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    Vocazione cristiana e vocazione sacerdotale e religiosa



    Giuseppe Groppo

    (NPG 1975-03-02)

    Con una serie di interventi successivi, stiamo affrontando un tema che riteniamo qualificante per la pastorale giovanile: la sua dimensione vocazionale, sia in riferimento alla generale vocazione cristiana sia come «apertura» reale a vocazioni specifiche (sacerdotali o religiose). È dalla chiarezza sulla meta che si illumina tutto il processo metodologico, caratteristico dell'impegno educativo.
    Ma e proprio in riferimento all'obiettivo che e importante dissipare alcuni «equivoci», ancora ricorrenti.
    Se si considera l'animazione vocazionale come un impegno privilegiato della pastorale giovanile, sembra che non si possa disattendere da parte degli operatori pastorali la necessità di una verifica teologica di alcune affermazioni, riguardanti la vocazione umana e cristiana e, al di dentro di quest'ultima, le «vocazioni di speciale consacrazione», quali quella sacerdotale e religiosa.
    Fare una verifica teologica, oggi, vuol dire tentare di comprendere e giudicare tali vocazioni alla luce della Scrittura, vissuta e interpretata dalla Chiesa (= ricorso al passato), in previsione però delle situazioni nuove in cui il cristiano si viene a trovare (= apertura al futuro), allo scopo di aiutare le comunità cristiane e, al di dentro di queste, i singoli cristiani a interpretare e a vivere la loro fede con sempre maggior coerenza nel contesto concreto di una storia in rapida evoluzione. L'autore, un teologo impegnato nel campo della «teologia dell'educazione», procede nel modo seguente:
    * parla anzitutto della vocazione integrale dell'uomo alla salvezza cristiana liberante e alla santità umanizzante;
    * per passare quindi a trattare dell'impegno della comunità ecclesiale nei confronti di tale vocazione;
    * considera in terzo luogo, al di dentro di quest'unica vocazione integrale, le due vocazioni particolari al sacerdozio e alla vita religiosa;
    * concludendo con pochi cenni ai compiti fondamentali della comunità ecclesiale (e in particolare della pastorale giovanile) nei confronti di queste due vocazioni particolari. Il tema, come si vede, è di estremo interesse pastorale: merita quindi una riflessione attenta e meditata.

    LA VOCAZIONE INTEGRALE DELL'UOMO: LA SALVEZZA CRISTIANA LIBERANTE E LA SANTITÀ UMANIZZANTE

    Per l'uomo esistono due finalità o vocazioni diverse, quella umana e quella cristiana, oppure ne esiste una sola, quella cristiana? più radicalmente ancora: uomo e cristiano sono due entità diverse? esiste una vera distinzione tra natura e grazia? tra ordine naturale e ordine soprannaturale? tra Chiesa e umanità?
    Questi problemi non sono di oggi soltanto. Sono già stati vissuti e sofferti nella storia della Chiesa secondo prospettive e sensibilità problematiche diverse. Dopo il Vaticano II la riflessione teologica li ha ripresi e approfonditi.
    Pensiamo che il principio generale per una loro giusta soluzione possa essere il seguente: come in cristologia così in antropologia e in ecclesiologia sono da evitarsi due deviazioni, il monofisismo riduttore da una parte e il nestorianesimo separazionista dall'altra.[1]

