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    Giovani e fenomeno religioso: radiografia della situazione «media»


    Franco Garelli

    (NPG 1976-05-64)

    Dopo la premessa, comparsa nel numero di marzo, che dava i termini del discorso, entriamo nel vivo delle problematiche.
    Questo intervento offre una radiografia della «media» dei giovani in rapporto al fenomeno religioso: esperienza religiosa, istituzione ecclesiale, fede e proposta cristiana.
    Per dare una chiave di lettura corretta, rimandiamo alla introduzione fatta all'articolo precedente. Aggiungiamo la sottolineatura di due affermazioni che ricorrono spesso anche in queste pagine:
    – L'autore prende in considerazione la situazione «media» dei giovani, così come appare dalle varie ricerche sulla condizione religiosa. Nei prossimi interventi saranno analizzate altre «fasce»: i giovani cristianamente impegnati, le frange misticheggianti... Se alcuni giudizi possono apparire pesanti, è importante collocarli nella loro giusta prospettiva. Si tratta di giovani di pratica cristiana scarsa e di poca esperienza ecclesiale, che riflettono sulla Chiesa e sulla fede considerata come un fatto «oggettivo», di costume, che fa cioè parte comunque della nostra cultura.
    – Le linee che emergono sono molto interessanti dal punto di vista pastorale, perché ci indicano la «mentalità» dei giovani concreti con cui vogliamo dialogare. Non è compito del sociologo suggerire la direzione di intervento educativo e pastorale. La descrizione della realtà è però in se stessa già molto stimolante: basta affrontare la lettura di queste pagine con una tensione apostolica e con disponibilità alla verifica.
    I modelli di pastorale giovanile di cui si è parlato nel numero di aprile, sono già una prima risposta «educativa» a queste analisi.

    PER COGLIERE IL SENSO DELLA RICERCA

    La media dei giovani

    La maggioranza delle ricerche sul tema «condizione giovanile e fenomeno religioso», privilegia una certa frangia di giovani, considera cioè solo un sottoinsieme della popolazione che a seconda dei casi può essere stato: i giovani appartenenti ai gruppi ecclesiali; i giovani appartenenti ai gruppi del dissenso; i giovani politicamente impegnati; i giovani universitari; i giovani delle scuole secondarie... (1).
    In questo contesto vorremmo estendere le nostre riflessioni alla media dei giovani, sia perché crediamo importante riflettere su come la maggioranza vive il fenomeno religioso, sia perché crediamo di avere sufficienti informazioni, dati, considerazioni, esperienza nel campo, da poter dare questa connotazione al presente lavoro.
    Il sottolineare l'ampiezza della popolazione a cui vorremmo riferire le presenti considerazioni, se da una parte tenta di evitare di condurre analisi e riflessioni solo su settori particolari del mondo giovanile (giovani che nella prevalenza dei casi studiati hanno alle spalle una condizione socio-familiare e un capitale culturale oltre la media), dall'altra fa intuire il limite del presente contributo che non si ferma a considerare il rapporto giovani-fenomeno religioso a seconda delle categorie socio-economiche e anagrafiche dei giovani stessi, cioè a seconda del diverso strato sociale a cui appartengono, oppure a seconda del differente grado di istruzione, o del sesso...

