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    Missione e liberazione dei popoli



    Piero Gheddo

    (NPG 1975-7/8-52)

    «... Ma torniamo alla missione, come l'ho vissuta io in Bengala, prima dell'ultima grande guerra mondiale. Il missionario allora si dedicava solo ai diseredati: gli aborigeni di varie tribù (santal, oraon, munda, pahari), che erano sotto il tallone di musulmani e indù, furono i poveri che noi cercammo di aiutare in tutti i sensi, in campo sociale, economico, politico anche, culturale e finalmente religioso. Allora c'erano cerca 200.000 santal nella diocesi di Dinajpur e più ancora oraon e poi altri 14 gruppi tribali, viventi in piccole comunità alla mercè di musulmani e indù che li trattavano come schiavi... Noi missionari ci siamo schierati fin dall'inizio con gli aborigeni. Oggi si direbbe che abbiamo fatto una scelta di sinistra, ma io penso che abbiamo fatto semplicemente una scelta cristiana e dopo mezzo secolo è una soddisfazione per noi vedere queste razze oppresse che hanno i loro professionisti, insegnanti, funzionari governativi, capi politici, avvocati che sanno difenderli di fronte alla legge... Noi abbiamo incominciato con le scuole, poi li abbiamo aiutati ad unirsi in piccole cooperative, a liberarsi dal peso degli usurai, ed infine li abbiamo difesi nei tribunali, quando ci pareva che avessero ragione da vendere.
    Tutto questo lavoro per i tribali ci attirò l'odio di musulmani e indù, che oggi è quasi superato: ormai hanno capito che difendevamo i tribali non per andar contro di loro, ma perché era giustizia difenderli. Comunque allora molti bengalesi ci dicevano: "Mai noi diventeremo cristiani, fin che voi difendete gli aborigeni". Bisogna ricordare che a quei tempi gli aborigeni erano considerati dai bengalesi al livello di animali immondi, senza alcuna personalità né diritto. Il fatto di aver iniziato la redenzione di questi poverissimi fra i poveri, penso che quando si scriverà la storia del Bengala e più in genere dell'India dovrà essere riconosciuto come uno dei maggiori contributi dati dai missionari cristiani a questo paese».

    IL SIGNIFICATO PROFONDO DEL TERMINE «LIBERAZIONE»

    Così scriveva recentemente un missionario, il p. Fernando Sozzi, che ha vissuto 44 anni in Bengala, ricordando lo stile della missione d'altri tempi,[1] quando non si parlava ancora di «liberazione», ma già i missionari si preoccupavano non solo di annunziare il Vangelo, ma di aiutare gli uomini a crescere nella loro integralità, a liberarsi da ogni schiavitù interna (il peccato individuale) ed esterna (il peccato sociale, cioè l'oppressione di una classe sull'altra, di una razza sull'altra...). Anche se possiamo a volte criticare certi metodi del passato (troppo paternalistici o clericali) è indubbio che da sempre i missionari cristiani nel terzo mondo si sono impegnati ad elevare l'uomo e in particolare le classi più umili, le tribù, le caste marginali, attraverso la scuola e le opere sociali. John Gunther, nel suo famoso «Inside Africa», scrive: «Il lavoro che i missionari hanno fatto per l'educazione in Africa è immenso in tutto il continente al disotto del Sahara. Senza di loro, non vi sarebbe stata educazione di sorta fino a questi ultimi anni». Si era a metà degli anni cinquanta, l'Africa stava giungendo all'indipendenza e le potenze coloniali si accorgevano che l'unica opera di formazione di una élite indigena era quella fatta dalle missioni cristiane!
    Oggi però, il termine di «liberazione» assume un significato molto più vasto di quello che è stato in passato l'aiuto allo sviluppo. È un termine che ha avuto un enorme successo, in particolare nel terzo mondo, perché non indica solo un progresso materiale sulla linea già tracciata dai popoli «sviluppati», ma sta ad indicare lo sforzo di ricerca d'un modello nuovo di sviluppo e la libertà di percorrere appunto vie nuove, senza essere condizionati da imposizioni esterne. Se gli anni sessanta sono stati gli «anni dello sviluppo» (quando si ragionava in termini di reddito medio annuo e prodotto nazionale lordo), gli anni settanta sono gli anni della liberazione, che coinvolgono anche noi «popoli ricchi»: in quanto anche il nostro «modello di sviluppo» è in crisi, rivela chiaramente i suoi limiti. Già Einstein diceva che «il mondo moderno è caratterizzato da una ricerca perfezionata per quanto riguarda i mezzi, ma dalla confusione riguardo ai fini»: cioè abbiamo molte ricchezze, mezzi tecnici strapotenti, ma non sappiamo come usarli per il vero bene dell'uomo!

