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    Gli interrogativi dell'associazionismo cattolico



    Bartolomeo Sorge

    (NPG 1976-1-63)


    Note di Pastorale Giovanile (1974/12) ha pubblicato uno studio per fare il punto sull’associazionismo giovanile. In quell'articolo l'accento era soprattutto sugli aspetti strutturali della crisi e della crescita. Il rimando ai contenuti era appena accennato.
    La crisi di molti gruppi non è né solo sul piano dei contenuti né solo di natura sociale. Spesso i due elementi si intersecano e si richiamano reciprocamente. Soprattutto per i gruppi ecclesiali però i «contenuti» sono problema di autenticità vitale.
    Per completare il quadro era necessario perciò un discorso attento di ordine teologico.
    Chiesto articolo di P. Sorge, già pubblicato in «La civiltà cattolica» (1975 - n. 3000), offre un riferimento ampio e molto meditato. È una proposta che provoca tutti i gruppi seri. Che vogliono qualificarsi ecclesialmente al di là delle facili etichette o delle prese di posizioni troppo emotive.

    L'associazionismo cattolico, dai giorni del Concilio, è in fermento e stenta ancora a trovare la sua strada. Le associazioni tradizionali sono praticamente tutte in crisi o alla ricerca – come si usa dire – della propria identità: dall'Azione Cattolica alle ACLI, dalla FUCI agli Scout. Nello stesso tempo, sono venuti alla ribalta movimenti nuovi, i quali propongono scelte e schemi inediti nella geografia classica dell'associazionismo cattolico, suscitando perplessità e speranze. Il caso più vistoso è certamente quello di «Comunione e liberazione», che in pochi anni ha presouno sviluppo impensato, specialmente tra i giovani e gli studenti; per non parlare, poi, di quei gruppi e movimenti che nascono o si pongono «al margine della Chiesa istituzionale» (come essi stessi si esprimono) o addirittura in opposizione ad essa: per esempio, i «Cristiani per il Socialismo» e le cosiddette «Comunità di base». Che cosa sta all'origine di questi fermenti? Quali prospettive essi aprono al futuro della Chiesa?

    UN MONDO IN TRASFORMAZIONE

    Le cause della crisi del «mondo cattolico» sono complesse. In primo luogo, esse sono certamente di natura culturale e sociale. Non per nulla il Concilio ha insistito sull'influsso che le situazioni storiche e l'evoluzione socio-culturale esercitano sulla vita della Chiesa: «La Chiesa cammina insieme con l'umanità tutta e sperimenta assieme al mondo la medesima sorte terrena» [1].
    Se questo è stato vero sempre, lo è specialmente oggi. Infatti, l'evoluzione sociale, economica e politica del nostro tempo presenta caratteri tali che non consentono di considerare la nostra come una delle tante epoche di «transizione» dell'umanità. Tutto autorizza a pensare che siamo in presenza di un processo di vera e propria «trasformazione» del mondo: non cambiano solo le tecnologie di produzione, ma stanno cambiando i valori; non mutano soltanto i rapporti esterni tra gli uomini, ma si sta trasformando la coscienza dell'uomo.
    L'influsso che questa «trasformazione» esercita sulla vita morale e religiosa e sulla Chiesa è senza precedenti. Il senso della storia e del futuro, il senso del «secolare» e del profano – che tanto profondamente segnano la nuova cultura – non solo hanno fatto sorgere interrogativi inquietanti e prospettive impensate in seno alla società civile, ma hanno indotto visibilmente nella teologia e nella vita della Chiesa un processo ambivalente di crisi di crescenza, al di fuori d'ogni schema e d'ogni previsione.

    «È a tutti noto – scriveva Paolo VI all'inizio del pontificato – che la Chiesa è immersa nell'umanità, ne fa parte, ne trae i suoi membri, ne deriva preziosi tesori di cultura, ne subisce le vicende storiche, ne favorisce le fortune. Ora è parimente noto che l'umanità in questo tempo è in via di grandi trasformazioni, rivolgimenti e sviluppi, che cambiano profondamente non solo le sue esteriori maniere di vivere, ma altresì le sue maniere di pensare. Il suo pensiero, la sua cultura, il suo spirito sono intimamente modificati sia dal progresso scientifico, tecnico e sociale, sia dalle correnti di pensiero filosofico e politico che la invadono e la attraversano. Tutto ciò, come le onde d'un mare, avvolge e scuote la Chiesa stessa» [2].

    Orbene, senza sottovalutare affatto questa dimensione socio-culturale che fa da sfondo alla crisi in cui si dibatte l'associazionismo cattolico, pensiamo che vi sia una causa ancor più determinante delle incertezze presenti del «mondo cattolico». Intendiamo riferirci ad alcuni interrogativi teologici fondamentali, maturati nel Popolo di Dio in questi dieci anni di post-Concilio, e rimasti tuttora senza risposta o non del tutto chiariti presso numerosi cristiani.
    Perciò, volendo contribuire al dibattito in atto nella comunità ecclesiale sulla crisi dell'associazionismo cattolico, crediamo che sia importante richiamare l'attenzione su questi interrogativi di fondo, con i quali non può non confrontarsi oggi qualsiasi movimento di Azione Cattolica o di ispirazione cristiana che voglia definire la propria identità in un mondo in radicale trasformazione. Ad essi, quindi, limitiamo ora la nostra analisi.