    L'attendibilità delle presenti indicazioni

    Di fronte alle indicazioni che qui riportiamo possono nascere alcune perplessità da parte di molti animatori e responsabili di gruppi giovanili ecclesiali o da parte di chi è comunque impegnato nell'ambito religioso. Qualche animatore valutando l'entità e la qualità della presenza dei giovani nei centri giovanili ecclesiali può ritenere troppo negative le conclusioni a cui si giunge attraverso le nostre analisi, soprattutto se la realtà che ha di fronte sembra rivelare una facciata molto più rosea e fresca di tante considerazioni. I giovani cioè, secondo queste persone, frequentano ancora gli oratori, le parrocchie, i centri giovanili, dimostrandosi meno refrattari di quanto si indica nel presente articolo alla proposta religiosa ed educativa di tali ambienti.
    Inoltre può sorgere un'altra obiezione: quanto sono consapevoli i giovani di tutto ciò che si afferma in questo contributo? In altri termini: nel presente lavoro di «razionalizza» la situazione, attribuendo ai giovani una «critica» di cui essi non hanno coscienza e un livello critico che difficilmente la maggioranza dei giovani raggiunge.
    Ancora: qualche animatore che ha fatto della propria vita un investimento per l'educazione dei giovani, può guardare con diffidenza alle presenti indicazioni, sia perché si rivelano più in un clima di demolizione e di critica negativa che di analisi «costruttiva», sia perché possono sembrare scaturire da un atteggiamento di adeguamento al palato dei giovani d'oggi, atteggiamento che invece di preoccuparsi di annunciare «la verità», si adegua ai tempi anche a prezzo di annacquare la propria proposta, tutto preso da una preoccupazione tattica di recupero del consenso a qualunque costo.
    Che cosa rispondere a queste obiezioni «preventive»?
    Guardiamo anzitutto alla realtà, cominciando dalla entità della presenza giovanile nell'ambito ecclesiale e religioso. Dall'analisi dei dati relativi a questi campi non si può condividere l'eventuale atteggiamento ottimista che possono denotare alcuni responsabili-animatori di ambienti religioso-ecclesiali. A livello nazionale si può stimare che l'associazionismo giovanile ecclesiale sia un fenomeno che riguarda non più del 5% dei giovani sul totale della popolazione giovanile italiana. Inoltre guardando a qualsiasi indice delle ricerche su «giovani e fenomeno religioso», troviamo titoli che non si discostano dalle seguenti formulazioni: «crisi della pratica religiosa a livello giovanile»; «crisi giovanile dell'appartenenza di chiesa»; «privatizzazione e progressiva emarginazione della religione dalla vita dei giovani»; «c'è ancora fede nel mondo giovanile?». Da dove scaturirebbe pertanto l'eventuale ostentazione di ottimismo di alcuni responsabili o animatori di gruppo? Crediamo che esso possa fondare le sue radici nella valutazione di una realtà locale florida, una realtà però considerata in sé e non in rapporto all'esterno. Il gruppo giovanile o la frequenza dei giovani, vengono cioè considerate a livello di valori assoluti e non comparati con la quantità di giovani che risiedono nella stessa zona. Per cui un gruppo di 50-100 giovani sembra essere una grande realtà (e lo è dal punto di vista del gruppo), ma se questo gruppo viene paragonato alla massa di giovani della zona o del paese che non frequentano l'ambito religioso/ecclesiale, la sua entità diventa irrisoria. In altri termini, la costatazione dei giovani «vicini» all'ambito religioso-ecclesiale fa dimenticare l'esatta entità dei giovani «lontani» da tale ambito e interesse. E questi ultimi ovviamente sono i più, e sono quelli che soprattutto vogliamo descrivere nel presente contributo.
    In secondo luogo si può affermare che se è vero che la maggioranza dei giovani non è consapevole fino in fondo delle indicazioni che qui riportiamo, non è detto però che essa non le viva e che non sia cosciente degli aspetti fondamentali del fenomeno. Basta intervistare a ruota libera i giovani su questi problemi per avvertire il grado di consapevolezza evidenziato e la problematica sollevata.
    In terzo luogo, non crediamo che il sottolineare questi punti sia un cedere alla moda di oggi, un vestire cioè i panni del conformismo. Crediamo invece che la realtà sia proprio come l'abbiamo descritta e che il prendere coscienza di essa sia il miglior modo per non abdicare dalla condizione di persone che vivono in questa società cercando di comprenderne i fenomeni e gli avvenimenti. Solo così è possibile essere operatori sociali vivi e attenti, persone cioè la cui presenza è socialmente significativa e che a livello sociale vivono più un atteggiamento di proposta che a rimorchio dei fatti e della realtà.
    Ancora un'ultima considerazione. Anche i giovani che frequentano l'ambito ecclesiale-religioso o che denotano interessi religiosi, vivono comunque lo stato di tensione e di problematicità che emerge dalle nostre considerazioni. Ci sono giovani che hanno maturato la loro scelta di fede e la vivono con impegno e coerenza, anche in un contesto difficile e di ostilità strutturale. Ma, forse, non sono i più. Né in assoluto, e questo è pacifico. Né in rapporto a coloro che frequentano gruppi e ambienti ecclesiali. Molti giovani «vicini» non hanno molto approfondito o stentano ad approfondire i motivi della loro «vicinanza». Parecchi bazzicano in ambienti ecclesiali o religiosi o per abitudine, o perché non ci sono alternative più valide, o per maggior comodità. E questa carenza di approfondimento di motivi sta alla base delle «fughe» successive, dei conflitti e delle rotture che caratterizzano gli anni post-adolescenziali di tanti giovani che appartenevano a gruppi ecclesiali o che avevano comunque interessi religiosi.

    I GIOVANI DI FRONTE AL «FENOMENO RELIGIOSO»

    Da quanto sin qui detto appare ormai evidente che l'esperienza religiosa del giovane d'oggi non è un fatto isolato (2). Essa fa parte di una esperienza più globale, della sua vita, dei conflitti e delle problematiche che riempiono il suo quotidiano. Ed è un'esperienza che influenza il modo di pensare la «religione», la valutazione della validità del messaggio. Nel modo di pensare la religione e nell'esperienza che ne ha avuto, il giovane riflette le dimensioni che lo contraddistinguono. Ne risulta un quadro singolare in cui l'esperienza, la proposta e l'istituzione religiose vengono riviste e giudicate col metro della sensibilità giovanile d'oggi e alla luce delle convinzioni più o meno sistematizzate di cui il giovane è in possesso e delle istanze e tendenze che per lo più a livello inconsapevole emergono dalla sua condizione di vita e dal fatto di essere sia soggetto recettivo del clima che informa la società attuale, sia soggetto attivo nel contribuire a «produrre» il clima di questa società.

