Attesi dal suo amore
    Proposta pastorale 2024-25 

    MGS 24 triennio

    Materiali di approfondimento


    Letti 
    & apprezzati


    Il numero di NPG
    luglio-agosto 2024
    600 cop 2024 2


    Il numero di NPG
    speciale sussidio 2024
    600 cop 2024 2


    Newsletter
    luglio-agosto 2024
    LUGLIO AGOSTO 2024


    Newsletter
    SPECIALE 2024
    SPECIALE SUSSIDIO 2024


    P. Pino Puglisi
    e NPG
    PPP e NPG


    Pensieri, parole
    ed emozioni


    Post it

    • On line il numero di LUGLIO-AGOSTO di NPG sul tema degli IRC, e quello SPECIALE con gli approfondimenti della proposta pastorale.  E qui le corrispondenti NEWSLETTER: luglio-agostospeciale.
    • Attivate nel sito (colonna di destra "Terza paginA") varie nuove rubriche per il 2024.
    • Linkati tutti i DOSSIER del 2020 col corrispettivo PDF.
    • Messa on line l'ANNATA 2020: 118 articoli usufruibili per la lettura, lo studio, la pratica, la diffusione (citando gentilmente la fonte).
    • Due nuove rubriche on line: RECENSIONI E SEGNALAZIONI. I libri recenti più interessanti e utili per l'operatore pastorale, e PENSIERI, PAROLE

    Le ANNATE di NPG 
    1967-2024 


    I DOSSIER di NPG 
    (dall'ultimo ai primi) 


    Le RUBRICHE NPG 
    (in ordine alfabetico
    e cronologico)
     


    Gli AUTORI di NPG
    ieri e oggi


    Gli EDITORIALI NPG 
    1967-2024 


    VOCI TEMATICHE 
    di NPG
    (in ordine alfabetico) 


    I LIBRI di NPG 
    Giovani e ragazzi,
    educazione, pastorale

     


    I SEMPREVERDI
    I migliori DOSSIER NPG
    fino al 2000 


    Animazione,
    animatori, sussidi


    Un giorno di maggio 
    La canzone del sito
    Margherita Pirri 


    WEB TV


    NPG Facebook

    x 2024 400


    NPG X

    x 2024 400



    Note di pastorale giovanile
    via Giacomo Costamagna 6
    00181 Roma

    Telefono
    06 4940442

    Email

    Cinema e pastorale: per una dinamica cristiana dell'esperienza cinematografica



    Pidi Giordano

    (NPG 1976-5-81)

    Tra le meravigliose invenzioni tecniche che favoriscono e incrementano le comunicazioni sociali tra gli uomini, il cristiano scopre gli strumenti preparatigli dalla Provvidenza di Dio per facilitare l'unione fra tutti quelli che sono quaggiù pellegrini in terra.
    Gli strumenti di comunicazione sociale sviluppatisi vertiginosamente, possono raggiungere Istantaneamente ogni ceto di persone e trasmettergli i più svariati contenuti con una potenza enorme in suggestione; rappresentano quindi uno del fattori più importanti che fanno accelerare la storia...
    L'uomo viene ad acquietare così maggior senso di responsabilità, sente maggiormente la sua dignità di essere persona, avverte il suo diritto alla libertà di parola, all'informazione, al dialogo, alla critica.
    Ma se l'uomo non viene educato all'uso opportuno degli SCS rischia la massificazione che lo spersonalizza. E ne subisce le conseguenze: superficialità e radicalizzazione; limitazione dell'oggettività del suo senso critico e della sua libertà spirituale; disorientamento nel valutare le notizie, nel vagliare le dottrine, nell'interpretare gli avvenimenti; e perfino la perdita della fede e della dignità morale. L'uomo rischia di sentirsi vittima di tensioni laceranti a vicolo cieco. La pubblicità Inoltre insidia la sua autonomia e gli crea necessità artificiali...
    ... Il nostro compito specifico è di impostare un'operazione liberatoria da tutti condizionamenti negativi... di stimolare nelle anime giovanili una liberazione spontanea e attiva a avviarle a una personale e libera scelta... mettere i giovani in atteggiamento di dialogo con gli SCS».
    Ci siamo introdotti con alcune espressioni degli ATTI del Capitolo Generale Speciale dei Salesiani (che, si richiamano a documenti pontifici) a proposito dei Mezzi di Comunicazione Sociale (Atti CGS, doc. 6) per presentare un discorso educativo sul Cinema che seguirà nelle pagine seguenti.
    Emergono, da queste indicazioni, ci pare, proposte e istante alquanto aggressive nel confronti del Medium, ben diverse da consigli di riserva e di fuga dl altri tempi. L'educatore che manovra simili strumenti non può non prenderne atto e sentirsi personalmente coinvolto: il cinema non è mal indifferente come d'altra parto ogni mezzo di comunicazione. Lo dicevamo altre volte parlando delle letture del ragazzi. E ci pare che mal può accontentarsi un educatore di credere che la sua programmazione cinematografica non sia negativa. Si tratta di farne un mezzo educativo in senso positivo, In una autentica scuola di formazione al «mezzo», senza attendere l'età matura ma, secondo le Indicazioni palco pedagogiche, fin dei primi anni del suo sviluppo intellettivo, affettivo, critico e morale. Le riflessioni di Pierdante Giordano crediamo siano un ottimo servizio in questo senso.