    UNA DOMANDA NUOVA DI COMUNIONE

    Che ai nostri giorni nella vita della Chiesa sia nata una domanda nuova di comunione è un fatto innegabile. La si potrà forse interpretare diversamente, ma non certo ignorare. Sarebbe arduo – e forse impossibile – tentare anche solo di descrivere le innumerevoli forme sotto cui si presenta, all'esterno e all'interno della Chiesa, questa richiesta di comunione, che credenti e non credenti rivolgono alla Gerarchia, ai laici, all'intero Popolo di Dio.
    In sostanza, si chiede alla Chiesa di essere più «credibile», di incarnarsi cioè più concretamente e più a fondo nella storia e nelle vicende dell'uomo, di aprirsi senza timori al dialogo leale con tutte le ideologie del nostro tempo; si insiste sulla necessità di superare ogni forma residua di «religiosità alienante»; di fare della comunità cristiana non un ghetto, ma un vero luogo d'incontro e di dialogo, aperto a tutte le componenti ecclesiali, a tutti i credenti, anzi a tutti gli uomini di buona volontà. Né mancano coloro che chiedono alla Chiesa di compiere una «scelta dì campo» politica, di porsi cioè «nella prassi» a fianco dei poveri e delle classi oppresse, uscendo da forme impossibili di pretesa neutralità, rompendo ogni connivenza con il potere costituito.
    Queste e simili richieste sono sulla bocca e sulla penna di tutti i «contestatori»; ma non solo di essi. Ripetute mille volte a voce e per scritto, in molti casi esse non sono più che slogan. Eppure, al di là della degenerazione ideologica, delle intemperanze verbali e del malanimo con cui talvolta sono proferite, tali richieste indicano che è nato nella Chiesa un bisogno nuovo di autenticità e di comunione, che non si può colmare ricorrendo soltanto a un aggiornamento esteriore delle strutture ecclesiali. La richiesta di «un modo nuovo di essere Chiesa», per molti aspetti ambigua, è portatrice anche di un'attesa genuina, che non è lecito deludere. Ovviamente, gli equivoci che accompagnano questa domanda impongono a tutti (specialmente alla Gerarchia) un serio impegno di discernimento; ma non legittimano affatto un rifiuto globale e acritico.
    È quanto vorremmo fare noi qui, sforzandoci di mettere in luce, prima, e di analizzare, poi, le implicazioni dottrinali e pratiche di questa domanda nuova di comunione, la quale – a nostro giudizio – costituisce l'aspetto di fondo della crisi che travaglia l'associazionismo cattolico. A questa esigenza nuova – così pensiamo – non è estraneo lo Spirito di Dio, che oggi, attraverso le deliberazioni del Concilio, chiede alla Chiesa una comunione maggiore con gli uomini e con il mondo, una comunione più vissuta dei cristiani fra di loro e con i Pastori all'interno della comunità ecclesiale, una più profonda comunione dei credenti con Dio e con la sua Parola, anima vera d'ogni fraternità.
    Cercheremo, dunque, di rifarci agli orizzonti più ampi, aperti dal Concilio all'ecclesiologia e all'impegno dei cristiani, sia per chiarire gli interrogativi fondamentali in cui si traduce concretamente la domanda nuova di comunione, sia per trovare ad essi una risposta che restituisca alle associazioni cattoliche non solo lo slancio operativo, ma il retroterra teologico di cui non possono fare a meno.

    GLI ORIZZONTI NUOVI DELL'ECCLESIOLOGIA

    Le acquisizioni teologiche del Concilio che maggiore influsso hanno esercitato sulla crisi di crescenza dell'associazionismo cattolico tradizionale ci sembrano soprattutto: la rivalutazione della dimensione storica della salvezza cristiana; la comprensione più adeguata della missione evangelizzatrice della Chiesa e del suo rapporto intrinseco con la promozione sociale dell'uomo; la coscienza più matura del nostro essere Chiesa come comunione e mistero.

    Dimensione storica della salvezza

    In primo luogo, la rivalutazione della dimensione storica della salvezza cristiana. La Chiesa, riunita in Concilio, di fronte alla costatazione delle trasformazioni radicali del mondo, dell'uomo e dei suoi valori ha preso coscienza in modo nuovo della dimensione storica dell'economia della salvezza: «Il Verbo di Dio, per mezzo del quale sono state fatte tutte le cose, fattosi carne Lui stesso, e venuto ad abitare sulla terra degli uomini, entrò nella storia del mondo come perfetto uomo, assumendola e ricapitolandola in sé» [3]. 
    Storia umana e storia della salvezza, dunque, non sono due storie separate, ma un'unica storia che diviene. Quindi, l'Incarnazione è l'evento maggiore della storia, che si prolunga e si completa attraverso tutte le culture e le civiltà che si succedono nello spazio e nel tempo. La fede non è riducibile nei termini di una mera adesione intellettuale, atemporale e astratta, alle verità del Credo, ma si traduce necessariamente in impegno storico di testimonianza e di salvezza per i fratelli. 
    Da questa prima acquisizione fondamentale del Concilio traggono origine molti problemi oggi aperti all'interno della Chiesa e delle associazioni cattoliche: la necessità di stabilire rapporti diversi e un dialogo nuovo col mondo, con le differenti culture, civiltà e ideologie; l'esigenza di una continua verifica storica della propria fede, nel confronto esistenziale tra Parola di Dio e problemi concreti dell'uomo e della società; l'urgenza di chiarire a noi stessi e agli altri qual è il contributo originale e specifico che la Chiesa è chiamata a portare – direttamente sul piano etico-religioso, e conseguentemente sul piano sociale – all'unico processo storico di liberazione integrale e di salvezza dell'uomo.

