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    Dopo la Cresima c'è spazio per i ragazzi nella comunità ecclesiale?



    Emilio Zeni

    (NPG 1976-1-81)

    Da più parti si sentono suonare le stesse campane: non a morto, in verità, ma comunque con un certo timbro preoccupato: Cosa fare coi ragazzi dopo la Cresima?
    Vi sono corsi di animazione a tutti i livelli ormai nelle parrocchie: corsi di preparazione alla Eucaristia per i più piccoli, corsi di preparazione alla Cresima e card di preparazione al matrimonio.
    C'è una certa compiaciuta soddisfazione per la diligente partecipazione. Le parrocchie si animano a quest'epoca di centinaia di fanciulli: le mamme corrono qua e là per recuperare il bimbo sgusciato dall'aula a farsi una partitina a calcetto, i catechisti si radunano nella sala per commentare la lezione, imparata prima e ora annunciata, sfogliano i quaderni attivi dei ragazzi, se li passano fra un commento e l'altro, prevedendo già la prossima puntata con una certa voglia o una certa apprensione a seconda di come se la sono cavata questa volta... Così fra una lezione e l'altra l'annuncio della Parola trova il suo compimento abbastanza soddisfacente. E a Maggio i piccoli sono «pronti» per l'Eucaristia e per la Penitenza e i più grandini s'avviano a «prendere» la Cresima.
    Una festa della Comunità, si dice.
    Una tappa essenziale nel cammino della propria maturazione alla fede.
    Ma il problema più grosso rimane ancora tutto nella propria complessità in fondo «anima del Sacerdote che ben sa che la fatica dei catechisti è finita rimane quell’angosciosa domanda: come vivranno ora la propria vita di fede i miei ragazzi? Ci riferiamo soprattutto ai preadolescenti che, cresimati, riprendono il giorno dopo le usuali occupazioni. Come intervenire ancora ed efficacemente perché la giornata dello Spirito Santo non sia un gioioso traguardo da confinare nei ricordi e da tirarsi fuori, al massimo, quando a fianco della propria ragazza, si ripresenteranno al parroco per sposarsi?
    Le riflessioni che seguono vogliono essere un sincero contributo a quanti, come mai si sforzano di trovare qualche risposta possibile al preoccupante interrogativo.

    PREMESSA

    Oggi in Italia la gran parte dei ragazzi riceve la cresima alla conclusione del ciclo scolastico elementare o durante il primo anno delle Scuole medie. Nessuno va all'altare di fronte al Vescovo senza avere premesso il suo bel corso di preparazione. Anche con una certa diligenza.
    I genitori di norma dicono di essere veramente coscienti del passo che consigliano di fare ai loro figli e di volerli sostenere anche in seguito. Vi sono parrocchie anche nelle grosse città del nord dove la percentuale dei ragazzi che «chiedono» di essere ammessi alla Cresima è altissima. La contestazione che ha mandato in aria valori e tradizioni sembra non avere sfiorato in buona parte dei casi, il tradizionale accostamento ai sacramenti della Iniziazione.
    Forse le nuove generazioni di coppie che hanno vissuto ed assimilato i tempi nuovi faranno sentire anche in modo sensibile il diverso accostamento alla vita religiosa per i propri figli.
    Il problema comunque rimarrà sempre per coloro che riceveranno il sacramento. Poiché sta di fatto che oggi tanti ragazzi che ricevono la cresima si perdono ai sensi della vita della comunità ecclesiale molto presto e che i doni dello Spirito di cui sia pure in maniera facile si è parlato lungo l'itinerario di preparazione rimangono inerti e si svitalizzano poco alla volta, così che quell'esperienza religiosa della propria infanzia rimane molto lontana daI proprio modo di impostare la vita.
    Che fare dunque per i ragazzi del «dopo-cresima»?
    Tentiamo qualche suggerimento pastorale senza pretendere in alcun modo di esaurire in poche pagine un argomento così complesso.