    Superamento della prospettiva dicotomica tra finalità umane e cristiane

    Se fu una conquista per il pensiero cristiano la scoperta e l'approfondimento della distinzione tra natura e grazia, attuati dalla riflessione teologica nei secoli XII e XIII, fu certo una disavventura e un regresso l'aver introdotto, nel secolo XVI, nell'ambito della teologia e della prassi pastorale l'idea di una rigorosa separazione tra l'ordine naturale e quello soprannaturale.[2]
    Questa dicotomia ebbe come conseguenza l'attribuzione all'uomo e al cristiano di due finalità o vocazioni non solo diverse ma separate e disarticolate.
    In quanto creatura razionale, appartenente all'ordine naturale, l'uomo fu pensato come un'entità a sé, avente come sua finalità la perfezione naturale, concepita prima in termini umanistico-individualistici (sviluppo della persona in tutte le sue facoltà mediante la cultura) e poi in prospettiva societaria (progresso della comunità umana nei diversi settori: sociale, economico, politico, scientifico-tecnologico, ecc.).
    Invece in quanto cristiano, cioè redento da Cristo e appartenente all'ordine soprannaturale, all'uomo fu attribuita un'altra finalità, nettamente separata e disarticolata dalla prima: la salvezza dell'anima, la salvezza eterna, il paradiso, da raggiungersi mediante la santità, pensata spesso in termini disumanizzanti.
    Le due finalità venivano percepite, soprattutto a livello di prassi pastorale, come estranee, anzi spesso in contrasto tra loro. Sembrava molto difficile impegnarsi seriamente per il raggiungimento della seconda, senza in qualche modo doversi disinteressare della prima o addirittura disprezzarla. Al più la si strumentalizzava in funzione della salvezza dell'anima. Quest'antropologia dicotomica non fu senza riflessi sull'ecclesiologia. Ci si dimenticò praticamente che la Chiesa è, nella sua realtà più profonda e prima di tutto, popolo di Dio in cammino verso la parusia del Signore, e che, come tale, è coestensibile a tutta l'umanità, radicalmente salvata nel Cristo.[3] La si vide quasi esclusivamente come istituzione di salvezza in senso riduttivo e individualistico (salvare le anime, portarle in Paradiso). I valori e le finalità terrene pertanto furono considerati come qualcosa che non interessava direttamente la Chiesa, una specie di ambiente neutro dal punto di vista salvifico, al cui interno, qualunque fosse, si doveva proiettare la grazia e la possibilità di salvarsi alle singole anime. In breve: la modificazione di questo mondo per renderlo più libero e più umano non fu percepito come compito proprio della Chiesa.[4] Questo ultimo è inteso in senso piuttosto riduttivo: operare e predicare per la salvezza delle anime, combattere il peccato come causa di tutti i mali che opprimono l'umanità, alleviare con la carità le sofferenze umane. In certi passi scritturistici (1 Cor 7,20-24.31; Ef 6,5-9; Col 3,22-4,1; Filem 16) e nel comportamento della Chiesa dei Padri verso la schiavitù si pretese trovare un fondamento biblico e patristico in favore di questa concezione dicotomica della salvezza cristiana.

    Relativa autonomia delle realtà e finalità temporali

    La scoperta e l'affermazione di una relativa autonomia delle realtà e finalità terrene e temporali è avvenuta molto prima del Vaticano II. Comunque è certo che nel Concilio essa fu affermata in modo esplicito (cf GS 33-39, soprattutto 36).
    Contro ogni forma di monofisismo riduttivista viene oggi affermata chiaramente non solo la distinzione (non la separazione però) tra i due ordini di realtà e finalità: naturali e soprannaturali, ma anche la relativa autonomia delle prime rispetto alle seconde.
    Questo significa che le finalità specificamente cristiane non dovranno mai assorbire o strumentalizzare quelle specificamente umane e temporali. Pertanto la promozione di una cultura umanizzante e liberante per tutti (alfabetizzazione delle zone sottosviluppate, ecc.); la promozione della sanità pubblica (ospedali, cura degli handicappati fisici e psichici, difesa dell'ecologia, ecc.); l'azione politica per la liberazione dalle diverse oppressioni dei poveri e degli emarginati, ecc., tutto questo è buono, non solo perché serve a coloro che lo compiono per salvarsi l'anima e andare in Paradiso, ma lo è per se stesso, perché esprime una gamma di finalità umane autentiche, quindi valide per se stesse e relativamente autonome nei confronti di quelle specificamente cristiane.
    Il costume passato di strumentalizzare in modo più o meno diretto istituzioni a finalità temporale per raggiungere fini specificamente cristiani, oltre a rivelarsi oggi come qualcosa di arcaico a causa del clima secolarizzato in cui viviamo, è anche in se stesso teologicamente riprovevole. Tuttavia affermare la distinzione tra finalità specificamente umane e finalità specificamente cristiane e la relativa autonomia delle prime nei riguardi delle seconde non significa in alcun modo ricadere nell'errore denunciato prima, quello cioè di separare tali finalità ed estraniarle mediante una concezione dicotomica della vita umana e dell'attività della Chiesa.