    Evangelizzazione e promozione umana

    Muovendo da questa rivalutazione della dimensione storica della salvezza, in secondo luogo, è maturata nella teologia post-conciliare una comprensione più adeguata del concetto di evangelizzazione e della sua relazione intrinseca con la promozione sociale dell'uomo. Il Concilio ha distinto chiaramente tra evangelizzazione e promozione sociale. I due termini non si equivalgono. Tuttavia, pur essendo chiaramente distinti, non sono separabili, ma si integrano a vicenda: «Certo, la missione propria che Cristo ha affidato alla sua Chiesa non è di ordine politico, economico e sociale: il fine, infatti, che le ha prefisso è di ordine religioso. Eppure proprio da questa missione religiosa scaturiscono compiti, luce e forze, che possono contribuire a costruire e a consolidare la comunità degli uomini secondo la legge divina [4]. 
    In questo senso, la diakonía, intesa come testimonianza e servizio ai fratelli, è parte integrante dell'evangelizzazione, insieme con l'annunzio della Parola e con l'amministrazione dei sacramenti. Anzi, in un'epoca di secolarizzazione qual è la nostra, il nesso intrinseco tra evangelizzazione e promozione sociale dell'uomo diviene particolarmente «significante» e contribuisce a rendere «intelligibile» la Chiesa come «Sacramento di salvezza» [5]. Nello stesso tempo, questa comprensione più adeguata del concetto di evangelizzazione mette chiaramente in luce come essa sia compito e responsabilità comune di tutto intero il Popolo di Dio, Gerarchia e laici: «A tutti i cristiani è imposto il nobile impegno di lavorare affinché il divino messaggio della salvezza sia conosciuto e accettato da tutti gli uomini, su tutta la terra» [6]. 
    Anche da questa seconda acquisizione fondamentale del Concilio derivano alcuni punti importanti del dibattito ecclesiale di oggi e in seno alle associazioni cattoliche. Da un lato, la rivalutazione del valore e dell'autonomia delle realtà terresti, e dall'altro, l'implicazione sociale dell'evangelizzazione hanno condotto a un ripensamento profondo del rapporto tra fede e politica: può la Chiesa non fare politica, mentre evangelizza? Se l'impegno per la trasformazione del mondo e delle strutture sociali di oppressione è parte integrante dell'annunzio evangelico, non sono forse tenute le associazioni cattoliche, in quanto tali, a compiere una precisa «scelta di campo» politica? Ma, allora, come armonizzare l'unità indispensabile della professione di fede con il necessario pluralismo delle opzioni politiche e con l'autonomia della coscienza del cristiano che le compie? Non si corre forse il rischio di ridurre la fede a ideologia, compromettendone irrimediabilmente la trascendenza? 

    Una più matura coscienza ecclesiale

    In terzo luogo, la teologia del Concilio ci ha fatto acquistare un'intelligenza, una coscienza più matura della natura stessa della Chiesa come comunione e mistero. Noi tutti oggi comprendiamo e viviamo la Chiesa più come «comunità» che come «società perfetta». Il Popolo di Dio è essenzialmente una «comunità di fede, di speranza e di carità» [7], ed è stato «costituito da Cristo per una comunione di vita, di carità e di verità» [8]. Certo, le strutture ecclesiali fondamentali, volute da Cristo stesso, sono e rimangono essenziali alla Chiesa «quale organismo visibile», «in questo mondo costituita e organizzata come società» [9] ; ma la ragione d'essere delle istituzioni ecclesiali, e quindi il criterio per giudicarne la vitalità, sta nella funzione che esse dicono essenzialmente alla realizzazione del mistero della comunione degli uomini con Dio e tra di loro [10]. Questo aspetto fondamentale, della comunione personale e comunitaria con Cristo Capo e con i fratelli membra di un unico Corpo, costituisce il nucleo centrale del mistero della Chiesa e del mistero pasquale.
    Le conseguenze di questa maturazione della coscienza ecclesiale sono molto avvertite oggi nella Chiesa e in seno alle associazioni cattoliche: l'autorità dei Pastori è intesa più come servizio e testimonianza che come necessità amministrativa o burocratica; la funzione dei laici – uomini e donne – nella vita della Chiesa e nell'unica opera comune di evangelizzazione è rivalutata come missione vera e propria, che ad essi deriva direttamente dalla consacrazione battesimale e dall'unione con Cristo Capo, non per delega della Gerarchia: i laici «infatti, inseriti nel Corpo mistico di Cristo per mezzo del Battesimo, fortificati dalla virtù dello Spirito Santo per mezzo della Cresima, sono deputati dal Signore stesso all'apostolato» [11]. Perciò è maturata l'esigenza di instaurare anche all'interno della Chiesa rapporti nuovi di collaborazione e di dialogo con la Gerarchia; di realizzare pienamente la vera «comunità cristiana», fondata sulla comunione dell'unica fede, animata da carità universale e sincera, tesa verso un'identica speranza, pur nella diversità dei carismi, dei ministeri e delle opzioni concrete.
    Sono questi gli orizzonti nuovi che la nuova domanda di comunione oggi sottende. Alla loro luce vanno compresi e puntualizzati gli interrogativi di fondo che le associazioni cattoliche si pongono circa la propria identità e circa la propria collocazione in un contesto sociale ed ecclesiale profondamente mutato. Questi interrogativi si riducono sostanzialmente a tre, e oggi, col linguaggio corrente, si sogliono formulare così: Unità dei cattolici o pluralismo associativo? Scelta sociale o scelta religiosa? Collaborazione con la Gerarchia o autonomia nei suoi confronti? A nostro giudizio, il superamento della crisi dell'associazionismo cattolico passa necessariamente attraverso una risposta teologicamente fondata a questi quesiti.

