in tutti i tempi la condizione giovanile nei confronti del mondo, delle realizzazioni e della cultura degli adulti. In questo contesto i giovani vengono considerati come prodotto di questo tipo di società in cui viviamo, come «figli» (e non per questo passivi e accondiscendenti) di questa società italiana industriale e neocapitalistica. L'ottica che qui assumiamo non fa altro che immetterci nel filone che sta caratterizzando gli attuali studi sulla condizione giovanile per cui «i giovani non sono concepibili e analizzabili al di fuori del loro contesto sociale (...) essi si configurano come prodotto storico di una prassi sociale, cioè dell'evoluzione della struttura economica, sociale e culturale e del lavoro di organizzazione politico e ideologico che si realizza nella società. Ciò implica che, anche a livello operativo, la condizione giovanile non può essere analizzata isolatamente, settorialmente o fenomenologicamente, ma che va interpretata nei suoi rapporti storico-dialettici con la struttura della società italiana» [1].

    LE CAUSE DELLA CRISI DEL FENOMENO RELIGIOSO

    Senza addentrarci in una analisi esplicita, il rapporto struttura e cultura sociale e condizione giovanile sarà presente nel tentativo di evidenziare come i giovani si pongano di fronte al fenomeno religioso. La crisi del fenomeno religioso nella nostra società (e questo è uno dei modi di definire la secolarizzazione), ha sì radici in cause interne alla sfera e al mondo religioso, ma soprattutto in cause esterne, nella stessa società e nella sua cultura. Se alla istituzione e proposta religiose ufficiali si possono rinfacciare mancati adeguamenti alla sensibilità dei tempi, mutamenti dettati talvolta più da una preoccupazione tattica che non frutto di precise scelte preventive, conservazione di strutture e sistemi che non sembrano dimostrarsi in coerenza con i motivi ispiratori, appoggi di fatto (o conseguenti ad una concezione neutrale della propria posizione sociale) al sistema sociale dominante..., tutto ciò ha contribuito a far emergere una immagine negativa a livello sociale della struttura e proposta religiose ufficiali e pertanto può essere assunto come una delle cause di quella che abbiamo chiamato «crisi del fenomeno religioso». Questa però risulta pienamente spiegabile solo chiamando in causa il fenomeno per cui con l'avvento e il consolidamento di un nuovo tipo di società (assetto industriale capitalistico e neocapitalistico...) si è creata una relazione uomo-mondo differente rispetto a quella caratterizzante le società precedenti. E la spiegazione della crisi del fenomeno religioso sta da una parte nel fatto che la religione non risulta un elemento necessario nel definire la nuova relazione uomo-mondo e dall'altra nel fatto che la religione perde importanza e potere sia a livello di istituzioni sociali, sia a livello di vita culturale, sia a livello delle coscienze. L'emergere, il consolidamento e le trasformazioni che caratterizzano la storia della società industriale capitalistica e neocapitalistica, ci forniscono alcuni importanti elementi strutturali e culturali che sottostanno alla crisi del fenomeno religioso e alla sua marginalità ai vari livelli considerati. Senza una pretesa di organicità e di approfondimento, possiamo elencarne alcuni.

    • Il principio di razionalità che sta alla base della specializzazione scientifica e della differenziazione tecnica. Per Max Weber la caratteristica fondamentale del mondo capitalistico occidentale sarebbe costituita dal fenomeno della razionalizzazione, che tenderebbe ad abbracciare tutti gli aspetti e le forme del vivere sociale. L'agire dell'uomo viene cioè orientato da determinati fini e proporzionato a mezzi, fini e mezzi «concreti», che tendono cioè al controllo e al dominio dell'uomo sulla natura e alla determinazione da parte dell'uomo delle condizioni della propria esistenza. In questo modo avviene il «disincantamento» del mondo. L'atteggiamento dell'uomo di controllare la natura e di determinare la propria esistenza, l'ottica stessa della razionalità applicata a tutti i livelli, comportano necessariamente un atteggiamento di rifiuto di ogni forma di magia, di ogni ritualismo, di ogni cerimonia salvatrice. Significa inoltre un vedere nel mondo solo forze oggettive, impersonali, di cui l'uomo può arrivare alla conoscenza e alla utilizzazione attraverso la scienza e la tecnica. E questo processo di razionalizzazione determinerebbe la progressiva messa in disparte di valori che possono guidare la vita dell'uomo, la quale orienterebbe sempre più secondo lo schema fini-mezzi «concreti» [2].