    La salvezza cristiana liberante come vocazione integrale dell'uomo

    Le chiarificazioni precedenti ci permettono ora di definire le dimensioni e i contenuti della finalità o vocazione integrale dell'uomo, concepita come salvezza cristiana liberante.
    * La vocazione integrale dell'uomo va anzitutto concepita in termini comunitari: è la salvezza di tutta l'umanità nel Cristo. Tutta la famiglia umana è chiamata ad essere salvata da Cristo e a salvarsi nel Cristo. Israele prima e la Chiesa poi non sono altro che segno o sacramento (la seconda in maniera più piena) della presenza salvifica dello Spirito di Cristo nella storia umana. Solo all'interno di questa salvezza comunitaria si realizza la salvezza dei singoli.
    * In secondo luogo la vocazione integrale dell'uomo va concepita in termini di totalità: è la salvezza di tutto l'uomo in Cristo, e non dell'anima soltanto, cioè ha anche una dimensione corporale e non solo spirituale. La salvezza cristiana vuole essere salvezza di tutto l'uomo, di tutti i suoi valori, di tutte le sue dimensioni, anche di quelle temporali.
    * In terzo luogo la vocazione integrale dell'uomo, concepita come salvezza cristiana, si attua già quaggiù sulla terra fin d'ora, pur avendo come punto di arrivo, come meta finale, il mondo parusiaco. Per la morte e risurrezione di Cristo, per la presenza del suo Spirito questo traguardo è già posseduto nella speranza.
    * Infine la salvezza cristiana, a cui tutta l'umanità è chiamata, è dono e impegno. È dono di Dio nel Cristo all'uomo peccatore. Però è un dono che attende una risposta, un impegno che si traduca in fede, speranza e carità. La fede e l'amore verso Dio si dimostra nell'amore ai fratelli.
    Il compito fondamentale del cristiano è quello di animare quel plesso di rapporti umani, che costituisce le varie comunità, con un amore oblativo, un amore cioè che non strumentalizza mai le persone, singole o associate, ma le serve. Tale amore arriva a denunciare con coraggio ogni oppressione dell'uomo sull'uomo, dovunque essa avvenga, e a pagare di persona per la liberazione di tutti gli oppressi.
    Come si vede, la vocazione integrale dell'uomo, concepita in termini di salvezza cristiana, è sempre di diritto anche promozione umana integrale, umanizzazione piena dell'uomo, liberazione totale, almeno nel desiderio e nella speranza.
    È compito essenziale dell'annuncio cristiano proclamare l'integralità di questa salvezza liberante; è compito ineludibile della comunità cristiana operare per questa salvezza e liberazione integrale dell'uomo[5].