    UNITÀ E PLURALISMO NELLA CHIESA

    Il problema di armonizzare l'unità della professione di fede e di comunione con la pluralità delle opzioni concrete attraverso cui esse si esprimono è stato sempre vivo nella Chiesa. Oggi, però, esso è divenuto particolarmente rilevante e urgente, in seguito all'evoluzione socio-culturale e teologica a cui abbiamo accennato. In concreto, ogni soluzione intesa ad armonizzare l'unità dei cattolici nelle cose necessarie con il pluralismo possibile delle scelte va situata nel contesto dell'ecclesiologia del Concilio e in particolare della riflessione teologica sui ministeri. Cerchiamo di fissare brevemente gli elementi principali di questo contesto teologico. Innanzitutto, il Concilio ribadisce senza esitazione che il pluralismo rettamente compreso non solo è legittimo, ma necessario nella vita della Chiesa. Esso, infatti, è espressione della sua cattolicità, della sua apostolicità, anzi della ricchezza inesauribile del mistero di Cristo:
    «Nella Chiesa tutti, secondo il compito assegnato ad ognuno, sia nelle varie forme della vita spirituale e della disciplina, sia nella diversità dei riti liturgici, anzi, anche nella elaborazione teologica della verità rivelata pur custodendo l'unità nelle cose necessarie, serbino la debita libertà; in ogni cosa rispettino la carità. Poiché, agendo così, manifesteranno ogni giorno meglio la vera cattolicità e insieme l'apostolicità della Chiesa» [12]. Cioè, in seno al Popolo di Dio il pluralismo non è accettazione passiva e subita d'una necessità, imposta dall'evoluzione culturale del tempo; è invece un'esigenza originaria e dinamica che scaturisce dalla natura stessa della Chiesa. Essa, infatti, è un Corpo; caratterizzato, quindi, da un tipo di «unità organica», analoga all'unità propria dell'organismo vivente, che risulta dall'armonia e dalla varietà delle membra e delle funzioni: «La santa Chiesa è, per divina istituzione, organizzata e diretta con mirabile varietà."A quel modo, infatti, che in uno stesso corpo abbiamo molte membra, e nessun membro ha la stessa funzione; così tutti insieme formiamo un solo corpo in Cristo, e individualmente siamo membra gli uni degli altri"» [13]. Perciò, l'«unità organica» si esprime, nella Chiesa, attraverso l'esistenza e la convergenza di carismi e di ministeri diversi: ossia di doni e di compiti differenti, mediante i quali l'unico Spirito agisce per il bene e l'utilità comune dell'unico Corpo. La riflessione teologica conciliare, accanto all'esistenza nella Chiesa dei «ministeri ordinati» (cioè di quei compiti o uffici conferiti in modo stabile con l'imposizione delle mani) , considera pure l'esistenza di ministeri nuovi (o «ministeri istituiti») , collegandoli alla funzione propria e insostituibile che i laici hanno nella vita della Chiesa, ricevuta direttamente da Cristo con la consacrazione battesimale e con la Confermazione: «Lo Spirito Santo non solo per mezzo dei sacramenti e dei ministeri [ordinati] santifica il Popolo di Dio e lo guida e adorna di virtù, ma"distribuendo a ciascuno i propri doni come piace a Lui", dispensa pure tra i fedeli di ogni ordine grazie speciali, con le quali li rende adatti e pronti ad assumersi varie opere e uffici, utili al rinnovamento e alla maggiore espansione della Chiesa» [14]. 
    Dunque, è teologicamente insostenibile la concezione, assai diffusa in un passato non remoto, secondo cui si faceva ricadere solo sui «ministri ordinati» il compito e la responsabilità dell'evangelizzazione. Oggi nessuno più dubita che i laici, in virtù sia della consacrazione battesimale, sia di carismi e di «ministeri istituiti» ad essi propri, abbiano una parte originale ed essenziale da compiere all'interno dell'unica missione della Chiesa: «I sacri Pastori sanno benissimo quanto contribuiscono i laici al bene di tutta la Chiesa. Sanno di non essere stati istituiti da Cristo per assumersi da soli tutto il peso della missione salvifica della Chiesa verso il mondo, ma che il loro eccelso ufficio è di pascere i fedeli e di riconoscere i loro ministeri e carismi, in modo che tutti concordemente cooperino, nella loro misura, al bene comune» [15]. 
    Ora, questo pluralismo di funzioni, di uffici, di compiti non solo non nuoce all'unità della Chiesa, ma è finalizzato a realizzarla. Infatti, tutti i ministeri – «ordinati» o «istituiti» – sono destinati al bene dell'unico Corpo. Così, mediante l'unica destinazione comune, i diversi carismi e i compiti e le scelte più differenti si armonizzano nell'«unità organica» della Chiesa: «Quantunque alcuni per volontà di Cristo sono costituiti dottori e dispensatori dei misteri e pastori per gli altri, tuttavia fra tutti vige una vera uguaglianza riguardo alla dignità e all'azione comune a tutti i fedeli nell'edificare il Corpo di Cristo [...]. Così nella varietà tutti danno testimonianza della mirabile unità del Corpo di Cristo» [16]. 
    Da queste premesse si deducono due importanti conclusioni circa il problema, che qui ci interessa, del rapporto tra unità di fede e di comunione e pluralismo associativo dei cattolici.

    Legittimità e limiti del pluralismo associativo

    La prima conclusione sta nella giustificazione teologica della legittimità del pluralismo associativo nella Chiesa, in quanto è richiesto dalla sua stessa costituzione organica. Il pluralismo, infatti, trova fondamento nella ricchezza infinita del mistero di Cristo, manifesta la cattolicità e l'apostolicità della Chiesa, e caratterizza tutte le espressioni e i livelli della vita ecclesiale: la ricerca teologica e la liturgia, la spiritualità e la vita religiosa, la disciplina ecclesiastica e le forme associative [17].
    La seconda conclusione, che si può trarre dalla dottrina esposta, riguarda i limiti della legittimità del pluralismo associativo della Chiesa. Infatti, dall'insegnamento conciliare e dalla riflessione teologica sui ministeri appare chiaro che nella Chiesa – unico Corpo mistico di Cristo – il pluralismo non è mai un valore assoluto, a sé stante, fine a se stesso; ma è sempre ed essenzialmente finalizzato e subordinato al bene, all'unità di tutto il Corpo, all'adempimento dell'unica missione evangelizzatrice. Perciò, se la stessa natura costitutiva della Chiesa, da un lato, fonda la necessità del pluralismo, dall'altro tuttavia ne determina inequivocabilmente i confini, richiedendo la sua necessaria subordinazione all'unità di fede e di comunione e al bene di tutto il Corpo.
    Applicando al nostro caso, dobbiamo dire che l'unità – che è essenziale nella Chiesa – si può vivere legittimamente in forme associative diverse, a condizione però che esse rimangano sempre nell'ambito dell'unica fede e della comunione dell'unica istituzione ecclesiale. Il riferimento all'unità istituzionale della Chiesa diviene, quindi, – accanto all'unità di fede – criterio insostituibile di verifica e di garanzia dell'autenticità e della legittimità di ogni milizia che si voglia qualificare come «cristiana».
    Ecco perché il «dissenso istituzionalizzato» è una degenerazione del pluralismo nella Chiesa. Nella misura in cui una comunità di credenti cessa di riferirsi all'unità del Corpo, ponendosi «al margine» dell'unica istituzione ecclesiale, essa diviene illegittima. Allora non si può più parlare di pluralismo ma – come avviene, per esempio, nel caso delle cosiddette «comunità del dissenso» – si deve parlare di «divisione», di lacerazione dell'unità del Corpo; è un modo di essere che va contro la natura stessa della Chiesa, nel cui tessuto organico introduce i germi della disgregazione.