    • Un certo tipo di «razionalità» che tendendo ad un disegno di «razionalizzazione» interno al sistema sociale evita con cura di mettere in escussione le istanze ultime dello sviluppo, della produzione, della organizzazione del lavoro e della società (il riflesso sociale di questo tipo di «razionalità» è l'emergere di un'ottica sociale che tende ad applicare l'esigenza di razionalità solo a livello di mezzi e strumenti e fini intermedi e non dei fini ultimi). Per cui si può affermare che «la società moderna, industriale e capitalistica, si è costruita sulla base di una sempre più ricca elaborazione di logiche parziali o settoriali, che tanto più si liberano da una prospettiva di razionalità globale (qual è, appunto, quella della ricerca del significato e della religione) quanto meglio hanno successo nell'instaurare il dominio dell'uomo sul mondo. La razionalità che si afferma è dunque una razionalità del settore e non della totalità, dello strumento e non del fine, ed è perciò facilmente correlata ad un implicito primato dell'economico (ossia il fine che non è mai posto in discussione)» [3].

    • La compresenza di diverse culture. Non siamo in una società omogenea dal punto di vista della cultura. E ciò perché nella nostra società esistono dei settori e degli strati sociali che si coagulano attorno a particolari valori e conoscenze, e che denotano diversi modelli di comportamento e stili di vita. Tali differenze trovano le loro origini da un lato nello stesso processo di industrializzazione (per cui la cultura propria del mondo rurale viene affiancata e in molti casi confinata in una posizione di secondo piano dalla cultura del mondo industriale), e dall'altro nelle conseguenze sociali del processo di industrializzazione (l'urbanizzazione e l'immigrazione, ad esempio, sono alla base di una mescolanza negli aggregati urbani di diversificate culture). La diversità di culture trova ancora origine, in terza istanza, nel fatto che in una stessa nazione c'è la compresenza di gruppi sociali che evidenziano un diverso atteggiamento verso l'attuale assetto sociale. Alcuni infatti optano per la conservazione dello status quo e pertanto sono portatori dei valori e dei modelli di comportamento della cultura dominante. Altri, invece, favorevoli al cambio sociale, diventano i promotori di una cultura alternativa o di una controcultura. La compresenza di diverse culture (resa più consistente dalla facilità-necessità delle comunicazioni internazionali e dalla rilevanza dei mass-media), comporta in generale un clima di relativismo. Per cui le credenze importanti o valide per un determinato tipo di cultura possono essere considerate marginali o alienanti per altre concezioni di vita e della realtà sociale. E questo fenomeno, ovviamente, riguarda anche le credenze religiose.

    • L'importanza delle ideologie. Le condizioni concrete di vita hanno un peso rilevante nel determinare l'analisi dei fatti sociali e le soluzioni proponibili per sbloccare le situazioni. Gli uomini, i gruppi sociali, fanno sempre più ricorso alle ideologie per orientarsi nella realtà sociale, analizzandola e progettando delle strategie di intervento.
    In qualche modo la notevole importanza assunta dalla ideologia (magari senza troppa coscienza da parte della media degli uomini) sembra confinare il campo della fede in secondo piano. Perché in effetti è l'ideologia che aiuta a comprendere la realtà umana e sociale, a formare l'identità dell'uomo contemporaneo. Facendo ricorso all'analisi sociale e progettando un modo concreto per situarsi a livello sociale gli uomini, i gruppi sociali, cercano di comprendere i contraddittori fenomeni della realtà e evidenziano una propria identità da realizzare al di là di tutte le difficoltà e di tutti gli ostacoli.

    • La nuova sensibilità ai valori di ordine profano. Oggi l'uomo non ha più bisogno di ricorrere ai gesti sacrali per credere nell'amore, nella vita, nella amicizia. Queste realtà umane gli paiono significative proprio perché umane. Per comprendere pertanto le dimensioni della vita e della realtà gli uomini sembrano ricorrere sempre di meno a forze al di fuori dell'ambito umano. La vita pare ad essi comprensibile e spiegabile proprio all'interno della stessa sfera umana.

    • La coscienza dell'uomo di poter più attivamente determinare la propria condizione sociale e la relazione con la natura. Si tratta di un aspetto dell'attuale clima sociale che deriva da considerazioni fatte in precedenza. L'uomo che «prima si trovava come un bambino timoroso in un mondo pieno di mistero, divinizzava questo mondo; egli vedeva direttamente la mano di Dio in tutti i fenomeni terrestri che non riusciva a spiegarsi; ora è l'uomo faber che domina il mondo. Da soggetto divino il mondo è diventato oggetto della dominazione dell'uomo, è il materiale con cui l'uomo cambia la propria situazione nel mondo e lo rende dimora veramente degna dell'uomo. t il concetto di storia fatta dall'uomo che diviene ora centrale; l'uomo moderno ha scoperto la supremazia dell'avvenire sul passato; l'uomo di oggi scopre il mondo con un taglio di visuale tutto nuovo, e in ciò scopre se stesso» [4].

