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    Un Centro Giovanile impegnato dove anche lo sport è importante



    Centro giovanile «D. Bosco» - Roma

    (NPG 1975-05-28)

    La discussione sulla validità o meno degli oratori (e dei centri giovanili) è ancora aperta. Si sono assopite molte polemiche, le più acute soprattutto. Ma resta, qualche volta, la nostalgia del bel tempo passato in alcuni operatori pastorali, e, in altri, la posizione oltranzista del rifiuto.
    Noi crediamo al significato pastorale dell'oratorio. Non ne abbiamo fatto da tempo un discorso esplicito, solo perché siamo convinti che la nostra posizione traspaia facilmente da molte righe.
    Preferiamo parlarne dal concreto. Per dimostrare con i fatti che anche oggi l'oratorio ha una sua funzione irrinunciabile, a patto che molte cose siano cambiate al suo interno.
    Quale oratorio? li racconto delle varie esperienze apparse, in questi anni, sulla rivista, permette di ritagliare con una certa precisione un modello concreto e ottimale.
    Questa che presentiamo ci pare particolarmente significativa. Una scorsa ai titoli aiuta a coglierne l'interesse e la ricchezza di proposte.
    Il centro giovanile «don Bosco ha fatto un cammino in avanti, difficile ma coerente: dai primi incerti passi all'attuale consistenza.
    Per dare una mano agli operatori pastorali abbiamo preferito presentare l'esperienza, sottolineando con insistenza l'itinerario di crescita, le scelte operate, le difficoltà incontrate e risolte.
    Ci è parso un lavoro utile. Che se sfuoca, in parte, l'immagine attuale del centro, permette però al lettore di raccogliere minali preziosi per il suo lavoro pastorale.

    La redazione dell'esperienza è di R. Tonelli, su materiale, scritto e registrato io interviste, messo a disposizione dal «centro giovanile don Bosco» di Roma.

    IL CENTRO GIOVANILE,
    UNA RISPOSTA AI PROBLEMI DEL QUARTIERE?

    Abbiamo sempre voluto che il nostro «centro» fosse una proposta, lanciata a chi era interessato. Non lo vogliamo né perfetto né definitivo. Ci pare importante che sia così e basta.
    Ogni tanto, però, ci chiediamo: una proposta, d'accordo; ma anche una riposta a reali esigenze? Il nostro quartiere ha bisogno del tipo di proposta che è il nostro centro giovanile?
    Per questo, prima di progettare il centro giovanile, abbiamo fatto una seria indagine sociologica sulla gioventù del quartiere.
    Oggi siamo convinti che lo stile globale del nostro centro, pur con tutti i limiti di cui siamo consapevoli, non è soltanto una pagina affascinante della nostra crescita umana e cristiana, ma anche una risposta matura a serie esigenze del posto.

    UNA COMUNITÀ EDUCATIVA PER UN QUARTIERE-DORMITORIO

    Il nostro è un grosso quartiere-dormitorio. Uno dei tanti che si affacciano verso Roma dalla sua periferia. Ci abitano oltre 120.000 persone. Solo la nostra parrocchia ne raccoglie non meno di 80.000.
    Chi lavora, chi studia, chi vuole divertirsi o spendere «bene», al mattino se ne parte verso la città. Da noi non c'è una fabbrica, non un punto di lavoro. Una sola scuola superiore. Le scuole elementari e le medie hanno arce doppi turni.
    Ci accorgiamo di non vivere qui. Di abitarci solo. Per mangiare e dormire. Tutto questo svuota ogni tessuto comunitario. Gli interessi, le amicizie, i punti di incontro non attraversano mai il nostro quartiere.
    Dopo le prime esperienze, questa diagnosi ce la siamo sentiti addosso, a premerci come stimolo per elaborare un concreto piano di lavoro del nostro centro giovanile.
    Abbiamo intuito che esso poteva dire al quartiere qualcosa di valido e incisivo, nei termini in cui diventava esigenza di comunità. Una comunità per educare, come risposta ad un alto indice di individualismo, legato a cause di ordine urbanistico e strutturale.
    Il tema della comunità si è fatto, con il tempo, il discorso cardine del nostro centro, saldando due esigenze importanti per il nostro crescere eli uomini e di cristiani: la scoperta della comunità, riletta in chiave di fede, è diventata il nostro aprirci alla parrocchia, come momento di vita e di crescita ecclesiale; riletta in chiave sociale, è diventata il nostro serio impegno politico nel quartiere, come luogo privilegiato per realizzare quei progetti di liberazione che ci stanno a cuore.
    Questo ci costa. A parole è facile parlare di comunità, di parrocchia di quartiere. E poi, sui fatti, ci troviamo resistenze dentro e d'attorno.. Diventa facile, ogni tanto, pensare ad una comunità-ghetto, dove tutti stanno al caldo, raggomitolati tra amici, senza farsi problemi per chi se ne sta fuori.
    Stanno girando, tra noi, parole grosse, per dare serietà e consistenza ai nostri piani. Abbiamo bisogno di gente che ci creda e si butti a corpo morto in questa impresa urgente, in un servizio che si fa ogni giorno «vocazione». Stiamo facendo le scelte per il domani, soppesando con attenzione questa coerenza, da cui non possiamo più tirarci indietro, se vogliamo che il nostro centro giovanile continui ad essere «risposta» al quartiere dove abitiamo e, oggi, «viviamo».

