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    Essere donna: quali aspetti irrinunciabili



    Tullo Goffi

    (NPG 1975-12-87)

    Questo terzo contributo, dal sapore decisamente teologico, conclude il quadro degli orientamenti (abbiamo parlato di «tendenze»).
    Nei nostri discorsi ci muoviamo in un ambito pastorale: riflettiamo cioè sui problemi educativi «dalla parte della fede» e in vista di una educazione alla fede. Siamo convinti che la fede non offre modelli particolari. Non c'è un progetto concreto e storico di essere uomo o donna che si possa derivare dal Vangelo, in termini operativi. Come non c'è un modello «naturale», fisso, di essere uomo o donna. Ce lo hanno ricordato i contributi precedenti. D'altra parte però, nella fede esiste un progetto definitivo di uomo (il Cristo come persona e come «proposta») e, relativamente, un insieme articolato di «sensibilità», capaci di giudicare e informare ogni progetto storico. Non possiamo, perciò, elaborare le nostre linee di educazione, prescindendo dal dato della fede. Tradiremmo la specifica collocazione del nostro servizio pastorale. E tradiremmo l'uomo stesso: perché nella fede emerge la «verità» definitiva dell'uomo. Per decidere quindi «quale donna» non basta interrogare l'antropologia (l'articolo di Gevaert) né chiedere alla teologia l'autorizzazione alla creatività culturale (l'articolo di Gatti). Dobbiamo interrogare la fede: chiederci in prospettiva di fede «che cosa» c'è di irrinunciabile (per la verità «rivelata» dell'uomo) nel progetto di Dio sull'essere uomo e donna.
    Ed è quello che facciamo, attraverso il contributo di T. Goffi.

    IL PRIMARIO INSEGNAMENTO BIBLICO

    La parola di Dio prescrive un particolare costume per la donna? Le fa dovere di configurarsi in modo singolare dal lato psichico-spirituale?
    All'inizio del testo sacro (Gen 1,27) si attesta che la donna è onorabile, perché icona del suo Creatore. Dignità che la donna sa esprimere, in quanto intrecciata in rapporto con l'uomo, con cui ha similianza tratteggiata ad alterità. Essa, isolata, sarebbe manchevole nel suo stesso essere significante. La dignità personale della donna, che si integra nel colloquio con l'uomo, è il presupposto fondamentale di ogni altro discorso biblico sulla donna. Quando Iddio ricorda all'uomo il compito di rispecchiare la creatività divina attraverso il proprio lavoro, lo indica realizzabile come apporto interpersonale fra uomo e donna: due persone autonome, che intrecciano le proprie libere capacità attive (Gen 1,28).
    Uomo e donna hanno tutto in comune: non esiste compito che, per natura sua, sia esclusivo dell'uno senza la partecipazione dell'altra. Non esiste gerarchia di nobiltà o di precedenza fra i due. Non si tratta di preferire il maschio o il femmineo. Il valore sta nella compresenza complementare fra essi. Il difetto si introduce nella misura in cui l'uno manca all'altra o l'una è asservita all'altro.
    Instauratosi lo stato di peccato, uomo e donna sono immagine di Dio sfigurato. Deturpata la propria dignità personale, la loro stessa relazione viene spersonalizzata. L'io si chiude in se stesso; tralascia il proprio impegno creazionale di aprir l'altro a una maturità superiore; non si dona in continuità come un «tu» per un altro; si instaura una incomunicabilità che degenera in sopraffazione vicendevole. Per il peccato la donna attenta all'uomo (Gen 3, 6-12) e l'uomo cerca di dominarla (Gen 2,16). Fra i due non può esistere comunicazione fiduciosa: nella propria intimità si sentono estranei e vergognosi l'uno dell'altro (Gen 3,7). Il peccato, stabilitosi nel cuore dell'umanità, insidia in continuità la vita umana nel suo aspetto personale e comunitario: uomo e donna s'affaticheranno nel riequilibrare la propria personalità in armonia con quella dell'altro, senza mai riuscirvi in modo adeguato e definitivo. Nei loro rapporti interpersonali di continuo affioreranno storture, dimostrandosi incapaci a significare un'autentica immagine di Dio.