    La vocazione dell'uomo alla santità è umanizzante

    Tutta l'umanità dunque è chiamata a salvarsi integralmente nel Cristo in pienezza di unità e di fraternità. La meta di questa salvezza liberante e umanizzante è il mondo parusiaco. L'umanità è in cammino verso questa meta, assistita e guidata dallo Spirito di Cristo, operante nel cuore degli uomini, perché rispondano con l'amen della fede e l'adesione dell'amore, nella speranza, al dono del Padre Celeste.
    Si noti bene: è tutta l'umanità, e non solo la Chiesa, in cammino verso il mondo definitivo; è in tutta l'umanità e non solo nella Chiesa, che opera lo Spirito; è tutta l'umanità, e non solo la Chiesa, chiamata a rispondere all'amore del Padre nel Cristo. Tuttavia la Chiesa è il segno o sacramento di questo amore del Padre nel Cristo e della presenza dello Spirito nel cuore degli uomini. Essa ha quindi la missione di testimoniare con la vita e la parola tutto questo nel mondo. A dono maggiore corrisponde maggior responsabilità. L'impegno pertanto di rispondere all'azione dello Spirito e al dono del Padre è, in un certo senso, più pressante nella Chiesa - nelle singole comunità cristiane - che in tutti gli altri uomini.
    Questa vocazione ad una risposta totalizzante al dono di Dio nel Cristo e che si esprime nella fede, speranza e carità, in linguaggio cristiano si chiama vocazione alla santità.
    La vocazione alla santità non è che l'aspetto soggettivo della vocazione alla salvezza cristiana.
    * Come questa è anzitutto universale. Il Vaticano II lo ha affermato esplicitamente in piena aderenza al messaggio biblico (cf LG 39-41). Secondo la tradizione biblica infatti non esiste che un'unica perfezione evangelica, a cui tutti sono chiamati. Il Signore non ha tracciato una gerarchia di partecipazione all'ideale che egli propone alla libertà responsabile di tutti gli uomini; non esistono cristiani di prima e seconda classe. Tutti indistintamente sono chiamati alla santità.
    * Questa vocazione alla santità è in secondo luogo radicale o totalizzante. Essa infatti si presenta come una meta che non ammette eccezioni e che investe tutto l'uomo, imponendogli spesso opzioni quanto mai radicali.[6] Riprenderemo più avanti questo discorso.
    * La vocazione alla santità infine è umanizzante. Come la vocazione alla salvezza cristiana, vista nella sua integralità, implica un processo di liberazione dell'uomo da ogni oppressione, così la vocazione alla santità, per la sua stessa natura, coinvolge la tensione verso una piena maturazione umana, sia a livello individuale che comunitario.
    Questa affermazione ha un suo fondamento biblico. Se è vero che il Vangelo non conosce cristiani di prima e seconda categoria nei confronti dell'ideale di santità che esso propone, tuttavia, all'interno di questa tensione totalizzante verso la perfezione cristiana o santità, distingue i «nepioi» o i non-ancora-maturi, cioè coloro che non hanno ancora raggiunto la piena statura nel Cristo, e i «teleioi» o adulti-maturi nel Cristo (cf 1 Cor 2,6; 3,1-2; 13,10-11; 14,20; Col 1,28; Ef 4,13; Fílip 3,12-1;). È chiaro che qui si tratta di un grado di maturità nel Cristo che dovrà essere sempre sorpassato. L'esigenza di questa crescita nella fede, speranza e carità, però, è tale da coinvolgere tutto l'uomo, spingendolo ad acquisire quella maturità umana, compossibile con la sua situazione psichica e socio-culturale, senza della quale non gli sarebbe possibile vivere integralmente le esigenze della vocazione cristiana alla santità.[7]

    L'IMPEGNO DELLA COMUNITÀ CRISTIANA NEI CONFRONTI DELLA VOCAZIONE INTEGRALE DELL'UOMO

    È duplice. Superando la prospettiva dicotomica e riduttrice:
    1) non disgiungere l'azione evangelizzatrice e sacramentalizzatrice dall'impegno politico di liberazione dell'uomo da tutte le forze che lo opprimono e lo disumanizzano;
    2) concepire e promuovere la perfezione della santità cristiana in termini che non siano disumanizzanti.
    Tentiamo di spiegare brevemente queste due affermazioni.

    Azione pastorale non disgiunta dall'impegno politico di liberazione dell'uomo

    Abbiamo già visto che la concezione dicotomica delle realtà e finalità umane e di quelle cristiane rischiò di separare l'attività pastorale della Chiesa - come gerarchia e come popolo di Dio - dall'impegno politico per la liberazione dell'uomo. L'annuncio del Vangelo e l'amministrazione dei sacramenti allo scopo di salvare le anime e mandarle in paradiso (= salvezza eterna), lo si vide come estraneo nei confronti della salvezza terrena. Pertanto la Chiesa, di fronte alle diverse forze egemoni (sociopolitiche, economiche, culturali), si preoccupò essenzialmente di assicurarsi uno spazio sufficiente per la sua azione evangelizzatrice e sacramentalizzatrice (il regime concordatario con gli stati è significativo in questo senso), senza badare troppo se tali forze egemoni erano oppressive o liberanti per l'uomo. Soprattutto a livello di prassi pastorale, si era inclini a giudicare un potere politico come buono o cattivo in base allo spazio ampio o ristretto che esso dava alla Chiesa e alla sua attività pastorale, e non invece principalmente in base alla carica liberante o oppressiva delle sue strutture.[8]
    Il superamento di questa concezione dicotomica a livello antropologico ed ecclesiologico, ampiamente promosso dagli ultimi Papi e dal Concilio, ha fatto sì che le comunità cristiane si rendessero sempre più conto di un loro preciso impegno nei confronti della liberazione e promozione umana. Esse oggi stanno prendendo sempre più coscienza che l'azione politica per la liberazione degli oppressi è parte integrante del loro impegno e della loro missione di testimonianza del messaggio di Cristo: la salvezza integrale di tutta l'umanità.
    La missione evangelizzatrice e sacramentalizzatrice della Chiesa non può più essere disgiunta dalla promozione umana. Essa pertanto implica necessariamente: la denuncia coraggiosa di ogni oppressione e manipolazione dell'uomo; la rinuncia - dove è necessario - al «prestigio», al «benessere economico», ecc., pur di non dover scendere a patti con le strutture del potere o le forze egemoni che disumanizzano l'uomo; la testimonianza concreta di servizio per i poveri e gli oppressi.[9]