    CRESIMA DONO DELLO SPIRITO

    Se la Confermazione ha la sua specifica storia teologica e il suo valore intrinseco proprio, distinto e diverso dal Battesimo, sta di fatto che non può essere bene compresa e quindi «valorizzata» senza richiamarci al sacramento che ci fa «creatura nuova», cioè il Battesimo.
    Il battezzato diventa «figlio di Dio», in una trasformazione che tocca il suo stesso «essere» grazie ad un atto creativo di Dio medesimo. E questa «novità» che pone l'uomo di fronte a rapporti diversi con Dio, a rapporti filiali. Vuol dire entrare in comunione con Lui, il Dio che è Padre, Figlio e Spirito. Vuol dire riceverne i doni, partecipare alla vita intima della Trinità, crescere ben consci di questa realtà che ci rende capaci di lasciarci «condurre dallo Spirito». Per cui già nel Battesimo il neofita riceve e partecipa pienamente al dono dello Spirito. Dono che è dinamico sia pure misterioso nel soggetto che opera e nell'azione abituale della terza Persona della Trinità.
    Lo Spirito dunque abita già nel cristiano per l'azione sublime del battesimo, dove l'uomo è morto alla vita vecchia e risorge a nuova vita, come il Cristo.
    Anche gli Apostoli vissero quest'esperienza. «Grazie alla morte del Redentore, al momento della risurrezione lo Spirito poté entrare in azione trasformando i primi discepoli in uomini nuovi e misteriosi, degni di rappresentare il popolo escatologico. Quanto avviene per noi ora attraverso il battesimo, divenne per essi realtà (senza bisogno di riti e segni esteriori) al momento in cui Cristo risorse dai morti. Già da quell'istante entrarono in rapporto di comunione anche con la terza Persona trinitaria, fruendo della sua azione potente e rinnovatrice» (cfr. Catechesi 1/1975, pag. 10-11).
    Ma quando essi stavano per iniziare, già come prima comunità cristiana, la propria missione evangelizzatrice nel mondo e testimoniare il Cristo morto e risorto, traendone le conseguenze più immediate di vita, essi ebbero bisogno di una ulteriore forza dall'alto». La forza dello Spirito, la potenza del Consolatore promesso. Lo spirito profetico, propriamente, del quale già alcuni primi battezzati delle nuove comunità cristiane mancavano e che solo i «Dodici» potevano dare, per partecipare pienamente alla missione di testimonianza, di cui ogni battezzato viene incaricata da Dio attraverso i successori degli apostoli. Di questa missione è garante l'intera comunità cristiana, di cui ogni battezzato è membro; di conseguenza è giusto e doveroso che ogni membro abbia parte viva nella missione.
    Così la «costituzione conciliare sulla chiesa»:
    «Col sacramento della Confermazione (i battezzati) vengono vincolati più perfettamente alla chiesa, sono arricchiti di una speciale forza dello Spirito Santo, e in questo modo sono più strettamente obbligati a diffondere con la parola e con l'opera la fede come veri testimoni di Cristo» (LG, 11).

    SONO CAPACI I RAGAZZI DI VIVERE LA MISSIONE?