    «Le interne opposizioni interessanti vari settori della vita ecclesiale – rileva accoratamente Paolo VI – qualora si stabilizzino in uno stato di dissidenza, portano a contrapporre all'unica istituzione e comunità di salvezza una pluralità di"istituzioni o comunità del dissenso", che non sono secondo la natura della Chiesa, la quale con la creazione di opposte frazioni e fazioni, fissate su posizioni inconciliabili, perderebbe il suo stesso tessuto costituzionale. Avviene allora la"polarizzazione del dissenso" [...]. Questa situazione porta in sé e introduce per quanto può, nella comunione ecclesiale, i germi della disgregazione» [18].

    Ma, se la legittimità del pluralismo associativo tra i cattolici rimane definitivamente acquisita come un caso concreto del discorso teologico più ampio sul pluralismo nella Chiesa, resta ancora aperta una seconda questione: quali sono in concreto le forme legittime in cui questo pluralismo associativo si può esprimere?

    SCELTA RELIGIOSA E SCELTA SOCIALE

    Il Concilio determina due modi diversi in cui i laici possono adempiere, personalmente o associati, il compito di evangelizzare, affidato da Cristo a tutta la Chiesa. La differenza tra questi due modi viene genericamente determinata in base alle differenti vocazioni e ai diversi carismi, distribuiti a ciascuno dallo Spirito, in seno all'unica missione del Popolo di Dio. In primo luogo, i laici sono chiamati tutti indistintamente, da soli o in gruppo, «a rendere presente e operosa la Chiesa in quei luoghi e in quelle circostanze, in cui essa non può diventare sale della terra se non per mezzo loro» [19]. In questo caso la diakonía propria dei laici, ossia la loro partecipazione all'opera salvifica della Chiesa, si realizza muovendo da una scelta più specificamente «sociale»: dall'inserimento nella vita concreta degli uomini del tempo, dei poveri, degli oppressi; all'interno dei conflitti sociali, della classe operaia, dei movimenti di liberazione umana, della vita professionale.
    Tuttavia, alcuni laici, in virtù d'una vocazione particolare o di un carisma speciale, sono chiamati a recare il proprio contributo all'unica missione di evangelizzazione, muovendo da una scelta più specificamente «religiosa e pastorale». Tale vocazione particolare porta questi laici a collaborare più strettamente con la funzione specifica della Gerarchia, e si concretizza a volte in un «ministero» vero e proprio. Tipico è il caso dell'Azione Cattolica, che il Concilio considera un vero «ministero», accanto agli altri riconosciuti ufficialmente nella Chiesa: «Per la plantatio Ecclesiae e lo sviluppo della comunità cristiana, sono necessari vari tipi di ministero, che suscitati nell'ambito stesso dei fedeli da un'ispirazione divina, tutti devono diligentemente promuovere ed esercitare: tra essi sono da annoverare i compiti dei sacerdoti, dei diaconi, dei catechisti, e l'azione cattolica» [20]. Dove, per «azione cattolica», s'intendono tutte quelle «forme varie di attività e di associazioni che, mantenendo un più stretto legame con la Gerarchia, si sono occupate e si occupano di fini propriamente apostolici [ ... ] si chiamino esse Azione Cattolica o con altro nome» [21]. Questo duplice genere di scelta, prevista dal Concilio, che i laici possono compiere legittimamente nell'adempimento della loro vocazione cristiana, oggi va comunemente sotto i termini rispettivamente di «scelta sociale» e di «scelta religiosa». 
    Volendo descrivere brevemente i due concetti, possiamo dire che per scelta sociale» d'un movimento cattolico s'intende una presenza organizzata di laici, riuniti nel nome cristiano, in campo sociale, politico o culturale. Si tratta di una scelta generica, che a sua volta ammette specificazioni molto diverse tra di loro. Così, in seno alla complessa geografia dell'associazionismo d'ispirazione cristiana, la «scelta sociale» caratterizza sia quei movimenti che si propongono di testimoniare il Vangelo mediante un impegno di prassi politica, economica o sindacale, sia quelli che s'impegnano esclusivamente in un'opera di mediazione culturale o di formazione sociale, attraverso un impegno che si può definire «politico» soltanto in senso lato [22]. 
    Per «scelta religiosa», invece, s'intende una presenza organizzata di laici sul piano apostolico e pastorale, in quanto cioè un movimento si prefigge di collaborare direttamente all'opera, propria della Gerarchia, di evangelizzazione, di santificazione, di formazione cristiana delle coscienze, al fine di impregnare di spirito evangelico le varie comunità e i vari ambienti [23]. Anche la «scelta religiosa» non è univoca, e ammette ulteriori specificazioni. Essa, infatti, si concretizza in ministeri diversi, secondo la diversità dei carismi che la ispirano. Così, la «scelta religiosa» dei movimenti di azione cattolica non è la stessa di quella che altri laici compiono, per esempio, consacrandosi all'apostolato di un «Istituto secolare». 
    Ogni associazione cattolica, dunque, se vuole definire la propria identità, deve chiarire innanzitutto a se stessa quale genere d'impegno si sente chiamata ad assumere. Ma qui nasce il problema forse più grosso dell'associazionismo d'ispirazione cristiana: in quale misura è possibile distinguere l'una scelta dall'altra? Evangelizzazione e promozione sociale non sono forse inseparabili fra loro?

