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    Un nuovo modo di essere «missione»



    I Vescovi dei Paesi Bassi

    (NPG 1975-07/08-88)

    * Riportiamo alcuni brani della lettera pastorale dell'Episcopato Olandese «Una nuova era missionaria», alla cui impostazione ci siamo ispirati per progettare questa monografia (alcuni passi sono citati a testate delle singole parti). Questo contributo ci permette di cogliere in sintesi «quale missione, oggi».
    Il testo completo della pastorale è pubblicato dalla Elle Di Ci, nella collana «maestri della fede».

    CAMBIAMENTI NEL MONDO E NELLA CHIESA UNIVERSALE

    Se la parola «missione» è diventata oggi un termine che suscita in molti più riserve che entusiasmo, non è perché si dubiti che la Chiesa abbia oggi nel mondo una missione da compiere. Il motivo è piuttosto che la parola «missione» fa pensare soprattutto, e quasi esclusivamente, agli enormi sforzi che la cristianità occidentale aveva compiuto nel corso dei secoli per impiantare la Chiesa fuori dell'Europa. È questo tipo di azione missionaria che ha raggiunto la sua fase critica in questa seconda metà del secolo XX. In questa fase la Chiesa è chiamata a riflettere profondamente sopra i suoi punti di partenza, i suoi scopi, i suoi metodi, e nel medesimo tempo sopra un modo nuovo di trasmissione. Questi compiti contengono una sfida che non deve intimorire la comunità cristiana. Tuttavia per molti si è creato un clima di indecisioni e di incertezze, in cui l'entusiasmo di una volta per «la missione» non sfocia facilmente in un impegno nuovo.
    Non è possibile, in quest'ambito, descrivere completamente i cambiamenti recenti nella Chiesa e nel mondo che si ripercuotono in maniera così forte sul lavoro missionario e sull'interesse che ne deriva. Citeremo soltanto gli avvenimenti principali.
    In un tempo breve quasi tutte le colonie delle potenze occidentali hanno acquistato l'indipendenza politica (i paesi che eravamo soliti denominare «paesi di missione» si trovavano specialmente in queste regioni coloniali). I popoli, gli Stati e le culture hanno ormai iniziato tra loro rapporti completamente nuovi. Evidentemente questo influisce moltissimo sopra il lavoro missionario, se tale lavoro è attuato da cristiani d'Occidente e se il punto di partenza sono le Chiese occidentali.
    Nella Chiesa incominciano a prendere consistenza le visuali nuove del Vaticano II circa la fede. Il lavoro missionario è chiamato a giustificarsi di fronte alle idee in evoluzione che riguardano concetti come la libertà di coscienza, il valore salvifico delle religioni non cristiane e il carattere inamovibile delle forme nelle quali la cristianità europea viveva e trasmetteva la fede.
    Nell'azione missionaria si costata una esigenza sempre più marcata di collaborare con le altre Chiese, non soltanto in vista di un servizio sociale o culturale, ma anche attraverso una confessione comune della fede in Dio e in Gesù Cristo, poiché la divisione dei cristiani chiude a molti l'accesso al Vangelo (AG 15).
    Si deve soprattutto comprendere che il modo in cui la Chiesa nella sua globalità o nelle sue espressioni più antiche si presenta al mondo, esercita un influsso decisivo sopra le possibilità che la Chiesa stessa ha di presentarsi ovunque come investita di una missione.

    Collaboratori alla pari

    È necessario che si stabiliscano altri rapporti tra le Chiesa del nostro mondo occidentale e le giovani comunità cristiane dell'Africa, dell'Asia e dell'Oceania, le quali negli ultimi decenni sono diventate Chiese particolari indipendenti. La stessa cosa deve dirsi per le comunità ecclesiali dell'America Latina, che esistono da secoli e che ancora oggi vengono assistite da molti missionari stranieri, ma che affermano con forza la volontà di uno sviluppo proprio.
    In seno alla Chiesa di Gesù Cristo, tutte queste comunità stanno diventando dei partner in assoluta uguaglianza con le Chiese d'Occidente che le hanno create con la loro attività missionaria, anche se queste comunità hanno ancora bisogno del nostro aiuto.
    Il problema che si pone ora in maniera urgente è di sapere come la nostra cristianità occidentale deve cambiare, e che cosa devono fare le nostre vecchie comunità ecclesiali per essere realmente i collaboratori delle giovani Chiese. Ricordiamo che praticamente tutte queste giovani Chiese fanno parte di popoli poveri e spesso oppressi. Che cosa significa per esse questo duplice dovere: essere, come seguaci di Cristo, solidali con i loro popoli poveri, e rimanere, come membra della Chiesa universale, legate a noi che non diamo una sufficiente priorità alla volontà di liberare l'umanità dalla povertà e dall'oppressione? Questo compito può diventare per loro veramente lacerante. È in gioco l'unità della Chiesa e la via dell'evangelizzazione rimane sbarrata. Dobbiamo riflettere con le giovani Chiese sul contenuto totale di questa evangelizzazione, sui problemi missionari che coinvolge e sulla stretta interdipendenza di questi problemi.

