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    Famiglia, comunità ecclesiale e gruppo, spazio per educare a pregare



    Erminio De Scalzi

    (NPG 1976-6-64)

    Il mio compito è di tentare una riflessione sulla esperienza pastorale in mezzo ai preadolescenti per offrire alcune indicazioni molto concrete sui diversi contributi (e sui diversi problemi) che famiglia, comunità parrocchiale e gruppo dei coetanei possono e devono dare per educare i preadolescenti alla preghiera all'interno, è evidente, di un piano educativo globale e programmato con chiarezza.
    Più che delle soluzioni spesso però potrò solo rivolgere degli interrogativi a questi ambienti educativi per una verifica della pastorale che in essi viene portata avanti.
    Incomincio dalla famiglia perché essa è certamente il primo luogo, non solo in ordine di tempo, ma soprattutto di importanza, in cui il ragazzo può imparare a pregare.

    FAMIGLIA: TESTIMONIANZA E OFFERTA DI PREGHIERA

    – In famiglia il preadolescente può imparare, prima ancora che a memorizzare e ripetere le preghiere tradizionali, l'atteggiamento di preghiera che è:
    – riconoscere la presenza di Dio nelle sue manifestazioni quotidiane;
    – rivolgersi a Lui in un modo semplice e abituale, proprio come ogni giorno in famiglia ci si rivolge la parola;
    – essere disposti all'ascolto reciproco;
    – assumere gli atteggiamenti più schietti della convivenza di ogni giorno: dire grazie, chiedere scusa, salutare...
    – In famiglia la preghiera, ancor prima di essere incontro di persone che pregano, prima di essere dono di significati e di valori è ambiente dove questi valori sono presenti allo stato aeriforme, valori che ogni famiglia trasmette o meno, ancor prima di porsi intenzionalmente il problema.
    Parlo di «iniziazione atmosferica» di tipo affettivo, occasionale, dove l'ambiente ancor prima di essere un luogo è un insieme di grandi e piccole cose, di relazioni, di parole, di silenzi, di modi di vivere i rapporti interpersonali... In una parola: ogni ragazzo è tributario nell'educazione alla preghiera del ritmo spirituale di vita della sua famiglia.
    – Solo in secondo luogo l'educazione alla preghiera in famiglia, è la offerta di un cammino di fede, come esperienza di preghiera insieme. Non si parte dal catechismo, messo tra le mani del ragazzo, ma dalla testimonianza concreta di fede della comunità familiare.
    Le motivazioni di questo privilegiare la famiglia come luogo primario della educazione alla preghiera del preadolescente sono semplici:
    – la famiglia educa in quanto rappresenta un gruppo stretto di convivenza abituale, dove è favorita la spontaneità, un clima di apertura, dove si sperimenta la gioia e insieme la fatica del volersi bene, ci si imbatte in situazioni impreviste, ricche di felicità o gravide di ansia e sofferenza: si chiede scusa, ci si perdona, si è felici di essere insieme.
    – Inoltre mi paiono importanti alcuni paragrafi del Rinnovamento della Catechesi dove si dice che il ragazzo assimila più per affetto che per ragionamento, si identifica con la persona che stima e che ama, e ne fa propri i valori, gli atteggiamenti, il modo di considerare la vita...
    – Credo tuttavia che l'educazione del preadolescente alla preghiera in famiglia sia da ricondurre al fatto che il ragazzo viva globalmente una esperienza d'amore e di accoglienza.

    Leggo da «Il Vangelo secondo Barabba»...
    È una preghiera scritta da un ragazzo della casa di rieducazione di Arese, morto giovanissimo in un incidente:
    «Signore, io non sono capace di pregare.
    Mai nessuno me lo ha insegnato. Anche adesso non so cosa dirti. Ma tu esisti? Se esisti, perché non ti fai vedere da me? Forse pretendo troppo. Le vette, il mare, i fiori, tutto il creato parlano di te, ma io non sono capace di scoprirti.
    Dicono che l'amore sia una prova della tua esistenza. Forse è per quello che io non ti ho incontrato: non sono mai stato amato in modo da sentire la tua presenza.
    Signore, fammi incontrare un amore che mi porti a te; un amore sincero, disinteressato, fedele e generoso, che sia un poco l'immagine tua».
    Educare alla preghiera in famiglia comporta allora una scelta pastorale di evangelizzazione della famiglia. Si tratta di:
    – rendere consapevole la famiglia che la generazione non si esaurisce nell'adempimento al comando di una paternità o maternità fisica, ma si prolunga ogni giorno nella «generazione spirituale».
    – Far capire che la miglior garanzia dell'educazione dei figli resta ancora sempre la «scoperta» che una famiglia, ogni giorno, è chiamata a fare dell'amore coniugale.
    – Far comprendere alla famiglia che non deve delegare ad altri «compiti educativi a lei propri»; d'altro canto deve sapere che essa oggi, data la molteplicità di sollecitazioni e condizionamenti culturali e ambientali, non è più sufficiente da sola a educare.
    – Esigere la partecipazione della famiglia in campo educativo rivolgendosi ad essa come «unità» (quanti ragazzi nell'educazione alla preghiera sono orfani di padre!) senza dimenticare che non tutte le persone hanno famiglia.
    – Avviare concrete esperienze di preghiera in famiglia fornendone i sussidi necessari.
    – Ridare la giusta centralità della Domenica come giorno del Signore celebrato insieme, ed essere puntualmente presenti come «chiesa domestica» nei momenti fondamentali della vita e della morte, della gioia e del dolore, della nascita, della crescita, ecc...