    UNO STILE PER ESSERE DAVVERO RISPOSTA

    L'analisi della situazione del nostro quartiere ha messo in evidenza anche un secondo problema, collaterale al precedente. Ne vogliamo accennare, perché è proprio da questa angolazione che si capiscono molte nostre scelte.
    I primi anni – ormai la nostra esperienza sta «invecchiando»: 5 anni di vita – partivamo spesso con la lancia in resta, a fare proposte «alte di impegno serio. E ci trovavamo sempre in pochi. Una comunità «sparata», ma striminzita. Perché? Ce lo siamo chiesti molte volte. La risposta è stata un'intuizione che oggi stimiamo molto importante. Le «proposte» erano nostre: di quattro cervelloni che avevano capito tutto e su questo tagliavano i ponti con il resto, con la base. Bisognava cambiare rotta, su tutta la linea, se volevamo che la comunità fosse uno spazio di vita possibile alla maggior parte dei giovani del quartiere. Così abbiamo messo l'accento sugli interessi reali dei giovani, gli interessi «poveri» di ragazzi di borgata. Per questo lo sport è diventato un punto di perno del nostro centro. Non ci siamo fermati a tirare quattro calci al pallone e cose simili. Ma la dimensione formativa l'abbiamo profondamente legata all'interesse sportivo.
    Oggi, guardando a ritroso, ci accorgiamo quanta strada abbiamo fatto. fino al punto che c'è gente disposta a dar persa una partita «federale», per di non rinunciare ad incontri comunitari nel centro, quando c'è conflitto di orari. E non è poco: provare per cedere.
    Abbiamo anche elaborato una teorizzazione per motivare e fondare questa nostra scelta. Il centro non è un luogo che fa piani propri, che propone attività tutte speciali, gestisce gruppi particolari, si fa un proprio movimento giovanile. Non ci pare questo il nostro compito, in coerenza con quello della Chiesa in cui ci riconosciamo. Il centro ha la funzione di «animare» con un servizio tutto speciale (ecclesiale, e per noi anche salesiano) la reale «vita» giovanile: gli interessi comuni dei giovani, i gruppi normali, da quelli politici e quelli culturali e ricreativi. Il centro mole essere una «stazione di servizio».
    Il centro ha il compito di dare un metodo di riflessione, dei contenuti con cui confrontarsi, uno stimolo di crescita, un approfondimento di fede, a questo normale tessuto giovanile. Tutti hanno spazio al centro, purché accettino di fare un serio cammino «comunitario», verso esperienze impegnative. Certo, per fare seriamente tutto questo, ci vuole gente qualificata. Quindi il centro ha bisogno di animatori e di leaders, capaci e impegnati, e perciò di una «scuola per animatori». Ma, sempre, come m lievito destinato alla farina della vita». Per fare del centro un luogo di riferimento, più che una rassegna di ambienti e di proposte.
    Nel nostro centro trovano accoglienza ragazzi e giovani, con un arco ai età molto ampio. Questo stile è la scelta di fondo: la meta verso cui scadere. E evidente che attività, proposte, tempo di presenza sono proporzionati alla maturità dei singoli partecipanti. I ragazzini li affoghiamo di proposte. Ai più grandi chiediamo soprattutto la disponibilità ad un servizio dentro il centro e verso la comunità umana (parrocchia e quartiere). Ci pare che ridimensionare la nostra meta in rapporto coerente con le persone, con il livello della loro crescita, sia amare e servire le persone concrete, con i fatti.

    IL CENTRO FUNZIONA SULLA FEDE DEI SUOI ANIMATORI

    L’esperienza ci ha sottolineato, molto presto, una cosa: scegliere questa definizione «aperta» di centro giovanile comporta qualificazione precisa e agguerrita. Per non intristire lievito e farina, a causa di una deficienza organica di stile, di contenuti. Di fede, in una parola.
    Raccontiamo agli amici qualcosa della nostra storia, per chiedere ad es. una mano a verificare le nostre scelte e per invitarli ad un impegno costante e coerente di qualificazione umana e cristiana.
    Regaliamo ad essi qualcosa di noi, solo per ricordarci reciprocamente questo inderogabile impegno. La curva di sviluppo del nostro centro è legata al livello della maturità di fede degli animatori: scossoni, ritardi e riprese sono state, nella nostra esperienza, la misura esterna di quello che ci capitava dentro.


    UN ITINERARIO DI CRESCITA:
    DALLA MASSA ALLA COMUNITÀ ATTRAVERSO IL GRUPPO

    RADIOGRAFIA DEL NOSTRO CENTRO

    Chi mette il naso nei cortili o nelle sale del nostro centro, s'incontra con un fiume di ragazzi. L'anno scorso abbiamo tentato una rassegna, recensendo soprattutto quelli in qualche modo organizzati: 650 ragazzi dagli 8 ai 25 anni, divisi in una quarantina di gruppi. Con la massa, non organizzata, raggiungiamo i 2.000.
    Non sono però i numeri che contano. Anche perché la partecipazione oscilla, come dappertutto. E il livello di reale assimilazione della proposta educativa del centro è ben lontano dall'essere ottimale.
    Le porte sono aperte a tutti. All'ingresso non ci sono limitazioni, se non quelle macroscopiche richieste dalla necessità di creare un certo clima di ragionevole «buona educazione». Ci teniamo a questa «apertura incondizionata», per non ridurre il centro ad un luogo riservato a sole élites giovanili.
    Abbiamo suddiviso la massa in sezioni: fanciulli, preadolescenti, adolescenti e giovani; affidando la responsabilità di ogni sezione ad un animatore adulto.
    Le sezioni, però, hanno ancora un volto molto indistinto e disarticolato: sono «massa», anche se in termini numerici più accessibili.
    Il nostro perno educativo è il gruppo. Ogni sezione ha i suoi gruppi, con i rispettivi animatori: gruppi di interesse e di valori, spontanei e istituzionali, tradizionali (come gli scout e l'ACI) e amicali.
    Ecco i gruppi attualmente funzionanti, sezione per sezione:

    – per i fanciulli: azione cattolica ragazzi - amici di Domenico Savio - gruppo Lupetti;
    – per i preadolescenti: un reparto Scout - un gruppo «allievi catechisti» - 12 ,gruppi sportivi - 4 gruppi di interesse;
    – per gli adolescenti: gruppo liturgico - 4 gruppi sportivi «interni» al centro - i gruppi sportivi legati a squadre federali;
    – per i giovani: gruppo liturgico - gruppo sociale - gruppo dirigenti sportivi -gruppo turistico - gruppo teatrale - gruppo catechistico - gruppo «novizi «Scout - gruppo capi capi Scout - 3 gruppi sportivi.

