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    Gli ostacoli sulla via dell'organizzazione umana del lavoro



    Salvatore Bruno

    (NPG 1975-05-16)

    Questo articolo, che si ricollega a quello apparso sul numero di marzo, apre ad un terzo intervento in cui l'autore ci offrirà proposte per il superamento delle alienazioni denunciate, in queste pagine, con tanta passione.
    L'autore unisce all'insegnamento universitario una lunga esperienza di contatto con giovani operai. La fredda disamina delle cause e la rassegna dei condizionamenti sono perciò vissuti con un calore tutto particolare: di chi «compartecipa» dal vivo e nello stesso tempo avverte la possibilità sperimentata di sbocchi alternativi, spesso disattesi per interessi egoistici.
    Questa serie di articoli, che si inquadra nel progetto che la rivista sta portando avanti per la formazione dei giovani operai, è finalizzata a «creare» mentalità nell'operatore pastorale, per aiutarlo a parlare del mondo del lavoro, in chiave educativa d'accordo, ma con una precisa consapevolezza tecnico-strutturale.

    IL PRIMO GIORNO DI FABBRICA...

    Il primo giorno di azienda dovrebbe essere per il giovane lavoratore che vi si è preparato pieno di speranza e di trepidazione, una data da ricordare con piacere, l'inizio di una nuova vita autonoma e piena di prospettive. Purtroppo, invece, quasi sempre rappresenta per lui il primo incontro con una dura e desolante realtà umana. Egli ha presto la netta sensazione di essere considerato non tanto per quello che è, un giovane pieno di speranza, di buona volontà, con tanta emozione addosso, quanto come ama una nuova macchina da lavoro. L'interesse dell'azienda è, spesso, tutto e solo per il lavoro che egli può dare, non per la sua persona.
    A generare questa amara sensazione concorrono principalmente il comportamento del capo cui è stato assegnato e dei compagni di lavoro anziani. Assillati dalla preoccupazione di evitare «grane» con la direzione, essi non hanno tempo per occuparsi del nuovo venuto, del suo orientamento: di lui si occupano solo per affidargli compiti noiosi e privi di contenuto professionale. Gli unici brevi accenni al futuro riguardano la prospettiva di una multa o di altre sanzioni disciplinari nel caso che son eseguisse puntualmente gli ordini, arrivasse tardi al mattino o mancasse di riguardo ai superiori.
    Certo vi sono aziende in cui l'accoglienza riservata al giovane lavoratore è meno fredda e scoraggiante. Ma anche quando egli capita in una di esse, ben presto viene indotto dalla personale esperienza a giudicare negativamente la sua condizione umana nel lavoro. Né potrebbe essere diversamente. Le attenzioni che talune direzioni aziendali riservano ai giovani lavoratori (corsi di accoglimento, di qualificazione professionale) possono scadere meno traumatico l'impatto con l'ambiente di lavoro, ma non cancellano certo le conseguenze disumanizzanti dei modelli di produzione propri del nostro sistema economico: poco o nessun conto per il bisogno del lavoratore di svolgere il lavoro come attività pienamente umana, che coinvolga cioè tutte le potenzialità della persona e non solamente una parte di esse, quelle neuro-muscolari. In altri termini, impossibilità per il lavoratore di mettere a frutto le sue capacità creative e organizzative, di partecipare allo studio, alla definizione e al controllo di programmi produttivi orientati al raggiungimento di chiare finalità sociali.
    E ancora, lavori monotoni, ripetitivi, spesso nocivi, ritmi estenuanti, pericoli di infortunio, controllo fiscale del rendimento, umiliazioni, soprusi e ingiustizie di vario genere e magari, a fine d'anno, la cerimonia della befana aziendale o della medaglia agli anziani del lavoro.

    MOLTO È STATO FATTO E MOLTO RESTA DA FARE

    Certo molti passi avanti sono stati compiuti, specie in questi ultimi anni, e altri se ne stanno facendo faticosamente sulla via dell'umanizzazione del lavoro. Ma il cammino da compiere è ancora molto. Come spiegare sennò, per fare un esempio, che negli USA, il paese non a torto considerato la punta avanzata della società industriale neocapitalistica, molti giovani preferiscono l'insicurezza economica, la limitazione dei consumi, al posto loro e ben remunerato in un'azienda?
    Come spiegare, per tornare ai problemi di casa nostra, che, dopo tanti anni di sacrifici e di attesa, una volta riusciti finalmente a trovare un posto di lavoro, la grande maggioranza dei giovani italiani denunciano sia individualmente che collettivamente la insopportabilità della loro condizione umana nel lavoro?
    Ma che cosa deve cambiare perché il lavoro possa diventare, come da qualche tempo si usa dire, «a misura d'uomo»? Non è certo possibile rispondere in breve, com'è necessario in questa sede, a una domanda così impegnativa. Si può tuttavia cominciare a individuare e ad analizzare, sia pure sommariamente, le cause che determinano nell'azienda il complesso di condizioni di lavoro che risultano inaccettabili dal punto di vista umano.

