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    Essere donna: tutto deciso o tutto da inventare?



    Guido Gatti

    (NPG 1975-12-80)

    L'articolo precedente si era aperto con una affermazione pregiudiziale: le differenze psicologiche e comportamentali che caratterizzano l'esistenza dell'uomo e della donna sono, in larga misura, una creazione culturale e storica.
    È un tema che merita di essere ripreso. Va approfondito e dimostrato in una prospettiva anche teologica. Bisogna coglierne l'ambito specifico e nello stesso tempo misurare lo spazio dove la creatività progettuale è possibile. La natura ha già determinato tutto dell'essere donna, per cui educare significa adattare a questi aspetti predeterminati? Oppure è tutto da inventare e quindi a ciascuno spetta il compito di decidere le modalità concrete con cui vivere la propria femminilità (o mascolinità)? Se tutto è una creazione culturale e storica, si può cambiare tutto di punto in bianco o, invece, il rispetto di una globale crescita dell'umanità storica chiede un adattamento, anche se abbastanza relativo?
    Come si vede, il discorso diventa di una concretezza immediata.
    Da queste pagine nascono le risposte ai quotidiani problemi educativi. Il «progetto-donna», obiettivo del lavoro educativo, incomincia a delinearsi con tratti operativi.

    Prescindendo dalle finalità cui è orientata e dai significati di cui l'uomo la investe, la sessualità può essere definita come una forma di differenziazione complementare all'interno dell'esistenza umana.
    L'esistenza umana non si dà di fatto che sotto le forme specifiche e complementari della mascolinità e della femminilità.
    Questa differenziazione complementare ha la sua manifestazione primaria e più appariscente nella realtà biologica della sessualità genitale. Essa affonda a sua volta le radici in una sessualità genetica (predeterminazione del sesso dall'istante della concezione) e si circonda di un corteggio di elementi accessori, sempre di carattere biologico e funzionale alla riproduzione, ma profondamente incidenti anche nella vita culturale dell'uomo: tali sono il sesso ormonale, i caratteri sessuali secondari, le pulsioni istintive legate al sesso.
    In realtà la differenziazione sessuale umana, pur radicandosi nella biologia, è coestesa a tutta l'esistenza umana e coinvolge tutte le manifestazioni della personalità; per questo si può parlare in senso proprio di una sessualità psicologica.

    MODALITÀ MASCHILI E FEMMINILI NELL'ESISTERE PSICOLOGICO?

    La sessualità dà origine a due modi diversi di essere-al-mondo e agli-altri. Il modo maschile di essere al mondo sarebbe il lavoro, ossia la conoscenza e la trasformazione della natura per raggiungere un determinato scopo. È un atteggiamento in cui confluiscono il senso concreto della necessità esistente in una data situazione e della capacità di dominarla, adattando i mezzi al fine. Il modo femminile di esistere sarebbe la sollecitudine. Non la preoccupazione ansiosa, l'inquietudine, ma la dedizione, la capacità di procurare riposo e distensione, insomma quel che si dice il «prendersi cura». La sollecitudine potrebbe appunto essere definita il prendersi cura di qualcuno, spinto alla perfezione e diventato modo di essere presso l'altro. L'esperienza femminile fondamentale è quella del valore degli esseri: sta cioè nello scoprire, conservare, suscitare tali valori: è il c.d. «senso della vita».
    Naturalmente questo modo di essere si tradurrà anche in un modo di pensare, di sentire, di volere, di impegnarsi, sul piano culturale, morale e religioso. Nel campo dell'intelligenza, ad esempio prevarrebbe nell'uomo la speculazione razionale, inventrice, una visione universale, impersonale, sintetica e oggettiva della realtà, di contro all'intelligenza analitica, pratica, particolare, soggettiva e intuitiva tipica della donna.

