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    Comunicazione sociale: reinvenzione di un impegno educativo e pastorale



    Luigi M. Pignatiello

    (NPG 1976-3-34)

    Tra i temi su cui vogliamo riflettere quest'anno, abbiamo inserito anche quello dei «mezzi di comunicazione sociale».
    Spesso i lettori ci hanno sollecitato interventi su questo argomento. Siamo stati meno pronti a rispondere a richieste del genere, perché sappiamo che in Italia esistono riviste specializzate, serie e stimolanti. Non volevamo invadere il terreno d'altri, con il rischio di fare un discorso troppo affrettato.
    Ora, invece, ci siamo decisi, perché ci pare di avere intuito il taglio giusto con cui affrontare l'argomento: quello «pastorale». Che muove cioè da considerazioni di tipo teologico, per raggiungere i risvolti educativi, senza ingolfarsi nei dettagli tecnici.

    STRUMENTI DA RIFIUTARE?

    La contestazione della validità educativa e pastorale degli strumenti di comunicazione sociale ha trovato, negli anni più recenti, eco in alcune voci autorevoli, soprattutto nei Paesi del Terzo Mondo: valgano, per tutte, le affermazioni di un seminario di studi tenutosi nel maggio del 1971 a Città del Messico, in cui si contrapponeva l'uomo nuovo prodotto dagli strumenti di comunicazione sociale e l'uomo nuovo inaugurato da Gesù Cristo, e quelle del Dipartimento della comunicazione sociale (DECOS) del Consiglio Episcopale dell'America Latina (CELAM), che, nel 1973, enunciava sei motivi di incompatibilità tra gli strumenti di comunicazione sociale e una autentica evangelizzazione. Significativo anche il fatto che, nel recente Congresso Mondiale dell'Organizzazione Cattolica Internazionale del Cinema (OCIC) , svoltosi a Petropais, in Brasile, nell'aprile 1975, l'attenzione maggiore sia stata dedicata ai cosiddetti strumenti leggeri, in particolare ai video-registratori, con sottinteso (ma non troppo) sospetto per i grandi strumenti.
    Tale contestazione non trova riscontro nei documenti ufficiali della Chiesa, i quali pur non risparmiando i moniti per l'uso corrente che si fa degli strumenti in questione, tuttavia riaffermano sempre con decisione b potenzialità positiva di essi.
    Semmai, nei documenti dell'Episcopato Italiano, è facile trovare una discriminazione indiretta nei confronti del solo cinema, nel senso che quando quei documenti parlano in positivo degli strumenti di comunicazione sociale, si astengono sistematicamente dal citare il cinema; e, quando ne parlano in negativo, riservano al cinema il trattamento più severo. E questione di livello di informazione che, se non giustifica, spiega però cotesto atteggiamento.

    I motivi di una contestazione superficiale

    Comunque, la contestazione più massiccia della validità educativa e pastorale degli strumenti di comunicazione sociale si riscontra particolarmente a due livelli, diversi tra di loro e, ovviamente, con motivazioni diverse.
    Il primo e più vasto livello di contestazione si trova nei giovani, sia sacerdoti, sia laici, i quali, a parte la comprensibile reazione generazionale nei confronti di ogni struttura omogeneizzatrice e, più o meno occultamente, persuasiva, considerano gli strumenti di comunicazione sociale come mezzi ricchi, contrastanti con la povertà che deve caratterizzare la Chiesa e la sua azione.
    L'altro livello di contestazione, di segno profondamente diverso, è quello degli educatori... maturi o di mezza età, i quali, da una parte, sono angosciati, un po' moralisticamente, per la rivoluzione dei costumi indotta, a loro avviso, dagli strumenti di comunicazione sociale, e, da un'altra parte, si sentono frustrati per la perdita di quella iniziativa omogeneizzatrice che avevano detenuto per lunga tradizione e alla quale avevano fatto da supporto, negli anni andati, gli stessi strumenti di comunicazione sociale gestiti in regime di monopolio.