    CAUSE DI DISUMANIZZAZIONE NEL LAVORO

    Esse possono essere distinte in due categorie:
    • la prima che comprende quelle che si formano a livello di singolo individuo in termini di schemi interpretativi della realtà e di comportamento sociale;
    • la seconda quelle individuabili a livello di strutture (sociali, economiche, politiche, religiose, ecc.) come stratificazione storica degli effetti combinati delle prime.
    Naturalmente le une e le altre interagiscono, cosicché è difficile stabilire in che misura ciascuna di esse sia responsabile dei fenomeni di cui ci stiamo occupando.
    Cominciamo col domandarci chi sono i portatori degli schemi interpretativi della realtà inclusi nella prima delle due categorie proposte. Per quanto possa apparire sconcertante, tra essi troviamo tanto i capi cui è affidato il controllo dei lavoratori di ogni reparto, quanto molti degli stessi lavoratori. Ma l'elenco è appena cominciato: esso include un grande numero di persone che vivono fuori delle aziende e che nulla sembra abbiano a che fare con esse. Tra costoro si trovano persone insospettabili: si tratta di rappresentanti dell'autorità familiare, religiosa, culturale e politica che direttamente o indirettamente (a mezzo della stampa, della radio e della televisione, ecc.) diffondono nella società il loro schema interpretativo della realtà, responsabile per tanta parte della disumanizzazione del lavoro.
    Ma in che cosa consistono questi schemi interpretativi? Come mai essi riescono a influenzare così incisivamente il mondo del lavoro?

    UNA MENTALITÀ RASSEGNATA E PASSIVA

    Anche qui si deve procedere per sintesi e per esemplificazioni. Si tratta, in breve, di schemi di ragionamento attraverso i quali un fenomeno sociale viene visto come un fatto naturale da non ostacolare pena gravi conseguenze per tutti. Un esempio: un ricco industriale che spende sistematicamente centinaia di milioni per acquistare beni di lusso di ogni genere e tuttavia cerca di non pagare le tasse trasferendo all'estero gran parte del capitale accumulato in patria, è, secondo tale modo di interpretare la realtà, un fenomeno naturale. L'industriale, infatti, cerca di godersi al meglio il suo denaro e se qualcuno, per esempio lo Stato, tenta di ostacolarlo facendogli pagare tasse proporzionali al suo profitto, è naturale che egli, per proteggere il suo denaro, trovi il modo di porlo al riparo in paesi le cui banche garantiscono una tranquilla ospitalità. Pertanto... l'azione dello Stato risulta nociva all'economia del paese che si vede sottratte ingenti fonti di finanziamento della produzione!
    Un altro esempio: un operaio è costretto a riportare a casa dall'ospedale i figlio ammalato, febbricitante, perché l'ospedale, non ricevendo dalle mutue e dagli enti locali il pagamento delle rette, non ha i mezzi per assistere i mutuati e i poveri. Costoro pertanto, non disponendo di mezzi propri, devono rinunciare a curarsi con conseguenze spesso tragiche. Ma tant'è. Secondo gli schemi di cui ci stiamo occupando, la povertà è anch'essa, come la ricchezza, un fenomeno naturale. E dalla povertà si esce sempre per via naturale, cioè con la lotta e il sacrificio. Non tutti riescono, ma anche per gli uomini vale la legge (anch'essa naturale) della selezione che premia i più forti. Se lo Stato interviene per dare ai poveri ciò che essi non possono comprare si finisce per sconvolgere l'equilibrio economico e sociale. I poveri infatti non si sentirebbero più spinti a migliorare. Quindi anche se lo Stato non si preoccupa di far pagare ai ricchi i miliardi con cui finanziare gli ospedali non è poi un gran male! L evidente che questo tipo di mentalità (che, più o meno camuffata, è assai più diffusa di quanto si pensi) gioca un ruolo determinante a favore del mantenimento del privilegio dei più forti in ogni contesto sociale. Niel mondo del lavoro, questo significa il sostegno della supremazia dei ricchi potenti che dispongono delle risorse produttive (proprietari o assai spesso solo controllori di fatto, dirigenti privati o pubblici, ecc.) su tutti quelli che per sopravvivere o per migliorare le proprie condizioni economiche e sociali sono indotti ad accettare condizioni di lavoro più o meno disumane.