    Scelta prioritaria, non esclusiva

    Alla luce delle premesse teologiche che abbiamo poste all'inizio, appare subito che qualsiasi alternativa tra «scelta sociale» e «scelta religiosa» è inaccettabile, se si prende in senso disgiuntivo o esclusivo, quasi che l'una possa o debba escludere l'altra. Infatti, poiché la promozione sociale è parte integrante dell'evangelizzazione, nessuna «scelta sociale» del cristiano può mai prescindere da una scelta religiosa; e viceversa nessuna «scelta religiosa», compiuta dal cristiano in risposta a una vocazione specifica, può mai esimere da una scelta sociale.
    Ma, nello stesso modo che ogni impegno di evangelizzazione si traduce necessariamente in un servizio reso all'elevazione sociale dell'uomo, così ogni contributo alla promozione vera dell'uomo, recato in coerenza evangelica, si traduce sempre, in qualche misura, in opera di evangelizzazione [24].
    Perciò, quando parliamo di «scelta sociale» per distinguerla da «scelta religiosa», l'alternativa va intesa in senso puramente preferenziale, prioritario e assertivo, in quanto cioè si pone l'accento su un aspetto o sull'altro della presenza dei cristiani nel mondo, in risposta a vocazioni e a carismi specificamente diversi, ma tutti destinati a integrarsi nell'unità del Corpo della Chiesa e nell'unicità della missione salvifica [25].
    In fondo, oggi il discorso sulla scelta religiosa e sulla scelta sociale delle varie associazioni cattoliche non fa che riproporre in termini concreti ed esistenziali il problema teologico del rapporto tra fede e storia, già illustrato dal Concilio: due termini che non sono riducibili l'uno all'altro, ma che, pur restando tra loro formalmente distinti, non sono tuttavia separabili, anzi si integrano a vicenda. Si deve, quindi, parlare di funzioni diverse, riservate alle differenti associazioni, all'interno dell'unica comunità ecclesiale.
    La crisi di tante associazioni cattoliche sta proprio qui: nella difficoltà di chiarire a se stesse che cosa vogliono essere, quale spazio vogliono occupare nella Chiesa [26]. Ora, questa difficoltà si può superare, solo se si trova un criterio decisivo di giudizio per definire la priorità «sociale» o «religiosa» della scelta di fondo. Ebbene, tale criterio esiste, ed è quello del rapporto con la Gerarchia.

    IL RAPPORTO CON LA GERARCHIA

    Senza un rapporto esplicito alla Gerarchia non si dà comunità ecclesiale. La Gerarchia, infatti, per volontà di Cristo, è il principio dell'unità della fede e della comunione nella Chiesa: «Gesù Cristo, Pastore eterno, ha edificato la santa Chiesa e ha mandato gli Apostoli come Egli stesso era stato mandato dal Padre, e volle che i loro successori, cioè i Vescovi, fossero nella sua Chiesa pastori fino alla fine dei secoli. Affinché poi lo stesso Episcopato fosse uno e indiviso, prepose agli altri Apostoli il beato Pietro e in lui stabilì il principio e fondamento perpetuo e visibile dell'unità della fede e della comunione» [27]. 
    Perciò, è del tutto insostenibile – anche teologicamente – la posizione di quelle associazioni o comunità che s'illudono di restare nella comunione ecclesiale, prescindendo o addirittura ponendosi in dissenso aperto con il Magistero della Chiesa, appellandosi direttamente alla fede in Cristo. Infatti, per volontà esplicita del divino Fondatore, l'adesione al Magistero della Chiesa costituisce per ogni cristiano la garanzia insostituibile dell'autenticità della stessa unione con Cristo nella fede e con i fratelli nella carità [28].
    Tuttavia, come nella Chiesa si danno vocazioni e carismi diversi, come i cristiani possono compiere scelte differenti ugualmente legittime, così il rapporto indispensabile con la Gerarchia può variare nella forma. Alcune di queste forme possono essere anche sbagliate. Si sbaglia quando, assolutizzando la funzione dei Pastori, si tende ad attribuire al clero ogni responsabilità e ogni iniziativa, fino a sottovalutare la necessaria autonomia dei laici e la loro originaria responsabilità nella vita ecclesiale [29]. Parimente si sbaglia quando, assolutizzando l'autonomia delle scelte politiche e operative, si riduce l'autorità dottrinale e pastorale dei Vescovi a mera occasione di confronto dialettico; atteggiamento che apre la via a ogni deviazione teorica e pratica, fino alla ideologizzazione della fede [30]. 
    Tra queste due posizioni estreme – ambedue devianti – esiste invece una gamma svariata di possibili rapporti con la Gerarchia, sempre essenziali ma tra loro diversi, secondo la natura differente delle scelte fatte dalle singole associazioni. Non è possibile qui entrare in approfondimenti particolari; ma è chiaro che il riferimento al Magistero, pur essendo sempre condizione indispensabile d'ogni movimento di ispirazione cristiana, si esprimerà in modi ben diversi, per esempio, nel caso di un partito politico o di un sindacato d'ispirazione cristiana, oppure nel caso ti un'associazione cristiana di formazione sociale, professionale o culturale„ o ancora nel caso dell'azione cattolica o di altri gruppi di evangelizzazione propriamente detta. Tale rapporto, infatti, andrà dall'adesione all’insegnamento sociale della Chiesa come a interprete autentica dei principi dell'ordine morale che devono essere rispettati nelle cose temperali – quali si richiede nel primo caso –; alla mediazione di assistenti o di consulenti ecclesiastici – prevista nel secondo –; al «mandato» con cui la Gerarchia unisce più strettamente alcune associazioni alla arsa missione apostolica – nel terzo caso – [31]. 
    Si tratta di rapporti diversi, rispondenti a vocazioni diverse. Ma in ogni caso il riferimento alla Gerarchia rimane essenziale per determinare l'identità «cristiana» d'un movimento che tale voglia essere sia sul piano sociale, sia su quello religioso-pastorale.