    LA COMUNITÀ ECCLESIALE

    Il preadolescente, sia che viva in una famiglia «luogo di educazione alla preghiera», sia che viva in una famiglia refrattaria alla preghiera, ha già fatto l'incontro con una comunità più grande che prega: la comunità cristiana, generalmente riunita alla domenica per la celebrazione della Cena del Signore.
    Interrogativi
    Come appare al preadolescente la sua Comunità cristiana? È veramente una comunità che prega? Come e quando questa sua comunità fa preghiera?
    Inoltre, di fronte alle sue incipienti difficoltà verso una preghiera che elude il duro confronto con la realtà e vanifica l'impegno per l'uomo... questa sua comunità è solo comunità di culto o anche di missione? È strutturata cioè in modo tale da «vedersi» solo in Chiesa o anche nel quartiere, nelle infrastrutture della vita sociale? Se non fosse così, renderebbe un disservizio alla fede del ragazzo e, prima o poi, egli la giudicherebbe controtestimonianza e il suo ritrovarsi in preghiera non diverrebbe credibile.
    La miglior risposta alle odierne obiezioni di marginalità e inutilità della preghiera, espresse anche dai preadolescenti con quella domanda comune, ma sempre pungente: a che serve pregare?, tutto non resta forse come prima?, è: la testimonianza di credenti che hanno operato l'integrazione personale tra il mondo della fede e la realtà concreta dell'esistenza umana. Sapere qualcuno profondamente impegnato a livello sociale nella scuola, nella fabbrica, nel quartiere, nel sindacato o nel partito, nel mondo della cultura o dello spettacolo... appassionato dunque per l'uomo e per il mondo, e vederlo in qualche momento in preghiera, in ascolto della Parola di Dio, in contemplazione... è certamente per il preadolescente lezione di vita, e poiché la fede è legata alla vita, è lezione di fede, è lezione di preghiera...

    LA MESSA DOMENICALE

    In quanto comunità eucaristica, la parrocchia è chiamata a manifestare in un luogo determinato l'evento di Gesù Cristo. Ciò richiede una assemblea eucaristica vera, con tutto ciò che può costituire «preparazione» e «continuità», dove il filo conduttore tra i due momenti sia la carità fraterna.
    In questo senso il Direttorio per la «Messa con la partecipazione dei fanciulli» è un forte richiamo per ogni comunità parrocchiale ad un serio esame di coscienza sul modo di fare liturgia e una liturgia a misura dei ragazzi. Le nuove indicazioni di adattamento della liturgia per i ragazzi sono infatti il riconoscimento del diritto che i fanciulli hanno di partecipare alla assemblea eucaristica, in modo attivo, originale, tipico della loro età e della loro fede. Nella celebrazione eucaristica la presenza dei ragazzi deve essere decisamente avvertita e convenientemente valorizzata: sia una presenza di persone messe in grado di partecipare e di sentirsi interpellati da quanto si fa e si dice.
    In questo senso le aperture liturgiche vanno intelligentemente usate: sapendo che tra «l'anarchia» e chi reclama una «restaurazione liturgica», c'è spazio per una grande creatività [1].
    La preparazione alla celebrazione eucaristica, però, non è in primo luogo conoscenza di un rito, ma è essenzialmente maturazione di atteggiamenti evangelici che, lungi dall'essere richieste moralistiche, sono invece la condizione fondamentale perché un ragazzo risponda a Dio, faccia una esperienza di preghiera e lo riconosca allo spezzare del pane – così come, prima e dopo il rito – lo sa riconoscere nella sua vita.
    Non si assiste a nulla nella Chiesa, tanto meno nella Messa: si partecipa. Questa partecipazione inizia più da lontano della celebrazione medesima. Inizia, ad esempio, con l'educazione alla gratuità, al senso dell'altro, al rispetto e all'amore per il fratello, con l'educazione al dono di sé, alla «comune-unione»: valori che costituiscono il fondamento della crescita, nel preadolescente, della capacità di comprendere esistenzialmente l'Eucaristia.
    Poi va curata la continuità tra Messa e vita. Una celebrazione veramente «partecipata» si prolunga nella vita del ragazzo con la assunzione di impegni personali, concreti, adatti all'età.
    C'è il pericolo che il ragazzo consideri la Messa come un fine: dobbiamo invece aiutarlo a comprendere – non tanto a parole, quanto con proposte precise e concrete – che la sua partecipazione al sacramento si compie allorché permettiamo che Dio susciti in noi – faccia urgere dentro di noi –, come dice san Paolo, la libertà di essere come lui «l'uomo per gli altri».
    Il momento più maturo della fede non è né la preghiera, né il sacramento, ma quando sia la preghiera, sia il sacramento suscitano la libertà di assumersi precise responsabilità.