    Nelle missioni, una via cristiana alla liberazione?

    Paolo VI precisa molto bene nella «Populorum Progressio» (1967) che sviluppo (allora il termine liberazione non era ancora usato) significa «passare da condizioni meno umane a condizioni più umane», ricordando che «per essere autentico, lo sviluppo dev'essere integrale, cioè volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l'uomo». Non si tratta quindi solo di progresso materiale, di una maggior disponibilità di beni di consumo, e nemmeno solo dell'indipendenza politica o di giustizia sociale: si tratta invece di dare agli uomini coscienza della loro dignità di figli di Dio e di fratelli, di permettere il pieno sviluppo della persona umana, nella libertà e nella fraternità universale.
    Una certa mentalità materialista, presente tanto nel capitalismo come nelle varie ideologie di derivazione marxista, pone invece l'accento sugli aspetti puramente materiali, sociali, economici dello sviluppo, con conseguenze negative per la liberazione dell'uomo, che si libera dal bisogno ma diventa schiavo di altre oppressioni spesso peggiori. Nel capitalismo, la soluzione dei problemi umani vien vista nella libera iniziativa volta a produrre il maggior numero possibile di beni di consumo: si esalta lo «spirito imprenditoriale», l'industrializzazione, il benessere, le scoperte tecnico-scientifiche, ecc. Ma questa e la via già seguita dall'Occidente capitalista e noi sappiamo che crea altre forme di schiavitù che soffocano l'uomo: crescita mostruosa delle città, inquinamenti, sperperi e ingiustizie, marginalizzazione dei deboli e dei «non produttivi», spersonalizzazione dell'uomo sottomesso a ritmi più intensi di lavoro e da tensioni crescenti, materialismo edonistico, ecc.
    Come reazione al capitalismo, si è sviluppato il marxismo (o altre simili ideologie rivoluzionarie), che ha dato origine, attraverso la mediazione del leninismo, a vari sistemi socialisti, nei quali l'accento viene posto, più che sulla produzione in sé di beni materiali, sulla giustizia sociale, sull'abolizione di ogni divisione di classe, partendo dal presupposto che l'alienazione suprema dell'uomo è il subire lo sfruttamento da parte di altri uomini, i «padroni» che hanno il capitale ed i mezzi di produzione. Tutto allora diventa proprietà dello Stato, che in teoria dovrebbe curare il bene di tutti i cittadini e pretendere da ciascuno tutto quello che può dare. È noto il detto di Mao: «Da ciascuno secondo le sue possibilità, a ciascuno secondo le sue necessità», una massima perfetta, di spirito profondamente evangelico (che però non si riesce a realizzare nemmeno nelle comunità religiose, di volontari che si sono riuniti a vivere assieme fra l'altro anche per questo motivo!) Infatti, le varie e diverse esperienze di «dittatura del proletariato» hanno dimostrato che anche questa via non libera l'uomo, ma lo rende schiavo della burocrazia statale, dell'ideologia di stato imposta a tutti con la forza, del controllo poliziesco, dell'inquadramento in un unico stampo di pensiero e di azione. Il socialismo, come d'altronde anche il capitalismo, può portare ad alcuni risultati positivi, ma non allo sviluppo integrale, alla liberazione autentica dell'uomo: marxismo e capitalismo trascurano la parte essenziale dell'uomo, che è quella spirituale, il suo rapporto con Dio che illumina anche tutto il cammino sulla terra.
    Il cristianesimo non ha una «terza via» da proporre, in contrapposizione con le altre, poiché Cristo non è venuto a dirci come si deve organizzare la società e lo stato. Il contributo della Chiesa e della missione alla liberazione dei popoli si pone dunque non sul piano politico od economico, ma sul piano che possiamo chiamare pre-politico e profetico. Il cristianesimo non vuol portare una precisa linea politica, ma formare gli uomini allo spirito di Cristo affinché agiscano nella società secondo questo spirito; e mantenere una funzione profetica in favore della liberazione dell'uomo.
    Vediamo, in concreto, quali sono le modalità, i contributi che la missione dà alla liberazione dei popoli.