    CONCLUSIONE

    Abbiamo in mano così – per quanto era possibile fare nei limiti d'un articolo – gli elementi più importanti per giudicare all'origine la crisi che oggi travaglia l'associazionismo cattolico, e per ispirare eventuali proposte di soluzione. Riassumendo ora tutto il discorso, ci sembra di poterne trarre alcune indicazioni, valide per il futuro delle associazioni d'ispirazione cristiana, anzi per il futuro stesso della Chiesa. È possibile, infatti, cogliere nella crisi presente alcuni fermenti positivi, che sono i germi della Chiesa di domani, di quel «modo nuovo di essere Chiesa», rettamente inteso, che tutti auspichiamo.
    Alla luce di quanto abbiamo visto, dipende dunque dall'impegno leale di tutti se la Chiesa di domani sarà una vera comunità: in cui, accanto all'unità nelle cose necessarie, fiorirà il legittimo pluralismo delle espressioni di fede e dei carismi; in cui i laici, divenuti adulti, usufruiranno pienamente dell'autonomia e della responsabilità che ad essi compete nelle scelte temporali, in virtù della consacrazione battesimale; in cui la Gerarchia e il Magistero della Chiesa saranno valutati nella loro insostituibile funzione di guida dottrinale e pastorale, di principio d'unità di fede e di comunione del Popolo di Dio; in cui, all'interno della comunità, sarà normale l'accettazione del dialogo fra tutte le diverse componenti ecclesiali, in clima fraterno di vera comunione; in cui tutti gli uomini di buona volontà si troveranno bene, come a casa loro, senza sentirsi respinti da mentalità di ghetto o da forme di integrismo ideologico.
    Il disagio e la crisi che, insieme con la nuova domanda di comunione, sperimentiamo nella Chiesa di oggi lasciano sperare che questa sarà la Chiesa di domani. Perciò nella misura in cui le associazioni cattoliche riusciranno a discernere e a favorire la crescita dei germi positivi, che già visibilmente fermentano la loro vita, contribuiranno ad affrettare l'avvento d'una nuova primavera cristiana, che pure il mondo invoca. Le tribolazioni che oggi affliggono la Chiesa, e che tanto sensibilmente si ripercuotono nell'associazionismo cattolico, ne sono già – nonostante tutto – aurora ed annunzio.