    «Per alimentare una mentalità di fede che consenta di vivere da figli di Dio, la catechesi deve raggiungere gli uomini nel tempo e nel luogo in cui essi. vale a dire nella situazione di vita che è loro propria.
    Anche nel nostra paese influiscono fortemente le profonde rapide trasformazioni che caratterizzano l'epoca in cui viviamo. Esse costituiscono un fenomeno che si manifesta in tutti gli aspetti della vita: economico, sociale, politico, psicologico, morale e religioso, determinando una nuova mentalità e una nuova concezione dell'uomo, del suo posto e del suo compito nel mondo.
    Sono pertanto da studiare fenomeni come la rivoluzione scientifica e tecnologica, il processo di secolarizzazione, la diffusione del benessere .e della civiltà dei consumi, gli squilibri sociali ed economici, il nuovo volto della famiglia nella società, la diffusione della cultura, la trasmissione di idee e di valori attraverso gli strumenti di. comunicazione sociale, il pluralismo culturale e religioso, la urbanizzazione la democratizzazione della società, la nuova coscienza della dignità e della responsabilità personale dell'uomo» (Il rinnovamento della catechesi n. 128).
    Balza immediatamente agli occhi l'esigenza e l'urgenza di un atteggiamento pastorale che sappia cogliere i connotati precisi della «situazione di vita» dei nostri ragazzi, contrassegnata dalla presenza dei mezzi di comunicazione sociale e sappia inventare modalità di intervento «pastorale» che siano positive risposte all'esigenza di crescita dei ragazzi e non soltanto affastellamento di barriere per un'azione difensiva che si rivela sempre più inadeguata.

    LA CHIOCCIOLA AGGREDITA: SE IL RAGAZZO NON VA AL CINEMA, IL CINEMA VA AL RAGAZZO

    La Chiesa ha predicato per anni la «difesa» dei ragazzi dalle aggressioni dei mezzi di comunicazione sociale e in particolare del cinema.
    Una guerra perduta di fronte ad attacchi sempre più sfacciati e provocatori con il risultato di una fuga disordinata e senza Orizzonti per un ragazzo che sente quanto mai viva l'esigenza di punti di-riferimento, di modelli precisi e di orientamenti identificabili.
    La delicata chioccioladell'undicenne-tredicenne non regge più. Siamo in una fase di «implosione».
    Forniti di strutture che rasentano l'opulenza (oltre 5.000 sale cinematografiche, oltre 45 milioni di presenze; un'associazione nazionale per l'esercizio: l'ACEC; 21 uffici di assistenza sale: il SAS; la possibilità di ben 225 milioni di posti-spettacolo all'anno, 4 associazioni nazionali di base: il Centro Snidi Cinematografici, la Federazione Italiana Cineforum, il Cineforum Italiano, la Federazione dei Cineclubs Giovanili Salesiani, associazioni queste che operano a raggio nazionale per un totale di 594 circoli, e ancora Centri universitari di ricerca, centri di produzione, riviste, ecc.), i cattolici si trovano con risultati modesti.
    Crediamo che sia iniziata ormai da molto l'epoca in cui le guerre non si vincono. con il «bla-bla-bla» sussurrato con le spalle rivolte al nemico o proclamato dalle «scuderie», ma sporcandosi le mani, scendendo in campo e aggiornando le armi e le strategie.
    Soprattutto la strategia ci sembra talvolta sbagliata. Si tratta di organizzare l'attacco e non la fuga. E oggi la fuga è una soluzione impossibile. Specialmente per i ragazzi.
    La chiocciola aggredita ha da tempo raggiunto il nascondiglio più interno del suo guscio e non ha più difesa: il nemico non è più fuori, ma è dentro. Fa parte di sé.
    Rivela" Edgar Morin: «la seconda colonizzazione, non più orizzontale, ma stavolta verticale; penetra nella grande Riserva che è l'anima umana» [1]. L'anima, l'interiorità più profonda dei nostri ragazzi, è la nuova Africa che i circuiti del cinema hanno da tempo cominciato a conquistare.