    • L'esperienza e la consapevolezza della globalità di tutti i problemi, dei condizionamenti, delle contraddizioni del sistema e dei conflitti sociali. Non è che la coscienza di poter più attivamente determinare la propria condizione cancelli tutte le contraddizioni sociali ed umane. La realtà contemporanea è segnata da tanti problemi e da tante contraddizioni.
    Le stesse conseguenze sociali negative del fenomeno dell'industrializzazione pongono gli uomini di fronte ai risvolti problematici (di squilibrio, di sfruttamento, di disintegrazione sociale...) che un assetto di sviluppo può comportare.
    Però pur di fronte a difficoltà vecchie od emergenti, gli uomini denotano un atteggiamento autonomo. Di chi sia nella comprensione della realtà, sia nelle analisi delle contraddizioni, che nel progettare soluzioni adeguate non ricorre a forze al di fuori delle proprie possibilità.

    • L'esperienza e la consapevolezza che attraverso l'organizzazione collettiva e la solidarietà di classe è possibile raggiungere obiettivi comuni e lottare per attuare un progetto alternativo di società.

    • La presenza di un'ottica sociale che si sviluppa lungo le coordinate dell'utilitarismo e del pragmatismo e che fonda una nuova morale individuabile nello slogan: «l'utile è il giusto». Si tratta della posizione di chi è maggiormente sotto l'influsso dei modelli di comportamento della società consumistica e individualistica. Di chi, in generale inconsapevole di tale diretta dipendenza, crede di trovare nella propria autonomia e interesse una personale risposta al problema del significato, rifugiandosi con questo tentativo in atteggiamenti e comportamenti che riflettono la stessa logica caratterizzante il sistema sociale dominante.

    • La crisi delle istituzioni tradizionali. Come sempre le istituzioni sociali sembrano a rimorchio della storia, tengono a fatica il passo dei tempi. Per cui ciò che oggi è messo in dubbio è che la loro funzione sia adeguata per una società in trasformazione, dinamica. Ci si interroga pertanto circa la validità delle istituzioni in un contesto sociale in continuo mutamento.
    Ciò vale anche per l'istituzione religiosa. La critica che ad essa viene fatta è di legittimare il sistema sociale dominante, di ritardare il mutamento sociale, di risultare statica. Per cui la sfiducia verso il ruolo sociale della chiesa e del clero può negativamente influenzare la considerazione stessa del messaggio religioso.

    Nell'elencare i suddetti punti è presente la consapevolezza di trovarci di fronte ad un compito gravoso (il tentativo di individuare e descrivere gli elementi stessi), e a fenomeni assai complessi, gravosità e complessità di analisi che aumentano quando si ha a che fare con elementi tra di loro contraddittori, che hanno le loro origini in modi diversi di porsi di fronte alla realtà sociale, di analizzarla e di progettare interventi.
    Ma ciò che caratterizza questi «elementi», sia che appartengano ad un campo di legittimazione del sistema dominante (o a livello di una razionalizzazione o a livello di una conseguenza di tale processo rappresentata dal consumismo), sia che appartengano ad un modo alternativo di intendere e volere la società, è che essi rivalutano a fondo i valori profani, si focalizzano sui problemi riguardanti da vicino l'uomo, tendono ad emettere ideologie che si presentano come totalizzanti (cercano cioè di fornire una spiegazione totale e immanente della realtà, degli sforzi degli uomini, del senso della vita dell'uomo), fanno maturare esperienze di solidarietà ed incidenza nella realtà naturale e sociale oppure fanno aderire a categorie e mentalità o mode che abituano a non ricercare al di fuori dell'esperienza altri modi di intendere la realtà.
    E tutto ciò ovviamente è alla base della riduzione dello spazio del sacro nella spiegazione della realtà, e alla riduzione della funzione della religione di «coagulo» ed integrazione del gruppo sociale.
    Nell'analizzare pertanto il rapporto condizione giovanile e fenomeno religioso, terremo presenti sia il quadro della secolarizzazione, sia le cause di crisi «interne» al fenomeno religioso, sia soprattutto quelle esterne ad esso (strutturali e culturali).
    Chi si pone di fronte al fenomeno religioso non sono dei giovani «neutri», al di fuori della società, ma soggetti che vivono una condizione largamente determinata da questa società, sia a livello di possibilità e condizioni effettive di inserimento sociale, sia a livello di valori, di concezione di vita, di ideologia. È nella esperienza sociale, e nell'esperienza e consapevolezza progressiva delle contraddizioni e dei conflitti propri di questo assetto societario, che i giovani maturano una determinata immagine di società e atteggiamenti e comportamenti conseguenti.
    Con questa esperienza e condizione di vita il giovane incontra e reagisce al fenomeno religioso, valutandolo nella capacità/possibilità di risposta ai propri interrogativi e alle proprie esigenze, nell'aiuto che può fornirgli nella comprensione del reale. E se è vero che il fenomeno religioso non è staccato dal contesto sociale e che vive una crisi che ha le sue cause più profonde a livello di struttura e cultura sociali, i giovani non potranno che essere degli indicatori significativi di questo stato di crisi nel loro atteggiamento e comportamento a livello religioso e nell'immagine che essi hanno maturato del fenomeno religioso.