    Le posizioni tradizionali

    Psicologi e sessuologi si sono spesso sbizzarriti nel descrivere e schematizzare in modo diverso queste differenze psicologiche, arrivando anche a determinazioni molto particolareggiate.
    Uno degli stereotipi più diffusi (e finora considerati più plausibili, perché più diretta espressione della complementarietà biologica) per descrivere queste differenze psicologiche è la coppia attività (maschile) e passività (femminile), oppure, in termini di sessualità pregenitale o pervertita cari all'analisi freudiana, sadismo e masochismo.
    Nella misura in cui queste differenze psicologiche sembrano potersi ricondurre in modo più o meno diretto al differente ruolo fisiologico dei sessi nella procreazione, esse appaiono qualcosa di «naturale», cioè una espressione della essenza stessa dell'uomo, qualcosa di rigido e di immutabile. Lo stesso rapporto parentale della coppia ai figli (la maternità-paternità) è descritto con paradigmi precisi e rigidi: la paternità e la maternità non comportano solo un diverso modo di essere al figlio ma anche attribuzioni e compiti educativi diversi, assegnati dalla stessa natura umana e quindi fissi e immutabili. Di fatto in questa divisione finiscono per essere attribuiti alla madre compiti pesanti e sgradevoli, anche se per altro verso particolarmente gratificanti: è il classico stereotipo dell'angelo del focolare.
    Del resto su questa pretesa differenziazione psicologica naturale è fondata in ogni cultura umana tutta una specifica differenza di ruoli all'interno della famiglia, della professione, e più in generale della struttura sociale.
    Questa differenza di ruoli trova nelle differenze psicologiche la sua legittimazione, visto che, dato il suo carattere discriminante e privilegiante, di una legittimazione sembra avere bisogno.
    La differenza dei ruoli sarebbe così qualcosa di altrettanto naturale (e quindi predeterminato e immutabile) che le differenze psicologiche su cui si fonda.

    L'attuale sensibilità

    Una posizione del genere incontra crescenti difficoltà da parte della sociologia e dell'etnologia contemporanea. Sono sempre più numerosi gli studiosi (Vaerting, S. de Beauvoir, Jeannière, ecc.) che rifiutano radicalmente una simile posizione e vedono l'origine delle differenze psicologiche nella situazione storico-culturale e nella differenza dei ruoli sociali, cioè nel modo concreto in cui si è cristallizzato il rapporto tra i sessi attorno al dominio dell'uomo e alla servitù, non sempre molto larvata, della donna. Le strutture psicologiche (e in un certo senso persino quelle anatomiche) non avrebbero senso (e le prime anche origine) che nel progetto concreto dell'essere umano in situazione. Così nel determinare le differenze psicologiche tra i sessi si crede di descrivere un carattere, mentre in realtà si struttura un condizionamento che forse sarebbe meglio modificare. Particolarmente feroce è la critica dei pregiudizi tradizionali nei confronti del «femminile» da parte di quella originale e spregiudicata femminista he è Simone de Beauvoir; la sua è una denuncia che suona grido di battaglia e manifesto rivoluzionario. Secondo essa, la donna dovrebbe rifondare il suo ruolo sociale, progettando una femminilità diversa, emancipata dai preconcetti del passato. Essa rivendica una totale parità con l'uomo, basata sul presupposto, contrario a quello visto sopra, di una totale uguaglianza psicologica, almeno potenziale, dell'uomo e della donna. Più seria e molto interessante mi sembra la critica di un noto studioso italiano di psicanalisi (F. Fornari, Genitalità e cultura, Feltrinelli, 1975) nei confronti dello stereotipo attività e passività: «A mio avviso il modo in cui il comportamento maschile e il comportamento femminile si integrano nel concreto rapporto genitale è di una complessità tale che non si lascia ridurre ad attività e passività. E d'altra parte il ridurre il ruolo femminile alla passività e al masochismo e il ruolo maschile all'attività e al sadismo costituisce proprio una descrizione del maschile e del femminile in termini pregenitali» (e cioè, secondo l'autore, infantili, confusivi e paranoidi; op. cit., pp. 22 ss.).
    D'altra parte non mancano studiosi che si rifiutano di ridurre nell'ambito del puramente culturale, quindi dell'indeterminato, del progettuale, per non dire dell'arbitrario, ogni elemento di psicologia differenziale della sessualità.