    ILLUMINAZIONE DELLE FINALITÀ DELLO SVILUPPO

    Il primo contributo la missione lo dà illuminando le finalità dello sviluppo umano, attraverso l'annunzio evangelico. La rivelazione biblica dà all'uomo il senso profondo della sua storia e un ideale di vita personale e comunitario che lo trascende e lo stimola a superarsi (a liberarsi dalla prima alienazione, che è il peccato personale). Pascal diceva che «l'uomo supera infinitamente l'uomo»: fin che l'uomo rimane chiuso nel suo limitato orizzonte umano (sia quello magico dei popoli primitivi, sia quello consumistico dei popoli industrializzati) non riuscirà mai a dare un senso compiuto alla sua vita. Noi crediamo che Cristo è «l'uomo nuovo», «la chiave, il centro e il fine dell'uomo, nonché di tutta la storia umana», «il fine della vicenda umana, il punto focale degli impulsi della storia e della civiltà, il centro del genere umano, la gioia di ogni cuore, la pienezza delle loro aspirazioni», come dice la Lumen Gentium (22, 45). Non sono frasi trionfalistiche: la missione, in quanto annunzio del disegno di Dio sul mondo e l'annunzio della piena salvezza e realizzazione dell'uomo in Cristo, è l'atto più rivoluzionario che il cristiano può compiere, il contributo più fondamentale che egli può dare alla creazione d'un mondo veramente nuovo, in cui tutti gli uomini riconoscano Dio come Padre e si sentano e si comportino da fratelli.
    «La missione della Chiesa - dice la Gaudium et Spes (11) - è di natura religiosa e perciò stesso sommamente umana». Non esiste il dilemma: evangelizzazione o sviluppo? Evangelizzazione o liberazione dell'uomo? Poiché evangelizzando già si dà il massimo contributo possibile alla liberazione dell'uomo!
    La liberazione, secondo il Vangelo, parte dall'interno dell'uomo, poiché l'alienazione più pesante, più opprimente, è il peccato personale, cioè l'egoismo. «Il peccato - dice la Gaudium et Spes (13) - è una diminuzione per l'uomo stesso, poiché gli impedisce di conseguire la propria pienezza» E ancora, la Gaudium et Spes afferma (41) che «ogni schiavitù deriva in ultima analisi dal peccato». La liberazione di Cristo libera l'uomo dal proprio egoismo, con l'aiuto della fede e della grazia di Dio. Se è vero, come ha detto Mao Tze-tung, che «la più grande rivoluzione è trasformare l'uomo» (e questo è stato sempre il sogno di tutti i rivoluzionari, che hanno sempre parlato di «uomo nuovo» da formare), Gesù è venuto ad annunziare che l'uomo non lo si trasforma con la violenza, con l'imposizione dall'esterno, con la manipolazione della sua coscienza. Solo Dio (che ha creato l'uomo) può trasformare dall'interno la coscienza umana, pur lasciandola completamente libera! Ecco il senso della rivoluzione cristiana, che la missione deve annunziare e testimoniare attraverso la vita dei cristiani: i quali, negli ambienti in cui vivono, devono essere portatori di luce e di speranza, facendo scoprire all'uomo le finalità della storia e del progresso materiale e mettendolo in comunione intima con la liberazione portata da Cristo.