    L'AZIONE DI DIO NEL MONDO

    Nel complesso compito che la Chiesa è chiamata a svolgere nel mondo, occupa un posto importante la missione di far nascere in ogni popolo una comunità di cristiani. La Chiesa non avrebbe potuto assolvere al suo compito universale se la sua presenza fosse rimasta limitata a Gerusalemme e ai paesi che erano allora a portata degli Apostoli, o all'Occidente. Le iniziative che mirano a stabilire la Chiesa di Cristo nei popoli in cui essa non è ancora impiantata, costituiscono un compito importante della sua azione missionaria (AG 6). Dobbiamo però chiederci se abbiamo fatto bene a riservare quasi esclusivamente il termine e l'idea di «missione» a queste iniziative. Quest'uso oggi causa delle difficoltà.
    Fin quando il termine «missione» verrà capito soltanto nel senso di «impiantare la Chiesa presso i popoli non cristiani» l'appello missionario del Concilio Vaticano II resterà difficile da comprendere. Dobbiamo concentrarci sopra uno solo dei compiti affidati alla Chiesa? E dobbiamo farlo proprio oggi? Se il termine «missione» non evoca altro che immagini di un'epoca passata nella storia delle missioni, non potrà essere capito dal nostro tempo.

    «Io faccio nuove tutte le cose»

    Affermando che la missione è l'essenza stessa della Chiesa, ci viene chiesto di considerare «missione» tutto il compito del popolo di Dio. Questo implica molte cose, e anzitutto che noi consideriamo la missione di tutta la Chiesa come parte integrante dell'azione di Dio tra gli uomini. Dovunque Dio realizza la sua creazione la Chiesa può operare. Essa non risponderà all'attesa di Dio ritirandosi unicamente in un determinato settore come se in esso soltanto fosse la sua missione.
    Quando ci viene chiesto di comprendere il compito della Chiesa nella sua globalità come «missione» si chiede a noi di vedere e di svolgere le attività contenute in questo compito nella loro coesione e nella loro interdipendenza.

    Non isolarci

    Bisogna che ci interessiamo contemporaneamente a rinnovare la società e a costruire la Chiesa. L'ispirazione e i mezzi evangelici che permettono al popolo di Dio di portare il proprio contributo a questo rinnovamento della società, non si sviluppano da soli; esigono una vita intensa della comunità di fede. Il carattere missionario della Chiesa non si dimostra né si rafforza nell'isolamento, ma nel servizio in mezzo agli uomini e al mondo. Ma non è meno vero che le Chiese locali devono continuare a coltivare le loro capacità missionarie studiando la parola di Dio e spezzando il pane nella comunità dei credenti (At 2,42). In questo modo essi commemorano Gesù e seguono le sue orme.
    Bisogna che ci interessiamo al cambiamento di quelle strutture politiche e sociali che non resisterebbero al giudizio delle promesse e delle esigenze divine; ma, per lo stesso motivo, bisogna anche che ci interessiamo alla conversione dell'individuo a Cristo: è lui che mette nel nostro cuore il suo amore per il mondo. Poiché l'uomo e la società si formano e si deformano a vicenda.
    Bisogna che ci interessiamo all'annuncio del Vangelo, ma proprio per questo motivo anche allo sviluppo della vera solidarietà umana richiesta dal Vangelo. Infatti, il messaggio viene accettato solamente quando i segni di un vero spirito di servizio e di fraternità hanno radunato gli uomini; e d'altra parte l'annuncio del messaggio è necessario per far conoscere colui che ispira e realizza questa solidarietà umana.
    La missione è la partecipazione alle azioni liberatrici di Dio nella storia degli uomini e nella vita degli individui, in attesa del suo regno. La missione include tutti i compiti che si presentano su questo cammino, con una priorità variabile. È naturale che noi usiamo qui la parola «missione» in un senso più largo del consueto. Ma è soprattutto in questo senso che la «missione» ha un avvenire.