    PERCHÉ? LA MANIPOLAZIONE CULTURALE

    Ma come spiegare questa sottile congiura a danno della maggior parte degli uomini?
    La risposta, sempre necessariamente sintetica, si può trovare in altre fondamentali cause della disumanizzazione del lavoro operanti a livello di singolo individuo e in particolare nel comportamento sociale mosso dallo egoismo, dal disprezzo, dallo spirito di sopraffazione e di strumentalizzazione del prossimo.
    I «potenti della terra», coloro che, come dice il Vangelo, opprimono e sfruttano i popoli, si sono sempre preoccupati, per mantenere e accrescere il loro dominio sulla società, di giustificare a se stessi ma soprattutto ai loro sudditi la naturalezza e l'accettabilità dei loro sentimenti e dei loro comportamenti. È per questo che in ogni tempo e sotto varie forme hanno mantenuto una casta servile di «intellettuali» per la produzione di opere filosofiche, morali, religiose, artistiche, atte a diffondere nella pubblica opinione la legittimità del loro potere, e la necessità di uniformare la condotta di tutti al più pieno ossequio delle loro decisioni.
    Nella società contemporanea le cose non sono cambiate. Coloro che controllano la vita economica e politica della comunità mantengono la loro posizione di dominio anche attraverso l'influenza sul modo di pensare della gente, incoraggiandone le tendenze egoistiche e sopraffattorie. Il loro dominio si estende infatti ai cosiddetti mezzi di comunicazione di massa (stampa, televisione, radio, cinema, teatro, ecc.) dove una schiera di intellettuali, di tecnici e di artisti diffonde, più o meno consapevolmente, messaggi che tendono a presentare come inevitabili perché derivanti da leggi naturali dell'economia, della scienza, della tecnica, ecc., tutte le condizioni disumane nelle quali è costretta a vivere la maggior parte della gente. Ovviamente anche le condizioni di vita che sono costretti a subire i lavoratori subordinati nell'impresa e fuori di essa vengono giustificate in questo modo. Esse sarebbero in particolare le conseguenze imposte dalla lotta che anche in campo economico scatena naturalmente ogni impresa contro le altre.
    Ma una parte crescente dei lavoratori, specie tra i giovani, ha da tempo compiuto l'analisi critica che abbiamo sommariamente tracciato fin qui e respinge quindi i tentativi di mascherare le vere cause della loro sofferenza, degli ostacoli al loro sviluppo umano attraverso il lavoro.

    DIFFICOLTÀ DI ORDINE STRUTTURALE

    Purtroppo, però, la presa dell'opera di manipolazione dei gruppi di potere dominanti sulla mentalità della maggior parte della gente è ancora abbastanza forte per cui l'azione critica delle avanguardie del movimento dei lavoratori incontra molte difficoltà. Ma difficoltà non meno dure nascono in conseguenza delle cause che abbiamo definito strutturali della disumanizzazione del lavoro: la prima delle quali risiede nel controllo dei mezzi di produzione da parte dei centri di potere oligopolistico.
    Lo squilibrio nel potere decisionale circa i modi, i tempi e la destinazione delle risorse produttive pone tutti i lavoratori subordinati alla mercé di padroni di cui spesso non conoscono il volto ma che fanno sentire il loro potere oltre la fabbrica, preordinando schemi di scelte obbligate nel modo di consumare, di far politica, di istruirsi, riposarsi, divagarsi, ecc.
    Com'è noto, tutti i tentativi delle organizzazioni politiche dei lavoratori di sostituire al potere economico e politico di «pochi» il potere della base sociale espresso da istituzioni democratiche non sono stati ancora coronati da successo, anche se in alcuni momenti storici sembrava stesse per nascere il giorno del grande riscatto.
    Anche nei paesi in cui si è riusciti a instaurare un regime politico ispirato ai principi umanitari del socialismo, pur segnando all'attivo il raggiungimento di stadi di progresso economico e sociale senza precedenti, si è ancora ben lontani dall'aver instaurato condizioni di lavoro e in genere condizioni politiche e culturali necessarie per un ampio sviluppo di tutte le potenzialità umane nelle varie forme di attività produttiva.

    UNA PROSPETTIVA CONCRETA DI SPERANZA

    Ma ciò dimostra non già che gli immani sacrifici compiuti sulla via della liberazione umana erano male indirizzati, ma piuttosto che non hanno colto tutti gli obiettivi. Non basta infatti rimuovere le cause strutturali della disumanizzazione del lavoro, ma occorre anche eliminare o almeno contenere quelle che agiscono a livello soggettivo nella stessa direzione. La loro riduzione al rango di semplici cause indotte da quelle strutturali costituisce la più tragica aberrazione, purtroppo non solo teorica, della storia del socialismo. Le sue conseguenze si stanno ancora pagando senza che si siano trovati né i modi per porvi rimedio né nuove strategie per l'autentica liberazione umana da ogni forma di dominio e di strumentalizzazione.
    Ma a questo punto è necessario domandarsi: esistono, a partire dai risultati finora conseguiti, sia nel mondo socialista sia in quello capitalista, possibilità concrete di umanizzare il lavoro umano? Esiste, per tornare sul nostro schema di analisi, la possibilità di rimuovere le cause di alienazione umana nel lavoro che agiscono a livello individuale e a livello di struttura? La risposta è positiva. Cercheremo di approfondirla nel prossimo incontro.


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