    NOTE

    [1] Gaudium et spes, n. 40.
    [2] PAOLO VI, enciclica Ecclesiam suam, n. 28 (cfr. Civ. Catt., 1964, III, 423).
    [3] Gaudium et spes, n. 38.
    [4] Ivi, n. 42.
    [5] Cfr. Gaudium et spes, n. 45; Lumen gentium, nn. 1, 9, 48; Sacrosanctum Concilium, n. 5; Ad gentes, nn. 1, 5.
    [6] Apostolicam actuositatem, n. 3; cfr. Ad gentes, n. 36.
    [7] Lumen gentium, n. 8.
    [8] Ivi, n. 9.
    [9] Ivi, n. 8.
    [10] Questa natura peculiare delle istituzioni ecclesiali è messa bene in luce nella lettera recente che il Card. Villot, Segretario di Stato, ha inviato a nome del Papa al presidente delle «Settimane sociali di Francia» sul tema: Contestazione e rinnovamento delle istituzioni. Vi si legge: «Essa [la Chiesa] comporta forme istituzionali secondarie che hanno bisogno d'essere adattate, rinnovate per corrispondere in modo trasparente al fine a cui essa deve servire – Ecclsia semper reformanda – e per permettere una comunione più effettiva, in cui ognuno sia amato, riconosciuto, partecipe secondo la propria funzione». Anche le strutture primarie ed essenziali della Chiesa (l'autorità dottrinale del magistero, il sacerdozio ministeriale, la presidenza pastorale) hanno un significato che trascende la loro mera funzione sociale: «sono segno e strumento dell'intima unione con Dio» (Oss. Rom., 9-10 maggio 1975).
    [11] Apostolicam actuositatem, n. 3. Cfr. pure n. 6; Lumen gentium, n. 35; Dei verbum, n. 25.
    [12] Unitatis redintegratio, n. 4.
    [13] Lumen gentium, n. 32.
    [14] Ivi, n. 12. E al n. 7: «[Cristo] nel suo corpo che è la Chiesa continuamente dispensa i doni dei ministeri, con i quali, per virtù sua, ci aiutiamo vicendevolmente a salvarci».
    [15] Ivi, n. 30.
    [16] Ivi, n. 32.
    [17] Anche più recentemente Paolo VI ha riconosciuto esplicitamente questo diritto di cittadinanza nella Chiesa a tutte le manifestazioni di sano pluralismo «come naturale componente della sua cattolicità, nonché segno di ricchezza culturale e di impegno personale di quanti ad essa appartengono». Tale pluralismo – prosegue il Papa – «trova fondamento nello stesso mistero di Cristo, le cui imperscrutabili ricchezze trascendono le capacità espressive di tutte le epoche e di tutte le culture [..1. Le prospettive della Parola di Dio sono tante e tante sono le prospettive dei fedeli che le esplorano, che la convergenza nella stessa fede non è mai immune da peculiarità personali nell'adesione di ciascuno» (Esortazione apostolica Paterna cum benevolentia, n. 4; cfr. Oss. Rom. 16-17 dicembre 1974).
    [18] Ivi.
    [19] Lumen gentium, n. 33.
    [20] Ad gentes, n. 15. In un importante discorso all'Azione Cattolica Italiana (22 settembre 1973) Paolo VI ha sottolineato esplicitamente questa natura «ministeriale» riconosciuta dal Concilio all'Azione Cattolica, che la contraddistingue dalle alce legittime associazioni del laicato cattolico: «Il Concilio ha distinto bene, nel Decreto sull'apostolato dei laici, il laicato cattolico e l'Azione Cattolica, la quale esige più strettamente i laici all'apostolato gerarchico [...]. L'Azione Cattolica, Matti, è chiamata dal Concilio a collaborare per"piantare la Chiesa e per lo sviluppo della comunità cristiana"insieme con altri tipi specifici di ministero – sacerdoti. diaconi, catechisti, religiosi e religiose –"che, suscitati nell'ambito stesso dei fedeli da una vocazione divina, debbono essere da tutti promossi e rispettati con cura premurosa" [AAS LXV (1973) 540-541].
    [21] Apostolicam actuositatem, n. 20. Nello stesso paragrafo si determinano le quanto note caratteristiche che, prese tutte insieme, definiscono la natura specifica aki movimenti di azione cattolica.
    [22] Così, per esempio, da noi in Italia è diversa la «scelta sociale» dei laici militanti nella DC, partito d'ispirazione cristiana, da quella delle ACLI, le quali per libera scelta si impegnano in attività di promozione sociale nel mondo del lavoro, e fanno «politica» solo in senso lato, non volendo essere né partito, né sindacato [cfr. art. 2 dello Statuto e la relazione del presidente M. Carboni al XIII Congresso (Firenze, 10-13 aprile 1975), n. 5].
    [23] Così si esprime, per esempio, lo Statuto dell'Azione Cattolica Italiana (artt. 1-4), riprendendo quanto afferma il decreto Apostolicam actuositatem, nn. 6, 20.
    [24] «L'agire per la giustizia ed il partecipare alla trasformazione del mondo ci appaiono chiaramente come una dimensione costitutiva della predicazione del Vangelo, cioè della missione della Chiesa per la redenzione del genere umano e la liberazione da ogni stato di cose oppressivo» (SINODO 1971, Documento sulla giustizia del mondo, Introduzione). Per un approfondimento del rapporto tra evangelizzazione e promozione sociale, vedi il nostro studio: Evangelizzazione e impegno politico, Civ. Catt., 1973, IV, 7-25.
    [25] Rimane vero, perciò, che quei movimenti cattolici che compiono una «scelta sociale» rispondono pienamente e legittimamente a una vocazione cristiana e partecipano all'opera di evangelizzazione, propria di tutta la Chiesa, senza trasformarsi in Azione Cattolica e senza essere canali diretti della pastorale della Chiesa.
    [26] Nei fatti un processo di chiarimento è già in atto in Italia. Da un lato, un certo numero di movimenti cattolici hanno già definito la loro scelta religiosa e pastorale (Azione Cattolica, Comunità di vita cristiana, Comunità neocatecumenali, Movimento dei focolari, ecc.), senza ovviamente parlare dei vari Istituti secolari; d'altro lato. altri movimenti hanno ribadito la loro scelta sociale (vedi il caso tipico delle ACLI, senza ovviamente parlare di altre presenze di natura strettamente politica o sindacale). Invece ci sono alcuni movimenti (pensiamo, per esempio, alla FUCI o all'AGESCI), che trovano tuttora qualche difficoltà a definire la
    propria fisionomia. Noi riteniamo che, in ogni caso, sia urgente togliere al più presto l'incertezza e ambiguità, che sempre finiscono col paralizzare la vita associativa.
    [27] Lumen gentium, n. 18.
    [28] «Senza la mediazione del Magistero della Chiesa, al quale gli Apostoli affidarono il loro stesso magistero e che, perciò, insegna"soltanto ciò che è stato trasmesso", rimane compromesso il sicuro congiungimento con Cristo tramite gli Apostoli, che sono i"trasmettitori di ciò che essi stessi avevano ricevuto"[...]»; e «ogni cedimento nella identità della fede importa anche decadimento nello scambievole amore» (PAOLO VI, Paterna cum benevolentia, cit. III).
    [29] Ad evitare questa deviazione, gli stessi documenti ufficiali non parlano più di «partecipazione dei laici all'apostolato gerarchico» (Pio XI), ma di «laicato cattolico volontario, scelto, attivo, per la cooperazione con la Gerarchia della Chiesa», il cui apostolato «si caratterizza come collaborazione all'apostolato gerarchico e come partecipazione attiva alla missione stessa della Chiesa» (PAOLO VI, Discorso al Consiglio nazionale dell'ACI [il gennaio 1975]; cfr. AAS LXVII [1975] 104, 106).
    [30] Proprio per questa ragione, il distacco dalla Gerarchia è insieme il sintomo piè grave e la causa principale del processo deviazionistico in atto nelle cosiddette Comunità di base», che in questi anni si sono moltiplicate nel nostro Paese. Il III Convegno nazionale, tenuto a Firenze dal 25 al 27 aprile 1975, ha messo in luce chiaramente la inaccettabile ideologizzazione della fede a cui queste comunità sono approdate. Basti vedere alcune affermazioni contenute nella Risoluzione operativa ma cui il Convegno si è concluso. In essa la comunione ecclesiale viene ridotta a «coinvolgimento sempre più pieno nella realtà del proletariato e delle sue lotte»; la lettura della Bibbia, i sacramenti e i ministeri della Chiesa divengono «un molato di partecipazione al processo di riappropriazione delle masse popolari della ione della propria esistenza»; l'evangelizzazione, compito essenziale della comunità cristiana, si definisce come il «partecipare alla lotta per la soluzione dei pro-bienni più urgenti della società italiana (elezioni, aborto, unità sindacale, abbattimento del fascismo) nella prospettiva dell'unità della classe operaia e della sua egemonia, contrastando la linea della gerarchia ecclesiastica italiana che tende, specie su questi problemi, a dividere il popolo»! (cfr. Risoluzione operativa, in Com-Nuovi Tempi, 4 maggio 1975).
    [31] Cfr. Apostolicam actuositatem, n. 24).


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