    LA PIENEZZA DELLA RIVELAZIONE

    Con l'ingresso del Figlio di Dio nella storia umana, uomo e donna sono posti nella possibilità di essere immagine di Dio in modo nuovo. Il Cristo ha reso possibile fra essi un'iniziante esperienza di partecipazione alla vita divina caritativa, esistente fra le tre Persone divine (Gv 17,22). Anche la donna è introdotta in una personale esperienza mistica: associata al mistero pasquale del Cristo, è gratificata di carismi dello Spirito, è figlia adottiva del Padre, è chiamata a vivere beata nel Regno futuro. In lei sono presenti valori ineffabili, che nessuna forza umana può sopprimere, né deve umiliare.
    L'approfondirsi della dignità autonoma nella donna s'accompagna a una più profonda possibilità e necessità di intrecciare i suoi rapporti con l'uomo La perfezione della donna sta nel raggiungere la perfetta purezza dello scambio. Essa s'attua, quando si esprime come colei che non possiede, se non per donare; e, se riceve, è per consentire agli altri di attuarsi come dono. La donna è chiamata a possedere per grazia quanto la ss. Trinità è per natura. Nei suoi rapporti interpersonali deve rispecchiare l'atteggiamento di Dio in Cristo: «O Padre, che essi siano fra loro una cosa sola, come anche noi siamo una cosa sola» (Gv 17,22). Nella sua sensibilità femminile, quando vede l'uomo bisognoso si pone in suo servizio, non per esserne dominata, ma in testimonianza di un amore libero e liberante come in Cristo. «Il Figlio dell'uomo, infatti, non è venuto per essere servito, ma per servire» (Mc 10,45).
    L'insegnamento evangelico dei rapporti fra uomo e donna è ripreso da s. Paolo in prospettiva ecclesiale. L'intrecciarsi di relazioni caritative in Cristo fra uomo e donna crea la profonda realtà della Chiesa come koinonía. Questa è una traduzione comunitaria ed ecclesiale del sentirsi e dell'attuarsi come fratelli in Cristo; del costituirsi popolo unito al proprio Dio nel vincolo dell'Alleanza in virtù dello Spirito (Gal 3,28). Sono questi stessi rapporti ecclesiali caritativi in Cristo, che s. Paolo applica alla vita coniugale (Ef 5,21 ss.).

    L'INDICAZIONE TEOLOGICA

    L'indicazione evangelica della dignità della donna, aperta a comunione caritativa con l'uomo, si tratteggia come una meta, verso cui essa deve tendere, senza la pretesa di poterla attuare in pienezza su questa terra. L'utopia evangelica si traduce concretamente in concreti compromessi storici; si esprime secondo le dimensioni consentite da costume e da cultura, esistente nelle varie regioni ed epoche. I compromessi storici della proposta evangelica sulla condizione della donna sono vincolanti in misura che servono per favorire un ordine di convivenza umana; anche se devono evolversi verso una loro espressione più evangelica.
    In questa prospettiva s. Paolo ricorda ai Corinzi i doveri delle donne circa l'abbigliamento (1 Cor 11,3-16): come debbano recare il loro velo e non prendere la parola nelle assemblee liturgiche. Nello stesso tempo l'Apostolo esige che all'interno di questi costumi fermenti l'annuncio evangelico dell'unità caritativa, così che le donne possano esperimentare forme di vita sempre più armonizzate al Vangelo e si preparino alla espressione caritativa definitiva del Regno. Nella vita futura fra uomo e donna si instaureranno i rapporti propri di una vita divina caritativa, al di là dei compromessi storici, così da essere fra loro realmente «uno in Cristo Gesù».
    L'indicazione evangelica sulla dignità e comunicabilità della personalità della donna nello Spirito di Cristo rimane il criterio base, su cui si fonda ogni riflessione teologica. Due valori, che devono essere tradotti e concretizzati nella situazione storica, nella concretezza sociologica, nel contesto psico-sociale, nell'esperienza spirituale ecclesiale del proprio tempo. Traduzione storica vincolante, poiché è il viatico irrinunciabile per varare nella realtà i valori evangelici sulla donna; perché è la maniera di concretizzare il compito concreativo di umanizzare il vivere sulla terra.
    I modi storici di attuare i valori evangelici sono sempre uno sforzo inadeguato e relativo a un dato ambiente socio-culturale. La teologia morale ha il compito di suscitare a loro riguardo un senso profetico critico: stimolare una loro revisione, un loro aggiornamento, una pratica rinnovata. Esiste il pericolo di attribuire alla volontà creativa di Dio, quanto è il risultato di una data mentalità, di un imperante costume sociale, di una mancata maturazione pubblica, di una vigente particolare cultura. Né si può ritenere che il disegno divino sul modo di vivere maschio o femminile sia determinabile antecedentemente una volta per sempre. Per volontà divina, inscritta nello stesso essere umano-cristiano, uomo e donna devono ambire ad intuire e a praticare in modo sempre più autentico la propria identità personale, in un incontro integrativo vicendevole, al modo come lo Spirito di Cristo sa unirsi al suo popolo.
    Se la teologia ha il compito di richiamare a una meta utopica gli sforzi storici di emancipazione femminile, non deve però estraniarsi entro una concezione astorica, astratta, incapace di incidere sulla realtà concreta. Il principio evangelico di emancipare la donna in Cristo deve essere fatto rivivere nella realtà concreta. La teologia spirituale in passato era solita esaltare la donna come persona, come figlia di Dio, come una reincarnazione delle grazie di Maria ss. Ma poi, in concreto, lasciava che la donna venisse disprezzata come la femmina corruttrice, che permanesse sotto l'oppressione sociale mortificante, che fosse denominata sotto l'esclusiva visione sessuale di madre o di nubile. L'ascesi cristiana non si era concretizzata sufficientemente in reazione al mal costume imperante.