    ALTRI MOMENTI DI PREGHIERA

    C'è tuttavia il problema di altri momenti dedicati alla preghiera e diversi dalla celebrazione eucaristica, vissuti dalla comunità parrocchiale, ai quali possano partecipare i preadolescenti.
    Gli Atti dicono che i primi cristiani erano assidui «alle preghiere» e allo spezzare del pane.
    Quali sono questi momenti? Quali sono realmente nelle nostre parrocchie, e quali potrebbero essere?
    Domandiamoci, ad esempio, se è facile incontrare parrocchie dove si sia «istituzionalizzata» la celebrazione penitenziale, dove con regolare frequenza abbia luogo la celebrazione della Parola, dove la gente sia invitata a pregare esprimendo ciò che è legato alla sua vita e alla sua sensibilità, di fronte agli avvenimenti del mondo: del suo «pezzo di mondo», e di tutto il mondo!
    Ancora: sono capaci le nostre comunità di accogliere nella preghiera la sensibilità dei ragazzi?
    Una sensibilità che li porta a guardare di preferenza in avanti, a sperare, anziché lamentarsi dell'oggi e del passato, a cercare la solidarietà, l'amicizia degli altri, a darsi da fare per tutto ciò che ha sapore di giustizia, libertà, pace...
    Sono capaci le nostre comunità di lasciarsi almeno un po' contestare dalla capacità profetica dei ragazzi?

    IL GRUPPO ECCLESIALE DEI COETANEI

    Continuiamo a «interrogare» la comunità parrocchiale; le domandiamo se è capace di dare ai ragazzi «lo spazio» – inteso non tanto come luogo materiale – per fare una esperienza di comunità cristiana un po' più a loro misura: ci riferiamo al gruppo ecclesiale di coetanei.
    Il senso di appartenenza a una comunità parrocchiale – fatta da un numero sempre più grande di persone – nasce e matura attraverso la mediazione di un gruppo che abbia le connotazioni fondamentali di «gruppo di Chiesa».
    In esso tutto assume più facilmente la dimensione delle persone, nell'accettazione reciproca ciascuno trova la sua giusta collocazione e si esprime nella sua propria originalità; tutta la vita, l'esperienza concreta e reale del ragazzo può venire «evocata» per essere vista in profondità e scoprirvi i segni della presenza di Dio; di qui può nascere nel preadolescente la decisione di mettersi in comunicazione con Lui che mi precede, che inizia a parlare con me, a stare con me.
    Nel gruppo di chiesa, costituito da coetanei e da un animatore, il preadolescente trova quasi sicuramente l'ambito privilegiato di educazione alla preghiera, perché in esso è la sua stessa vita, fatta di slanci e di pigrizie, di eroismi e meschinità, di coraggio e di timori, di ottimismi e pessimismi, di fiducia e insicurezze, a diventare luogo di preghiera.
    Se questo è vero, il gruppo deve avere però alcune connotazioni ben precise:
    – In un gruppo sostenuto dalla meta di «essere per gli altri», attraverso concrete e fattive scelte di condivisione, la preghiera può venire liberata dalla tentazione del fariseo: uno che si accontentava di aver compiuto alcuni gesti prescritti e non si interrogava più sulla disponibilità a Dio e ai fratelli.
    La fede, anche per il fariseo di oggi, si risolve in alcune pratiche e la vita di ogni giorno scorre parallelamente per altre vie.
    – In un gruppo che non rifugga dalle responsabilità verso i fratelli e i loro bisogni, la preghiera può venire liberata dalla tentazione del levita del sacerdote, diretti l'uno forse verso il tempio e l'altro a parlare di Dio e dell'amore, e incapaci poi di riconoscerlo sulla loro strada. Chiedere aiuto a Dio non significa disinteressarsi degli altri, ma contare sull'azione di Dio, per dare però più efficacia alla nostra, senza perdere la speranza e la caparbia volontà di aiutare a cambiare il mondo.
    – In un gruppo che educhi il preadolescente a stare con gli altri, e nello stesso tempo a essere capace di vivere «per gli altri», anche da solo, la preghiera diventa capacità di parlare con Dio da solo anche senza la presenza fisica degli amici: nel silenzio di una chiesa, di un campo, o della propria camera.
    Mi pare di dover dire che se è vero che l'iter di educazione del ragazzo alla preghiera, passa dal coinvolgimento del medesimo in una comunità cristiana che prega, tuttavia se non lo si abitua ad una preghiera individuale, spesso la preghiera comunitaria a cui partecipa diviene la somma della disattenzione sua aggiunta a quella degli amici.
    – In un gruppo che non si identifichi con la comunità cristiana, ma si proponga solo come mezzo concreto per scoprire la comunità più grande della Chiesa, il preadolescente può essere educato a pregare con il respiro universale dei problemi della Chiesa, a sentire che le persone che sono in comunione con lui, sono molte di più di quelle che egli vede, la domenica, radunate alla chiesa.
    Comprenderà che la preghiera della Chiesa, la Liturgia, è una preghiera che trascende la sua, pur vera, ma preghiera personale.
    – In un gruppo che sia il primo luogo dove si vive e si sperimenta quanto lì si dice, il preadolescente vi trova un aiuto a superare la tentazione di dissociare il discorso dalla vita. Il gruppo assomiglierà alla sua preghiera: vi si dicono tante parole a cui corrispondono il nulla di fatto e la non attenzione alle parole dette. E così viceversa.