    Promozione della vocazione alla santità che non trascuri la maturazione umana

    La concezione della santità cristiana in termini più o meno disumanizzanti è stata una realtà che abbiamo vissuto. Forse fu il risultato di una interpretazione, non illuminata, del radicalismo del Vangelo e di quella mentalità dicotomica, che abbiamo denunciato precedentemente.
    Tutti ricordiamo, ad esempio, come l'invito all'obbedienza a Dio e all'autorità umana legittima fosse portato avanti, spesso, con un linguaggio che di fatto ottundeva il senso critico dei fedeli; non sviluppava adeguatamente il loro senso di responsabilità personale e promuoveva un deprecabile infantilismo che non aveva nulla da vedere con l'ideale evangelico. E così l'impegno cristiano ad evitare il peccato e a fuggirne le occasioni prossime diede origine a tutta una pastorale della difesa e della tutela, i cui frutti amari furono sperimentati da molta gioventù, maschile e femminile, educata nelle scuole e nei collegi cattolici. Sono cose risapute, ed è inutile insistervi.
    Il Vaticano II ha fatto giustizia, crediamo, definitivamente di questa concezione.
    Inoltre il pluralismo ideologico e l'ampio processo di secolarizzazione, oggi in atto anche nei paesi e nelle regioni tradizionalmente cattolici, esigono assolutamente che la promozione della vocazione alla santità da parte delle comunità cristiane avvenga in un clima di umanizzazione o, meglio, implichi, come sua parte integrante, la promozione della maturazione della persona singola e della stessa comunità ecclesiale, in cui essa è inserita.
    * Concretamente, si esige anzitutto che i singoli cristiani siano aiutati dalla comunità ad attuare quella integrazione della personalità, che è la nota caratteristica della maturità umana[10]. Tale integrazione è il risultato della compresenza nel soggetto di due tipi di disposizioni permanenti:
    1) la capacità di cogliere le sue aspirazioni autenticamente umane e di farne le regole della propria condotta, unificandole nello stesso tempo, in modo organico, in un progetto generale di vita, ispirato dall'orizzonte cristiano della fede;
    2) il possesso contemporaneo di tutti quei «tratti» positivi della personalità, che abilitano la persona umana a realizzare con una certa facilità, con soddisfazione, senza grandi dissidi interiori e senza ansie quelle finalità autenticamente umane, contenute nel progetto di vita.
    * In secondo luogo si esige che la stessa comunità maturi, per poter essere veramente educativa, cioè formativa di personalità adulte. Ora sembra che il criterio per giudicare della maturazione di una comunità sia da collocarsi nella dimensione del dialogo: una comunità sarebbe matura, quando i suoi membri sono effettivamente capaci di dialogo come atteggiamento, come comunicazioni e come collaborazione.
    Promuovere pertanto la vocazione cristiana alla santità significa, da parte delle comunità aiutare i singoli ad attrarre una risposta di fede-speranza e carità all'azione salvifica di Dio nel Cristo per mezzo dello Spirito, la quale implichi contemporaneamente e immanentemente un processo di integrazione della personalità e lo sviluppo di un dialogo effettivo con tutti gli uomini.