    I giovani e l'esperienza religiosa

    Si tratta di un'esperienza in generale poco interiorizzata

    L'esperienza religiosa proposta e quindi contattata dal giovane può essere definita col termine «tradizionale», di cui uno degli aspetti costitutivi è la poca interiorizzazione. È l'esperienza che dominava in una società anagraficamente cristiana, dove l'appartenenza al gruppo religioso non era messa in discussione: il distintivo religioso era un ingrediente necessario per far parte del gruppo sociale; la religione costituiva il «cemento» del gruppo e come tale veniva accettata come parte necessaria, tramandata da una generazione ad un'altra come una dimensione essenziale e non mai messa in discussione dalla cultura e dalle relazioni in cui ci si riconosce.
    Nel presente contesto sociale viene a diminuire il carattere necessario della religione nella vita del gruppo. La religione scivola ai margini dell'orizzonte culturale in cui ci si riconosce anche se permane come solennizzatrice dei principali momenti della vita dell'uomo (nascita-battesimo; prima comunione; matrimonio in chiesa; morte...).
    Tenendo presenti le due osservazioni introdotte si può meglio capire in che cosa consista la mancanza di interiorizzazione della esperienza religiosa della maggioranza dei giovani d'oggi:
    ♦ una esperienza che non viene sostenuta da una comunità, né maturata e vissuta in essa (né dalla famiglia che per lo più è praticante tradizionale, ma che non fa maturare il giovane in un clima di fede collegandola ai problemi della vita; né da una comunità di persone credenti che ricercano le motivazioni del proprio agire anche alla luce delle istanze evangeliche e che cercano di «vivere» e verificare le dimensioni caratterizzanti la loro fede religiosa e la loro credenza);
    ♦ una esperienza respirata dal giovane per lo più in un clima di consumo, in cui si cura in genere più l'aggancio del giovane (sposandone gli immediati interessi sportivi, di divertimento, di associazionismo, di attività...) che la proposta specifica del messaggio religioso.

    Si tratta di un'esperienza vissuta molte volte in modo negativo

    Nelle impressioni dei giovani è presente, in diversi strati di sedimentazione, il ricordo di un'esperienza in generale «negativa» a livello religioso. Ciò è dovuto in genere:

    ♦ allo stacco tra «aggancio» del giovane e la proposta del messaggio religioso. Quest'ultimo è proposto molte volte come separato dall'aggancio, come un qualcosa che ci deve essere per giustificare l'azione e l'identità degli animatori religiosi e le iniziative che vengono prese all'«ombra del campanile». Difficilmente dal primo emerge la continuità, la complementarietà, la necessità del secondo, né il primo elemento (tentativo di risposta agli interessi immediati dei giovani, all'esigenza di socializzazione, di espressione, ecc.) viene utilizzato come una efficace, indispensabile ed umana mediazione di una proposta religiosa e di una concezione di vita. Al di là delle «buone intenzioni» degli animatori, la maggioranza dei giovani non riesce a cogliere l'unità di fondo che può essere presente nella «proposta» educativa all'interno dei gruppi ecclesiali. E le spiegazioni di questo fatto possono essere due: o questa continuità non c'era e pertanto i due momenti risultano grossolanamente giustapposti (magari con rozzi risvolti tattici); oppure i giovani non sono in grado di recepire questa «complementarietà (e la causa di questa mancata recezione può essere intravvista sia nell'attuale clima sociale, sia nelle stesse antenne giovanili sintonizzate su onde diverse, sia infine nel difetto che può caratterizzare l'azione di chi emette la proposta);

    ♦ al clima di «moralismo», «imposizione», «sacrificio-penitenza-dipendenza» che ha spesso caratterizzato la esperienza religiosa vissuta dai giovani. I giovani mettono frequentemente in risalto che parte del sapore di negatività che caratterizza la loro esperienza religiosa risale al modo con cui sono stati presentati gli stessi valori religiosi. Un modo che molte volte risulta in contrasto con la sensibilità del giovane d'oggi, proprio perché è in contrasto con lo spirito evangelico.

    Si tratta di una esperienza religiosa
    che è ritenuta «non essenziale» per socializzare

    I giovani avvertono che non c'è solo il gruppo ecclesiale attorno a cui possono ruotare, che la vita sociale va al di là dei confini della parrocchia e che nella maggioranza dei casi non li tocca nemmeno. La socializzazione cioè si può vivere in tanti altri spazi e momenti. Inoltre evadendo dal cerchio ecclesiale si possono evitare anche le conseguenze negative di una socializzazione in cui vi sono ingredienti percepiti come «negativi» (moralismo, imposizione, proselitismo...).
    Questa consapevolezza è il riflesso a livello dei giovani della coscienza sociale che il fenomeno religioso non è più un carattere distintivo importante del gruppo sociale, che la religione non risulta più il «catalizzatore» del gruppo, della società.
    Alcuni giovani comunque continuano a vivere nell'ambito ecclesiale le loro istanze di socializzazione. Frequentano cioè ancora gli ambienti ecclesiali, i gruppi presenti in questo contesto, denotando con questo comportamento più una scelta di comodo e di opportunismo che l'istanza di voler vivere un impegno sociale o in particolare l'accettazione della proposta religiosa. L'ambito ecclesiale appare ad essi come un luogo in cui possono entrare tutti, in cui la presenza di tutti è perlomeno tollerata. Però essi stessi hanno la consapevolezza del carattere tattico di questa presenza, (e magari anche di questa apertura da parte dell'ambiente ecclesiale), e della non necessità di tale spazio e momento per soddisfare l'esigenza di socializzazione giovanile.