    Noti accettiamo nessuna attività se non fatta in gruppo, con la presenza di un animatore. Anche la squadra sportiva deve impegnarsi a fare vita di gruppo, creando il tessuto per una circolazione di valori e per una costante interiorizzazione di significati e motivazioni educative.
    Ogni gruppo ha, normalmente, un incontro settimanale. Nel rispetto dei livelli diversi, tentiamo di finalizzare la riunione ad una catechesi sullo stile della «revisione di vita». Partiamo dalle situazioni concrete che caratterizzano gli interessi e i progetti dei singoli gruppi, per farne sia lettura la più ampia possibile, fino alla rilettura di fede e alla esplicita proposta di un impegno cristiano. Il clima di gruppo favorisce e «porta» questo impegno, per noi irrinunciabile.
    Per la cronaca, ecco alcune delle nostre attività:

    – A livello di gruppo:
    riunioni settimanali di gruppo e degli animatori dei gruppi,
    organizzazione sportiva settimanale,
    attività sociali: oratorio volante, doposcuola, assistenza a famiglie povere della parrocchia, «raccolte» varie,
    teatro d'impegno,
    catechesi, animazione liturgica, formazione dei leaders e degli animatori, la normale vita scautistica.
    – A livello di comunità:
    incontri ogni giorno a sezioni, per una preghiera e una riflessione comune,
    Messa domenicale per sezioni,
    celebrazione della Parola ogni giovedì sera per i più grandi,
    assemblee di sezione e di comunità,
    tavole rotonde dei gruppi d'impegno,
    partecipazione ai convegni giovanili diocesani.

    Il gruppo non è fine a se stesso. Vogliamo raggiungere una vera comunità umana e cristiana, fatta di tutti coloro che frequentano il centro giovanile. Lavoriamo con un gioco attento di «dentro-fuori» gruppo. Ci spieghiamo. Per mobilitare la massa, insistiamo molto sulla proposta del gruppo. E così le sezioni, pesanti e disarticolate, sì muovono verso i vari gruppi. come a centri educativi che tentano di rispondere ai vari «interessi» giovanili.
    Il gruppo ha molte attività in proprio, per consolidarsi, per raggiungere cioè un buon livello di coesione. Nel gruppo passa buona parte dello sforzo educativo del centro. Quando un gruppo giunge ad un buon grado di maturità, lo spingiamo ad «uscire da sé», a cercare gli altri, aprendosi prima di tutto ai coetanei della propria sezione e, poi, a tutti.
    Come?
    Raccontiamo l'ultima esperienza, per spiegarci dal concreto.
    In occasione di una festa importante per il centro, abbiamo offerto agli sportivi l'impegno di animare tutto il programma. Questo ha costretto le squadre a superare le singole competenze, per creare la «comunità» degli sportivi e ha aperto l'insieme degli sportivi verso la comunità più ampia del centro giovanile, in un servizio che andava oltre l'interesse immediato «tecnico». E normale che i singoli gruppi servano la comunità in ciò per cui essi sono particolarmente competenti (è il caso tipico del «gruppo liturgico» che anima abitualmente le messe del centro), ma tentiamo di allargare gli interessi, chiedendo ai gruppi qualcosa «oltre la competenza specifica.
    Siamo convinti che la cosa, così, giri meglio. E l'esperienza ce lo conferma.

    LE TAPPE DELLA CRESCITA

    Ci guardiamo d'attorno. Vediamo tanto movimento e una fioritura intensa di attività. Quasi quasi, ci consoliamo un poco dei molti giorni duri che abbiamo vissuto. Non possiamo però dimenticare il cammino percorso. Anzi, costretti a ricordarlo per parlarne ad amici, ci accorgiamo che le tappe sono da ripercorrere ogni anno da capo. Perché non pensiamo neppure lontanamente di aver consolidato un percorso che possa ripetersi di generazione spontanea.

    Abbiamo preso le mosse dai gruppi spontanei già esistenti, per rispettare quegli «interessi poveri» di cui abbiamo già ricordato la nostra scelta fondamentale. Nella massa dei ragazzi e dei giovani che frequentavano il centro, c'era spesso un tessuto amicale almeno embrionale. Per molti era il comune interesse sportivo. Per altri la passione per il teatro o la voglia di fare turismo o cose del genere. Inoltre, le attività del centro non sono iniziate da zero. Prima di noi, altri avevano lavorato. Da qui siamo partiti, da quello che «esisteva», rinunciando alla passione di inventare tutto da capo, per immettere in queste attese spontanee lo stimolo verso una vita di gruppo più seria e consistente.

    In un secondo momento, soprattutto per i giovani (dai 17 anni in su), abbiamo lanciato i gruppi «spontanei». Era la moda del tempo. Ci è parsa interessante. E quindi abbiamo concentrato la proposta attorno ad alcuni interessi capaci di fare presa sui giovani. Sono sorti così il gruppo sociale, quello d'indagine sociale, quello dei mass-media, quello liturgico.

    In un terzo momento, abbiamo sentito il bisogno di consolidare le sezioni a tutti i livelli d'età. Qualcosa esisteva già. Rispondeva soprattutto a dettati di funzionalità. Ci pareva importante costruire invece uno spazio intermedio tra i vari gruppi e la comunità del centro giovanile, in vista di una proposta veramente comunitaria. L'operazione ha funzionato abbastanza bene, grazie all'entusiasmo con cui i vari animatori adulti, responsabili di sezione, hanno assunto l'incarico pastorale. Ogni sezione ha potuto così iniziare una vita sufficientemente autonoma, progettando nuovi gruppi, per interessi e valori, in rapporto alle concrete esigenze dei ragazzi. Nelle sezioni dei «grandi» (adolescenti e giovani) abbiamo, in questa tate, iniziato la collaborazione sistematica tra ragazzi e ragazze, soprattutto all'interno di gruppi di forte impegno.

    Oggi tutte le forze sono tese a trovare uno sbocco maturo, a risolvere J problema del «dopo». I giovani più impegnati, che hanno percorso la strada di crescita del centro, si interrogano sulle prospettive avvenire: deve andremo a sbattere una volta sposati? Non vogliamo che l'esperienza del centro rimanga come un ricordo di tempi passati o continui con presupposti validi solo per adolescenti. Abbiamo visto che è nella «comunità» che deve sboccare tutto il nostro lavoro. Siamo perciò alla ricerca di un modo, nuovo e coerente, di essere «comunità», di fede e di impegno, in cui ecclesialità, partecipazione e corresponsabilità siano parole vere.

    Nella costituzione dei gruppi e in tutto il movimento educativo del centro, abbiamo sempre fatto molto conto della spontaneità. Non ci siamo però mai «fermati» allo spontaneo. Siamo convinti che si fa educazione salo nei termini in cui si riesce ad innestare, nella spontaneità, stimoli e proposte «in avanti». La nostra esperienza ci conferma un fatto: è difficile fare un buon dosaggio tra spontaneità e proposte. Del cattivo dosaggio (sia in un senso che nell'altro) hanno fatto le spese alcuni gruppi che sono «scoppiati» dopo pochissimo tempo.
    Nel complesso, però, crediamo di poter onestamente affermare che abbiamo trovato un ritmo abbastanza buono. Ci siamo accorti che non si cresce assieme, se non c'è qualcuno che abbia il coraggio di proporre modi diversi, più impegnativi, capaci di servire in avanti le intuizioni e gli spontanei interessi giovanili.
    Il nostro slogan è chiaro: spontaneità sì, spontaneismo no!