    FORMAZIONE DELL'UOMO (COSCIENTIZZAZIONE)

    Il missionario non è un tecnico dello sviluppo economico o politico, ma un tecnico del risveglio delle coscienze: senza questo risveglio, non vi può essere sviluppo né liberazione alcuna. Il compito del missionario - e più in genere della missione della Chiesa - non è quindi anzitutto quello di portare particolari tecniche e mezzi di sviluppo, ma di comunicare agli uomini un messaggio di liberazione che li rende coscienti della loro dignità e li spinge a cambiare quegli aspetti delle loro tradizioni e strutture sociali in cui vivono, che sono un ostacolo allo sviluppo di tutto l'uomo e di tutti gli uomini.
    Il Sinodo episcopale del 1971, dedicato al tema della giustizia, ha molto insistito sul fatto dell'educazione delle coscienze, come strumento di liberazione: «Lo scopo di tale educazione - dice il testo finale - per le nazioni in via di sviluppo, consiste nel tentativo di scuotere la coscienza onde si renda conto della concreta situazione, e nell'invito a conseguire un miglioramento totale: elementi questi da cui appunto incomincia la trasformazione del mondo». E il Sinodo invitava gli educatori cristiani alla verifica dei loro metodi, poiché «la forma di educazione, che per lo più è ancora in vigore ai nostri giorni, favorisce un gretto individualismo»
    Il compito della Chiesa è la formazione delle coscienze allo sviluppo, lo stimolare la gente del posto ad un'azione comunitaria per uscire dallo stato di povertà e costruire una società più giusta, più fraterna. Il missionario, più che lavorare al posto degli altri, contribuisce a cambiare la mentalità dei popoli, a farli uscire dall'inerzia e dalla passività, dando loro il senso dell'impegno personale e sociale. Questi risultati, il missionario li ottiene con mezzi poveri, piccoli, ma profondamente inseriti nella vita del popolo: con la scuola per adulti, fondando una piccola cooperativa di pescatori o di contadini, attività che possono sembrare trascurabili di fronte ai colossali problemi di un paese povero; ma in quel villaggio o in quei villaggi che lavorano uniti, la cooperativa cambia a poco a poco la gente, la abitua a lavorare assieme, la rende cosciente dei propri diritti e della propria forza, fa superare le divisioni tribali o di razza, ecc. Migliaia di piccole cooperative a livello di villaggio ottengono di più, per la liberazione d'un popolo, di iniziative costosissime (es. una fabbrica in ambiente impreparato a riceverla) che alla gente comune non dicono nulla e rimangono isolate.
    Questo lavoro di «coscientizzazione», di formazione umana allo sviluppo, è poco capito in Occidente, perché normalmente non ci si rende conto di cosa significa l'evoluzione delle mentalità e delle culture.
    Un esempio concreto lo porta il vescovo di Morogoro (Tanzania), l'africano mons. A. Mkoba, in una conferenza tenuta anni fa in Olanda:[2] «Lo Stato - dice il vescovo - può fondare un ospedale, il quale funzione presupponendo che l'infermità ha cause naturali e può essere curata con mezzi naturali come la medicina. Ma se la gente è convinta che l'infermità e il male vengono prodotti da agenti soprannaturali, la fondazione di un ospedale risulta inutile, poiché la gente non vi andrà. Tutta la vita tradizionale degli africani è intesa in questo contesto soprannaturale, che penetra tutti gli aspetti della vita. Tutti i nuovi progetti di sviluppo cozzano contro questa vecchia mentalità, non preparata al nuovo modo di vedere la vita. Una delle ragioni per cui la Chiesa, con mezzi finanziari e di personale molto più ridotti, ha ottenuto risultati migliori di quelli dei governi, consiste appunto nel fatto che essa ha saputo dare questa nuova visuale della vita, questa nuova mentalità e filosofia della vita, senza la quale la maggior parte dei progetti di sviluppo è destinata al fallimento. La Chiesa ha effettuato questo processo educativo attraverso la sua organizzazione ecclesiale, la sua liturgia, i suoi sacramenti, attraverso il lavoro pastorale del suo personale ecclesiastico. Persino i governi non cristiani apprezzano quest'opera della Chiesa, riconoscendo il benefico influsso della religione e del cristianesimo nel rapido sviluppo di quei popoli. Questa è la ragione per la quale il governo della Tanzania cerca avidamente la cooperazione dei missionari, che hanno grande influsso sulla mentalità delle popolazioni e il potere di educarle. Il governo comprende che il lavoro che essi svolgono è la condizione essenziale per garantire l'esito del suo programma di sviluppo».
    Un missionario in India da vent'anni, il p. Natale Fumagalli del PIME, scrive:[3] «Quando un villaggio accetta la fede cristiana, rimane povero come prima: ma quel villaggio ha acquistato, con la fede in Cristo, una nuova dignità, una nuova coesione, un sentimento di solidarietà e di carità che prima non aveva, una speranza nell'avvenire, una voglia di lavorare ed impegnarsi per lo sviluppo e la giustizia. Questo mi pare il frutto più chiaro dell'annuncio evangelico in campo sociale, che porterà inevitabilmente i cristiani a sviluppare più dei non cristiani. Noi missionari non dobbiamo portare altro che questo: noi portiamo la radice del vero sviluppo umano, poiché questo mi pare corrisponde alla vocazione di missionari di Gesù Cristo».