    PROSPETTIVA SECOLARE

    Per quanto nobilmente ideale possa essere l'indicazione evangelica, essa non può essere inculcata in una società profana, laica, democraticamente pluralistica. Il cristiano può enunciarvi i valori evangelici solo in una loro forma profana, entro una traduzione culturale vigente nel tempo, in espressioni umanistiche secolari. I valori evangelici, inerenti alla emancipazione della donna, come possono essere presentati a fermento della civiltà odierna? Come far percepire la necessità di impegnarsi per suscitare un costume più appropriato alla promozione della donna?
    Taluno ritiene che bisogna partire non tanto dai diritti soggettivi della donna, quanto dalle strutture comunitarie (famiglia, società lavorativa, comunità civica ed ecclesiale, ecc.), per valutare il loro influsso sull'esistenza della donna. Questa non avrà la possibilità di un proprio riconoscimento pubblico, fino a quando le strutture sociali rimangano formulate secondo una supremazia del maschio. È necessaria una critica permanente sia delle istituzioni come dei pregiudizi collettivi, che fanno giudicare ed operare in modo abituale e spontaneo entro determinati modelli maschi. Bisogna immaginare e proporre altri tipi di relazioni pubbliche, altre forme di istituzione sociale, in cui la donna possa attingere coscienza ed aiuto per una propria autonomia, aperta al dono di comunicazione oblativa. Senza questa trasformazione istituzionale, diventa di fatto insuperabile l'attuale situazione umiliante per la donna.
    Per altri, invece, bisogna partire da una prospettiva personalistica: è necessario aiutare la donna a pensare e a vivere in armonia con la propria dignità personale. Da questa rivoluzione personale scaturirà fatalmente il mutamento del volto delle istituzioni sociali. I rapporti fra uomo e donna sono viziati, non tanto dalle strutture del mondo sociale organizzato, quanto dall'egoismo dei singoli, dalle rappresentazioni culturali personali. Guarendo le persone dall'innata avidità di approfittarsi degli altri, esse sapranno avvertire anche le incongruenze diffuse nella società, ricercando nuovi modi di vita sociale.
    Forse è necessario praticare contemporaneamente i due metodi, sia quello personalistico sia quello comunitario. Insieme uniti, possono meglio renderci coscienti di talune storture, in cui è situata la vita della donna. La realtà umana deve essere rivoluzionata, così da caratterizzarsi simultaneamente come personalistica e come comunitaria.