    IL BABY INGRANDITO

    Prima di progettare una strategia di intervento occorre vagliare con maggiore attenzione il concreto manifestarsi dei ragazzi di oggi. Bisogna accantonare l'immagine precostituita del ragazzo sulla base dei nostri schemi mentali, bisogna abbattere il ragazzo feticcio per confrontarci con il ragazzo reale. Lì troveremo le premesse per un lavoro educativo-pastorale di tipo diverso.
    Il primo atteggiamento di realismo è considerare che i ragazzi di oggi sono figli dei mass-media: il loro impatto con la civiltà iconica è costituzionalmente diverso dal nostro, come diversa è la loro struttura personale in riferimento ai codici di riconoscimento, ai codici linguistici e comunicativi e all'assimilazione dei valori.
    «I film presuppongono nei loro utenti un alto livello di alfabetismo e sconcertano i non alfabeti. La nostra accettazione del movimento dell'obiettivo che può seguire una figura e sottrarla completamente alla nostra vista non è condivisa dal pubblico cinematografico africano. Se qualcuno sparisce dal film, l'africano vuol sapere che cosa gli è capitato. Ma il pubblico alfabeta, avvezzo a seguire di riga in riga la pagina stampata senza mai mettere in dubbio la logica della linearità, accetterà senza proteste anche la sequenza cinematografica». E più oltre lo stesso Mc Luhan insiste: «Vedendo Il Vagabondo di C. Chaplin, il pubblico africano pensò che gli europei fossero maghi capaci di restituire la vita. Avevano visto un personaggio che sopravviveva a una poderosa botta in testa senza dar segno di essere ferito» [2].
    Mc Luhan ha ragione se siamo noi adulti a considerarci africani! Il baby cine-televisivo dell'epoca elettronica, che vede la TV prima di vedere la luce, si meraviglierà piuttosto del fatto che, dando una poderosa botta in testa a qualcuno, questi si troverà con qualche osso rotto a differenza di quella che è la sua esperienza «cine-televisiva».
    È cronaca di sempre. L'esperienza prima che il ragazzo fa non è più quella della realtà, ma della finzione. E le confonde. Il ragazzo di oggi vive e respira l'atmosfera dell'illusione, dell'immaginario, del fittizio che trasferisce acriticamente nel reale, spesso con conseguenze drammatiche. Il film, mondo della «finzione», diventa la sua più concreta e vera esperienza. Il reale è una acquisizione di esperienza che appare posticipata. Per noi adulti avveniva il contrario. Noi, abituati al reale, troviamo difficoltà à «leggere» le comunicazioni iconiche. I nostri ragazzi, nati e immersi nell'universo iconico che li avvolge da ogni parte, fanno difficoltà a «leggere» il reale.
    Questo è il nostro «baby». Un «baby ingrandito».
    Tracciamone un breve profilo.
    Il cinema (ma è più opportuno coinvolgere tutti i mass-media!) non è più qualcosa che si srotola dì fronte agli occhi del ragazzo, una presenza che è fuori da lui. I «media» sono «esperienze» che gli appartengono, sono sue possibilità: ampliamento della vista, dell'udito, di tutti i suoi sensi 'e insieme ampliamento del bisogno di vedere e di sentire. Quando un senso è stato sollecitato, diventa imperiosa l'esigenza di farne uso. I «media» sono l'estensione delle capacità fisiche e psichiche dell'uomo: i nostri sensi si sono ingranditi, il nostro corpo totale si è ingigantito. Il ragazzo di oggi, non considera più strano assistere con miracolistica contemporaneità allo sbarco degli astronauti sulla luna: per lui e un fatto normale. Diventa un fatto anormale che con la stessa facilità oggi non si possano fare cose più semplici. Ciò che succede a migliaia e migliaia di chilometri fa parte della sua esperienza, è realtà «partecipata». Dai «media nasce una, nuova accezione di «partecipazione» e conseguentemente di «responsabilità».
    Spontaneamente il ragazzo d'oggi afferra le connessioni delle immagini e ne avverte un significato, implicito. Parla e pensa per immagini. L'uomo non contrassegnato dalla tecnica coglie il reale con occhio puro; il ragazzo d'oggi coglie il reale con la mediazione dello strumento tecnico: è una percezione quantitativamente e qualitativamente diversa.
    Nel ragazzo viene esaltata l'intelligenza sensoriale, non più la fredda «logica» aristotelica: c'è l'immediatezza della partecipazione-comunicazione emotiva. Questo non significa che il ragazzo d'oggi sia meno intelligente di quello di ieri: è semplicemente diverso. Sono state sollecitate in lui delle potenzialità che sente il bisogno di mettere in moto.
    Se è vera questa analisi sommaria condotta sulle nuove possibilità di esperienza dei ragazzi, diventa compito improrogabile approntare una nuova strategia nell'intervento pastorale. Una strategia che non può assolutamente assumere come punto di partenza il «divieto» o la «fuga» perché equivarrebbe a soffocare le possibilità di percezione-partecipazione-comunicazione che sono ormai struttura interna dell'uomo nuovo, dell'uomo definito audiovisivo».

    INTERVENTO PASTORALE
    COME TI ERUDISCO CRISTIANAMENTE IL PUPO?

    Tracciato un rapido profilo dei nostri nuovi ragazzi, dobbiamo considerare in che termini si presenta l'intervento educativo-pastorale perché sia adeguato nella risposta agli appelli di crescita dei ragazzi e perché sia fedele all'annuncio di salvezza del Vangelo.
    La materia è abbastanza nuova e non ancora sufficientemente, approfondita. Chi parte da un atteggiamento di difesa farà determinate scelte di intervento pastorale, chi parte da un atteggiamento di fiducia e di valorizzazione della presenza del cinema nell'esperienza dei ragazzi ne dovrà fare altre, totalmente opposte alle precedenti.
    È quindi opportuno premettere che cosa intendiamo per azione pastorale in questo particolare settore dell'uso del cinema.
    Affermiamo subito, a scanso di equivoci, che per utilizzazione pastorale del cinema non intendiamo affatto allestire una sorta di catechismo fatto con le immagini e tanto meno strumentalizzare il film a scopi moralistici o catechistici.
    Intervento pastorale non equivale a «come ti erudisco cristianamente il pupo». Equivale, invece, a consacrare la propria attenzione educativa perché il ragazzo «auto-maturi» attraverso un progetto-cammino di liberazione. La liberazione dell'uomo è il senso profondo del messaggio evangelico. Liberare il ragazzo significa 'reargli la coscienza dei condizionamenti in cui vive fornendogli gli strumenti adeguati per liberarsene e per esprimere i valori che ha in sé rendendoli partecipabili.
    L'intervento pastorale, che è prettamente azione liberatoria, è tanto più impellente in questo taglio d'età (10-14 anni) in cui il ragazzo, teso alla crescita, è più che mai disponibile a tutto ciò che gli si presenta come possibilità di apertura, curiosità, creatività, socializzazione avventura... Il cinema occupa con violenza questo spazio di disponibilità: ha tutti gli ingredienti per poterlo fare e il ragazzo ne subisce l'incantesimo.
    Intervenire pastoralmente accanto al ragazzo significa offrirgli ogni possibilità di cultura, di promozione umana, di sviluppo interiore, non imponendogli dei modelli di comportamento o dei valori in astratto, ma fornendogli degli strumenti di cultura [3] aiutandolo all'uso libero e maturante di questi strumenti.
    A questo punto è necessario chiarire un equivoco che tanto spesso rende improduttiva anche l'attività dell'educatore più sensibile a questi problemi, Liberare il ragazzo dall'influenza negativa del cinema non significa tout court metterlo in guardia sui «contenuti», modificandoli o proponendone altri in alternativa.
    L'azione oppressiva, alienante (si parla di attività massificante e colonizzatrice) della civiltà iconica nasce dalla natura stessa del suo linguaggio e pertanto resterà fondamentalmente schiavizzante anche se annuncerà Cristo.
    Il problema deve essere affrontato portando l'attenzione non solo sui contenuti, ma in primo luogo sul «mezzo». Mc Luhan giustamente afferma: «il mezzo è il messaggio».
    I ragazzi, nella nostra azione pastorale, devono essere alatati a rendersi liberi prima di tutto di fronte al «medium» e solo in un secondo momento (da non intendersi in senso cronologico, ma di importanza) di fronte al messaggio che ii «medium» veicola. L'esercizio della libertà nasce nel momento stesso in cui i ragazzi mettono in funzione i propri strumenti, di critica per de-criptare medium.
    In questa prospettiva «intervento pastorale» coincide fondamentalmente con «fare opera educativa» e con «liberare». Compito arduo e impegnativo che sfugge al rischio di facili strumentalizzazioni (spesso inavvertite) quando da parte dell'educatore viene accettata una totale e sincera fedeltà al Vangelo.