    PARTECIPAZIONE ATTIVA ALLO SVILUPPO

    La Chiesa ed i suoi missionari sono anche direttamente impegnati nell'opera di liberazione dei popoli, con opere sociali e di sviluppo: scuole, ospedali, lebbrosari, aiuti all'agricoltura, ecc. Il valore di queste attività deriva dal fatto che le comunità cristiane sono profondamente inserite nella vita di ciascun popolo, per cui la loro testimonianza di impegno sociale e gli aiuti concreti all'elevazione delle masse diseredate non rappresentano un'imposizione esterna, ma un aiuto dall'interno, quindi molto più efficace. Ci si chiede spesso, in seno ai grandi organismi internazionali di aiuto allo sviluppo (FAO, ecc.), perché le Chiese cristiane, con molti meno mezzi, ottengono risultati assai più evidenti di quanti ne ottengono gli organismi stessi, che pure possono contare su schiere di tecnici competenti e dedicati. Il motivo è semplice: soprattutto nel terzo mondo, nessuna iniziativa sociale od economica riesce se non è accompagnata dall'animazione popolare, cioè se non è capace di coinvolgere il popolo che deve beneficiarne e portarla avanti.
    Moltissime esperienze di animazione popolare si potrebbero citare. Prendiamo quella attuata dal CORR (Organismo cristiano per l'assistenza e la ricostruzione), organizzazione nata dalla Chiesa bengalese dopo l'alluvione del 1970, per coordinare tutti gli aiuti che giungevano dai vari organismi cristiani del mondo intero e in particolare dalla Caritas. Dopo la guerra d'indipendenza del Bangladesh nel 1971, il paese era stremato per la distruzioni e per la necessità di dover risistemare circa 10 milioni di profughi che tornavano dall'India. Più ancora, mancava addirittura una struttura governativa efficiente, poiché il precedente governo pakistano era quasi del tutto sparito con la guerra e il nuovo governo non aveva ancora personale sufficiente (i pakistani avevano trucidato a sangue freddo migliaia di intellettuali e studenti bengalesi!). Il CORR, animato dalle piccole comunità cristiane che rappresentano circa l'uno per cento della popolazione totale, si trovò a dover sostenere un compito di enormi dimensioni, riuscendo non solo ad alleviare la fame, ma a salvare la disastrosa situazione offrendo alla gente possibilità concrete di lavoro; e poi, esaurite le prime necessità, orientandosi per un aiuto di animazione rurale che ha dato i suoi frutti. Il p. L'Imperio, direttore del CORR per la diocesi di Dinajpur, così descrive l'azione e lo spirito di questo organismo:[4] «L'orientamento è di dare un aiuto perché possano fare qualcosa da soli; se ci si limita a sfamarli oggi, bisogna fare lo stesso anche domani. Per i vestiti, ad esempio, abbiamo valorizzato i tessitori locali, che possiedono