    Sono dunque capaci i ragazzi, a 11-12 anni, a vivere impegni così determinanti?
    Presso le prime comunità era senz'altro diverso. I battezzati erano adulti e lo «Spirito» veniva conferito subito dopo il rito del battesimo. La maturazione umana era in genere completa e il contesto richiedeva una esplicita e personale adesione fin dalla prima appartenenza al catecumenato.
    Oggi i ragazzi vivono in contesti diversi. Famiglia, società, tradizione portano i ragazzi davanti al Vescovo quasi per un flusso automatico, una corrente naturale.
    Nell'Apostolicam Actuositatem al n. 12 si legge: «Anche i fanciulli hanno la loro attività apostolica. Secondo le proprie forze sono veri testimoni di Cristo tra i compagni» e al n. 30: «Educare i fanciulli in modo che, oltrepassando i confini della famiglia, aprano i loro animi alle comunità sia della chiesa che temporali. Vengano accolti nella locale comunità parrocchiale in modo che acquistino in essa la coscienza di essere membri vivi e attivi del popolo di Dio».
    Dunque la Chiesa ce li propone questi ragazzi come persone capaci di vera fede e di vita di chiesa.
    Sembrerebbe allora che la domanda vada posta in termini diversi: «C'è spazio nelle nostre comunità per i ragazzi»?
    In questi ultimi decenni e da più parti pare che il problema «ragazzi» sia stato alquanto trascurato. Una conversione ai gruppi giovanili «più capaci di dialogare», un rifiuto del rischio di diventare «custodi» dei ragazzi banalizzando la propria vita nell'assistenza e nella convivenza in mezzo a loro, l'aspirazione a compiti più direttamente sacerdotali in gruppi specializzati di spiritualità e di impegno e d'altra parte il desiderio di ricuperare un'età, quella dei giovani, in altri tempi ugualmente trascurata e diversi altri fattori hanno causato una certa profonda crisi nel settore preadolescenziale per cui dire che sempre e dovunque lo spazio per i ragazzi sia stato dato nella comunità ecclesiale con cuore aperto non pare rispondere al vero.
    C'è dunque un serio esame di coscienza da fare, prima di tutto. E in secondo luogo ci sarà da riprivilegiare quest'età che non può essere solo un magazzino per l'avvenire» ma che è coinvolta personalmente nella missione affidata da Dio alla Chiesa per il dono dello Spirito ricevuto nella Cresima.
    Se anche il significato del Sacramento non deve restare vano credo sia urgente ricercare cosa voglia dire dare spazio ai ragazzi nelle nostre comunità cristiane.
    Si tratterà allora di recuperare un po' di fiducia da parte nostra verso i ragazzi e di formarci una mentalità obiettivamente realistica sul loro conto. Ciò significa:
    – nella Chiesa, popolo di Dio peregrinante per le strade del mondo, ogni persona è coessenziale. La sua presenza, da sempre prevista, è voluta e valorizzata dalla carità insondabile del Signore. Ciò vale anche per il ragazzo, quindi;
    – considerare i ragazzi protagonisti, cioè attori primi, sia della loro crescita personale, sia di azione missionaria attuata a misura dell'età;
    – considerare i ragazzi capaci di associazione, di stare insieme per camminare insieme, per accordarsi sul cammino da percorrere, tenendosi collegati per faticare meno e crescere di più; 
    – credere i ragazzi capaci di apostolato. L'Apostolicam Actuositatem al n. 12, citato, è esplicita a questo riguardo; 
    – ritenere i ragazzi portatori di dono. Ogni età è provvidenziale nella Chiesa ed ha qualcosa di specifico e di vitale da apportare per tutti. Che dire di una mentalità alquanto ricorrente dove il ragazzo è solo ricettivo, ed è considerato in misura in cui riceve sempre e solo ciò che «gli altri» danno? O, per altro verso, quali educatori riconoscono i propri ragazzi portatori di un dono specifico e pensano di potere essere arricchiti essi stessi dalla loro presenza? 
    È irrinunciabile pertanto creare le condizioni e riconoscere lo spazio entro cui ciascun uomo, ciascun ragazzo, può rendersi con-necessario nella comunità degli uomini: Anche i suoi doni sono per gli altri e per la vita del mondo. 
    Lo ripetiamo: «i ragazzi sono in forza oggi nella comunità cristiana, destinatari oggi dell'amore di elezione del Signore, di conseguenza capaci oggi di risposta piena, esuberante al Dio che chiama sempre alla totalità di essere suoi figli» (D. Boffo).

    PROPOSTE

    Diamo qui alcune risposte agli interrogativi di per sé ovvi che gli educatori si pongono: Cosa fare? Come fare? Non c'è niente di trascendentale in ciò che proponiamo. Solo il tentativo di ricuperare valori dispersi e occasioni morte per ricondurre i ragazzi ad una efficace esperienza di chiesa.