    I CARISMI E LE VOCAZIONI PARTICOLARI DEL SACERDOTE E DEL RELIGIOSO

    L'esistenza di carismi e vocazioni particolari al di dentro dell'unica vocazione cristiana alla salvezza liberante e alla santità umanizzante ha un solido fondamento biblico ed è stata oggetto di riflessione teologica lungo i secoli della storia della Chiesa.
    Il Concilio Vaticano II si è occupato diffusamente di queste vocazioni particolari, non limitandole, però, a quelle del sacerdote e del religioso (cf CD 15; AGD 15); anzi insiste molto sulla specifica e pluriforme vocazione del laicato cristiano (LG 31; 32-38; AA 4; 5-7; 11; GS 36; 52; GE 5; 8).
    Per restare nel tema che ci siamo prefissi, limiteremo tuttavia le nostre riflessioni alla vocazione sacerdotale e a quella religiosa, che chiamiamo «particolari» e non «speciali» o, come si dice anche, «di speciale consacrazione», proprio perché questa seconda espressione linguistica sottende un modo di vederle, che le privilegia di fronte alle altre, cosa questa che oggi appare piuttosto problematica.
    Si pensa infatti da molti che il carisma e la vocazione al sacerdozio e alla vita religiosa non costituiscano i chiamati in uno stato di privilegio, quanto alla salvezza e alla santità, nei confronti dei carismi e delle vocazioni degli altri cristiani. Il sacerdozio ministeriale e la vita religiosa quindi non sarebbero una specie di prima classe per i cristiani in viaggio verso l'eternità. Qui la classe è unica per tutti, anche se le situazioni e l'equipaggiamento, con cui si fa il viaggio, sono diversi.

    Specificità del carisma e della vocazione particolare al sacerdozio ministeriale

    Intendiamo parlare del sacerdozio ministeriale (non di quello universale comune a tutti i battezzati), che ha il suo fondamento e la sua origine prossima nell'azione con cui Cristo istituì l'apostolato sotto l'aspetto di ministero permanente (il suo fondamento ultimo sta invece nel fatto che la Chiesa, voluta da Cristo, non è solo popolo di Dio, ma anche istituzione di salvezza).
    Il sacerdozio ministeriale suppone i sacramenti dell'iniziazione cristiana e la realtà della grazia, che essi comunicano; è conferito mediante un sacramento originale, l'ordine, in modo graduale (diaconato, presbiterato, episcopato.
    A coloro che lo ricevono apporta una partecipazione nuova e più ampia al carisma e alla missione profetica, cultuale e pastorale del Cristo, cioè, a quell'aspetto per cui Cristo è il capo del Corpo Mistico ed esercita su di esso quell'autorità-servizio, necessaria per costruirlo e farlo crescere (cf LG 10,28; PO 1-3).
    Il sacerdozio ministeriale consacra e santifica (oggettivamente) colui che ne è partecipe in vista di una funzione, di un ministero permanente nella Chiesa universale (PO 10-11).
    Queste cose non vanno dimenticate, quando si parla della vocazione al sacerdozio ministeriale.
    Qui però il termine «vocazione» assume un significato prevalentemente biblico. La Bibbia infatti ignora l'accezione, assai comune nel linguaggio corrente, di vocazione come attrattiva, inclinazione verso qualcosa. Per la Bibbia la vocazione è una chiamata di Dio, pienamente libera, la quale può essere anche in contrasto con le inclinazioni personali (caso di Geremia). E nel N.T. (At 1,15-26; 6,2-6; 14,23; 10,17; ecc.; Epistole pastorali; Ebr 5,4; ecc.) appare chiaramente che la chiamata ai ministeri è essenzialmente ecclesiastica, nel senso forte del termine. il: la comunità a scegliere i suoi ministri per quel determinato posto o ministero; a discernere le attitudini; a imporre le mani ai candidati; a inviarli in missione evangelizzatrice.
    Perciò la vocazione al sacerdozio ministeriale, nel suo significato biblico, non è altro che una chiamata individuale di Dio per mezzo della comunità ecclesiale, mediante la quale si separa dal resto della comunità un cristiano (che non sia un neofita), per il servizio proprio dell'autorità, il cui compito è di costruire e far crescere la comunità stessa nella salvezza liberante e nella santità umanizzante e, indirettamente, tutta la comunità umana.[11]
    La comunità cristiana ha bisogno del sacerdozio ministeriale per sopravvivere e per crescere. In passato le comunità cristiane sono giunte perfino a forzare moralmente qualche candidato riluttante, perché accettasse, tanto viva era la coscienza della funzione della comunità in questo tipo di vocazione.
    Non si tratta qui di ritornare indietro; il rispetto della libertà delle persone non lo permette. Si tratta invece di comprendere più profondamente la specificità della vocazione al sacerdozio ministeriale e di trarne le debite conclusioni sul piano pastorale della promozione vocazionale. Anche se di fatto, oggi, ordinariamente al sacerdozio ministeriale è unito al celibato (almeno per i presbiteri e gli episcopi), e quindi la vocazione ad esso ha qualcosa in comune con la vocazione religiosa, di diritto le due vocazioni sono distinte, e la loro promozione deve attuarsi secondo parametri distinti, anche se complementari.
    Ciò che costituisce la vocazione sacerdotale è da collocarsi nel servizio, e più precisamente in quel servizio che presta l'autorità, evangelicamente intesa, alla comunità cristiana anzitutto, e conseguentemente a tutta la comunità umana, perché possano realizzare quella salvezza integrale, a cui tutti gli uomini sono stati chiamati, attraverso una santità umanizzante.