    Un problema educativo e pastorale

    Il problema non è puramente teorico: ha pesanti riflessi sul piano educativo: deve una educazione sessuale seria utilizzare questi stereotipi descrittivi della complementarietà sessuale come modelli validi, o deve piuttosto considerarli come delle giustificazioni ideologiche di strutture di dominio, e partire quindi dall'ipotesi di una totale uguaglianza (almeno potenziale) della psicologia sessuale?
    È, come si vede, un problema abbastanza inedito per la pastorale, ma non per questo meno importante e serio.

    DIFFERENZIAZIONI PER LA COMPLEMENTARIETÀ

    Ci sembra che il negare il carattere naturale di ogni differenziazione psicologica tra i sessi comporti da una parte una indebita svalutazione dei condizionamenti biologici della personalità, dall'altra il pericolo di un rifiuto del carattere complementare dell'esistenza umana e quindi della vocazione allo scambio e all'amore.
    Queste differenze psicosessuali non hanno però dalla natura (proprio per analogia con quanto avviene sul piano della genitalità, dove il contributo biologico alla generazione della nuova vita è perfettamente paritetico anche se diversamente strutturato) una finalità di dominio ma il significato di una complementarietà che provoca al compimento di sé nel dono e nello scambio creativo.
    Anche sul piano psicologico, come già su quello biologico, queste differenze fondano in ognuno dei due sessi un deficit e un surplus, una eccedenza e un bisogno incrociati. Il riconoscimento realistico di sé (autocoscienza adulta) comporta l'accettazione di questa eccedenza ma anche di questo bisogno come vocazione alla comunione e allo scambio, come un appello a investire l'esperienza della sessualità con il significato spirituale più nobilitante e costruttivo che l'uomo conosca, quello dell'amore.

    Una identità da progettare

    D'altra parte la determinazione concreta di questa eccedenza e di questo bisogno, e quindi delle differenze complementari tra l'uomo e la donna, non sono contenute fissisticamente nella natura, se non per quei campi che alla natura appartengono in modo più proprio e diretto, cioè il campo della genitalità (intesa astrattamente, come puro fatto biologico). Il campo della psiche, se anche si radica nella natura in forza degli ineliminabili condizionamenti biologici (l'uomo è sempre e solo spirito incarnato), è prima di tutto un fatto di cultura, quindi una realtà in gran parte indeterminata e aperta alla progettualità umana. Non si tratta di negare l'esistenza di differenze psicologiche. Negare il bisogno e l'eccedenza di cui siamo costituiti a tutti i livelli è negare il senso del nostro essere come vocazione alla comunione, è confusione allucinatoria tra l'io e il non-io, è affermazione paranoica di onnipotenza, normale solo in uno stadio immaturo dello sviluppo umano.
    Si tratta di riconoscere che al livello della psiche l'eccedenza e il bisogno complementari, che rimandano all'altro e fondano ogni istanza di socialità, sono qualcosa di culturale.
    Culturale significa qualcosa di condizionato e di dipendente; non però dalla natura e dai suoi determinismi (o almeno non principalmente da essa), bensì dalla cultura, cioè da qualcosa di progettuale, di aperto al mutamento e al superamento, perché prodotto dalla libera creazione dell'uomo. Naturalmente questa progettualità umana non esiste nel vuoto assoluto di una incondizionatezza magica ed onnipotente. La storia della ultura e quindi il complesso di tutte le scelte del passato (operanti nel presente con la loro efficacia storica) condizionano questa progettualità, ma non la predeterminano, non la chiudono alle prospettive di un futuro diverso. Ogni cultura non è che un momento provvisorio, ma rilevante e storicamente condizionante, di una incessante progettualità, che pur dipendente dalle strutture che liberamente si è data nel passato, è in grado di rimetterle sempre nuovamente in questione, e di inventare soluzioni nuove e inedite.
    Questo incessante rinnovamento non è una imperfezione da eliminare, ma la condizione stessa dell'esistenza umana come esistenza storica, è la vocazione e la dignità stessa dell'uomo.
    Questo vale per tutte le forme culturali dell'esistenza individuale e collettiva dell'uomo. E vale quindi anche per la differenza complementare tra i sessi. La loro determinazione concreta, lasciata aperta dalla natura, rientra in questa incessante progettazione come uno degli elementi più significativi della cultura umana.