    Il gruppo

    Ogni psicologo e, forse più ancora, ogni operatore pastorale attento sa quanto i ragazzi cerchino il gruppo. Quale profondo bisogno c'è di ritrovarsi, di completarsi, quasi inconsciamente, di organizzarsi, di fare «insieme».
    Sono gruppi che nascono per lo più informali, come momenti di evasione per un bisogno liberatorio, dove il ragazzo sente di essere importante, qualcosa di utile, dove gioca il ruolo di protagonista, dove autogestisce il suo tempo e se ne autodefinisce le modalità dell'impiego.
    Il ragazzo finirà in qualche gruppo. È certo. Purtroppo non sempre vi troverà il clima per un'«esperienza di chiesa». Gli educatori lo sanno bene e i genitori, anche più sprovveduti, notano il lento (e a volte repentino) cambiamento che i «nuovi» compagni del gruppo provocano nel ragazzo. L'educatore che ha condotto con pazienza e amore i suoi ragazzi davanti al Vescovo per la Cresima forse ha già fatto fare una esperienza di gruppo. Non la lasci cadere ma coi suoi ragazzi in rapida evoluzione costruisca insieme il gruppo dove sia possibile vivere in clima di fede e dove il ragazzo trovi veramente l'occasione di sentirsi importante. Il gruppo, inizialmente vivrà di piccoli espedienti, che al ragazzo piacciono (come lo sport, la saletta da gioco, i dischi, ecc.) ; in seguito, se l'educatore avrà l'avvertenza di essere l'amico che vive con loro, che cammina con loro, che banalizza la vita con loro, il clima sarà adatto per creare lo spazio in cui il ragazzo viva pienamente la sua età, nella fede, nella preghiera, nella carità. Fioriranno poco alla volta le iniziative che permetteranno al ragazzo una viva esperienza di Chiesa e dove realmente sentirà di coprire un ruolo di coessenzialità.
    Il gruppo dovrebbe aiutare il ragazzo a maturare la sua persona al senso di responsabilità e di libertà, proprio perché nel gruppo gli si riconosce la ricchezza delle sue doti, delle sue capacità, l'abilità a prendere decisioni e ad operare delle scelte.
    Nel gruppo inoltre il ragazzo è stimolato a superare i propri limiti naturali per aprirsi al dono di sé agli altri. t quindi necessario perché ciò possa avvenire che il gruppo trovi centri di interesse propri dei ragazzi di oggi: sono gli interessi umani di cui si è tanto sensibili oggi, dove oltre al valore ablativo si sviluppi in modo adeguato e obiettivo il senso critico di fronte alle sollecitazioni che essi incontrano nella loro esperienza umana, per non rimanerne condizionati, per farsi più «liberi» di operare- scelte fondamentali.
    E ancora nel gruppo il ragazzo proverà a «dichiarare» la parte verso la quale sta e a vivere in coerenza. E nel caso specifico di una proposta di fede e di pratica religiosa a trovare negli altri il confronto o il dialogo o il sostegno. Si abituerà insomma a diventare testimone vivo delle proprie convinzioni.
    Essenziale è il ruolo dell'educatore, e delicato nel medesimo tempo. Non lo dovrà contaminare nessuna mania plagiatoria verso la quale il ragazzo, crescendo, si porrà in netto rifiuto.
    Mano a mano che l'educatore vivrà pienamente la vita del suo gruppo alimenterà in esso la coscienza di gruppo di «battezzati» e di «cresimati». È una realtà che va fatta emergere di frequente perché il ragazzo ne prenda coscienza.
    Non si tratterà di «prediche» ma di colloqui dove a parlare sono almeno in due; o sarà il gruppo che troverà il momento di riflessione, la mezza giornata di ritiro nel quale i ragazzi vivono il proprio ruolo di «organizzatori» del ritiro, e al quale l'educatore saprà «starci» anche se non tutto filerà come la mano di un esperto avrebbe potuto fare. In compenso avrà offerto ai ragazzi lo «spazio» in cui riconoscersi come protagonisti attivi.

    La vita liturgica

    Non è una messa che fa il cristiano. Lo sappiamo bene. È la vita che deve essere cristiana. A volte, per il timore di esercitare una pressione morale sui ragazzi, si tralascia di insistere perché la messa diventi il momento centrale del proprio «essere di Cristo».
    Non sarà il caso ovviamente di creare ansie o sensi di colpa. Si tratterà invece di ravvivare l'esigenza di un incontro di fede con tutta la famiglia dei credenti, attorno al Cristo che si fa «nostro pane», come il dono più alto, più misterioso e più significativo dello Spirito. «Ora ti preghiamo, Padre: lo Spirito Santo santifichi questi doni perché diventino il corpo e il sangue di Gesù Cristo, nostro Signore, nella celebrazione di questo grande mistero, che ci ha lasciato in segno di eterna alleanza». Quante volte avranno sentito proclamare l'Eucaristia come il segno, più alto dell'amore di Dio?
    Sottacere l'essenziale significato che l'Eucaristia ha per il cristiano, tramandando ad un'età più adulta la provvidenziale abitudine ad attingere domenica per domenica, all'altare, la propria capacità di riferire tutto e sempre al Cristo, di interpretare la storia di un'ottica eucaristica, di vivere la propria settimana con l'intima persuasione di avere realizzato un grande impegno con Cristo nell'incontro eucaristico, è un errore pedagogica e una sottovalutazione della personalità del ragazzo.
    Forse è il modo di vivere questo incontro che può suscitare perplessità. Certo, se il ragazzo si reca alla chiesa come uno spettatore, impreparato, senza giocarvi alcun ruolo vivo, anonimo fra anonimi, muto fra muti, forse ben presto lascerà tutto, annoiato di assistere ad uno spettacolo senza novità, lungo e arido, del quale il ragazzo, sui libri o nella lezione.
    catechismo, aveva sentito dire essere il «centro» della vita cristiana. Il modo dunque è di particolare importanza.
    Potremmo riprendere un discorso sul Direttorio per la messa del fanciullo» dove si dà ampia possibilità di «organizzare» la messa a misura dell'età.. Rimandiamo il lettore a Note di Pastorale Giovanile nn. 4 e 5/1975. Invece vorremmo qui fissare l'attenzione su alcuni particolari vivibili dai ragazzi sempre, posto che un educatore volonteroso e paziente si metta di buona volontà.