    Per una analisi seria del problema

    C'è un denominatore comune a tutte le contestazioni citate: lo scarso approfondimento del problema, che si riflette nel comune atteggiamento rinunciatario, sia esso espresso sotto forma di rifiuto, o sia espresso sotto forma di nostalgia; una resa a discrezione, in cui, da una parte, gioca la mancanza di lungimiranza, una mistica irrazionale, una parzialissima comprensione del munus regale del cristiano, e, dall'altra parte, gioca il sottile orgoglio di chi, in nome dell'esperienza e delle cosiddette certezze consolidate, oppure di quella pigrizia spirituale che caratterizza la senescenza pastorale, si rifiuta di rivedere e di reinventare continuamente la propria attività e i propri metodi di lavoro.
    Il risultato è lo stesso: l'abbandono degli strumenti di comunicazione sociale alla mercé degli speculatori, dei mistificatori, del potere politico ed economico, sia pure con riserva dello jus murmurandi, ultima consolazione dei rassegnati ed ultima spiaggia degli sconfitti.
    In definitiva, i motivi delle varie contestazioni sono tutti di ordine contingente. Non esistono motivi teoretici validi. Ciò che è contestabile è l'uso che si fa degli strumenti di comunicazione sociale, divenuti strumenti di potere oppure, ed è il caso delle strutture ecclesiastiche, mantenuti a livelli modestissimi o indecorosi di valorizzazione.
    da quest'ultima notazione che occorre prendere le mosse per riscoprire e rivalutare gli strumenti di comunicazione sociale. Se il colossale Golia dei grandi detentori di strumenti di comunicazione sociale può incutere un iniziale timore, questo può essere superato se il piccolo Davide non farà soltanto assegnamento sulla fionda, bensì anche e soprattutto sulla forza che viene da Dio, non dimenticando, però, che Dio vuole che Davide adoperi la fionda. Altra cosa è valutare la forza travolgente dell'avversario, altra cosa è considerare ineluttabile l'essere travolti. Però bisogna anche aggiungere che altra cosa è la povertà dei mezzi, ed altra cosa è la rinuncia totale ai mezzi concretamente necessari, in un preciso contesto storico, per raggiungere i fini voluti.

    ALLA RICERCA DEL TEMPO PERDUTO

    Se è vero che la contestazione della validità educativa e pastorale degli strumenti di comunicazione sociale è legata a motivi contingenti, è anche vero che gli sforzi fatti per dare una solida motivazione allo specifico impegno educativo e pastorale a livello teoretico – che non significa cervelloticamente astratto – non sono stati molti, né da parte degli studiosi (i teologi snobbano cotesto settore e, quando se ne occupano, dimostrano una formidabile disinformazione e si esprimono con enorme superficialità) , né da parte degli operatori educativi e pastorali.
    Non c'è stata molta preoccupazione per accorgersi che non si può parlare degli strumenti di comunicazione sociale senza parlare prima della comunione e che il giudizio sugli strumenti, come l'uso di essi, suppone il gìudizio sulla comunicazione, da cui dipende l'uso degli strumenti.

    Una teologia della comunicazione

    Oggi ancora sono maggioranza quelli che arricciano il naso quando sentano parlare di una teologia della comunicazione senza rendersi conto che cotesta teologia, prima ancora che interessare gli strumenti della comunicazione sociale, interessa la pastorale nella sua globalità. E neppure si accorgono che moltissimi difetti della pastorale e moltissimi limiti dei nuovi strumenti di azione pastorale, compresi i nuovi catechismi, derivano da un difetto di concezione della comunicazione e dalla mancanza di una teologia della comunicazione. Né si vede ancora un apprezzabile movimento per recuperare il tempo perduto.
    Lo spazio concesso a questa nota non consente di fare una adeguata sintesi teologica; ma alcune notazioni, almeno, serviranno ad avviare una riflessione funzionale allo specifico argomento di cui ci stiamo occupando. Il motivo di partenza per la legittimazione di una teologia della comunicazione va identificato nel fatto che tutta la storia della salvezza è una formidabile comunicazione.
    Non dovrebbe essere necessario, ma, forse, non sarà del tutto inutile chiarire subito che, quando si parla di comunicazione, non si intende riferirsi alla pura emissione di un messaggio, bensì a quel complesso di fatti, di azioni e di reazioni, che uniscono insieme i soggetti di un rapporto. È esemplare, al riguardo, il concetto di rivelazione che ritroviamo nella costituzione conciliare Dei Verbum: «Piacque a Dio, nella sua bontà e sapienza, rivelare se stesso e manifestare il mistero della sua volontà, mediante il quale gli uomini, per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, nello Spirito Santo hanno accesso al Padre e sono resi partecipi della divina natura. Con questa rivelazione, infatti, Dio invisibile, nel suo grande amore, parla agli uomini come ad amici e si intrattiene con essi per invitarli ed ammetterli alla comunione con Sé» (n. 2).
    La rivelazione di Dio, cioè non è l'affissione di una notizia nell'albo pretorio, non è una informazione di cui bisogna semplicemente prendere atto, ma è l'invito a mettere in comune la totalità della vita: è comunicazione che parte, certamente, da un fatto conoscitivo, ma non si esaurisce in esso; anzi, l'atto noetico è superato, dopo avere espletata la sua funzione strumentale, e la comunicazione termina in un fatto globalmente vitale.
    Varrà la pena di ricordare che cotesta comunicazione tra Dio e l'uomo non parte esclusivamente da enunciati, ma parte anche ed ancor più da fatti. Lo sottolinea la stessa costituzione Dei Verbum: «Questa economia della rivelazione avviene con eventi e parole intimamente connessi, in modo che le opere, compiute da Dio nella storia della salvezza, manifestano e rafforzano la dottrina e le realtà significate dalle parole, e le parole dichiarano le opere e il mistero in esse contenuto» (l.c.). Il culmine della rivelazione di Dio e il vertice della comunicazione si realizzano in Gesù Cristo, che è Parola sostanziale del Padre ed è il fatto, l'evento fondamentale e culminante della storia. Si capisce, allora, l'affermazione fatta dianzi: tutta la storia della salvezza è una formidabile comunicazione.