    L'esperienza religiosa slitta nella marginalità

    O nella insignificanza quando i giovani entrano nel vivo delle loro problematiche personali e quando iniziano a respirare il complesso clima della nostra società.
    In particolare:

    ♦ nell'età in cui iniziano a frequentare le scuole superiori oppure in cui iniziano l'esperienza lavorativa; in questo periodo entrano in contatto con il pluralismo di idee ed esperienze; scoprono la complessità dei problemi; cercano in questo clima di trovare un senso «minimo» per la propria vita, un cliché che permetta una minima identità personale e una concezione di vita adeguata.

    ♦ Quando vivono importanti cambiamenti o esperienze che li portano a scoprire un modo diverso e nuovo di organizzare e pensare la realtà, la complessità delle ideologie e dei sistemi sociali, i valori diversi che sottostanno a concezioni di vita differenti: nel passaggio dalla campagna alla città; nel fenomeno del pendolarismo (lavorativo e studentesco); nell'immigrazione.

    ♦ Quando «scoprono» l'impegno politico (3) che oltre a stimolare una analisi e interpretazione della realtà fa intravvedere possibilità di sbocco e di soluzione ai problemi sociali. Alla luce di questa scoperta molti giovani lasciano i gruppi ecclesiali cui appartenevano, poiché nella loro esperienza personale hanno maturato un confronto che, risultando a netto vantaggio di un gruppo di impegno politico, discredita e condanna l'impostazione ed i contenuti di molti gruppi ecclesiali. La proposta religiosa e il clima di tanti gruppi appare molte volte inconcludente, accademico, pieno di presunti «valori» che facendo perno sui rapporti primari e gratificando i componenti del gruppo, risultano in ultima istanza vuoti dei veri problemi riguardanti la società e la condizione giovanile, carenti di una valida chiave interpretativa della realtà sociale e non indirizzati sulla linea di concreti sbocchi di soluzione. Anche quando il gruppo ecclesiale sembra aver aiutato a maturare validi atteggiamenti, questi appaiono insufficienti al giovane per fondare la sua permanenza nel gruppo stesso. L'impegno politico infatti fa scoprire ai giovani di cui stiamo parlando (quelli cioè che all'interno della loro esperienza ecclesiale sono stati sensibilizzati a livello politico) la necessità di «impiegare» questi atteggiamenti per la liberazione dell'uomo, là dove c'è «mischia sociale», dove pare in effetti di contribuire a portare avanti la storia.

    ♦ Quando provenendo da una esperienza religiosa chiusa, stretta in angusti confini, da piccolo mondo, da «istituzione totale», si accorgono a contatto con diverse esperienze che la vita è una realtà più complessa, meno stantia, più ricca e sfaccettata.

    Una esperienza religiosa in cui i giovani
    hanno maturato la distinzione tra la fede e la religione-di-chiesa

    Quest'ultima concepita come la manifestazione storica della fede è fatta oggetto di un giudizio e di un atteggiamento di rifiuto, accusata di permissivismo e di scarsa incidenza nella serietà dei problemi. Nei confronti della fede invece, la media dei giovani lascia intravvedere un atteggiamento di considerazione, una attenzione ad uno dei possibili principi ispiratori della vita che l'uomo ha a propria disposizione e che di fatto informa la vita di una certa parte degli uomini.

    I giovani e la proposta religiosa

    Una delle tante proposte

    A contatto con il pluralismo della società la proposta religiosa appare come una tra le tante proposte di significato per la vita, uno dei tanti motivi ispiratori della propria esistenza, che occorre anche prendere in considerazione (magari nei momenti in cui si vuole fare un consuntivo delle proprie scelte di fondo o nei momenti in cui si è sollecitati da travagliate esperienze personali), ma che non è detto che sia la più esauriente. L'esperienza quotidiana dimostra ai giovani come tanti ottimi comportamenti e atteggiamenti non hanno come punto di riferimento la proposta religiosa. Ciò non significa che chi è credente non debba essere rispettato. Ma solo che tutte le proposte vengono messe sullo stesso piano, con le stesse possibilità e «chances» di scelta. I giovani pertanto evidenziano come per far assurgere una proposta a motivazione ultima della propria vita (e talvolta essi avanzano riserve anche sulla necessità-possibilità-opportunità di avere una «motivazione ultima») sia necessaria una adesione personale che vincola l'individuo ad un determinato ideale e che orienta di conseguenza tutta la vita della persona.