    a) Preparazione della liturgia domenicale
    I ragazzi col proprio educatore si trovino un giorno della settimana per dare uno sguardo alla liturgia della domenica. Si tratterà anzitutto di leggere insieme i testi biblici, che cambiano ogni domenica, trovarne il significato e, nel caso, cercarne insieme la spiegazione, fare emergere i punti di contatto con la vita, perché la Parola del Signore si trasformi in vita. Si potrà quindi poco alla volta, leggere insieme la Preghiera Eucaristica e le altre parti della celebrazione fissare l'attenzione su alcune parti, affinché la sua proclamazione dall'altare, durante la messa, colpisca e penetri, sia pure lentamente nell'animo dei ragazzi e acquisti significato. Parte notevole può avere la scelta di alcune intenzioni da proporre alla assemblea assieme a quelle che gli adulti già preparano, di modo che ne risulti una rosa varia di intenzioni così come è varia la famiglia che partecipa al Sacrificio. Così la preparazione dei canti. Si tratta insomma di procedere ad una vera e propria iniziazione alla vita liturgica.

    b) Divisione dei compiti  
    Alla domenica i ragazzi, partecipando insieme, leggendo, cantando, servendo all'altare, ciascuno al suo posto, avranno più facilmente la gioia di partecipare a qualcosa che è anche loro e nel medesimo tempo avranno dato testimonianza a Cristo in cui credono. Lo sappiamo: tutto ciò richiede tempo, molto tempo. Forse bisognerà avere il coraggio di rubarne un po', ma con una certa costanza, ad altre attività che, seppur lodevoli, niente hanno a che fare col messaggio propriamente cristiano alla realizzazione del quale siamo stati chiamati. In definitiva gioca anche il nostro «credere» all'importanza e al significato della cosa. E ciò che è importante, lo prepariamo con cura.

    La preghiera

    a) La preghiera personale 
    La propria fede è una risposta personale, oltre che comunitaria, alla chiamata di Dio. Il ragazzo lo ha sentito dire tante volte che Dio lo chiama per nome e quel gesto del Sacerdote, durante il battesimo, in cui interpella col proprio nome il battezzando, ha un significato vivo. Ora se è vero che il cristiano la risposta la dà continuamente con la propria vita è anche vero che Dio non può rimanere estraneo nella giornata dell'uomo. Ed è pure vero, e conviene che sempre il ragazzo lo tenga presente, che le sollecitazioni odierne possono poco alla volta distogliere l'attenzione da Dio per convergerla sugli interessi e sugli pseudo-valori che la società ininterrottamente propone. La creazione di nuovi idoli è facile, per tutti e a tutte le età. 
    L'educatore che dialoga con i suoi ragazzi può facilmente fare emergere le nuove divinità a cui tutti siamo più o meno inclini ad offrire il nostro incenso e che possono facilmente detronizzare dal nostro cuore l'unico Dio in cui abbiamo più volte detto di credere e per il quale vivere. Il ragazzo ha quindi bisogno di incontrarsi col suo Dio, molto di frequente. Deve imparare a pregarlo ogni giorno come giorno dopo giorno imparerà ad amare il su prossimo, in maniera adulta. È un'esperienza che deve fare e ripetere, come farà e ripeterà sempre meglio l'esperienza dell'amore. Che fare dunque? Non basterà dire al ragazzo che deve pregare, tanto meno non sarà sufficiente chiedergli se «ha detto» le preghiere del mattino o della sera. 
    Bisognerà aiutarlo anzitutto a pregare disinteressatamente. (Ciò non vuol dire che non potrà pregare per le sue intenzioni quotidiane, ma non dovrà confondere la preghiera con una formula magica ad effetto «quasi sempre» sicuro). Si potrà prendere spunto dalla messa che è anzitutto lode e ringraziamento e offerta e poi supplica. E la preghiera quotidiana ne diventerà una logica continuazione. 
    La propria chiamata alla vita, ad essere figlio di Dio, la specifica missione di annunciatore delle grandezze del Signore, la nostra vocazione alla risurrezione, tutte le cose belle, meravigliose e misteriose profuse nel creato, gli innumerevoli benefici ricevuti... fino alle cose più semplici che rendono visibile e godibile questa nostra esistenza, sono temi di alto interesse oratorio. Entreranno così nella preghiera anche «gli altri» vicini e lontani, le grandi avventure dell'umanità, gli avvenimenti del quartiere, della scuola, della casa... le speranze e i problemi della sua esistenza in umile atteggiamento di supplica. Così formule note e preghiere spontanee facilmente si intercaleranno. 
    Ma per tutto ciò anche il ragazzo avrà bisogno di un momento di «pace», di solitudine forse con qualche libro in mano. Il sacerdote deve saperlo proporre. È l'opera preziosa dell'educatore che a questo livello invita, consiglia, aiuta, verifica, butta per i suoi ragazzi un po' del suo tempo e, per conto proprio, si aggiorna e si informa per essere sempre in sintonia coi suoi ragazzi che istintivamente vivono il loro tempo. Si dovrà curare la costanza e la continuità di tale preghiera. Lo sappiamo quanto sia soggetto il ragazzo ai mutamenti d'umore. Dall'entusiasmo alla svogliatezza il passo per il ragazzo è facilissimo. Se l'educatore avrà curato l'amicizia e si sarà meritato la fiducia non troverà difficile ma anzi naturale riprendere il discorso con lui in una vera e propria direzione spirituale.