    I MECCANISMI DI UNA LIBERAZIONE

    Dicevamo che il primo momento dell'azione liberatrice deve esercitarsi nei confronti del «medium». Nel nostro caso e il cinema e il linguaggio cinematografico.

    L'istruzione pastorale Communio et progressio registra un'apertura di prospettiva nell'ospitare e nel proporre all'attenzione degli operatori pastorali una focalizzazione diversa del problema.
    Ricorda la suddetta istruzione: «La validità e la moralità di una comunicazione non derivano soltanto dalla bontà dell'argomento, né dall'intento dottrinale di chi l'ha concepita. Sono fattori essenziali anche il modo di impostare la comunicazione, le tecniche del linguaggio e della persuasione, le circostanze concrete, la stessa grande platea umana a cui la comunicazione è diretta» (n. 17).
    Per conseguenza lo stesso documento annota: Questa formazione deve quindi abbracciare la descrizione chiara e precisa della natura caratteristica dei singoli mezzi» (n. 64).
    È indispensabile sprecare qualche parola sulla natura del «medium» cinematografico per afferrarne la potenza di incisione e i meccanismi interni a questo particolare linguaggio, per poter intervenire pastoralmente in modo adeguato.
    Avverte, infatti, Nazzareno Taddei: «Così, un fatto di linguaggio costituisce la radice imprescindibile del più imponente fenomeno antropologico-sociale dell'epoca contemporanea, caratterizzandone la cultura, quale quella della schiavitù mentale, sotto una effettiva anche se non facilmente individuabile oligarchia» [4].
    Vediamo, quindi, la natura del linguaggio filmico, sottolineando ancora una volta che non si tratta di una vuota questione semantica o linguistica, ma dà ragione di trasformazioni profonde e insospettate di tutta la struttura personale dell'uomo.
    Il linguaggio filmico:

    a) è un linguaggio emozionale. La comunicazione «audiovisuale» avviene attraverso urti emozionali con una cadenza cogente che cattura il fruitore emotivamente. Il linguaggio filmico suscita stati d'animo, sensazioni avviluppate, caotiche, in ogni caso pre-logiche. Non è un linguaggio concettuale che procede per sviluppo di idee e di pensieri.
    L'impatto con il discorso filmico è dato da una partecipazione immediata che esalta l'attivazione sensoriale-nervosa a scapito dell'attività razionale. Questa modalità comunicativa propria del film porta a un atteggiamento di passività del recettore: di qui i fenomeni di identificazione e proiezione. L'intervento educativo-pastorale equivale a una «mediazione critica» che, sulla misura dei processi di sviluppo propri dei ragazzi, sappia far «criticare» (in senso etimologico) il linguaggio filmico (e quindi non il contenuto!) perché l'esperienza filmica sia fruita culturalmente dai ragazzi, trasferendo su un piano di razionalità, di «discorso mentale» ciò che essi hanno «partecipato» come influsso caotico di aggressioni emozionali.
    b) è un linguaggio «contornuale». La comunicazione filmica avviene attraverso «segni» dai contorni materializzati, corposi, esteriori. Devono, però, essere «decriptati», «decodificati» per arrivare alla comprensione di ciò che il segno immediatamente significa e, in ultima istanza, per arrivare alla percezione del contenuto mentale dell'autore. soprattutto la contornualità del linguaggio filmico che comporta maggiori difficoltà di lettura con conseguenti influssi emotivi negativi. L'atteggiamento acritico del recettore offre buon gioco alla suggestione del linguaggio contornuale che induce a considerare l'immagine come analoga della realtà: il fruitore acritico si immerge nell'immagine come se fosse reale. La mediazione culturale dell'educatore porta il ragazzo a non identificare immagine e realtà, ma aiuta a comprendere il film come sistema combinato di segni oltre il quale sì avverte l'esistenza di un autore che ha confezionato in un certo modo le immagini per comunicarci qualcosa.

    c) è un linguaggio suggestivo. È conseguenza di quanto appena detto. Il film parla attraverso immagini concrete che lo schermo ci impone: non siamo noi a sceglierle sulla misura della nostra capacità di risposta emotiva. Il linguaggio «scritto» offre maggiori possibilità di creazione, di libertà, di correzione di tiro. Il linguaggio filmico (che è linguaggio dell'immagine) costringe a «vedere» a «sentire» a «partecipare» emotivamente. Chi è impressionabile di fronte al sangue, nel leggere il romanzo che parla di «gola squarciata» regolerà il tiro della sua emotività immaginando un taglietto di poco conto: l'immaginazione interviene come «autodifesa». La stessa persona di fronte a una «gola squarciata» che occupa tutto lo schermo non troverà più appigli di difesa: deve subire la suggestione violenta dell'immagine. Nella lettura del libro il fruitore adotta il ritmo di attenzione che gli è più proprio, nel film deve assoggettarsi alla cadenza delle immagini imposta dal ritmo del film e arrendersi di fronte al suo fluire. Nella sala buia lo sguardo è costretto a dirigersi verso lo schermo illuminato e l'incrociarsi delle immagini visive e sonore, confezionate in maniera sempre più catturante, isolano ogni singolo spettatore coartandone le risposte-emotive.