dei telai di bambù rudimentali, ma l'utilità di questi telai sta nel fatto che sono costruiti con materiale che si trova sul posto e quindi possono facilmente essere rinnovati. Noi abbiamo fornito i soldi per comperare il bambù per il telaio e la materia prima per il lavoro. I proprietari si sono impegnati a restituire i soldi imprestati, con i quali si comperano dei telai per altra gente e così si è creato un piccolo commercio locale. Questa è un'opera di sviluppo a lungo termine. Così si è fatto per le case e per altre iniziative in campo agricolo, sempre cercando di sfruttare il più possibile le risorse locali. Il CORR sta lentamente abbandonando l'opera di aiuto diretto (distribuire cibo e vestiti ad es.) per darsi ad un'opera di sviluppo a più lunga scadenza, collaborando con i piani governativi... Dobbiamo aiutare questa nazione a far da sé: è su questa linea che lavora il CORR, impegnandosi soprattutto a risvegliare una nuova coscienza sociale... Un qualsiasi esperto straniero venga, si deve inserire in un gruppo (ora il CORR è diretto da bengalesi), discute con questo gruppo qualsiasi problema da affrontare, non agisce direttamente sul posto, ma deve educare la gente ad agire. Solo dove la gente è preparata noi facciamo dei campi sperimentali, ma sempre nei villaggi, poiché è da qui che parte lo sviluppo del paese. Abbiamo sperimentato la coltivazione di un nuovo tipo di riso, che aumenta di molto la produzione; non è stato facile convincere la gente a cambiare il loro modo tradizionale di coltivazione, ma adesso hanno visto il risultato e tutti chiedono quel tipo di riso...».
    «Le cooperative - continua p. L'Imperio - sono un'esperienza iniziata già parecchi anni fa e sono state accettate in maniera positiva dalla gente. Noi chiediamo di lavorare assieme, facendo capire che il singolo contadino non può risolvere tutti i suoi problemi... I partecipanti ad una cooperativa si radunano settimanalmente per discutere i loro problemi: noi esigiamo un risparmio minimo settimanale, che oltre a creare un capitale sociale li rende direttamente responsabili e capaci di agire con i mezzi che hanno a disposizione...».
    Una caratteristica delle opere sociali ed educative delle Chiese locali è lo sforzo di formare personale indigeno, per affidargli la responsabilità delle varie iniziative. In passato il missionario aveva tendenza a fare un po' tutto lui, cioè a prendere da solo le decisioni ed anche a mantenere la proprietà di tutto quello che faceva in campo sociale (scuole, ospedali, fattorie modello, ecc.). Oggi le giovani Chiese si rendono conto che, per formare veramente l'uomo, bisogna dargli responsabilità e autonomia e renderlo artefice della propria liberazione.