    Specificità del carisma e della vocazione particolare alla «vita religiosa»

    Il termine «vita religiosa» ha assunto ormai nel linguaggio ecclesiastico e canonico un significato preciso: è quel tipo di vita cristiana, caratterizzato dalla pratica dei «consigli evangelici» (castità, povertà e obbedienza), che, sia pure in forme e secondo modalità diverse, è sempre esistito nella Chiesa, fin dalle origini (cf PC 1).
    Siamo convinti che la «vita religiosa», intesa in questo senso, abbia il suo fondamento nel Vangelo, anche se, probabilmente, si deve rinunciare a trovare nei testi del N.T. affermazioni precise ed esplicite in questo senso.
    Questo fondamento va ricercato nel radicalismo, implicito nella vocazione cristiana alla santità. Il Vangelo infatti presenta la perfezione o santità, a cui tutti sono chiamati, come un fine che non ammette eccezioni. Tutti lo devono raggiungere, assumendo i mezzi necessari (assai diversi gli uni dagli altri secondo i diversi doni o carismi ricevuti), per quanto radicali ed assoluti questi possano sembrare, ogni volta che le circostanze lo esigono.
    Le espressioni di Gesù, quanto mai forti e radicali, quali: odiare il padre, la madre, la propria vita; tagliare la mano, strappare l'occhio; rinunciare alle ricchezze; restare separato dalla moglie senza risposarsi, ecc., valgono per tutti i cristiani. Tutti i cristiani, quando le circostanze lo esigano, sono chiamati a mettere in opera questa radicalità nella loro risposta all'amore di Dio.
    L'esempio caratteristico di questo tipo di vita cristiana radicale, noi lo ritroviamo anzitutto nei primi discepoli di Gesù (principalmente gli apostoli), i quali hanno lasciato tutto per seguirlo, e poi nella comunità primitiva pentecostale, molti membri della quale avevano venduto tutto per vivere l'impegno cristiano in comunione di beni coi fratelli.
    Non c'è dubbio che tutto questo rimase (e rimarrà) paradigmatico lungo tutta la storia della Chiesa, come espressione esistenziale e vissuta della radicalità di quelle esigenze, che la parola di Dio, manifestatasi in Cristo, ha sull'uomo (qui infatti appare chiaramente quanto sia totalizzante la conversione o metanoia cristiana), e, a nostro avviso, costituisce il vero fondamento della vita religiosa nella Chiesa. Come si vede, in questo modo la vita religiosa non si distacca dalla vita del semplice fedele, ma la continua, mettendone però in rilievo tutta la vastità e profondità di impegno.
    Abbiamo detto che si tratta di un carisma e di una vocazione particolari. Infatti la scelta di questi mezzi radicali dovrebbe avvenire solo quando è presente il carisma (dono dall'alto, che suppone le attitudini necessarie per questo tipo di vita) e quando si è raggiunta una sufficiente maturità umana, da poter fare un'opzione veramente libera in questo senso.
    Qui non è più la comunità che chiama un cristiano per un servizio, quale quello del sacerdozio ministeriale; qui è la voce dello Spirito che opera all'interno di ciascuno, la quale, in certi casi, a chi ne abbia ricevuto il dono, mostra a quale radicalità di impegno lo può portare la sua conversione.
    Questa voce però nella quasi totalità dei casi non è voce miracolosa e sensibile. È una realtà, che la persona, nel suo processo di sincera conversione a Dio, deve poter riconoscere con la sua ragione così come si manifesta nei «segni» (interiori, esteriori, segni dei tempi...), per poterla poi seguire.
    Solo una persona matura può avere questo discernimento. Di qui la necessità di una pastorale delle vocazioni che aiuti adolescenti e giovani a scoprire gradualmente, nell'ambito della loro vocazione cristiana integrale, a quale vocazione particolare Dio li chiami: quella laicale nella sua pluriformità, oppure quella sacerdotale o quella religiosa.
    Quest'ultima, di fronte alle altre, si caratterizza unicamente come vocazione cristiana. Non è essenzialmente una vocazione al servizio dell'autorità che edifica il Corpo di Cristo, come quella sacerdotale, anche se le due vocazioni possono congiungersi nell'unica persona. Nella sua essenzialità la vocazione alla vita religiosa è vocazione a una testimonianza esistenziale: offrire al mondo che non crede un tipo di attrazione della propria vocazione alla salvezza liberante e alla santità umanizzante, che manifesti fino a qual punto può portare l'amore di Cristo e degli uomini.