    d) è un linguaggio tutt'altro che ovvio. Il cinema fu considerato per lunghi anni un linguaggio per gli analfabeti: tutti potevano capirlo. Si pensava. che non c'era bisogno di «educare» al linguaggio filmico». In fin dei conti non c'è mai stato bisogno di una scuola per imparare a guardare... un mercato, una spiaggia, un panorama, un volto...
    Oggi nessuno azzarderebbe pronunciare affermazioni così grossolane.. Si è manifestata, invece, l'urgenza di programmare una vera e propria «educazione» al linguaggio filmico perché è tutt'altro che ovvio e immediato. Il film, abbiamo detto, è un sistema combinato di segni che è necessario «de-cifrare» sulla base di codici molto precisi. I ragazzi di oggi, dicevamo, hanno una particolare predisposizione ,ad entrare nel dedalo del linguaggio immaginifico, ma, d'altra parte, trovano difficoltà a dominarlo nella sua totalità soprattutto perché portati a cogliere ciò che c'è di più incisivo, più emotivo, più appassionante in questo linguaggio limitandosi così a una comprensione rapsodica della comunicazione. Il carattere «patico» del discorso filmico che porta all'irruenza dell'aspetto emotivo deve essere pazientemente decantato per cogliere ciò che l'opera filmica intendeva esprimere (in maniera scoperta, ma molto spesso in maniera clandestina o inconscia) al di là dell'immediata suggestione.

    e) è un linguaggio «deformante». Citando Sartre, J.M. Peters scrive: «L'immagine dà l'impressione di essere la stessa cosa riprodotta, tende a farsi passare per la cosa stessa che riproduce» [5].È quanto dicevamo tentando una descrizione sommaria del «baby cine-televisivo»: il ragazzo confonde la finzione con la realtà, la rappresentazione della cosa con la cosa rappresentata, il segno con la realtà stessa. Ciò è dovuto alle caratteristiche linguistiche del cinema in quanto strumento che comunica per immagini. Di fronte al film lo spettatore è tentato di identificare le immagini come copie perfette della realtà e neppure sospetta che forse esistono piani di enorme diversità. La terminologia stessa nasconde pesanti ambiguità. Le lenti della cinepresa che inquadrano (verrebbe la tentazione di dire: ri=producono, registrano, ecc.) la realtà sono chiamate «obiettivo». Si parla spesso di «cinema-verità», di «cinema-occhio», quasi fosse possibile alle lenti della cinepresa trasferire sullo schermo la realtà così com'è. Sullo schermo, invece, si dipana una «rappresentazione» della realtà «deformata» dallo strumento usato per rappresentarla prima ancora che dalla volontà dell'autore di. deformarla. Le «formazioni» più evidenti sono la riduzione della tridimensionalità alla bidimensionalità, le «scelte» di campo (la porzione di realtà ripresa dal quadruccio della cinecamera che taglia alcuni brani dì realtà isolandoli dal loro contesto, cosa che l'occhio umano fa solo in parte). Altre deformazioni sono dovute alla tecnica usata: l'obiettivo applicato alla cinepresa, l'angolazione l'illuminazione, la composizione dell'immagine, la profondità di Campo la grana della pellicola, il colore o il bianco e nero, il formato, ecc: Trattandosi poi di cinema (immagini in movimento) si ha una ulteriore deformazione dovuta alle «connessioni» di immagini in successione.
    Si tratta in ogni caso di espedienti tecnici che deformano la realtà in funzione di una significazione voluta dall'autore. Ogni deformazione tecnica è in funzione di una deformazione espressiva. L'autore deforma la realtà, confezionando l'immagine in un «certo modo», perché divenga significativa ed espressiva di ciò che ha in mente (riappare l'idea del film conte «sistema di segni» che ci mettono a contatto con il contenuto mentale dell'autore).

    f) è un linguaggio universalizzante. È conseguenza del fatto che il film comunica con un linguaggio concreto, fatto di contorni materiali. Un film, per comunicarci il concetto di «cavallo» deve necessariamente rappresentarci un cavallo concreto, «quel» cavallo (con una certa altezza, ripreso con una certa angolazione, di un certo colore, localizzato in un certo ambiente, ecc.). Qui nasce una paradossale ambiguità in fase dl lettura. Dal rischio di identificare «il» cavallo con «quel» cavallo (ci si ferma alla materialità della rappresentazione) si passa a identificare «quel» cavallo con «il» cavallo (fenomeno della «generalizzazione» o universalizzazione), senza tener conto di come l'autore confeziona l'immagine. Sperimentiamo questa possibilità di confusione quando sentiamo il pubblico che commenta il comportamento di «-quel» poliziotto o di «quel» prete in un film, generalizzando «i preti», «la polizia», «la Chiesa»...