    FUNZIONE PROFETICA DELLE CHIESE

    L'impegno della missione per la liberazione dell'uomo non può ridursi al campo spirituale, culturale, sociale: deve diventare anche impegno politico. La fede non è un'ideologia politica, ma un'ispirazione all'azione politica dei cristiani: di conseguenza, l'azione missionaria nel terzo mondo, pur senza voler proporre o impegnarsi in soluzioni politiche concrete, porta anche un contributo politico alla liberazione dell'uomo. Come? Ecco alcuni aspetti:
    * Anzitutto impegnando i cristiani «ad assumere come loro compito specifico il rinnovamento dell'ordine temporale», poiché «sono necessari dei cambiamenti, sono indispensabili delle riforme: essi devono impegnarsi ad infondere loro il soffio dello spirito evangelico».[5] Il missionario deve educare i suoi cristiani a «prendere sul serio la politica» e ad impegnarvisi nello spirito d'un vero servizio al prossimo e al bene comune, riconoscendo loro «una legittima varietà di opzioni possibili: una medesima fede può condurre a impegni (politici) diversi».[6] Possiamo dire che questo compito la missione l'ha assolto egregiamente, in Asia e Africa (meno in America Latina), dove i cristiani sono stati e sono ancor oggi la parte più coscientizzata e politicamente attiva delle popolazioni locali, anche se con tendenza negativa all'integrismo, cioè a sentire fortemente la propria identità cristiana in un mondo pagano, e quindi a chiudersi alla collaborazione con altre forze politiche e religiose (ma è una tendenza in via di rapido superamento, anche perché in nessuna parte del terzo mondo - sempre eccetto l'America Latina - i vescovi hanno permesso la fondazione di partiti cristiani).
    * Il compito della Chiesa come tale (gerarchia, sacerdoti, strutture) è di carattere profetico, cioè di difesa dei diritti dell'uomo e di denunzia delle oppressioni di questi diritti, da qualunque parte vengano.
    Il Sinodo episcopale del 1971 sulla «giustizia nel mondo», affermava: «La Chiesa ha il diritto, anzi il dovere di proclamare la giustizia nel campo sociale, nazionale e internazionale, nonché quella di denunziare le situazioni d'ingiustizia, allorché i diritti fondamentali dell'uomo e della sua stessa salvezza lo richiedono... Di per sé non spetta alla Chiesa fornire soluzioni concrete in campo sociale, economico e politico... La sua missione porta però con sé la difesa e la promozione della dignità e dei diritti fondamentali della persona umana». Parlando poi dei modi concreti d'intervento. i vescovi affermano: «La nostra missione ci impone il dovere di denunziare coraggiosamente le ingiustizie, con carità, prudenza e fermezza, in dialogo sincero con tutte le parti interessate». I vescovi asiatici, riuniti a Manila nel 1970, affermano nel loro messaggio alle Chiese d'Asia: «Decidiamo di avere il coraggio di parlare chiaramente per i diritti dei diseredati e dei poveri, contro ogni forma d'ingiustizia, da qualunque parte vengano gli abusi: non ci legheremo le mani compromettendoci con i ricchi ed i potenti dei nostri paesi». Anche i vescovi latino-americani scrissero più o meno le stesse parole a Medellìn (1968).
    In realtà, questa della denunzia, è una coscienza nuova che si sta formando nella Chiesa. In passato, pur non mancando casi di aperta opposizione alle ingiustizie (basti ricordare tutta la storia del movimento antischiavista, in gran parte dovuto ai missionari e anche ai vescovi: es. Lavigerie). La Chiesa s'è spesso ridotta a docile strumento nelle mani del potere politico ed economico, per timore di perdere privilegi e aiuti: fatto particolarmente grave là dove i pubblici poteri erano considerati cristiani e protettori della Chiesa (es. nelle ex-colonie portoghesi) ! Oggi si sta formando, anche nelle Chiese che rappresentano una minuscola minoranza della popolazione, una coscienza politica e profetica che permette di denunziare le ingiustizie: questo si sta verificando soprattutto in America Latina, dove ormai anche gli episcopati sono quasi ovunque all'opposizione, e anche in Asia, dove ci sono oggi Chiese di notevole coraggio (Corea del sud, Filippine, Indonesia, Bangladesh, Hong-kong); in Africa, al contrario, il rapporto fra Chiesa e autorità politiche è ancora di sottomissione anche nei casi di gravissime ingiustizie collettive (Burundi), eccetto che nei paesi di razzismo bianco (Sud Africa e Rhodesia) dove i vescovi hanno parlato spesso e chiaramente, subendone le conseguenze.