    I PUNTI-FORZA DEL NOSTRO CAMMINO IN AVANTI

    L'abbiamo già detto: è difficile che le cose funzionino bene, solo perché la macchina si è avviata in una certa direzione. Bisogna vincere la quotidiana resistenza, legata alle mille proposte alternative di cui ciascuno è bombardato.
    Per il nostro centro, il cammino dai primi passi a quel pezzo di maturità che ci siamo conquistati, non è certo capitato a caso. A forza di prova ed errore, abbiamo scoperto punti-forza importanti: i cardini del sistema. Su questo abbiamo giocato tutte le nostre carte.
    Non lo raccontiamo agli altri per chiedere di copiare da noi. Sulla nostra pelle abbiamo capito quanto sia raro che una esperienza possa diventare la falsariga delle altre. Ci sono troppe variabili che rendono intraducibili gesti e scelte.
    La nostra proposta resta uno stimolo. Un invito a ricercare, ciascuno per conto proprio, i punti solidi su cui impiantare tutta la costruzione. I nostri? Eccoli.

    Unità nella difformità

    Il nostro centro non è un modello univoco di comportamenti. Ancor oggi, dopo anni di cammino percorso assieme, c'è gente e gruppi che viaggiano a ritmi molto diversi.
    Abbiamo parlato molto di comunità. Ne stiamo parlando a bocca piena. Comunità, per noi, non significa uniformità. Significa tensione all'unità nella ricchezza delle differenze, dei modi diversi, delle scelte a livelli diversi. Per questo, la comunità da noi è in cammino continuo: non la vediamo ancora «definita».
    La diversità attuale è legata al contributo diverso di ogni animatore, è legata alla sensibilità dei partecipanti, alla forza di presa degli interessi su cui il gruppo si è coagulato. Molto dipende anche dal peso delle «tradizioni» con cui i gruppi hanno dovuto fare i conti. I gruppi sportivi hanno costruito sui ruderi di un vecchio edificio. I gruppi teatrali, turistici, culturali si sono trovati impigliati in una mentalità associativa precedente, superata a fatica... Il gruppo sociale invece è partito da zero, raccogliendo adesioni tra giovani particolarmente sensibili ed è quindi arrivato a limiti più elevati di partecipazione e di impegno. Il gruppo liturgico era nato prima e in forma spontanea, senza sede e cambiando diversi animatori. Ora vive più da vicino il travaglio di tutto il centro «verso la comunità di fede».
    Non siamo partiti tutti con lo stesso piede e dalla stessa linea. E neppure siamo arrivati tutti alla stessa meta.
    Onestamente dobbiamo riconoscere che non avevamo programmato in partenza questo pluralismo. Sotto sotto, anche noi, sognavamo il modello perfetto, ben congeniato. Oggi però costatiamo come tutto ciò sia un grosso vantaggio. La diversità dei vari gruppi (interessi coltivati, attività programmate, livelli di maturità raggiunta) è una ricchezza, irrinunciabile, per la comunità. Ogni gruppo è proposta all'altro, proprio in forza di ciò che lo differenzia dall'altro.

    La formazione dei leaders

    Il gruppo è spesso la fotocopia del suo animatore. Non è una gran bella casa, ma è così. La scelta del gruppo, per noi, ha significato presto la salta di un progetto molto impegnativo di formazione di giovani leaders e animatori. Senza il loro prezioso contributo, noi, oggi, saremmo molto probabilmente al punto di partenza.
    I canoni formativi sono stati abitualmente due: una qualificazione di tipo tecnico (conoscenza dell'animazione di gruppi e quindi studio della dinamica di gruppo, indagine critica sulla società e sui suoi condizionamenti, per un corretto servizio di liberazione, assunzione di serie chiavi di lettura di fatti e di avvenimenti, per una sensibilità all'oggi) ed una qualificazione sulla linea dell'esperienza cristiana, soprattutto in prospettiva di un reale rapporto tra fede e impegno politico.
    I momenti formativi sono legati alle cose da fare, alla prassi educativa come stimolo di crescita personale, perché il servizio attivo nei gruppi incomincia molto presto; e a tempi di riflessione e di maturazione. Ogni anno, il tempo forte della formazione è concentrato in due campi-scuola: quello dei leaders (14-17 anni) e quello per gli animatori (17-25 anni ).
    È per noi una esperienza preziosa: dai campi sono nati i leaders e ti. attuali animatori.
    I contenuti del campo sono poi riproposti e interiorizzati negli incontri settimanali. Il «cenacolo» dei leaders che è mensile e quello degli animatori, settimanale, stanno cercando la difficile collocazione di momento formativo globale, per realizzare l'integrazione tra fede e vita, sia nei momenti strettamente organizzativi, dove tutto è finalizzato a progetti operativi, da maturare senza lasciar tra parentesi la fede; sia nei momenti di preghiera e di ascolto della Parola di Dio, in cui non possiamo perdere per strada la vita.