    Una proposta conflittuale

    La proposta religiosa (accostata come abbiamo visto in precedenza in un clima prevalentemente negativo o che non favoriva l'interiorizzazione) sembra essere in contrasto con la cultura della società in cui il giovane è immerso e con alcune caratteristiche che contraddistinguono la condizione e le attese giovanili. Alcune di tali divergenze sono così individuabili (ci si accorge anche a prima vista come l'immagine della proposta cristiana che i giovani giudicano è ancora quella più tradizionale, mentre è notevole la convergenza tra questa sensibilità giovanile e gli aspetti più genuinamente evangelici della fede):

    ♦ Il desiderio e l'aspettativa di poter essere attivo nel determinare la propria vita (riflesso generale della coscienza dell'uomo di poter meglio determinare la propria condizione sociale e il rapporto con la natura) sembrano scontrarsi con l'accettazione che appare propria della concezione religiosa di un disegno di Dio che pervade la storia.

    ♦ I valori della libertà, spontaneità, autonomia, particolarmente sentiti dai giovani, sembrano in contrasto con le dimensioni del «sacrificio» e della «rinuncia» presenti nella «logica» della religione cristiana.

    ♦ La predisposizione dei giovani (tanto più acuta quanto più essi direttamente vivono le contraddizioni dell'attuale sistema socio-economico) a cercare di costruire la propria vita su basi sicure (4), in un preciso sistema di garanzie (riguardante la ricerca di un posto di lavoro stabile, sicuro e sufficientemente rimunerativo; l'assistenza sanitaria gratuita; la sicurezza circa la data e l'ammontare della pensione; il salvaguardarsi a tutti i livelli mediante le «assicurazioni»; ecc.), sembra in contrasto con un atteggiamento di «fede», di «rischio», di «non sicurezza» che viene anche avvertito nella proposta religiosa e che (a livello di immagine) appare come un cammino verso l'insicuro, un investimento umanamente a fondo perduto;

    ♦ La proposta religiosa talvolta non viene presa in considerazione per l'immagine negativa che di essa sembrano presentare molti che ad essa dicono di ispirarsi. Per i giovani, infatti, molti che si dichiarano «credenti» forniscono un modello di comportamento in cui i valori profani sono costantemente subordinati o soffocati da quelli religiosi, in cui la coerenza formale prevale sulla ricerca della verifica nella prassi delle istanze ispiratrici del proprio comportamento-atteggiamento, in cui lo stimolo religioso non trova adeguati sbocchi nell'impegno sociale e politico.

    ♦  Per alcuni giovani inoltre la proposta religiosa si presenta con un carattere così impegnativo e totalizzante (richiedente cioè una adesione incondizionata e una elevata coerenza di vita che non si limita alla sfera privata ma si estende a quella collettiva), da apparire utopica, astratta e «fuori dai tempi», se si considerano gli abituali modelli di comportamento e i criteri di orientamento dell'azione dell'uomo che dominano a livello sociale.

    I giovani e l'istituzione ecclesiale

    Il giudizio sulla istituzione ecclesiale (5) «pesa» sia nei confronti dell'esperienza ecclesiale-religiosa che nei confronti della proposta religiosa. Si tratta infatti di una proposta e di una esperienza che molte volte i giovani non prendono in considerazione o che nemmeno si preoccupano di conoscere (e ciò a livello consapevole), perché il canale del messaggio, la chiesa-istituzione, risulta per essi poco credibile. Di questa scarsa o nulla credibilità i giovani parlano o perché ne hanno fatto esperienza non positiva nella loro vita, o perché riflettono l'immagine che la società ha in media della chiesa-istituzione.
    Nell'immagine che i giovani hanno maturato della chiesa come istituzione si intravvedono alcune interessanti tendenze sulle quali conviene brevemente soffermarci:

    ♦ Mentre, nel descrivere come la chiesa dovrebbe essere, i giovani in media possono denotare una benevola attesa nei confronti di questa istituzione ( richiedendo ad essa un'opera di generale – e talvolta generica – umanizzazione), nel tentativo di definirla e di giudicarla così come essa si presenta attualmente, i giovani si rivelano generalmente assai critici, evidenziando sia i suoi legami con le strutture di potere dominanti, sia gli errori storici sottostanti alla compromissione col potere, sia la necessità di ricorrere alle categorie di «struttura economica e politica» per definire la natura di questa istituzione.

    ♦ I giovani inoltre si rivelano assai più critici quando devono giudicare l'istituzione religiosa ecclesiale operante concretamente in un ambito territoriale specifico (in particolare nelle sue relazioni e influssi nell'ambito italiano), rispetto ad un giudizio che tende a vagliare le funzioni svolte in generale dall'istituzione religiosa o i rapporti generali instaurati da questa col potere politico ed economico. In particolare la chiesa in Italia viene di fatto percepita dai giovani con una marcata caratterizzazione di influenza negativa a livello politico e produttivo, e nel tentativo di controllo e manipolazione delle persone e delle coscienze.