    b) La preghiera di gruppo 
    Il rischio di una preghiera di cui sopra è una formazione intimistica della propria fede, di una visione quasi privata dei propri rapporti con Dio. Con tutte le conseguenze connesse anche in campo del proprio impegno nella storia, soprattutto domani fatti adulti. La teologia ci ha insegnato non poche cose a questo riguardo e la attenzione attuale direi che privilegia soprattutto la dimensione sociale del proprio incontro con Dio. Il movimento liturgico di questi ultimi anni ne è l'indice più significativo. Non si tratta a mio avviso di dire quale valga di più. Ogni rapporto con Dio è qualcosa di immensamente grande e di straordinariamente importante. È un dono dello Spirito potere dire «Padre». Non è qualcosa da stabilire a tavolino, dunque, ma una dimensione da scoprire continuamente e da vivere quella che si apre sulla realtà sociale. Cristo ci ha chiamato a vivere in comunità il suo messaggio, e tutte le manifestazioni di essa avranno questo carisma, ecclesiale. Oggi facilmente ci si richiama alle «esperienze di chiesa», al «fare chiesa». Anche la preghiera quindi diventa una esperienza di chiesa da vivere insieme. È la riscoperta di una realtà esaltante per i primi cristiani, quella della, vita ecclesiale in cui tutto era «comune», la preghiera, il cibo, i beni. 
    L'educatore dia perciò molta importanza ai momenti in cui il «suo gruppo» si ritrova per pregare. Anche questi momenti vanno preparati. Deve esserci, crediamo, una certa logica nella preghiera di gruppo. Anche in essa come in quella liturgica, che rimane il modello unico e assoluto, dovrà anzitutto trovare spazio la preghiera di lode, di ringraziamento e di supplica. Ma a misura di ragazzo, per cui importanti elementi sono il canto, la preghiera litanica e salmodica, la proclamazione della parola, i gesti simbolici, ecc. che oltre ad impegnare i ragazzi li aiuteranno a pregare con dei contenuti piuttosto sodi, ad arricchirsi per la preghiera personale, e in definitiva a fare appunto una esperienza gioiosa, anche se impegnativa, di chiesa. (Per un approfondimento ulteriore per la preghiera, si veda Note di Pastorale Giovanile 11/1975,10 studio di F. Floris).