    MISSIONE VICINA E MISSIONE LONTANA DELLE CHIESE LOCALI

    La Chiesa universale non è più una Chiesa con fondamento da noi e con delle missioni altrove. Il popolo di Dio sta diventando una comunità di Chiese locali, poste sul medesimo piano, autonome e uguali, tutte chiamate alla missione. Rispondendo a questa chiamata esse sono tutte partners le une delle altre.

    Chiese sorelle

    È tempo di prendere in seria considerazione le giuste aspirazioni delle Chiese dell'Africa, dell'Asia, dell'Oceania e dell'America Latina. Esse non vogliono rompere i legami con le nostre province ecclesiastiche più antiche: non sarebbe né evangelico, né cattolico e neppure ragionevole.
    Vogliono che il rapporto «Chiesa figlia» - «Chiesa madre» sia sostituito da una relazione tra Chiese sorelle che collaborano collegialmente nella missione della Chiesa universale come dei partners alla pari. Come sia pressante la richiesta delle Chiese d'oltremare di prendere sul serio questa nuova situazione missionaria, appare da osservazioni come quella del vescovo metodista F. Pagura di Costa Rica il quale, rivolgendosi ai missionari, parlò anche a noi dicendo: «Se non siete capaci di amare e di rispettare come degli uguali quelli che voi siete venuti a evangelizzare quando erano perduti, allora, missionari, tornatevene a casa! Se non potete gioire al vedere entrare popoli e Chiese giovani in un nuovo periodo di maggiorità, di indipendenza e di responsabilità – anche se essi fanno degli sbagli, come ne avete fatti anche voi e i vostri compatrioti nel passato –, allora è tempo di partire». Una dichiarazione come questa è forse marcata da duro risentimento, ma noi non abbiamo il diritto di ignorarla.

    Riscoprire la missione come impegno nei nostri paesi

    Quando parliamo di missione, non è più possibile considerare esclusivamente il lavoro intrapreso nei paesi cosiddetti di missione. I cristiani dell'Europa e dell'America del Nord hanno anche e anzitutto una missione verso la propria gente.
    Per il futuro le Chiese dei cinque continenti dovranno assolutamente prendere sul serio la loro missione interna. Quando il Concilio Vaticano II domandò alle Chiese locali di essere coscienti delle proprie responsabilità missionarie nei confronti di tutti gli uomini nei propri paesi (AG 20), non fece eccezione per alcuna Chiesa particolare. Domandò a ciascuna Chiesa di rendere presente nel proprio ambiente il più perfettamente possibile la Chiesa universale e la sua missione mondiale. Così il Concilio voleva che ciascuna Chiesa particolare si dimostrasse erede della preoccupazione missionaria dei primi cristiani, «per i quali non era possibile non parlare di ciò che avevano sentito e veduto» (At 4,20).
    Se vogliamo essere i discepoli di Gesù, dobbiamo ricordare che questo dovere missionario vale anche per la nostra generazione. Se non prendiamo la cosa sul serio, ne uscirà una strana situazione: aiuteremo le giovani Chiese a compiere una missione che noi nel nostro paese curiamo solo parzialmente. Dobbiamo continuare a proclamare nella nostra società Colui che, lo crediamo con fermezza, deve essere instancabilmente interpellato quando si tratta di questioni che riguardano la vera prosperità dell'uomo. Che coloro i quali non credono in Cristo accettino la sua proposta e accettino lui stesso, dipende in larga misura dalla testimonianza della nostra vita.

    LA MISSIONE: TESTIMONIANZA MA ANCHE SERVIZIO

    «Là dove i popoli conducono una implacabile lotta perché ci siano più vestiti, più alloggi, per la istruzione e per una giusta ripartizione dei beni di questo mondo, la Chiesa deve essere loro alleata» (Paolo VI).
    È questa convinzione che ha incoraggiato le Chiese dei paesi in via di sviluppo a estendere sempre più il loro contributo al progresso sociale ed economico dei popoli. Nel campo dell'insegnamento e dell'industria, della diffusione delle conoscenze e della comunicazione, hanno al loro attivo un numero non indifferente di realizzazioni. In questo sono state efficacemente aiutate dalle Chiese d'Europa e d'America, le quali, sia all'interno che all'esterno della cerchia dei loro membri, hanno saputo suscitare molto interesse e provocare molto aiuto per questo genere di realizzazioni delle Chiese d'oltremare.