     I giovani valutano l'istituzione ecclesiale riducendola di fatto a dimensioni puramente umane, senza considerare o ipotizzare funzioni o aspetti che si pongono al di là di un ambito strettamente immanente alla realtà. Ciò è individuabile soprattutto nel modo con cui la media dei giovani vorrebbe la chiesa, modo che sottolinea come importante l'azione istituzionale della chiesa (anche a livello di supplenza sociale), purché questa sia nella linea di un effettivo perseguimento della promozione umana e sociale e di un ideale di umanizzazione, (a cui sembra «ridotto» anche l'annuncio del messaggio evangelico pur considerato importante), e purché questa azione sia fatta senza alcun intento manipolatorio e salvaguardando la libertà delle persone.

    Secolarizzazione

    Si è cercato fin qui di mettere in evidenza come la media dei giovani si ponga di fronte al fenomeno religioso e le nostre indicazioni si affiancano a quelle di tanti altri che costatano l'incrinarsi e lo sgretolarsi dell'etichetta di «anagraficamente cristiana» attribuita a questa società.
    I giovani, in particolare, meno ancorati alla tradizione e sensibili recettori del clima e delle problematiche che informano l'attuale società, sembrano essere i soggetti che più mettono in evidenza il processo di mutamento che investe il consenso tradizionale di cui godeva l'ambito religioso nel passato.
    Si tratta però di un processo complesso e articolato. Da quanto abbiamo affermato, dai vari accenni presenti nelle premesse e nell'analisi, i giovani nel modo di porsi di fronte al fenomeno religioso, oggi, riflettono le caratteristiche della loro condizione giovanile storicamente determinata dall'attuale società. E ciò in concreto significa che i giovani vivono l'esperienza religiosa, «incontrano» l'istituzione ecclesiale e la proposta religiosa, nel quadro del pluralismo, del relativismo, del pragmatismo, della rivalutazione del profano, dell'accresciuto senso del collettivo... tutte quelle dimensioni ricordate cioè in precedenza (6) che informano l'attuale società.
    Questa precisazione doverosa permette di ribadire che è possibile analizzare i giovani di fronte al fenomeno religioso solo se ci si mette nella prospettiva del mutamento sociale, ottica che consente di evidenziare come attualmente gli individui e i gruppi sociali (in questo caso i giovani) si pongano nei confronti del fenomeno religioso in modo assai diverso rispetto al modo con cui veniva vissuto lo stesso fenomeno in una società in cui prevalevano i valori tradizionali, in cui vi era maggior integrazione sociale, maggior consenso e legittimazione, e minor pluralismo...
    Inoltre la crisi del fenomeno religioso nella società contemporanea è una crisi di ridefinizione vissuta dallo stesso ambito religioso.
    In una società in profonda trasformazione la struttura e la proposta religiose stentano a trovare una sintesi che riesca da un lato a salvaguardare i contenuti del messaggio e dall'altro a renderli più adeguati e vicini alla sensibilità dell'uomo d'oggi, in uno sforzo di reinterpretazione alla luce delle istanze dell'attuale cultura sociale.