    La catechesi

    Con l'arrivo della scuola media obbligatoria in più parti anche la catechesi parrocchiale ai preadolescenti è entrata in crisi. Per non sovrapporre, si diceva, alla lezione di religione nella scuola una seconda lezione in parrocchia, creando qualche confusione o qualche doppione.
    Si è così perso un'occasione formidabile per un impegno personale alla propria istruzione, ben diverso da un dovere, troppo scolastico, della lezione in classe.
    Una catechesi aperta e libera, con l'adesione sincera e costante, in parrocchia ci pare necessaria. Anche qui, come per le osservazioni fatte sopra si tratterà di scegliere un modo diverso. Il ragazzo vi si deve trovare a suo agio, e seppure in ascolto (poiché è necessario che il ragazzo come ogni uomo d'altra parte, si riconosca ancora discibile) deve trovare lui, dame ai suoi compagni di gruppo il modo per accostare alcune fondamentali verità, verificarle con la propria vita, diventarne sempre più cosciente. Anche gli stessi argomenti possono variare: purché non si inventino incontri con discussioni accademiche (qualche ragazzo ne è capace, purtroppo!) vuoti e inconcludenti. L'educatore, che immaginiamo costantemente accanto come l'amico che vive insieme (non lo si dirà mai troppo) attento alle svolte, aiuterà i ragazzi a delle scelte consistenti. Essi per primi ne saranno grati e con lui riusciranno a fare valori che se anche non strettamente religiosi ne saranno un efficace per quelli più propriamente di fede. La crescita umana scoperta di valori è sempre una strada che conduce a Dio.
    Ma vorremmo qui accennare anche ad un altro servizio di catechesi in ragazzi stessi diventano collaboratori, e in qualche maniera, secondo ià e la formazione, veri annunciatori della parola di Dio.
    È la loro presenza nei gruppi dei più piccoli che si preparano alla Comunione o alla Cresima. Ci sono nei gruppi di questi fanciulli tante piccole attività collaterali alle lezioni di catechismo: disegni liberi interpretativi, mezze giornate di ritiro, preghiera, recita di piccole formule, lettura dei testi, ecc. Qui possono essere lanciati i preadolescenti più sensibili. Uno o due per gruppo ad aiutare i più piccoli, come veri collaboratori del catechista.
    Avranno coscienza di fare qualche cosa di buono e di bello, in ordine specifico alla fede, e quindi godranno di dare una testimonianza di ragazzi che arricchiti al dono dello Spirito comunicano anche agli altri il loro dono. Il ragazzo è ovvio, lo farà perché vuol aiutare o perché trova qualche soddisfazione. Sarà il catechista ad evidenziare questo valore di servizio e di testimonianza emergente proprio dal suo essere «cristiano adulto»!
    Non sono poche le comunità che hanno già iniziato questa esperienza e che ne sono in complesso soddisfatte.
    (Per altre esperienze si veda Note di Pastorale Giovanile 6-7/1971).

    Vivere la carità

    I ragazzi avranno letto o udito più volte la frase di S. Giovanni nella sua prima lettera: «Come puoi dire di amare Dio che non vedi se non ami il tuo prossimo che vedi»? Un interrogativo a cui facilmente riesce ad accostarsi anche il ragazzo.
    In realtà è difficile amare ciò che non si vede. Amare Dio per il ragazzo si traduce nel non commettere il male che «dispiace a Dio». Noi sappiamo che amare Dio è qualcosa di diverso dall'evitare ciò che gli dispiace. Anche il ragazzo lo imparerà poco, alla volta, posto che la comunità gli dia uno spazio per riconoscersi capace almeno di «amare il prossimo che vede» nel quale Dio si manifesta. Sarebbe già molto!
    Se è alquanto comune dire che il ragazzo è fondamentalmente egoista è anche provato che sa essere generosissimo. Noi lo preferiamo guardare con quest'ottica. Forse non gli piace gettare la propria generosità col rischio di essere manipolata. Un istinto?
    Il prossimo del ragazzo sono i genitori, i propri compagni di scuola, gli amici. Aiutiamolo a guardare il suo impegno di carità anzitutto verso di essi.
    Sorvoliamo sul suo impegno, morale, di obbedienza ai genitori: i rapporti con essi richiederebbero un discorso più vasto. Fermiamo invece l'attenzione sui compagni. La sua esperienza scolastica quotidiana gli ha fatto conoscere gli amici. Capaci, meno capaci, decisamente in difficoltà.
    Perché non organizzare i gruppi di collaborazione scolastica? All'oratorio o a casa propria? Già qualcosa fanno spontaneamente i ragazzi. L'educatore avrà modo di impegnare i più capaci in questo servizio di autentica carità. I doposcuola che sorgono liberamente un po' dovunque possono essere un campo aperto alla carità a cui il cristiano è chiamato e, nel caso, a misura proprio del ragazzo.
    In secondo luogo vorremmo qui proporre anche l'accostamento del preadolescente a quei gruppi caritativi, di presenza sociale, di animazione di quartiere. Certo, questi impegni richiedono una diversa maturazione, una cultura discreta, una dialettica e conoscenza dei problemi adeguata. Non è in essi che il ragazzo potrà portare il «suo dono» ma potrà invece eseguire responsabilmente certi servizi marginali ma necessari e divenire poi pienamente capace di un reale servizio. Non vorrei essere frainteso. Non si tratta di politicizzare la generosità dei ragazzi né tanto meno di sfruttare una loro disponibilità ma di creare invece uno spazio, accanto all'adulto per quel tanto di servizio di cui è già capace. È in definitiva dargli obiettivamente un po' di spazio nella comunità anche degli adulti. Conviene ripeterlo: è sempre l'educatore sensibile e attento che sa trovare nella comunità lo sazio per ciascuno, perché esso sia e diventi sempre più persona responsabile testimone viva di quella fede incarnata nella storia. O se si vuole (magari fosse vero!) è la comunità che vuole essere arricchita dei doni di tutte le età al di là e al di sopra di ogni monopolio. Forse sarà un'utopia, ma qualche tentativo potrà essere fatto. Nel momento in cui i ragazzi si aprono alla storia noi li abbiamo troppe volte dimenticati ed emarginati. Lo sappiamo: essi hanno trovato altrove e molto presto lo spazio per vivere la «loro» fede. Non è un male che i ragazzi conoscano molto presto le tensioni sociali. Anche D. Milani respingeva quella educazione religiosa edulcorata, e introdusse ben presto fra i suoi ragazzi la coscienza del loro ruolo nel rinnovamento della società, senza mezzi termini e senza eccessive riserve. E li ha fatti sgobbare faticosamente. Aveva un concetto veramente robusto della carità e della presenza cristiana nel mondo. Non pare che molti lo abbiano seguito. Per non creare traumi precoci per le brutture della vita, ai dice. O forse, inconsciamente, per permettere loro di crearsi sufficienti barriere entro le quali vivere il proprio egoismo. (Si legga anche La stagione di Dio - LDC).