    Rivelazione e storia di salvezza

    Non credo che possano esserci difficoltà a convenire su quanto detto finora. Ma credo che sia fondato il rischio di una interpretazione riduttiva di cotesta teologia della comunicazione perché riduttiva è generalmente la concezione della storia della salvezza. È il caso di indugiare un momento.
    La giusta venerazione per le Sacre Scritture, il fervore con cui, negli anni più recenti, si è sviluppato il movimento biblico, l'angolazione sotto la quale è stato pilotato il movimento liturgico, hanno portato spesso a parlare della storia della salvezza quasi esclusivamente in termini di storia passata e con riferimento quasi esclusivo, se non sul piano delle dichiarazioni, certamente sul piano di fatto, agli eventi biblici, quasi che, chiusa la rivelazione con la morte dell'ultimo Apostolo di Gesù Cristo, fosse chiuso anche il divenire della storia della salvezza, dovendo le generazioni successive alla Apocalisse di S. Giovanni vivere, in certo senso, di rendita sulla storia fino allora scritta e definitivamente chiusa. La debolezza di cotesta concezione appare chiaramente di fronte alla attualità dell'economia sacramentale. Meno chiaramente, invece, appare di fronte agli eventi della storia dell'umanità, di quella storia, cioè, che resterebbe estranea alla storia della salvezza o scorrerebbe parallela allo scorrere dei riflessi della già scritta storia della salvezza.
    Ma, esistono veramente due storie separate e magari parallele? o non è forse vero che c'è una sola storia e che, quindi, storia dell'umanità e storia della salvezza si identificano? e il Signore della salvezza non è forse il Signore della storia umana? (cfr. Gaudium et spes, 41) e la libertà ed autonomia con cui gli uomini di oggi scrivono la storia del mondo non è forse la stessa libertà ed autonomia con cui gli uomini dei tempi biblici scrivevano la loro storia?
    La comunicazione tra Dio e gli uomini, quindi, è un fatto sempre attuale, sempre vivo, sempre originale e sempre nuovo. E la teologia della comunicazione va scritta non avendo soltanto l'occhio al passato remoto, ma avendolo anche al passato prossimo, al presente e al futuro, ai mutamenti che sono intervenuti e che intervengono nella vita e nella storia degli uomini, alle condizioni storiche e concrete perché il rapporto tra Dio e gli uomini sia ancora ed attualmente comunicazione, cioè incontro, intimità di vita, in cui abbia parte il memoriale delle res gestae, ma anche il divenire delle res gerendae.

    Nella liturgia

    Non credo che sia eccessiva audacia affermare che il limite comunicativo di quel grandioso potenziale strumento di comunicazione, che è la liturgia, vada identificato nella sua atemporalità significativa, nell'anacronismo dei suoi segni espressivi, nella esclusività dei suoi riferimenti al passato, che danno più l'impressione della celebrazione di un memoriale che quella della realizzazione di un evento. Forse in nessun campo l'isolamento della teologia dalla storia e del teologo dal mondo è così profondo come in quello liturgico. Il rapporto tra Parola e Sacramento sembra essere ridotto all'astrazione filosofica di materia e forma o all'espediente prammatico per stabilire una convenzione semantica.
    Resta così al cristiano la difficoltà di cogliere la continuità tra la liturgia e la vita, di togliere, cioè la parentesi entro la quale ha partecipato alla celebrazione liturgica, di accorgersi che la rivelazione di Dio continua ad effettuarsi con parole ed eventi intimamente connessi, e che gli eventi in questione sono anche quelli di cui egli è e sarà spettatore o attore nella quotidianità della sua vita. Resta, insomma, al cristiano l'onere di restituire alla comunicazione la sua chiarezza e il suo significato.
    Alla luce della teologia della comunicazione, il cristiano comprenderà meglio che la costruzione del Regno di Dio, cui egli è chiamato a dare il suo contributo, è legata alla comunicazione, e comprenderà anche il valore comunicativo e non puramente informativo della sua parola, della sua testimonianza, del suo lavoro, del suo stato, delle strutture in cui egli partecipa. E scoprirà il senso della comunitarietà, che è frutto della comunicazione, e si accorgerà che la solidarietà ha significati e contenuti insospettati, che vanno molto al di là della compassione epidermica per il povero affamato e per il povero ammalato, ed investono anche il povero peccatore.
    In cotesta luce, però, in cui si scopre anche la chiamata fatta al cristiano ad essere mediatore della comunicazione storica tra Dio e l'uomo, emerge il valore di quegli strumenti che consentono la moltiplicazione delle possibilità comunicative e che appaiono, perciò, non solo frutto dell'ingegno umano, ma anche meravigliosi doni di Dio.


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