    ALCUNE NOTE PER L'EDUCATORE

    È un falso problema quello di chiedersi se occorra prima spiegare al preadolescente cosa significa pregare o se occorra prima metterlo in situazione di fare una esperienza concreta di preghiera.
    La soluzione del problema è la non disgiunzione delle due attenzioni: infatti come nella vita non esiste un tempo destinato solo a conoscere ed un altro per attuare le conoscenza, così non c'è un tempo per imparare a pregare, disgiunto da un tempo per pregare.
    Tuttavia, pedagogicamente, mi pare che il preadolescente possa addentrarsi nella riflessione su che cos'è la preghiera, solo se prima gli è stato proposto – ed egli ha accettato liberamente – di fare una concreta esperienza di preghiera.
    In questa esperienza egli può allora costruire la sua riflessione e prendere così coscienza che per il cristiano la preghiera non può essere confinata nella marginalità o addirittura nella insignificanza.
    Per mettere i ragazzi in condizione di pregare occorrono alcune precise attenzioni: le vediamo sinteticamente, in un modo un po' schematico.

    – Preparare la preghiera: non è un richiamo irrilevante. Si pensi quanto tempo si dedica nei nostri ambienti alla preparazione del gioco, degli incontri e quanto poco alla preparazione della preghiera. Una preghiera preparata all'ultimo momento non è certamente segno di fede nel mistero e di rispetto dei ragazzi.

    – Preparare il luogo della preghiera: che sia idoneo e inviti al raccoglimento, favorisca l'attenzione del ragazzo e la sua capacità di interiorizzazione.
    L'ambiente è uno dei segni indicatori dell'importanza che un gruppo dà alla preghiera e dello stile stesso della preghiera.

    – Valorizzare opportunamente gesti e simboli: è tipico dell'uomo esprimersi in molti modi e non solo verbalmente. Il simbolo è molto più grande della realtà e porta a leggere nelle realtà concrete significati più profondi; il segno non solo esprime, ma anche favorisce la preghiera. Gesti e simboli non vanno sottovalutati ma neanche sopravvalutati: non si deve mai riporre la verità e la profondità della preghiera nella tecnica di preghiera. Per un cristiano, a differenza ad esempio di chi pratica lo yoga, il disporsi alla preghiera non è mai a livello tecnico-ascetico, ma sta nella disponibilità ad allineare la propria volontà alla volontà di Dio. Un mistico cristiano, non pone il suo scopo nell'essere mistico, ma nell'essere cristiano.
    Anche lo stile di preghiera ha la sua importanza.