    g) è un linguaggio unidirezionale. La comunicazione filmica parte da una sorgente (lo schermo) e, a senso unico, si orienta all'utente. Il recettore nota la possibilità di «dialogare» interrompendo il flusso della comunicazione per un chiarimento, una contestazione; un recettore passivo, nel senso che deve accettare tutto lo svolgersi della comunicazione senza possibilità di risposta. Sul piano educativo nasce la necessità di fornire al ragazzo la possibilità del feed-back. Grazie alle ricerche sviluppate dalla cibernetica si avverte sempre più pressante il. bisogno di un processo «circolare», dialogico tra comunicante e fruitore. Questo processo è chiamata feed-back» o «onda di ritorno». Ha una duplice funzione: 1) verificare e controllare quanto e come l'utente ha recepito della comunicazione; 2) offrire la possibilità al recettore di agire e influire sulla stessa sorgente di comunicazione, Esperienze di feed-back sono già state attuate dalla nostra televisione. Per quanto riguarda il film l'attivazione di un parziale processo di feed-back è demandato alle iniziative di cineforum, cineclubs, cineletture, ecc. Appare chiaro che le iniziative elencate non possono tuttavia operare un vero feed-back in quanto non raggiungono direttamente l'emittente e non ne modificano il messaggio. Operano piuttosto a livello di decantazione critica delle suggestioni emotive e per un inserimento organico, efficiente, armonico dell'esperienza filmica nel contesto della cultura del fruitore.
    Dalle sommarie osservazioni fatte è facile capire che l'intervento pastorale deve prendere l'avvio da una attenta considerazione al linguaggio filmico che il ragazzo deve poter possedere per capire la comunicazione ed eventualmente per produrla.
    Ricordiamo la figura di Don Milani che ha creato la scuola di Barbiana perché i suoi giovani si appropriassero di «quelle settecento parole che il padrone conosce in più e gli permettono di opprimere l'operaio» perché, affermava in «Lettere a una professoressa», «è solo la lingua che ci fa uguali. Eguale è chi sa esprimersi e intendere l'espressione altrui».
    Don Milani parlava della «parola», ma la stessa preoccupazione (forse con maggior urgenza) l'educatore dovrebbe portarla nell'ambito del linguaggio «delle immagini» di cui il cinema si serve per comunicare e spesso per creare schiavi.
    Essere padroni della lingua significa saper «decodificare» qualsiasi messaggio segnico, in particolare quello filmico.
    La missione educativo-pastorale deve orientarsi ad affinare gli strumenti di critica che il ragazzo già possiede, valorizzando soprattutto l'aspetto del linguaggio che è lo strumento di base di cui ogni persona si avvale per stabilire rapporti di comunione con gli altri.
    I meccanismi della liberazione dei nostri ragazzi passeranno attraverso i meccanismi del linguaggio delle immagini. Con la guida fraterna dell'educatore i ragazzi percorreranno il cammino della propria liberazione quando saranno illuminati circa l'esatta dimensione e la vera natura del fenomeno che li insidia.
    Concludiamo questa riflessione con una citazione da uno studio di N. Taddei: «Il problema è anzitutto legato alla natura dei mass-media più che ai loro contenuti (anche se di questi ultimi si deve tener conto). Il cambio di guardia di produttori di contenuti non risolve il problema di fondo, che è quello della massificazione di qualunque colore sia. Resta solo – come problema di fondo – l'alternativa o eliminare i mass-media, il che è ovviamente assurdo pensare, almeno al momento attuale, oppure educare i consumatori a superarne gli aspetti negativi con, una coscienza e una capacità e una abitudine critiche. Quindi: «educazione all'immagine». Educazione che deve avvenire già dai primi anni della formazione umana».

    PROPOSTE CONCRETE DI INTERVENTO

    Accettate le premesse di cui sopra, occorre considerare in quali momenti e con quali metodologie concrete sia possibile avviare un'opera di «educazione all'immagine» (quindi al film) per i ragazzi.
    Elenchiamo alcune proposte concrete.

    Cineforum. È una delle iniziative più sperimentate anche se, nell'ambito dei ragazzi, trova espressioni molto ridotte. Lo scopo del cineforum è di offrire allo spettatore la possibilità di recuperare a livello di coscienza, di «discorso mentale» ciò che ha partecipato o subìto a livello «patico». Con la tecnica del dialogo, del dibattito, del confronto di idee, Questo processo di ripensamento dell'esperienza filmica è assai più che una verbalizzazione delle sensazioni: è una prima presa di coscienza critica del coacervo di suggestioni che vengono così elevate alla sfera della dialogicità. È un'esperienza che manifesta anche diversi limiti. In primo luogo la presenza di una grande massa di spettatori non sempre rende stimolante la partecipazione al dialogo in prima persona e spesso si creano frange di emarginazione: il ragazzo che non ha facilità di parola o non ha il coraggio di intervenire, il ragazzo che avrebbe desiderio di intervenire ma «deve fare la coda» a causa del numero eccessivo dei partecipanti. In secondo luogo, la tentazione di voler strumentalizzare quanto l film sembra immediatamente comunicare per fare un dibattito sui «contenuti». È evidente che la prima funzione del cineforum dovrebbe essere quella di condurre lo spettatore alla lettura critica delle immagini. Ma, data la sede, non è sempre una impresa facile; per questo sono nate altre iniziative alternative al cineforum. Il cineforum permane soprattutto in alcune zone per interessi politici: il film viene strumentalizzato e il cineforum assume l'aspetto di una campagna elettorale.
    L'educatore che non può disporre di altri momenti educativi all'immagine e organizzasse cineforum per ragazzi tenga presente alcuni fatti:

    a) il ragazzo è interessato soprattutto alla vicenda del film e non tanto alla sua significazione;

    b) la comprensione del film è rapsodica: con difficoltà avverte le varie articolazioni delle scene e degli episodi per dominarle nella loro unità. Di qui l'opportunità di far «ricostruire» la vicenda con un richiamo continuo ai dettagli visti nella loro funzionalità all'unità del racconto;

    c) il ragazzo è fortemente moralista, proprio per l'esperienza di socializzazione che sta vivendo e che lo porta a confrontarsi con gli altri valutando cioè che e giusto e ciò che non lo è. L'animatore eviti, quindi, dì voler concludere i dibattiti con «morali» più o meno posticce. Il ragazzo avverte ciò che è artificioso, sovrapposto, frutto di prepotenza anche solo psicologica. E una esperienza falsa è sempre antieducativa;

    d) il ragazzo è felice delle cose che scopre da sé. L'animatore eviti imporre la propria lettura e le proprie valutazioni. Accetti i ritmi lenti e faticosi che a volte bisogna accettare non abbia fretta di arrivare a conclusioni. Rispetti sempre i ragazzi per quello che sono: i ragazzi nascono autentici, il vero animatore-educatore deve evitare di farne delle copie di sé.
    Il cineforum resta fondamentalmente un'operazione valida quando riesce ad attivare nei ragazzi un processo di defervescenza dell'esperienza emotiva fatta durante la proiezione, appellandosi ai dinamismi linguistici tipici della comunicazione filmica.