    APPLICAZIONI CONCRETE

    Ogni problema o situazione, in cui la donna è chiamata a vivere, deve essere ripensato in modo che vi si esprima una sua promozione personalistica e comunitaria. Proviamo ad esemplificare, per meglio spiegare concretamente il principio enunciato.
    La sessualità della donna è stata, in passato, spesso considerata e valutata entro la sua consistenza bio-psichica, tutta protetta da norme salutari. Nella cultura odierna si tende a considerare la sessualità nella prospettiva personalistico-comunitaria della donna. Essa è ritenuta qual dinamismo, che impregna tutto l'essere femminile, orientandolo verso una maturazione personale aperta oblativamente sugli altri; è essenzialmente un diventar se stesso per allietare la comune convivenza in reciproca ammirazione e rispetto.
    A motivo della sua stessa sessualità la donna deve essere socialmente una persona autonomamente adulta, che strappa gli altri dalla solitudine, che aiuta a superare l'incomunicabilità, che con la sua presenza diffonde festosità, che fa gustare la piacevolezza dei gesti liberali, che inculca il rispetto della dignità personale, che sa intrecciarsi in un amore coniugale duraturo. La donna è cosciente del dovere di approfondire la sua singolarità femminile, di incrementare la sua cultura, così da acquisire maggior capacità a conoscere, giudicare e comunicare all'interno dei vari organismi della vita sociale, politica ed ecclesiale. Dal lato stesso della sua sessualità appare deviante una emancipazione femminile, che si riduca a rivendicare per la donna un costume emancipato maschio, il quale implicherebbe un soggiacente disprezzo per l'originalità femminile.
    Un analogo discorso dovrebbe essere fatto quando si esamina l'attività lavorativa e professionale della donna. Questa, in rispetto della sua personalità, ha il diritto di introdursi in ogni campo professionale, al pari che la sua apertura comunitaria richiede di poter integrare ed essere integrata in ogni sua attività. Appare una istituzionalizzazione parzialmente provvisoria quella di dividere le mansioni, i compiti, gli incarichi sociali e le professioni in maschili e femminili. Simile differenziazione professionale è richiesta dal modo come è attualmente educata e vissuta la femminilità; dal come è strutturato l'organismo sociale, dalla maniera come è concepita la vita pubblica. E, tuttavia, si deve orientare il vivere civile verso una sua maggior umanizzazione, che si raggiunge mediante anche una integrazione fra l'attività maschia con quella femminea. La professione deve essere concepita come un modo di testimoniare socialmente le ricchezze diffuse nelle vocazioni personali; come una possibilità di approfondire ed estendere gli incontri interpersonali di vicendevole arricchimento; di far partecipare alla vita pubblica la bontà dell'intreccio affettivo esistente fra i membri della famiglia; di immaginare la vita sociale come un modo di edificare l'altro, per sollecitarsi insieme a una maturazione personale-comunitaria.
    L'emancipazione della donna deve avvenire anche entro la vita ecclesiale, in rapporto alle stesse mansioni ed attività ecclesiastiche. «Sarebbe infatti curioso che noi fossimo d'accordo sull'emancipazione della donna nella società extra-ecclesiale e non pensassimo di considerarla all'interno della Chiesa, che resta una delle ultime fortezze della mascolinità» (Y. Congar). L'emancipazione ecclesiale della donna in pratica si riduce nel rendere maggiormente sensibile la comunità ecclesiale allo spirito evangelico.
    Sono stati sollevati innumerevoli problemi circa la riabilitazione ecclesiale della donna. Ci si è chiesto: quale posto può essere svolto dalla donna nella gerarchia ecclesiastica e nell'ordine sacerdotale ministeriale? Tale problematica ha significato positivo, solo se valutata nel suo concreto realizzarsi entro un'esperienza comunitaria, attraverso la pratica ecclesiale. Non è opportuno affrontare tali questioni teoricamente, partendo da presupposti dottrinali acculturati in epoche antifemministe. È preferibile verificare la bontà o l'autenticità delle iniziative cristiane in favore di un'emancipazione femminile attraverso il lento loro fiorire nell'esperienza concreta ecclesiale.


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