    La comunità

    Abbiamo già più volte ricordato l'impegno costante di ricucire ogni gruppo con il tessuto comunitario del centro, per aprire alla comunità di fede della parrocchia e della Chiesa locale e alla comunità politica del quartiere.
    Insistiamo sulla comunità per il suo valore educativo oggettivo e, in modo particolare, per offrire ai singoli e ai gruppi la capacità di interiorizzare quei molti spiccioli interventi che caratterizzano il «clima» educante del centro. Se un gruppo fa vita troppo autonoma, difficilmente si identifica con le proposte che superano l'esperienza che sta vivendo. Così si impoverisce, perché perde il contributo che gli proviene dalle iniziative che periodicamente sono messe in cantiere.
    La comunità non si costruisce sul fiume di raccomandazioni. Per noi, comunità è convergenza su valori, attraverso alcune strutture. Comunità è strutture e valori.
    I valori sono già nei gruppi, essi ne sono i portatori. Si tratta di metterli in comune, in una circolarità che investa tutti. Così diventano patrimonio arricchente per tutti. Proposta educativa concreta. La «struttura» favorisce la circolazione dei valori.
    La comunità è una scoperta di questi ultimi tempi. È una esigenza nata dalla maturazione interna dei gruppi. Siamo riusciti a creare una buona vita comunitaria dentro il gruppo. Così ora sentiamo il bisogno di viverla anche tra gruppi. fuori, nel centro. Comunità per noi significa esigenza di verifica, confronto sui valori, possibilità di camminare assieme, apertura verso la parrocchia e il quartiere.
    Sappiamo che per fare comunità ci vuole un legame. Noi ne abbiamo uno, saldo: i valori che stanno alla base delle singole iniziative. Il confronto non lo facciamo sulle iniziative, ma sui valori. Chi fa raccolta carta, se la fa e basta. Le proposte dell'atletica nascono dentro il gruppo sportivo: nessuno si preoccupa di contare i partecipanti, a nome degli interessati. Invece tutti ci confrontiamo sui «perché». Perché la raccolta carta, perché la marcia di quartiere...
    II valore che tutti ci lega è quello della liberazione. L'abbiamo capito poco alla volta. Oggi è il perno della nostra comunità.
    Abbiamo poche, ma significative, strutture (preferiamo chiamarle «servizi») comunitari.
    Andiamo costruendo la comunità, faticosamente e lentamente. Con le idee, ma insieme con i fatti. Siamo convinti che l'uomo fa le strutture, ma anche che le strutture, in un certo modo, educano l'uomo, veicolando idee e valori. Per questo abbiamo programmato e realizzato molti «fatti comunitari»; la giornata dell'amicizia, il «meeting» dell'amicizia per i giovani sportivi, «tutto il babbo minuto per minuto» (per la festa del papà), recitals religiosi e la festa di don Bosco per tutto il centro giovanile, «conosciamoci correndo!» per tutto i quartiere, la rifondazione del comitato di quartiere, come spazio di intervento per tutti i gruppi del centro.
    Ogni giovedì c'è una celebrazione della Parola, preparata con cura e aperta tutti. È il momento forte del confronto con la fede per tutto il centro giovanile. Sta diventando il nostro «esame di coscienza» comunitario.
    Abbiamo poi due strutture-servizi più tecnici: il consiglio oratoriano e l'assemblea. Al primo partecipano i responsabili dei vari gruppi. La seconda è veramente aperta a tutti (spesso a livello di sezione, per permettere un lavoro più serio e costruttivo).

    ♦ Il Consiglio è luogo e momento di incontro dei gruppi del centro giovanile, attraverso rappresentanti che realmente vivono la vita del loro gruppo.
    • Funzioni del Consiglio sono:
    a) il coordinamento delle attività dei gruppi,
    b) la corresponsabilizzazione dei partecipanti ai gruppi del centro, e ciò a livello organizzativo, pedagogico, catechistico.
    Organizzativo: nel coordinamento delle attività dei gruppi, nelle finanze di gruppo e di centro;
    Pedagogico: nel metodo da seguire coi gruppi, nella formazione degli animatori, quali valori da recepire e da comunicare ai giovani;
    catechistico: mediante la catechesi per età, mediante la vita di fede dei gruppi, mediante atti liturgici comunitari, e la comunità di fede.
    Finalità del Consiglio sono le finalità stesse del centro giovanile e dei suoi gruppi e cioè:
    - la maturazione umana-cristiana del giovane all'interno di gruppi spontanei e istituzionali, impegnati ed ecclesiali;
    - la creazione di un clima comunitario, vissuto all'interno del centro, e con apertura a comunità sempre più grandi (parrocchia, quartiere).
     I componenti del Consiglio:
    – portano al Consiglio le idee, la sensibilità, le attese comunitarie del loro gruppo,
    – colgono, durante il Consiglio, le situazioni e i livelli di tutti i gruppi,
    – riportano questa sensibilità comunitaria ai gruppi di appartenenza.
    Per cui il Consiglio prende decisioni che vede mature nei gruppi, e non altre; stimola la presa di coscienza dei problemi comunitari nei singoli, e ciò mediante l’uomo-chiave che è il rappresentante di gruppo.

    Corresponsabilità e partecipazione

    Il consiglio del centro sta diventando la piattaforma di verifica del nostro tentativo di modificare il rapporto autorità-libertà, per fare spazio, sinceramente e fattivamente, ad un più largo rispetto per le iniziative giovanili, ad una matura concezione della spontaneità dei gruppi. Ai valori della partecipazione e della corresponsabilità.
    Le tappe che caratterizzano l'istituzione del consiglio, rilette oggi, ci sembrano molto interessanti.
    Abbiamo lanciato una prima proposta alcuni anni fa. Risultato negativo. I giovani l'hanno rigettata perché temevano che il consiglio diventasse uno strumento di governo: per dare ordini e togliere la libertà di manovra ai singoli gruppi.
    Quando hanno avvertito un significato più ampio dell'autonomia dei gruppi, sorretta e servita dal movimento comunitario, gli stessi giovani e gruppi hanno chiesto con insistenza la costituzione del consiglio. Ne hanno scoperto l'urgenza dall'interno, come cerniera tra l'esperienza di gruppo e lo spazio comunitario. Abbiamo studiato a lungo la fisionomia del consiglio. Da quegli incontri sono nate le linee che abbiamo trascritto sopra.
    Oggi, dopo tre anni, il consiglio funziona come struttura centrale di coordinamento e di stimolazione. I responsabili adulti hanno fatto strada cm i giovani, anche nella «scoperta» del tipo di consiglio adatto alla particolare situazione del centro.
    Una seria corresponsabilità include necessariamente una cogestione economica. Attraverso il consiglio, volevamo arrivare a questa meta. E siamo partiti alla lontana.
    Abbiamo moltiplicato riunioni dei vari gruppi sul problema finanziario del centro. Alle proposte di cogestione facevano riscontro immediato i problemi dell'autofinanziamento e del lavoro con cui assumersi l'onere della gestione economica del centro.
    I gruppi più sensibili l'hanno capito presto. La ripulitura e la sistemazione di un piano dell'edificio del centro (con un lavoro dal valore complessivo di 3.500.000 lire) è un segno tangibile di autofinanziamene e di cogestione.
    Anche la polisportiva ha raggiunto oggi una buona autosufficienza economica, in forza della partecipazione alle spese da parte dei ragazzi e dei genitori. E nel quadro delle spese figurano ormai da due anni le veci relative ai campi-scuola.
    Il livello più alto di partecipazione è segnato dalla condivisione della linea formativa del centro da parte dei ragazzi. I campi-scuola sono momento-limite di questo comune impegno di condivisione, a base allargata. Il consiglio tende sempre più a diventare l'organo di ordinaria amministrazione di questa diffusione larga e capillare dei progetti educativi con cui il centro intende qualificarsi.
    Per raggiungere questa meta, di fatica ne abbiamo spesa davvero tanta. Il cammino è stato lento, spesso a sussulti. Perché fare strada con tutti significa tenere il passo dell'ultimo.
    Ma non rimpiangiamo il tempo perso. Oggi sta crescendo il numero dei giovani che vogliono entrare nel servizio attivo in favore dei loro amici: arai gruppo genera dal suo interno i propri animatori.
    Vediamo, con gioia e trepidazione, la crescita di un laicato corresponsabile e cristianamente impegnato, nella e per la Chiesa.