    Cineclubs. Nascono come reazione alla considerazione del cinema come «divertimento da iloti». Si avverte che il cinema non è più solo divertimento, ma può essere forma di espressione e forma d'arte. Nascono così i templi dove i «patiti del cinema» andavano per adorare la loro decima musa, Oggi, superata la restrittiva identificazione cinema = arte, i cineclubs hanno di fronte a sé uno spazio molto più aperto. Anche a livello di ragazzi i cineclubs si presentano come associazioni di ragazzi che si trovano insieme con continuità, con frequenza e con metodicità, per un comune interesse attorno al fenomeno cinema. L'attività dei cineclubs va oltre la semplice esperienza del «cineforum», ma, non la esclude, anzi, la valorizza. Il film non e più un «discorso a», ma «un dialogo con». Il numero ristretto dei partecipanti, già aperti a un dialogo amicale, facilita la compartecipazione e la corresponsabilizzazione. Il cineclub, animato da un educatore attento e sensibile, è la forma privilegiata per un'autoliberazione e per un'autentica socializzazione che attraversi e spezzi le maglie della struttura fortemente schiavizzante e alienante del fenomeno cinematografico.
    Nel cineclub si compie un lavoro di studio dell'immagine, di raccolta di sussidi, di programmazione e studio di film, di preparazione di schede su film, registi, attori, ecc.
    Il cineclub è in genere costituito da 12-15 elementi: il numero ristretto permette un maggior interscambio di idee e di esperienze e facilita per tutti un rivestimento di ruoli, Nessuno deve sentirsi rimorchiato o escluso. Da quanto ci è dato conoscere, oggi in Italia non esiste ancora una legge che faciliti questa attività per i «minori» (la legge 1213 prevede norme e contributi solo per chi ha superato i 16 anni). A supplenza di ciò esiste un'associazione di «volontari» (il Comitato per la. Cinematografia dei Ragazzi con sede in Roma) che, con la collaborazione della Scuola e di altri enti (per esempio il Centro Nazionale Film per la Gioventù presso l’UNESCO), opera da anni per la formazione di quadri di animatori per la diffusione dei cineclubs per ragazzi, e con proposte di interventi legislativi a favore dei cinecircoli di ragazzi.

    Film-making. È l'esperienza educativa forse più significativa e completa. L'apprendimento del linguaggio filmico avviene «facendolo è una educazione al film con il film. Per i ragazzi questa attività assume anche i connotati del gioco. Si tratta di organizzare il lavoro in modo da occupare lo spazio creativo-ludico che tanto spesso viene a mancare nel processo di formazione del ragazzo. Girare un breve film è per il ragazzo un grande divertimento, da non intendersi, come per l'adulto, come sinonimo di distrazione o evasione. Per il ragazzo è attività creativa, liberante, gratuita, partecipativa. Nell'attività del, film-making (il film scritto e girato dai ragazzi) il preadolescente impugna la cinepresa e ne fa un uso ragionato che lo porta ad essere costruttore e non soltanto consumatore di comunicazioni.
    Il film-making è entrato sempre più vigorosamente nelle scuole e nei cineclubs come autentico strumento di «espressione». L'apprendimento del linguaggio filmico e dei suoi codici non passa più soltanto attraverso la ricerca teorica, ma si concretizza in esperienze molto concrete nelle quali il linguaggio viene manipolato e usato direttamente dai ragazzi in fase di «scrittura».
    Gli esempi più significativi sono offerti da brevi film girati dai ragazzi all'interno dei quartieri, nei cenni storici delle grandi città, lungo i fiumi o le spiagge devastate dall'inquinamento o con brevi racconti che mettono in rilievo i tratti più caratteristici della preadolescenza con le sue attese, le sue qualità e le sue tensioni.
    Il ragazzo dietro la cinepresa diventa una persona che gestisce culturalmente e socialmente il dialogo con la comunità in cui si trova a vivere. Il cinema, da mezzo di comunicazione, viene promosso anche a strumento di partecipazione sociale. Il ragazzo si apre ad un dialogo sociale e politico. Che è nuovo, grazie alla novità dello strumento cinematografico che allarga le sue possibilità di intervento sul reale. Potrebbe sembrare un passaggio utopico, ma le esperienze che in numero sempre più consistente si vanno attuando indicano una fattibile strada di ulteriore maturazione del preadolescente che gestisce la propria crescita con modalità che aprono a responsabilità e valori che oggi si vanno riscoprendo.
    Per l'esperienza del film-making la difficoltà che sorge immediata si riferisce al problema economico. Oggi, tuttavia, esistono attrezzature di facile acquisto. Nessuno pretende far concorrenza agli impianti faraonici della grande industria cinematografica. I complessi scolastici sono quasi sempre molto forniti, qualche volta anche troppo in riferimento alla capacità di, utilizzazione che ne viene fatta. A volte, soprattutto per i cineclubs che non hanno riferimento con la scuola, è sufficiente farsi prestare una cinepresa super 8 e una moviola per il montaggio. In questo lavoro di film-making, infatti, la vera azione educativa non si esercita soltanto in fase di ripresa o di montaggio, ma soprattutto nel paziente lavoro di studio, di organizzazione, di confronto di idee, di proposta di argomenti, di analisi del linguaggio da usarsi, tutto ciò insomma che precede il momento della proiezione.
    Per chi poi fosse sprovvisto anche della più modesta cinepresa resta sempre, la possibilità di entrare dentro il meccanismo del linguaggio filmico, di appropriarsene, e di usarlo con mezzi più semplici ma non meno validi e significativi sotto l'angolazione educativa. Esemplificazioni e stimoli molto interessanti si trovano, a questo proposito, nell'opera di Maurizio Della Casa «Facciamo cinema» edita da Paravia.