    L'AZIONE PASTORALE DELLA COMUNITÀ CRISTIANA

    A proposito di questo punto, mi limiterò a dire che la comunità cristiana anzitutto non può disattendere queste vocazioni particolari, il che è ovvio, dopo quanto abbiamo detto; ma neppure deve cadere nell'errore opposto, abbastanza comune nel recente passato, di preoccuparsi quasi esclusivamente di esse, fino al punto di identificare l'espressione: «avere vocazione» con l'altra :«avere la vocazione al sacerdozio o alla vita religiosa». La comunità cristiana deve inoltre creare le condizioni adatte, perché queste vocazioni particolari, possano venir scoperte e seguite da coloro che ne hanno ricevuto il carisma, ricordando tuttavia che le due vocazioni--al sacerdozio e alla vita religiosa--pur essendo di fatto molto affini, sono profondamente distinte, per la diversa funzione che hanno nella Chiesa.
    Senza voler entrare in particolari, diciamo solo che il clima in cui possono svilupparsi la vocazione sacerdotale e religiosa è anzitutto quello di una comunità cristiana con forte tensione missionaria. Si deve passare, sia pur gradualmente, nelle nostre parrocchie, da tipi di cristianità sacramentalizzate ma poco o nulla evangelizzate e convertite, a comunità cristiane vere, coscienti, mature (attraverso una maturazione della fede nei singoli), aperte al dialogo col mondo, impegnate in un'opera di evangelizzazione liberante.[12]
    Al di dentro poi delle rinnovate comunità ecclesiali i sacerdoti e i religiosi (le comunità religiose maschili e femminili) devono necessariamente apparire come autentici testimoni della radicalità della concezione cristiana.
    Finalmente, a livello più propriamente di pastorale giovanile, la comunità deve aiutare adolescenti e giovani a maturare umanamente, in modo di essere in grado di porre, fatti adulti, opzioni libere e responsabili.

    NOTE

    [1] Cf Y.-M. CONGAR, Sainte Eglise (Paris, 1963), pp. 69 ss.
    [2] Cf E. CHIAVACCI, «Evangelizzazione e promozione umana. Riflessioni teologiche e opzioni pastorali», in: Catechesi, 43 (1973), n. 17, pp. 16 s. Per una più ampia informazione si veda: H. DE LUBAC, Il mistero del soprannaturale, Bologna, Il Mulino, 1967.
    [3] Cf H DE LUBAC, Cattolicesimo. Aspetti sociali del dogma, Roma, Studium, 1948.
    [4] CHIAVACCI, art. cit., p. 19.
    [5] Ibid., pp. 20, s.
    [6] Cf J.M.R. TILLARD, «Le fondement évangélique de la vie religieuse», in: Nouvelle Revue Théologique, 91 (1969), pp. 916-955.
    [7] Questo problema è stato ampiamente trattato in: G. GROPPO, Educazione cristiana e catechesi, «Quad. di Pedag. Catech. - A 3», Torino-Leumann, Elle Di Ci, 1972; ID., «L'educazione intesa come formazione dell'uomo virtuoso», in: Valore e attualità del sacramento della penitenza (Roma, 1974), pp. 175-193.
    [8] CHIAVACCI, art. cit., p. 17.
    [9] Ibid., pp. 22, ss.
    [10] G. GROPPO, «L'educazione intesa come formazione....», pp. 177 ss.
    [11] Cf C. SPICQ, «La vocation dans les Actes des Apotres et les epitres pastorales». in: Vocation sacerdotale (Paris, 1960), pp. 58 ss.
    [12] Cf G. GROPPO, «Itinerario di maturazione nella fede a dimensione catecumenale», in: Catechesi, 43 (1974), n. 7, pp. 32-49.


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