    SOLO L'AMORE È RIVOLUZIONARIO

    Tutti gli uomini, e in particolare i popoli poveri del terzo mondo, aspirano alla «liberazione»: parola magica che riassume tutte le più profonde aspirazioni dell'uomo alla pace, alla fraternità, alla giustizia, ad una vita degna dell'essere umano. Molte sono le «ricette» di liberazione che vengono offerte agli uomini, in campo politico, sociale, economico, filosofico; e molte sono le analisi dell'alienazione e dell'ingiustizia.
    Noi cristiani crediamo che la vera e unica rivoluzione è quella portata da Cristo: ed è la rivoluzione dell'amore. Le altre sono pseudo-rivoluzioni, che possono anche cambiare strutture d'ingiustizia stratificata, ma che lasciano intatta la vecchia legge che regola i rapporti umani, cioè la vittoria del più forte, la violenza verso lo sconfitto, lo spirito di lotta e di odio che inaridisce il cuore: perciò creano inevitabilmente nuove ingiustizie. Parafrasando s. Giovanni, possiamo dire che l'uomo è alienato perché «non ha creduto nell'amore».
    La Gaudium et Spes lo afferma chiaramente (38): «Il Verbo di Dio... ci rivela che "Dio è amore" (1 Gv 4,8) e insieme ci insegna che la legge fondamentale dell'umana perfezione, e perciò stesso della trasformazione del mondo, è il nuovo comandamento della carità. Coloro pertanto che credono alla carità divina, sono da Lui resi certi che è aperta a tutti gli uomini la strada della carità e che gli sforzi intesi a realizzare la fraternità universale non sono vani».
    La conclusione è chiara: quello che importa nell'impegno di giustizia e di lotta per la liberazione dell'uomo è l'amore, l'autentico spirito di carità universale. La missione della Chiesa - e del cristiano - è di portare questo spirito di perdono, di buona volontà, di fiducia nell'uomo, di fratellanza universale, nella vita quotidiana della società, non esasperando i contrasti ma cercando di ridurli col dialogo e con la comprensione dell'altro.
    «La giustizia senza amore - ha scritto il p. Régamey, un domenicano che ha molto scritto sul tema dei poveri - è amara e dura. Si vedono troppi cristiani servire la causa dei poveri con un'asprezza cattiva, in cui assai più dello spirito evangelico si avverte l'odio per i ricchi». È la storia di molti giovani venuti dalle file cristiane, che hanno cercato al di fuori del cristianesimo l'ispirazione per l'impegno di liberazione e si ritrovano pieni di rabbia, di amarezza, di spirito di violenza e di settarismo. Come scriveva Martin Luther King: «Per la sua stessa natura l'odio distrugge e lacera; per la sua stessa natura, l'amore crea e costruisce». In un mondo sconvolto dalla violenza, dall'odio, dagli estremismi ideologici, la missione della Chiesa e del cristiano è di annunziare e testimoniare al mondo che «tutta la legge si compendia in questo solo comando: ama il prossimo tuo come te stesso» (Gal 5,14). Questo il più alto contributo che possiamo portare alla liberazione dell'uomo.


    NOTE

    [1] F. Sozzi, I miei 44 anni di missione in Bengala, in «Mondo e Missione», ottobre 1974.
    [2] In «Fides», Roma, 12 settembre 1970, pp. 468-473.
    [3] N. FUMAGALLI, Predicare il Vangelo o aiutare i poveri?, nel volume «Evangelizzazione o sviluppo?» di autori diversi, E.M.I., Bologna, 1972, p. 49.
    [4] A. L'IMPERIO, Bangladesh: la Chiesa a servizio dello sviluppo, in «Mondo e Missione», Milano, ottobre 1974, pp. 523-528.
    [5] Populorum Progressio, 81.
    [6] Octogesima Adveniens di Paolo VI (1971), nn. 46, 50.


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    Competenze trasversali


    L'umano
    nella letteratura


    I sogni dei giovani x
    una Chiesa sinodale


    Strumenti e metodi
    per formare ancora


    Per una
    "buona" politica


    Sport e
    vita cristiana
    rubrica sport


    PROSEGUE DAL 2023


    Assetati d'eterno 
    Nostalgia di Dio e arte


    Abitare la Parola
    Incontrare Gesù


    Dove incontrare
    oggi il Signore


    PG: apprendistato
    alla vita cristiana


    Passeggiate nel
    mondo contemporaneo
     


    NOVITÀ ON LINE


    Di felicità, d'amore,
    di morte e altro
    (Dio compreso)
    Chiara e don Massimo


    Vent'anni di vantaggio
    Universitari in ricerca
    rubrica studio


    Storie di volontari
    A cura del SxS


    Voci dal
    mondo interiore
    A cura dei giovani MGS

    MGS-interiore


    Quello in cui crediamo
    Giovani e ricerca

    Rivista "Testimonianze"


    Universitari in ricerca
    Riflessioni e testimonianze FUCI


    Un "canone" letterario
    per i giovani oggi


    Sguardi in sala
    Tra cinema e teatro

    A cura del CGS


    Recensioni  
    e SEGNALAZIONI

    invetrina2

    Etty Hillesum
    una spiritualità
    per i giovani
     Etty


    Semi e cammini 
    di spiritualità
    Il senso nei frammenti
    spighe


    Ritratti di adolescenti
    A cura del MGS


     

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