    CONCLUSIONE

    Terminiamo queste rapide annotazioni con un richiamo al ruolo dell'animatore. La qualificazione dell'animatore è il punto cruciale ed è essenziale alla riuscita di qualsiasi sperimentazione nell'ambito dell'educazione filmica. È errato pensare che il film educhi da sé, anche se il film è positivo sotto tutti i punti di vista. La presenza dell'educatore tra il «medium» e il recettore è indispensabile, proprio per le caratteristiche linguistiche del film. È una presenza di mediazione che passa attraverso la croce. L'educatore-pastore fa sua l'esperienza di Giovanni Battista («Ora questa mia gioia è compiuta. Egli deve crescere e io invece diminuire» Gv 3,30) e l'esperienza della kenosis, per una pasqua di liberazione, vissuta dal Cristo. L'educatore-pastore rinuncia ai ruoli di potere e di prestigio (è un «par inter pares») che coincidono con la propria cultura, la propria sicurezza, il proprio essere più in alto. Non è l'autorità che si impone ed esige di dire l'ultima parola. Il vero animatore è colui che si mette sulla stessa strada dei ragazzi, li sollecita e il incoraggia ma senza distaccarli, colui che fa la stessa fatica di ascesa soffrendo di più perché costretto a rallentare il proprio ritmo di marcia adeguandolo a quello dei suoi ragazzi. L'educatore, oltre la competenza tecnica necessaria, deve possedere queste due grandi qualità morali: la pazienza e l'umiltà.

    NOTE

    [1] EDGAR MORIN, L'industria culturale, 11 Mulino, 1974, p. 9.
    [2] MARSHALL Mc LUHAN, Gli strumenti del comunicare, Il Sagigatore, 1974, pp. 303-305.
    [3] Riteniamo opportuno precisare l'accezione del termine «cultura e fruizione culturale» che ci sembra di importanza fondamentale dal momento che, secondo il nostro punto di vista,è quel complesso di valori a cui è orientata l'azione educativa dell'animatore cristiano.
    a) Cultura è il patrimonio di valori selezionato e tramandato dà una generazione all'altra. 
    b) Cultura è produzione di valori e di modelli a cui •tutta la collettività. partecipa. Non si tratta solo di ereditare una civiltà, ma di attivizzarsi per una produzione di altri beni che accrescono e arricchiscono il patrimonio culturale.
    e) Cultura, in senso antropologico, è l'insieme :di esperienze, di tecniche, di comportamenti, di ideologie che sono state raccolte e assimilate da una comunità è che la definiscono rispetto ad altre. In questo senso cultura è il modo di vestire, di arredare la casa, di divertirsi, di manifestare proprio atteggiamento religioso, morale, ecc.
    Trattandosi della formazione del ragazzi, non è possibile isolare o escludere nessuna di queste varie eccezioni. L'educazione deve rendere possibile la partecipazione alla cultura come patrimonio di cui il ragazzo può e deve servirsi; con creazione di valori per i quali devono essere sollecitate capacità creative, linguistiche, musicali, iconografiche, poetiche, ecc.; e inoltre. come partecipazione-comunicazione di esperienze e di modelli di comportamento.
    L'educatore sarà pertanto preoccupato che il ragazzo fruisca culturalmente una data esperienza nel senso che la sua azione mirerà a non imporla forzando i ritmi di assimilazione e di crescita del ragazzo, ma lo aiuterà in modo che autononamente e secondo la propria misura di recezione possa tesaurizzarla.
    [4] N. TADDEI, Mass- media e libertà, Libreria Dessi (Sassari), 1972.
    [5] JEAN-MARIE PETERS, Leggere l'immagine, LDC-Torino, 1973„ p. 14.


    T e r z a
    p a g i n A


    NOVITÀ 2024


    Saper essere
    Competenze trasversali


    L'umano
    nella letteratura


    I sogni dei giovani x
    una Chiesa sinodale


    Strumenti e metodi
    per formare ancora


    Per una
    "buona" politica


    Sport e
    vita cristiana
    rubrica sport


    PROSEGUE DAL 2023


    Assetati d'eterno 
    Nostalgia di Dio e arte


    Abitare la Parola
    Incontrare Gesù


    Dove incontrare
    oggi il Signore


    PG: apprendistato
    alla vita cristiana


    Passeggiate nel
    mondo contemporaneo
     


    NOVITÀ ON LINE


    Di felicità, d'amore,
    di morte e altro
    (Dio compreso)
    Chiara e don Massimo


    Vent'anni di vantaggio
    Universitari in ricerca
    rubrica studio


    Storie di volontari
    A cura del SxS


    Voci dal
    mondo interiore
    A cura dei giovani MGS

    MGS-interiore


    Quello in cui crediamo
    Giovani e ricerca

    Rivista "Testimonianze"


    Universitari in ricerca
    Riflessioni e testimonianze FUCI


    Un "canone" letterario
    per i giovani oggi


    Sguardi in sala
    Tra cinema e teatro

    A cura del CGS


    Recensioni  
    e SEGNALAZIONI

    invetrina2

    Etty Hillesum
    una spiritualità
    per i giovani
     Etty


    Semi e cammini 
    di spiritualità
    Il senso nei frammenti
    spighe


    Ritratti di adolescenti
    A cura del MGS


     

    Main Menu