    SPORT E GRUPPO SOCIALE:
    LA CRESCITA ALLA PROVA DEI FATTI

    Finora abbiamo fatto un po' di teoria sulla nostra storia. Non è la cosa de ci riesca meglio. Anche perché si tratta di staccare pagine importanti dal diario della nostra crescita, per passarle al vaglio di intuizioni, motivazioni, progetti.
    Ripensarci, con un briciolo di calma, ci ha permesso di capire meglio quello che oggi stiamo vivendo. Davvero nessun gesto è staccato dalla sua storia. Ora, però, vogliamo abbandonare le riflessioni tecniche per raccontare l'avventura di crescita di due gruppi che sono emblematici nel atro centro: il gruppo sportivo che raccoglie una rosa molto ampia di partecipanti, ed è la risposta «povera» al nostro quartiere; e il gruppo sociale che invece concentra le punte più sensibili, almeno in prospettiva politica. Abbiamo scelto questi due gruppi, perché gli amici che abbiamo in giro per l'Italia ci dicono che sono normalmente «complicati»: il gruppo sociale rischia di partire per la tangente e di sbattere la porta in faccia a quelli che non la pensano come esso ha deciso; quello sportivo diventa troppo spesso solo un consumatore accanito di palloni.
    Da noi le cose sono andate abbastanza diversamente.
    E difficile dire il perché. Le pagine precedenti possono offrire del materiale per intuire alcuni di questi motivi.

    LA MATURAZIONE DEL GRUPPO SPORTIVO

    La nostra polisportiva (e non è piccola: le girano attorno almeno 500 tra ragazzi e giovani) è giunta ad una convinzione, maturata in lunghe riflessioni ed accettata con livelli molto diversi di consapevolezza: lo sport
    «federale», quello praticato sotto l'egida delle grandi organizzazioni nazionali, così come noi l'avevamo capito, è sbagliato, antieducativo, «pagano», per tutto il complesso di idee e di progetto d'uomo che porta con sé. È, insomma, un degno riflesso dello sport «ufficiale», quello degli «stadi» e dei miliardi, per intenderci.

    Come siamo giunti a questa convinzione?

    Siamo partiti da una attenta analisi della mentalità corrente tra coloro che praticavano lo sport nel nostro centro. Abbiamo poi organizzato un campo-scuola, a stile «pugni nello stomaco», per far reagire, costringendo a prendere in qualche modo posizione. Dal campo sono emersi un gruppo di animatori, che credevano e volevano uno sport alternativo. Partono così le prime timide realizzazioni.
    Dopo due anni, il campo-scuola che per noi è cardine della nuova impostazione: studio e verifica di uno sport nuovo, nei metodi e nei contenuti. in vista di una «mentalità convertita», la più generale possibile.

    a) Lo sport è un servizio «sociale»; cioè è per tutti, e non solo per i «selezionati»; è un diritto di ogni uomo, specie se giovane;
    b) La polisportiva è un fatto «nostro» cioè di una comunità educativa, corresponsabile e completa di tutte le persone interessate (salesiani, genitori, animatori, sportivi);
    c) La polisportiva è un fatto di» educazione»; cioè si fa la scelta pedagogica dello sport, si accetta il metodo del gruppo, si pone come finalità la formazione umana-cristiana del giovane sportivo;
    d) La polisportiva è un fatto» ecclesiale» e, quanto al metodo,» salesiano»: cioè i gruppi sportivi hanno una precisa fisionomia cristiana, esplicitamente ad essa conducono e da essa traggono ispirazione per il modo di vedere e praticare lo sport; sono collegati con il centro e la parrocchia, si distinguono da ogni altra polisportiva perché fanno un discorso di sport alternativo a quello ufficialmente praticato in Italia; rivelano così un modo nuovo di fare sport.

    Sono fiorite alcune iniziative, tra cui, importante, l'associazione dei genitori degli sportivi e tentativi di uno sport di quartiere a chiaro sfondo sociale (la corsa di quartiere: «conosciamoci correndo!», oggi alla sua seconda edizione con più di mille partecipanti).
    Ormai al suo terzo anno di vita il Centro giovanile Don Bosco, ha lanciato la seconda edizione della corsa di quartiere «Conosciamoci correndo». iniziativa rientra nel quadro di attività d'impegno politico in cui si cimentano i giovani del centro.
    Infatti furono essi stessi due anni fa a voler far risorgere il vecchio Comitato di quartiere, perché si tenessero desti i problemi vivi di un settore «dormitorio» città di Roma, e perché si tentassero soluzioni concrete di strutture e mentalità comunitarie.
    Il quartiere è quello ben noto di Don Bosco - Cinecittà, il più densamente popolato di Roma e forse d'Europa (circa 90.000 abitanti nel raggio di 900 metri intorno alla chiesa), in grossi «contenitori «con circa 5.000 abitanti ciascuno.
    il quartiere dal più alto tasso di scoliosi infantile di tutta Roma! Le attrezzature praticamente non esistono per i 22.000 giovani della parrocchia, perché che ci sono, e sono private, non accolgono che pochi; in compenso vanno scomparendo, con gli ultimi pezzi di terreno edificabile, le ultime speranze di qualche boccata d'aria per le mamme e i ragazzi.
    Stralciamo dal manifesto scritto dai giovani organizzatori della corsa: «proprio questo ci orientiamo verso i giovanissimi del nostro quartiere e curiamo in particolare l'impegno politico per lo sport. Che cosa facciamo? Dopo aver fatto una precisa scelta per uno «sport per tutti», cioè per uno sport riconosciuto come diritto di ogni uomo, specie se giovane, ci siamo dedicati all'interno del giovanile a preferire uno sport di massa, e con la corsa «conosciamoci correndo» vogliamo portare a tutto il quartiere tale scelta, a favore di ogni abitante. Nella passata edizione ci eravamo attenuti ancora alle regole tradizionali: classifiche, premi dei primi arrivati, ecc. Quest'anno pensiamo di fare un passo in avanti di tipo qualitativo valorizzando la «partecipazione» più che il «risultato»; e allora non staremo a premiare i «fusti», cioè il primo, secondo terzo arrivato, ma allargheremo la rosa dei «premi a sorpresa» tra i partecipanti.