    – Innanzitutto la serietà del momento di preghiera deve essere recepito dal ragazzo come valore a cui l'educatore tiene molto. Serietà che non significa «tristezza» ma comprensione che l'incontro con Dio è qualcosa che impegna.
    – La preghiera della comunità non deve mai essere recepita come un gesto solo tradizionale, che si ripete per forza d'inerzia, né dare l'impressione di qualcosa di impersonale, estraneo, vecchio, vuoto... Deve invece essere, nella freschezza del Dio «che allieta la mia giovinezza», una espressione della «vita comunitaria», una celebrazione dell'amicizia, o della ricerca di amicizia, dell'aiuto reciproco come ricerca comune di un rapporto con Dio e con il prossimo.

    – La partecipazione dell'educatore è la garanzia per i ragazzi della serietà e della validità di quanto stanno facendo. Essi non devono apparire nel ruolo di «sorveglianti», ma di compagni di preghiera.

    – Il preadolescente deve essere protagonista della sua preghiera. In una pastorale sempre più dei ragazzi e sempre meno per i ragazzi questa sottolineatura è essenziale.
    I preadolescenti non si accontentano più di ascoltare, vogliono parlare; non si accontentano più di veder fare, vogliono fare essi stessi, non si accontentano più degli ordini, vogliono le motivazioni; non si accontentano più delle promesse, vogliono i fatti. Questo è vero anche per la preghiera.
    La nostra educazione in genere e in particolare alla preghiera è stata troppo carente del recupero della dimensione creativa del ragazzo... spesso con le nostre proposte ci siamo rivolti e ci rivolgiamo a un «oggetto di nome ragazzo»; anziché aiutarlo a essere «costruttore, regista» della sua preghiera, lo abbiamo spesso ridotto a ripetitore di formule prefabbricate.
    Educare non sarà mai imporre le nostre idee, ma promuovere la nascita di idee, mediante la circolazione di opinioni, dialogo, confronto. Così educare alla fede non significherà sovrapporre o giustapporre il nostro credo al ragazzo, ma lasciare spazio, perché quello che in lui è Dono di Dio venga in superficie poiché la fede non è oggetto da trasmettere, ma relazione personale del ragazzo con Cristo. Non siamo noi a dare la fede, ma noi solamente favoriamo l'incontro con il Signore e nel caso della preghiera prestiamo il linguaggio al ragazzo per esprimere quanto lo Spirito, unico maestro di preghiera gli suggerisce.

    – Occorre riservare il tempo per la preghiera.
    È vero: la preghiera non si aggiunge alla nostra vita, ma occorre tuttavia riservare nella nostra vita un tempo per pregare.
    Pregare esige uno spazio di tempo dedicato solo a Dio.
    Il preadolescente perché possa arrivare a capire che tutta la vita è preghiera deve avere uno spazio e un tempo per convincersi di ciò. E il tempo è nostro nella misura in cui siamo capaci di dominarlo: se lasciamo che venga carpito da cose da fare, da persone da incontrare senza la nostra scelta, non saremo mai liberi, e tantomeno liberi per pregare. Vorrei tuttavia fare un'osservazione che può sembrare banale: il ragazzo deve sapere che da noi si prega e in quale momento si prega, fino ad essere libero di potervi anche non intervenire. Che i preadolescenti sappiano che ad una certa ora c'è il momento della preghiera e mai si strumentalizzi il gioco ad essa.
    È importante anche il tempo della collocazione della preghiera: se la si relega nel tempo meno importante non si arriverà mai a cogliere l'importanza di tale incontro.

    – Occorre l'aiuto di alcuni sussidi per la preghiera.

    – La Bibbia e in particolare il Vangelo. L'incontro tra l'uomo e Dio è avvenuto nella storia di un popolo ed è registrato nella Scrittura. Si tratta di leggere la «Parola di sempre» che è la chiave di lettura della parola di oggi, per arrivare ad aggiungere alla Scrittura, la Storia sacra che oggi il Signore sta realizzando.

    – Un libro di preghiera; come offerta, al preadolescente, di uno strumento, un sostegno, indicazioni, spunti e riflessioni, non come indispensabilità.

    CONCLUSIONE

    Don Bosco ebbe a dire: «Chi ha vergogna di pregare e di esortare alla preghiera è indegno di essere maestro».
    Quando i ragazzi ameranno la preghiera, noi educatori avremo adempiuto uno dei nostri obblighi più importanti. Perciò il tempo che impiegheremo per educare i ragazzi a pregare è il meglio utilizzato «assai più del tempo per istruirli e per divertirli».

    NOTE

    [1] Cfr. Note di Pastorale Giovanile, Erminio De Scalzi: «Una Liturgia a misura di ragazzi», 1975, 4-5, p. 82ss.


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