    Interrogazione critica

    Le giovani Chiese ci sono riconoscenti per questa assistenza, ma incominciano a interrogarci a questo riguardo in maniera sempre più critica. Se siamo pronti a procurare il denaro e, se necessario, il personale che occorre ai loro progetti di sviluppo, siamo ugualmente disposti a prendere o a rendere possibili altre misure che favoriscano lo sviluppo delle loro popolazioni povere? Misure che modificherebbero profondamente i rapporti tra i paesi ricchi e quelli poveri e che non lascerebbero intatte le nostre situazioni di privilegio? Non si tratta soltanto di una piccola particella della nostra prosperità, ma di aprire le risorse ai popoli che oggi a fatica vi hanno accesso.
    Le giovani Chiese che ricercano nuove possibilità per il progresso delle nazioni di cui fanno parte e con le quali vogliono essere solidali, non possono accontentarsi di chiederci il denaro necessario ai loro progetti di sviluppo: chiedono anche un avvenire per questi progetti. Per questo desiderano che le Chiese d'Europa e d'America si adoperino nei loro paesi perché, nelle relazioni tra i popoli, siano apportate le modifiche necessarie a sbloccare questo avvenire. Occorre smantellare tutta una rete, intensa e solida, di strutture ingiuste; e i cristiani dei paesi poveri a questo riguardo ci mettono dinanzi sempre più chiaramente la nostra particolare responsabilità.

    Come la chiesa compie la sua missione

    La venuta e la realizzazione del Regno di Dio riguarda tutto l'uomo e tutti gli uomini. Nessun aspetto della nostra esistenza umana può essere trascurato mentre si svolge la missione di Gesù e la Chiesa prende pienamente a cuore il suo compito.
    Per questo motivo una Chiesa che impiega tutte le sue forze a prendersi cura dei ciechi, dei malati e dei disadattati, come succede in molti posti dell'Africa e dell'Asia, agisce in forza della sua missione. Una Chiesa che denuncia la politica razzista del governo, come sta facendo la Chiesa della Rodesia, ed esige che sia stabilito giuridicamente il diritto in ogni uomo alla libertà, imita Gesù Cristo prendendo la parte di quelli che sono senza diritti. Una Chiesa che segna a dito la «violenza istituzionalizzata» attraverso la quale, nel proprio paese, sono mantenuti in situazioni disumane i contadini e i minatori, i raccoglitori di arance e i venditori di castagne, i lavoratori delle piantagioni di canne da zucchero e gli inquilini delle catapecchie di periferia, e che invita alla lotta contro questa violenza come hanno fatto la Chiesa di Bolivia o la Conferenza dei vescovi del Nord-Est del Brasile, questa Chiesa sottopone la società alla critica del Vangelo e al giudizio di Cristo. Una tale Chiesa che cosa fa se non compiere la sua missione?
    Che cosa fa se non mettere il dito sul peccato e combatterlo dovunque si manifesta? La potenza del male non si radica soltanto nel cuore degli individui, ma anche nei rapporti che determinano la vita comune dei popoli. L'individuo e la società devono entrambi seguire il piano di Dio. Questo richiede una testimonianza coraggiosa e un lavoro d'avanguardia in cui i cristiani, compresi della loro missione evangelica, devono essere i primi. Le Chiese particolari possono scambiarsi queste idee. Con ragione le giovani Chiese ci ricordano la nostra responsabilità. L'interdipendenza dei problemi e dei compiti da svolgere, come la fede nell'universalità del Vangelo e della Chiesa, fanno continuamente di noi dei collaboratori nei doveri reciproci.

    LA MISSIONE: SERVIZIO MA ANCHE TESTIMONIANZA

    Le giovani Chiese e le loro guide non riescono a capire come mai i cristiani e le Chiese occidentali spesso non considerino i compiti reali che si presentano alla Chiesa in un paese povero. E si domandano meravigliati: ma perché? Per annunciare il Vangelo cercano nuove strade e nuove forme, ma è fuori dubbio per loro che questo impegno missionario deve essere continuato, oggi e domani. Nemmeno la costruzione della propria comunità ecclesiale può essere cancellata dalla loro agenda. Per quanto necessaria si riveli la ricerca di nuove forme nella pratica della fede, nei metodi di lavoro e nelle strutture di organizzazione per un migliore adattamento al carattere del popolo e alla cultura propria del paese, la sollecitudine della comunità di Cristo resta per essi un compito di primo piano anche dal punto di vista missionario.
    Il lavoro nella società deve essere visto ín una prospettiva evangelica piena di speranza, in modo da continuare anche là dove altri si scoraggiano e finiscono col ritirarsi di fronte alla molteplicità dei problemi e delle delusioni. Questo lavoro verrà stimolato da una solida ispirazione cristiana, attinta all'interno di una comunità cristiana vivente. I cristiani dell'Occidente credono forse che si tratti di impegni meno importanti quando, nel quadro dei loro aiuti alle Chiese d'oltremare, concedono una minore quantità di mezzi per fini pastorali?
    Per spiegare questo fatto noi rispondiamo che da parte nostra è accresciuto l'interesse per lo sviluppo. Ma abbiamo studiato questo problema in maniera sufficientemente approfondita? Non ci sono soltanto gli aspetti agrari, medico-tecnici, economici e simili. Il processo di sviluppo è un insieme di rinnovamenti e di mutamenti che abbraccia ogni cosa. Tocca tutti gli aspetti della vita di un popolo. L'uomo deve restarne il centro, deve avere la possibilità di compiere e di assimilare questo processo.
    Egli fa questo non soltanto forte della convinzione che tutte queste novità meravigliose sono possibili, ma anche perché la fede gli dice che sono buone. E a partire da questa visione della vita e del senso di questa vita, deve sapere che cosa fare di tutti questi cambiamenti. Se un uomo non fa che subire il processo di sviluppo finirà col sentirsi sradicato e disorientato. E allora non ci sarà più progresso umano.