    Privatizzazione ed emarginazione dell'esperienza religiosa

    Abbiamo descritto quello che ci sembra essere l'atteggiamento della maggioranza dei giovani nei confronti della esperienza religiosa-ecclesiale, delle credenze religiose e dell'istituzione ecclesiale. Data la capillarità dell'organizzazione ecclesiale e la scarsità di altri punti di riferimento istituzionali la grande maggioranza dei giovani ha conosciuto gli ambienti ecclesiali. L'allontanamento da essi e in generale la conseguente poca considerazione della proposta religiosa e dell'istituzione ecclesiale, sono frutto dei motivi introdotti in precedenza.
    Ci si può chiedere però, a questo punto, se i giovani in media, non sentano l'esigenza di dare una risposta anche «sacra» agli interrogativi di fondo della vita, e se pertanto non «credano», non rivelino (magari in forme nuove) una fede in un qualcosa di sacro, non evidenzino la necessità di una dimensione religiosa.
    C.T. Altan, nella sua inchiesta condotta su un campione nazionale di oltre 7.000 giovani italiani, per quanto riguarda l'ambito religioso (considerato solamente nell'aspetto del «credere in un essere superiore») afferma: «Il quadro generale offerto dalla gioventù italiana, rappresentata dal nostro campione, relativamente alla credenza in una realtà soprannaturale si presenta in questi termini: il 15% dei soggetti dichiara il proprio totale dissenso da una tale credenza, per cui sono da classificare come «non credenti», il 45% vi aderisce ma con riserva e il 40% senza riserva» (7).
    A questi dati fanno riscontro altre interessanti indicazioni. Una ricerca Doxa condotta per incarico delle edizioni Paoline, evidenzia attraverso una rilevazione campionaria che su 100 giovani dai 15 ai 24 anni, oltre 70 dichiarano di essere «credenti» (8). La rivista Panorama, inoltre, indica che su 100 giovani intervistati di recente, oltre 80 affermano o di essere sicuri che Dio esista o di credere in Dio anche se con qualche dubbio (9).
    Nel prendere atto di queste indicazioni (che possono ovviamente ricevere ulteriori ed allargate conferme), può sorgere il dubbio che la realtà oggetto di analisi (giovani e fenomeno religioso) sia diversa da quella descritta nel presente contributo, e che la maggioranza dei giovani, così come afferma di credere in Dio, si riveli anche meno critica di quanto si è affermata in precedenza, sia nel valutare la propria esperienza religiosa, che nel mettersi di fronte alla proposta e alla istituzione religiosa. Crediamo però che anche in questo caso occorra essere realisti non riducendo la sfera religiosa alla considerazione di un solo dato (la credenza in un essere superiore). Il considerare infatti la sola voce «fede di Dio» non è un modo corretto per valutare l'atteggiamento e il comportamento dei giovani nei confronti del fenomeno religioso. Si ipotizza infatti che i giovani pur sentendo l'esigenza di un essere superiore a giustificazione della propria esistenza, di fatto non facciano seguire a tale credenza né l'adesione allargata ad altri importanti punti della fede cristiana, né una pratica religiosa conseguente alle credenze.
    Analizzando infatti la menzionata indagine Doxa notiamo che il 77% dei giovani che si dichiara «credente», scende al 38% nel dichiararsi «praticante» (dato che dovrebbe poi essere vagliato seriamente per stabilire la pratica religiosa effettiva che può anche discostarsi sensibilmente rispetto a quella «dichiarata»), mentre i giovani «non praticanti» sono indicati nel 61.4%. Emil Jean Pin, nel suo libro «La religiosità dei Romani», afferma (nell'accennare ai punti che costituiscono il nucleo della fede cattolica) che «più l'età diminuisce, più in proporzione diminuisce anche l'adesione alle credenze cattoliche» (10). Inoltre nella ricerca condotta in un quartiere milanese e condensata nel citato volume «Religione alla periferia», valutando le graduatorie relative alla pratica religiosa, per categoria sociale di appartenenza, si nota che i giovani (e in particolare quelli di condizione operaia) occupano i primi posti nella scala dei «non praticanti» (11).
    Si tratta di indicazioni significative che trovano piena conferma in alcuni nostri studi tendenti ad analizzare con intensità, realtà locali. In un campione di 300 giovani estratti casualmente dalle liste elettorali torinesi, giovani che fossero in possesso almeno del diploma della scuola dell'obbligo, mentre il 70% dichiara di credere in Dio, solo il 21% afferma di andare a messa alla domenica. In questo campione inoltre, solo il 12% denota un alto grado di interesse religioso (contro 1'80.6% che rivela nullo o scarso interesse), solo il 14% dichiara di «fare la comunione» sovente o tutte le domeniche (contro il 62% che dichiara «mai o quasi mai»), mentre il 91% afferma di non appartenere a nessun gruppo ecclesiale (12).
    Crediamo che le conclusioni emergenti da queste cifre siano in linea con le indicazioni fornite dalle riflessioni fatte in precedenza valutando come la media dei giovani si ponga di fronte alla esperienza e proposta religiosa e alla istituzione ecclesiale.
    Sembra pertanto che il fenomeno religioso stia slittando nella sfera della marginalità per la maggioranza dei giovani. Marginalità rispetto agli interessi, ai valori emergenti, alle istanze fatte proprie dai giovani d'oggi. Ovviamente il processo è complesso. Molti giovani vivono ancora il fenomeno religioso a livello tradizionale, danno cioè ad esso ancora una adesione formale. Ma proprio questo modo di adesione lascia presagire una prossima scollatura di questa loro credenza religiosa ed appartenenza ecclesiale. Molti altri giovani vivono invece in pieno la crisi del fenomeno religioso (con maggior o minor consapevolezza).
    Si tratta di un processo di progressiva emarginazione che ha come tappa intermedia la riduzione a fatto privato dell'esperienza religiosa. Il fatto che la maggioranza dei giovani affermi di credere in Dio ma di non essere più praticante a livello religioso, è indicativo del modo con cui avviene questa emarginazione. La sola fede in Dio riduce a livello individuale l'aggancio con la sfera religiosa. Credere in Dio diventa una necessità per il giovane (e l'uomo d'oggi), una necessità che può contribuire a definire la propria identità nell'attuale contesto sociale e culturale. Ma si tratta di una esigenza risolta nell'ambito dell'individuale, di una adesione cioè che non lega gli individui tra di loro, che non li spinge ad approfondire ulteriormente le proprie credenze, che non li stimola ad un confronto comunitario o di gruppo, che non raccorda la fede alla vita. La caduta della pratica religiosa (a livello medio), il non approfondimento delle credenze, il nullo o scarso interesse religioso, la poca considerazione per l'appartenenza a gruppi ecclesiali o religiosi, mettono in evidenza come il fatto religioso che perde il senso del collettivo (automaticamente ridotto ad una dimensione privatizzata), sia destinato progressivamente all'emarginazione.