    Dimensioni vocazionali

    Lo accenniamo brevemente, rimandando il lettore a scritti specializzati. sono fra i ragazzi elementi estremamente sensibili al problema religioso e aperti alla scelta sacerdotale e missionaria. Gli insegnanti e gli educatori lo riconoscono e si chiedono: «ma che cosa manca perché si faccia prete»? È Cristo che ci sceglie. Ed è già per un certo verso motivo per sgravarsi di qualche responsabilità per l'attuale scarsità vocazionale. Perché non creare fra i ragazzi più attenti e preparati dei gruppi o dei circoli con particolare attenzione al problema vocazionale «proprio» entro i quali tutto il complesso problema vocazionale e sacerdotale venga apertamente discusso e dove il dialogo col sacerdote si possa dichiaratamente impostare anche in questo senso?
    Potrebbe essere il «gruppo missionario» il quale, mentre avvicina la problematica della «missione», affronta poco alla volta anche la propria problematica. t una proposta fra le altre.
    Ma anche al di fuori di un gruppo in qualche maniera organizzato è necessaria ai ragazzi preparati la esplicita proposta di una più vasta donazione a Cristo ed una più totale risposta al dono dello Spirito.

    CONCLUSIONE

    Il prete

    Sarà possibile raccogliere qualcheduna delle proposte gettate nelle pagine precedenti e convertirle in realizzazioni nei propri ambienti educativi? Nell'arco dei tre anni, nei quali il ragazzo vive la propria esperienza preadolescenziale, la risposta sembrerebbe affermativa.
    Se l'educatore saprà «buttarsi», dimenticandosi, potrà dare ai suoi ragazzi un vero spazio in cui vivere il dono dello Spirito ricevuto nella cresima, autenticamente, come ci indica la Chiesa. Coinvolgendo tutta la comunità: infatti non è solo il prete interessato ma è compito e responsabilità di tutta la comunità che vive in comunione col Cristo.
    Forse le strutture dovranno poco alla volta alleggerirsi. E, di più forse, il prete dovrà essere veramente prete, lasciando ai laici certe attività propriamente profane e ritrovare il tempo, quel molto tempo (come si osservava qua e là nelle pagine precedenti) e quella serena disponibilità per collaborare con lo Spirito a tempo pieno.

    Il gruppo degli educatori

    Oggi non è più pensabile un educatore singolo: 
    – il servizio educativo è troppo serio perché possa basarsi su una preparazione puramente empirica o sulla buona volontà dei singoli; 
    – esso richiede una certa maturità personale; 
    – non si può aiutare a fare esperienza di chiesa se prima non la si è vissuta nel proprio gruppo di educatori. 
    Proprio perché il gruppo deve rappresentare per il ragazzo un'espressione di chiesa è opportuno che esso comprenda tutte le componenti la comunità (educatori giovani e adulti, genitori, sacerdoti, religiose, catechisti, ecc.). 
    Il gruppo educatori diventa quindi: 
    – una comunità umana che deve servire di sostegno e favorire la maturazione delle doti caratteristiche del singolo educatore; 
    – una comunità cristiana, fondata sull'ascolto della Parola, sulla vita liturgico-sacramentale, nel servizio della carità; 
    – una comunità educativa, impegnata in uno studio sistematico dei problemi educativi, in una programmazione e revisione continua del servizio concreto ai ragazzi (cfr. Vita trentina, 30 Ottobre 1975 e Note di Pastorale Giovanile 6/1975).


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