    «Sta di fatto che organizzando una gara non costruiamo certamente le attrezzature sportive mancanti nel quartiere. Questo lo dicevamo anche l'anno scorso, e ancora oggi la realtà non è cambiata; certa proprietà privata continua ad ignorare il bene comune e i problemi di intere masse di cittadini anche nel nostro quartiere, dove ancora prevalgono gli interessi di danaro sulle condizioni di vita degli abitanti. A fronteggiare tale stato di cose i primi a muoversi dobbiamo essere noi cittadini, consapevoli del nostro buon diritto di costruirci il «habitat» su misura d'uomo, sentendo il dovere di organizzarci strutture adeguate».

    Ora dobbiamo rimboccarci le maniche e decidere. Abbiamo una serie progetti che ci ronzano per la testa.

    a) Si ridurranno a poche le squadre federali, ma cresceranno quelle interne; 
    b) Non saremo più tanto asserviti a orari, mentalità e spese di sport, promossi da ente non nostro, in casa nostra;
    c) Serviremo un maggior numero di giovani e di famiglie che stanno nell'ambito parrocchiale e di quartiere;
    d) Faremo uno sport «catechizzabile», cioè sarà possibile creare un clima ci polisportiva, dove un giovane sportivo sia terreno arato, pronto per accogliere la parola di Dio;
    e) Lo sport così fatto sarà campo di azione apostolica dove matureranno giovani apostoli come animatori di gruppo, e quindi laici cristiani impegnati, corresponsabili nella gestione del centro, tra i quali probabilmente alcuni accoglieranno la proposta di entrare nella famiglia salesiana in qualità di cooperatori.

    Quali i risultati?

    Dai primi timidi tentativi di portare un pizzico di novità nel campo sportivo, ad oggi, sono passati quattro anni.
    Apparentemente non è cambiato molto. Soprattutto se tentiamo una misurazione di tipo statistico. Alcuni fatti sono però indice che qualcosa di nuovo sta muovendosi. Quest'anno, per esempio, in occasione di una festa del centro (in cui volevamo vivere una vera esperienza comunitaria in alcuni momenti-forti come la celebrazione dell'eucaristia) , due squadre si sono trovate in conflitto di orario. Le alternative: dare persa la partita con la conseguente multa o rinunciare all'incontro comunitario. Discussioni e votazione. Quasi all'unanimità si è deciso di dichiarare forfait, come testimonianza della nostra crescita comunitaria. Il fatto ha avuto risonanza negli ambienti del centro. Ci ha aiutato a crescere di più.
    In poche battute, possiamo raccogliere i «risultati» attorno a queste linee pratiche:

    a) Tutti sanno che il mondo sportivo è assai difficile a penetrare catechisticamente!
    b) Noi abbiamo tirato la conclusione che lo sportivo è catechizzabile, ma non nello sport così come è praticato, perché è pagano!
    c) Iniziammo il cambio timidamente nei primi due anni, decisamente in quasi ultimi tre.
    d) Ci siamo visti allora abbandonati dai vecchi dirigenti, che non accettavano il cambio di mentalità, ma siamo stati seguiti dai giovani che ne prendevano il posto, prima in pochi, ora in parecchi, per cui stiamo ricompletando il quadro, con figure nuove; non più il «dirigente» e l'«allenatore», ma l'«animatore» di gruppo sportivo, che è insieme allenatore-educatore-catechista dei suoi giovani, in chiave di animazione e di servizio apostolico.
    e) Abbiamo visto eliminarsi l'agonismo esasperato dei nostri sportivi, la preoccupazione di essere i primi a tutti i costi, la classica chiusura agli interessi e valori che non siano quelli sportivi.
    f) È nato in loro l'orientamento al servizio dei piccoli, degli ultimi, la promozione di uno sport per tutti e di autentico svago come le corse di quartiere e quelle della sensibilizzazione dell'opinione pubblica per il verde e lo sport sociale.
    g) Si sta dando più peso allo sport interno nel nostro cortile che a quello federale tra l'altro costosissimo.
    h) Vanno scomparendo le pretese di passare a squadre di serie superiore; e quelle squadre che si conservano chiuse alla nuova mentalità risultano incapaci esprimere uomini che si mettano a servizio degli altri come animatori, e quindi finiscono per non sapersi reggere nel quadro della nostra polisportiva, e quindi scompaiono.
    i) Parecchi di questi sportivi stanno facendo la scelta simultanea di altri gruppi più impegnativi.