    Fede naturale

    Da queste ultime considerazioni, tenendo conto anche delle indicazioni introdotte in precedenza, si può tentare una risposta alla domanda se i giovani d'oggi rivelino una esigenza religiosa.
    In generale si può dire che:
    Essi credono in una fede naturale, le cui dimensioni sono costituite dalla solidarietà, dalla fratellanza umana, dalla pace, dal rispetto dell'uomo (si tratta ovviamente di affermazioni la cui verifica nel loro quotidiano, nel loro comportamento, non è documentabile). In questa fede naturale sono compresi anche gli «ideali» di ognuno.
    Essi accettano in generale un essere superiore come giustificazione razionale della esistenza umana, un essere che spieghi il mondo e l'esistenza dell'uomo. Un essere però con cui non c'è molta relazione, con cui non si instaura un rapporto «io-tu», con il quale non esiste una relazione da cui scaturisce un imperativo ad agire in un certo modo e capace di orientare la propria vita.
    Anche la figura di Cristo che può essere emblematica per molti giovani, viene accettata essenzialmente a livello umano: il Cristo dei poveri, il rivoluzionario, colui che «ha pagato di tasca sua», il profeta, il Jesus Christ Superstar...
    ♦ In generale anche verso la chiesa vi sono delle aspettative (come già abbiamo accennato). I giovani guardano alla chiesa come ad una «agenzia» che dovrebbe umanizzare, una struttura che purificandosi al suo interno potrebbe diventare una fonte di promozione umana.


    NOTE

    (1) Si veda a questo proposito: G.E. RUSCONI, Giovani e secolarizzazione, Vallecchi, Firenze 1969; AA.Vv., La politica dei gruppi, Comunità, Milano 1970; G.E. RUSCONIC. SARACENO, Ideologia religiosa e conflitto sociale, De Donato, Bari 1972; G. BIANCHI-A. ELLENA (a cura di), Giovani tra classe e generazione, Celuc, Milano 1973; P.G. GRASSO, Gioventù e innovazione, Ave, Roma 1974.
    (2) Cercheremo di raggiungere il nostro obiettivo utilizzando dati e considerazioni presenti in alcune ricerche nazionali, non condotte nell'ottica di questo lavoro ma capaci di suggerire spunti importanti. Oltre a quelle già indicate possiamo far riferimento ai lavori di: C.T. ALTAN, I valori difficili, Bompiani, Milano 1974; G. BUSSETTI, P. CORBETTA e F. RICARDI, Religione alla periferia, Il Mulino, Bologna 1974; S. BURGALASSI, Religiosità e comunità ecclesiastica in Italia, in AA.Vv., Comunità locale ed ecumenismo, Ave, Roma 1973; G.C. MILANESI, I giovani di oggi di fronte al sacro: un tentativo di tipologia religiosa, in «Note di Pastorale Giovanile», 7-8/1974; F. GARELLI, Questa è l'immagine che i giovani hanno della chiesa, in «Note di Pastorale Giovanile», 1/1974; E.J. PIN, La religiosità dei romani, Ed. Dehoniane, Bologna 1975.
    In particolare poi ci si è riferiti per le presenti considerazioni anche ad un nostro materiale assai voluminoso e articolato, riguardante circa 400 interviste approfondite (realizzate attraverso il registratore), fatte a giovani di Torino in prevalenza studenti di scuole professionali o istituti tecnici ma anche a giovani lavoratori, sul modo con cui hanno vissuto o vivono l'esperienza religiosa, su come considerano la proposta religiosa e sull'immagine che essi hanno della istituzione ecclesiale. Crediamo, per la singolarità di questo materiale e per la fascia di giovani intervistati, che tali interviste possano rivelare in modo significativo la relazione che stiamo considerando.
    (3) Si veda in particolare il testo di G.E. Ruscom-C. SARACENO, op. cit., De Donato, Bari 1972.
    (4) Vedasi L. GALLINO, Politica dell'occupazione e seconda professione, (bozza e testo provvisorio ricavato da una relazione orale tenuta a Grottaferrata il 19/1/75, pag. 5).
    (5) Si veda a questo proposito la trattazione approfondita di F. Garelli, op. cit., in «Note di Pastorale Giovanile», 1/1974.
    (6) Si veda: F. GARELLI, I giovani Italiani di fronte al fenomeno religioso, in «Note di Pastorale Giovanile», 3/1976, pp. 71-81.
    (7) C.T. ALTAN, op. cit., p. 40.
    (8) Ciclostilato a cura delle Edizioni Paoline, Torino, 1976.
    (9) M.L. AGNESE-C. SERIA, In cerca del padre, in «Panorama», XIV, 18 dicembre 1975, p. 106.
    (10) E.I. PIN, op. cit., p. 62.
    (11) G. BUSSETTI-P. CORBETTA-F. RICARDI, op. cit., p. 102.
    (12) F. GARELLI, Ricerca sociologica sull'immagine che i giovani di Torino hanno della Chiesa - documenti e dati allegati (tesi di laurea), Istituto di Sociologia, Facoltà di Magistero, Università di Torino, 1973.


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