    In una dimensione etica

    L'uomo e la donna sono chiamati a una incessante progettazione delle forme concrete del loro rapporto di complementarietà. Ogni descrizione di queste differenze è l'espressione di un progetto contingente e superabile, una realtà da oltrepassare più che da accettare passivamente e da riprodurre in forma immutata, attraverso una educazione integrante. Questa progettazione non avrà però il carattere ludico, di una creatività puramente fantastica, come è quella che si esprime nell'arte.
    La progettazione delle strutture del proprio essere-agli-altri e del proprio ruolo sociale non può ridursi a un gioco fatuo e sempre vincente. Si tratta di una progettazione etica, soggetta al rischio del negativo e quindi sottoposta a giudizi di valore. Ci sono criteri di costruttività umana, di apertura alla comunione e all'amore in base ai quali questa progettazione va continuamente verificata. Ci sono modi di strutturare la complementarietà psicologica dei sessi che vanno giudicati negativamente e quindi superati, perché funzionali al dominio dell'uomo sull'uomo piuttosto che all'amore, oppure perché operatori di un egualitarismo che appiattisce e impoverisce piuttosto che provare allo scambio e all'arricchimento vicendevole.
    Non ogni progetto del rapporto concreto uomo-donna nella globalità della convivenza contiene uguali possibilità di crescita umana per il singolo e per la collettività.

    E in una responsabilità anche sociale

    Parliamo qui di collettività perché non si deve dimenticare che questo rapporto è parte importante della progettazione delle strutture più generali della convivenza umana, ha una dimensione politica.
    Il progetto donna non è che un aspetto del progetto società, anche se le interazioni reciproche non sono unilaterali ma circolari: il progetto uomo-donna influisce sulla struttura generale della società, così come la struttura sociale si riflette sul progetto della concreta complementarietà sessuale.
    E infatti la verifica e la riprogettazione incessante del rapporto uomo-donna si realizza non tanto direttamente, educando le psicologie individuali, quanto indirettamente, modificando i ruoli sociali e quindi la cultura e la società che li esprime. Come d'altra parte resta vero che ogni autentica azione educativa di una nuova psicologia maschile o femminile, nella misura in cui è efficace a livello individuale, lo è anche a livello sociale, influisce sulla trasformazione dei ruoli sociali.

    PROSPETTIVE EDUCATIVE

    Tutte queste considerazioni impongono agli educatori e agli operatori di pastorale giovanile il dovere di una vigile attenzione e di una disponibilità al riconoscimento di quanto vi è di valido e di vero nelle istanze di uguaglianza e di emancipazione espresse da un certo femminismo che, se non esente da eccessi ed unilateralità (per questo la sua accettazione non deve essere acritica), rappresenta pur sempre un'esperienza-fulcro per un inserimento educativo costruttivo ed umanizzante.
    L'educatore dovrà quindi liberarsi dal carattere assoluto di certi stereotipi tradizionali (l'eterno femminino o l'angelo del focolare) usati per esprimere un certo progetto non definitivo e incondizionato della complementarietà sessuale. La stessa immagine della maternità (complementare a quella di paternità) è soggetta ai contraccolpi di questa demitizzazione. La paternità-maternità è un modo complementare ma culturalmente condizionato di essere-ai-figli che può essere reinventato, se trovato meno adeguato ai compiti educativi della famiglia, nella concreta situazione contingente della società.
    Tutto questo domanda uno studio diligente della realtà culturale e sociale e una sensibilità acuta ai problemi umani nella loro concretezza, una qualità del resto senza di cui non è possibile essere educatori in tempi di così accentuata transizione come quelli che viviamo.


    T e r z a
    p a g i n A


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