    DALLA RACCOLTA CARTA ALLE MOTIVAZIONI DI FEDE

    Il gruppo sociale ha fatto i suoi primi passi lavorando e basta. Non avemmo altri problemi che di raccogliere molta carta, per fare un gruzzolo consistente. I soldi ci servivano come autofinanziamento di impegni concreti assunti al servizio del quartiere: assistenza ad alcune famiglie di baraccati, doposcuola, oratorio volante sui prati del quartiere.
    Presto il solo lavoro non ci bastava più. Qualcuno del gruppo sta mettendo tutti in crisi, sul filo dei perché: perché raccogliere carta, perché lavorare, perché... Avevamo l'impressione di ripetere nel gruppo la stessa logica del lavoro a cottimo: molto lavoro - molti soldi.
    La domanda ci martella dentro, in ogni incontro di verifica. Nascono i primi timidi tentativi di risposta. Diventa oggetto dei ritiri, dei momenti di crisi del gruppo, delle riunioni preparatorie per il comitato di quartiere e d quelle organizzative per le varie attività.
    Perché lo facciamo? Cosa ci muove «dentro»?
    Un campo-scuola sul tema «fede e impegno politico» imprime una virata avole alla nostra crescita. Scopriamo, assieme, il Cristo come significar profondo e definitivo del nostro impegno. Lo scopriamo sulla testimonianza di amici che con noi lo stavano vivendo, e nelle pagine difficili dei discorso sulla fede.
    Da quel campo, usciamo con la convinzione che avevamo dato troppo spazio alle iniziative e troppo poco alla maturazione della nostra fede. Entriamo in crisi. Credevamo di cambiare il mondo e di poter salvare gli altri, perché facevamo doposcuola o oratorio volante. Piccoli gesti di liberazione. Un cambio radicale nella salvezza definitiva è dono del Cristo. In questa prospettiva ritrovano significato nuovo le nostre iniziative. Sono «localizzate». E sentiamo il bisogno di agganciarle continuamente ala morte e risurrezione del Cristo.
    Oggi il gruppo continua a raccogliere carta, a fare doposcuola, a lavorare i baraccati. Ma ogni incontro si apre nella preghiera. Ed è la Parola di Dio che sostiene il nostro impegno. Che ci costringe a capire i limiti e l'irrinunciabilità del nostro impegno storico.
    Nel gruppo, però, è finita la pace. Prima ci voleva poco a trovare un accordo sulle cose da fare. Ora la fede ci inquieta. Ci costringe a procedere sempre oltre i nostri progetti. La fede, attraversando il gruppo, l'ha tagliato. Perché la maturazione raggiunta è diversa. E fare strada assieme significa trovare un ritmo di cammino adeguato a tutti, rispettoso di tutti senza per questo addomesticare esigenze e consapevolezze.
    Tutto sommato, però, molto meglio l'inquietudine di oggi che la tranquillità di ieri. Ce lo diciamo spesso. E questo ci permette di crescere.

    PROGETTI PER IL FUTURO: VERSO UNA COMUNITÀ DI FEDE

    La lunga strada percorsa assieme sta dando i suoi frutti. Ora la comunità non ci basta più. Intuiamo che è poco. Essere assieme, coordinare progetti e impegni: non è sufficiente per essere Chiesa. Qualcosa di più profondo e di più radicale deve attraversare la nostra vita e la nostra comunità.
    Parliamo di «comunità di fede». Non sappiamo che cosa significa. operativamente. Abbiamo intuito che molte cose devono cadere per lasciare il posto alla Parola di Dio, alla celebrazione dell'eucaristia, all'esperienza di Chiesa matura. Stiamo cercando di capirci. Di più è difficile dire. Vi abbiamo parlato della nostra esperienza. E le parole non ci mancavano. Ora dividiamo con voi i nostri ideali. Condividiamo la tensione, ma non abbiamo realizzazioni concrete da descrivervi. Assieme, educatori e giovani, stiamo rompendoci la testa per scoprire che cosa il Padre, oggi, ci chiede.
    Abbiamo scoperto che il gruppo non è ancora «la Chiesa», cioè una comunità di credenti, che il gruppo ha ancora tanti catecumeni che non hanno fatto proprio il battesimo, che non si può pretendere nel gruppo una conversione forzata ad alcuno ma che del resto non si può lasciare senza pane per i denti quelli che sono pronti a seguire Cristo con la vita.
    Di qui capiamo che alcuni giovani sono maturi per vivere la Chiesa nella fede viva e li invitiamo allora ad entrare in parrocchia, nella comunità neocatecumenale che sta per sorgere; agli altri facciamo capire che non devono uscire dal gruppo solo perché ancora non cristiani di fatto, perché il gruppo è propedeutico alla fede, è il terreno ideale per la catechesi, per chi è alla ricerca di Dio, che c'è posto per tutti!
    Era sbagliato credere che bastasse portare i giovani a vivere la comunità educativa, perché, ipso facto, essendo battezzati, fossero anche comunità di fede, cioè, facessero Chiesa! C'è un salto qualitativo enorme.
    Il fatto associazionistico è un fatto di iniziativa umana, e tale è anche la comunità educativa che ne scaturisce.
    Il fatto Chiesa è di iniziativa, ed è legato al dono gratuito di Dio. La Chiesa non scatta automaticamente dal lavoro nostro, dalla comunità educativa; il nostro lavoro riesce solo a creare l'ambiente, ad arare il terreno, nel quale il seme di Dio possa germinare, ma il seme non lo poniamo noi bensì la parola di Dio.
    Can le associazioni e la catechesi noi lavoriamo sulla disponibilità del giovane all’atto di fede.
    Abbiamo capito che la Chiesa è fatta dai credenti con fede viva, è adunata dallo Spirito Santo, quindi non è fatta solo di giovani, come volevamo noi e che la Chiesa è col vescovo e che perciò i giovani dovevano avere un inserimento chiaro nella parrocchia.
    Qui i giovani si troveranno insieme con gli adulti, con il parroco; qui avverrà l’inserimento dei giovani nella parrocchia, qui si supereranno le differenze tra vecchi e giovani, le divergenze tra centri e parrocchia. Lo Spirito Santo sa superare le nostre piccine beghe umane! Ancora una volta i giovani ci tracciano la strada!
    Arrivato all'inserimento del giovane nella comunità di fede il compito del centro giovanile finisce; possiamo dire allora di aver messo il cappello all'intera organizzazione del centro.
    Ma non siamo in grado di dirvi ancora come andranno le cose; se tale inserimento non avverrà dovremo cercare altre strade, con aiuto di tutti possibilmente, perché il giovane di fatto entri nella Chiesa! È il nostro punto di arrivo. A tale scopo sono indirizzati i primi calci al pallone che facciamo dare al ragazzo di otto anni che entra nel centro, le associazioni di ogni genere ed età che alimentiamo con tanti sacrifici e tecniche, gli sforzi di iniziative comunitarie con cui alleniamo i giovani alla vita.
    Tutto il centro è catechesi; è proprio vero quello che diceva Don Bosco: «Ognuno entrando, sappia che questo è luogo di religione, dove si vuole formare l'onesto cittadino e buon cristiano».

    Questa esperienza è, in molti aspetti, uno stimolo interessante per continuare il discorso: con i giovani e gli educatori più sensibili nelle comunità parrocchiali.
    Possiamo iniziare un dialogo con i lettori su questo argomento? Oratorio sì - oratorio no? Quale oratorio?


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