    CHE COSA SI INTENDE PER «FENOMENO RELIGIOSO»

    Abbiamo fin qui genericamente parlato di fenomeno religioso senza mai chiarire l'esatto contenuto che vogliamo dare a questi termini. Volendo analizzare come i giovani si pongono di fronte a questo fenomeno nel contesto sociale italiano, cercheremo di evidenziare quale esperienza essi abbiano maturato a livello ecclesiale (nelle associazioni, nelle parrocchie, negli oratori), e a livello più strettamente religioso (a contatto con il clero, nella scuola di religione, nei riti, nella pratica religiosa); come essi si pongano di fronte alla proposta religiosa (credenze); e infine come si pongano di fronte all'istituzione ecclesiale e religiosa (immagini di essa ed atteggiamenti).
    Da tale modo di delimitare il campo di indagine traspare la nostra convinzione che la media dei giovani oggi o nell'immediato passato abbia avuto a che fare, per quanto riguarda l'ambito religioso, soprattutto con l'istituzione religiosa che è più rappresentata nel nostro paese, con la sua proposta e il modo con cui questa è stata trasmessa. Ne consegue la necessità di vagliare i tre campi suaccennati sia perché solo dall'insieme della posizione dei giovani nei confronti di essi potremmo avere un quadro reale del rapporto giovani-fenomeno religioso, sia perché non è detto che un modo caratterizzante l'approccio con uno dei tre settori individuati debba anche necessariamente caratterizzare gli altri approcci, sia perché da tale complesso approccio (esperienza, proposta, istituzione) dipendono importanti conseguenze a livello di comportamento religioso (aspetto che non prenderemo in considerazione nel presente contributo)
    Da quanto detto emerge anche un'altra convinzione. Nel contesto sociale italiano è presumibile che la maggioranza degli adolescenti abbia avuto o abbia tuttora dei contatti con l'ambiente ecclesiale. Tali contatti, che contribuiscono a sedimentare l'esperienza dell'individuo, non sempre hanno avuto o hanno un contenuto strettamente religioso. Anche se è ipotizzabile che nei gruppi giovanili ecclesiali o genericamente «religiosi», la proposta religiosa sia presente, essa compare comunque mescolata ad altre istanze (se non da queste sostituita) che rispondono all'esigenza di socializzazione, al bisogno di uscire dall'anonimato (e talvolta dal conflitto) sociale, all'urgenza di essere attivi a livello sociale propria di molti giovani, alla istanza espressiva ed autoaffermantesi dei giovani. Per cui ideali o scopi umanitari, di socializzazione e di spazio libero e momento di espressione giovanile, si mescolano con la proposta religiosa e contribuiscono a costituire l'esperienza globale e in particolare «ecclesiale» o «religiosa» (perché vissuta in questo ambito) del giovane. Tale esperienza, a nostro avviso, risulta particolarmente importante per definire l'immagine del fenomeno religioso complessivo che il giovane poi ha maturato o matura, affiancando a tale esperienza tutta una serie di considerazioni mediate sia dall'esperienza globale che vive, sia dalla propria condizione sociale e giovanile, sia dal clima sociale e culturale.

    NOTE

    [1] R. SCARPATI (a cura di), La condizione giovanile in Italia, Milano, Franco Angeli, 1973, p. 12.
    [2] Vedasi E. ROGGERO, Il cosmo disincantato, in «Dimensioni Nuove», IV, dicembre 1975, n. 12, p. 10.
    [3] G. BUSSETTI, P. CORBETTA, F. RICARDI, Religione alla periferia, Bologna, Il Mulino, 1974, p. 73.
    [4] E. SCHILLEBEECKX, Per una immagine di Dio nei mondo secolarizzato, in SS. ACQUAVIVA e G. GUIZZARDI (a cura di), La secolarizzazione, Bologna, Il Mulino, 1973, p. 279.


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