    Un nuovo punto di appoggio

    Le Chiese nei paesi in via di sviluppo, dal momento che guidano «uomini in cambiamento», devono puntare specialmente sul rinnovamento delle idee e delle tradizioni religiose. Nel dinamismo del loro sviluppo, questi popoli si rendono conto che devono rivedere il loro tradizionale concetto di vita; siccome le vecchie risposte non offrono più sufficienti certezze essi devono trovare nuove solide basi nei valori e nelle norme del Vangelo, e forse riusciranno anche a scoprire Gesù Cristo, che è per tutti la Via, la Verità e la Vita. Nel rispetto dello spirito religioso e della cultura ambientale, l'evangelizzazione assumerà la forma di un dialogo, ma il nome e il messaggio del Signore non saranno ignorati.
    In una società che si trova di fronte a un avvenire incerto e minacciato, la comunità cristiana dovrà testimoniare la speranza che essa vive così da rafforzare attorno a sé la fiducia e la fede nel futuro del mondo. La Chiesa fa questo, anche nei paesi poveri, mettendo al centro della sua azione missionaria il messaggio del regno di giustizia, di amore e di pace che Dio realizza in mezzo a noi. A nessuno deve essere negata la promessa della salvezza che è in cammino e l'appello a una vita nuova orientata verso questa salvezza. Questa è la fede di cristiani, di uomini come l'apostolo Paolo: «Guai a me se non predicassi il Vangelo» (1 Cor 9,16), ma anche di credenti della nostra epoca nel mondo intero.

    Uomini e mezzi

    Le Chiese dei paesi in via di sviluppo non possono dividere in due parti la vita degli uomini di cui sono responsabili: una parte socio-economica e una parte etico-religiosa. Non possono suddividere il loro lavoro in attività prettamente sociali e in attività prettamente religiose. Hanno bisogno del nostro aiuto per la maggior parte delle loro attività. Ma è qui che esse incontrano questa stranissima linea di demarcazione tracciata dai fratelli di fede dell'Occidente, tra il «lavoro di sviluppo» e la «missione».
    Dal momento che le giovani Chiese aspettano il nostro aiuto per poter vivere proprio come Chiese, dovremmo dare con larghezza questo aiuto. Hanno bisogno di locali per poter riflettere sulla salvezza che le Scritture ci annunciano. Devono potersi riunire per pregare e celebrare la liturgia, per commemorare Gesù Cristo nel quale l'attesa dei popoli ha ricevuto il suo fondamento e un inizio di realizzazione insperata. Devono poter ricercare insieme come potranno testimoniare questo in maniera comprensibile e come farlo vivere, per gli altri e per se stesse, come una realtà liberatrice. Deve restare viva in mezzo a loro l'ispirazione che li ha spinti a rendere alla società i servizi che essa attende da loro, attraverso le scuole, gli ospedali e altri centri di sviluppo e di servizio.
    Questo aiuto fraterno richiede ancora oggi di mettere a disposizione uomini e mezzi. La maggior parte delle Chiese giovani chiede ancora esplicitamente dei missionari, degli aiutanti venuti da altre Chiese e destinati a posti e a compiti per i quali essi non hanno ancora potuto trovare o formare in loco persone capaci. È chiara anche la richiesta di aiuto finanziario; le Chiese giovani continueranno a chiedere fino a che i propri fedeli non saranno in grado di finanziare completamente l'attività della loro comunità locale di fede.
    Si tratta, apparentemente, dello stesso tipo di aiuto fornito cinquanta o cento anni fa: ma oggi richiesta e offerta si avvicendano in una comunione di Chiese locali in cui ciascuna intende affermare il più chiaramente possibile il diritto alle proprie responsabilità.


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