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    Educare agli atteggiamenti per l'integrazione fede-vita



    Riccardo Tonelli

    (NPG 1975-04-28)


    RdC denuncia la disintegrazione tra fede e vita, come uno dei mali più gravi del nostro tempo. E questo significa che fede e vita corrono su due binari paralleli. Come fare «incontrare» fede e vita?
    Bisogna lavorare sulla sponda della fede e su quella della vita, per favorire il rendez-vous.
    Un tema educativo molto importante è quello degli atteggiamenti. Ci pare uno degli spazi privilegiati per favorire l'integrazione fede-vita.
    Raccogliendo la fila di discorsi disseminati di frequente sulla rivista, indichiamo qualche riflessione esplicita sull'argomento.
    Queste pagine vanno lette con attenzione. Possono fornire la tavola di verifica delle programmazioni pastorali di ogni comunità educativa.
    È facile notare che il discorso resta aperto. Si afferma l'esigenza di «educare ad atteggiamenti». Non si fanno elenchi esaustivi di questi atteggiamenti. Proprio perché gli unici competenti a fare tali elenchi sono gli operatori diretti: coloro che, misurando il concreto della propria situazione, possono decidere «quali» vanno potenziati, qui-ora. Anche a questo titolo, perciò, le pagine che seguono possono offrire lo spunto di un confronto pastorale di ogni comunità educativa.

    CHE COSA SONO GLI ATTEGGIAMENTI

    Non vogliamo addentrarci in un'analisi scientifica. Ci basta affermare alcuni elementi «centrali» per cogliere una definizione descrittiva del fatto.
    Ciascuno di noi «scatta» all'azione attraverso una sintesi armonica di scelte di volontà e di attrazioni legate all'emozione. Non siamo puro sentimento ma neppure puro' raziocinio. La libertà sta nella faticosa sintesi dei due fattori (motivazione ed emozione), attraverso una decisione, inventata momento per momento, sotto la pressione di quanto ci attira (sia in senso positivo che negativo), nello sforzo di cogliere il «peso» preciso della proposta sullo sfondo di quel progetto di sé che ciascuno si va costruendo.
    L'atteggiamento è quella «disposizione all'azione», una strutturazione cioè del proprio dinamismo psichico che orienta il comportamento a riguardo di un oggetto «proposto». La strutturazione, come si diceva sopra, è una sintesi dinamica di aspetti legati all'emozione e di aspetti legati alla motivazione (quindi di ordine razionale).
    Perché questo discorso tecnico? Le singole scelte che descriveranno con i fatti la vita quotidiana di un giovane dipendono, in buona misura, da questa «strutturazione psicologica». Se di fronte ad un oggetto proposto la reazione è immediatamente in una certa linea (la disabitudine al sacrificio, per esempio, fa rifiutare istintivamente tutto ciò che ne ha un po' il sapore); se prevale la parte emozionale su quella razionale; se il confronto con un sistema motivazionale è sempre e solo molto superficiale, facilmente le scelte saranno di questo stile, con tutte le conseguenze che uno può supporre. La libertà è stata guidata e incanalata verso una precisa direzione, grazie alla batteria di atteggiamenti che ci si è costruito.
    Il tutto è ribaltabile, in chiave positiva. L'abitudine facilita il comportamento. Il domani, insomma, si prepara nell'oggi. Meglio, si vive nell'oggi. Il modo di rapportarsi con le cose e con le persone, cui ci si abitua oggi, determina - con intensità variabile, con possibilità di ripresa e di conversione, d'accordo! - il nostro essere futuro.

    LE STRUTTURE EDUCATIVE RESPONSABILI DELLA COSTRUZIONE DEGLI ATTEGGIAMENTI

    Se le cose stanno così, il problema dell'educazione agli atteggiamenti è veramente rilevante.
    Nessuno vive in una campana di vetro: non si dà neutralità nei confronti degli atteggiamenti. Il modo con cui ci si rapporta alla realtà oggi, non è mai neutrale nei confronti del domani. Ci sono sociologi che hanno studiato i motivi del successo nella carriera, in rapporto all'educazione ricevuta a scuola. Hanno concluso con dati che ci fanno pensare. Una percentuale molto alta (in alcuni casi fino al 90%) dipende dagli atteggiamenti appresi sui banchi di scuola (competitività, arrivismo, individualismo... nei confronti della società dei consumi). Solo una minima parte è relativa al bagaglio di conoscenze teoriche e tecniche che uno ha appreso.
    Agli atteggiamenti ci si educa comunque: attraverso le piccole cose che formano la trama dei nostri rapporti interpersonali quotidiani. Il modo di rapportarsi con gli «oggetti» psicologici proposti dipende molto dal tipo di educazione ricevuta. Il grosso nodo degli «atteggiamenti» è nelle mani degli educatori. Il domani, in altre parole, non si costruisce prima di tutto attraverso le mille esaltanti proposte «verbali» e neppure attraverso la presentazione di modelli concreti di persone che hanno scelto. Il domani si forgia, in buona parte, attraverso lo stimolo educativo come «liberazione della libertà», ad acquistare una buona batteria di atteggiamenti. Nell'educazione indiretta (quella che passa l'impianto educativo come dato di fatto: famiglia, scuola, comunità educative, parrocchia...), se si lavora per abituare ad una capacità critica tale da «permettere» di essere liberi nei confronti dei condizionamenti negativi e se si riesce a creare un clima educativo positivo (un clima in cui riscuotano l'approvazione sociale atteggiamenti «maturi» umanamente e cristianamente). Nell'educazione diretta (le singole proposte fatte a ragion veduta, con addosso la toga dell'ufficialità educativa), se si guida davvero ad una presa di coscienza sulla linea dei discorsi che stiamo facendo, evitando la facile retorica e la contro-testimonianza.

    GLI ATTEGGIAMENTI NELL'EDUCAZIONE ALLA FEDE

    Finora abbiamo fatto un discorso unicamente sulla sponda educativa. L'educatore della fede ne è sicuramente attento, perché sa di sviluppare la sua vocazione apostolica, proprio all'interno di un saggio processo educativo. I suoi interessi si fermano a questo livello o procedono oltre? Il tema degli atteggiamenti fa parte della «disponibilità» alla fede o, in qualche modo, ne condiziona direttamente l'esercizio?
    Riflessione ed esperienza ci fanno concludere per una risposta ampia: il nodo degli atteggiamenti è rilevante «anche» in una piena prospettiva di fede-speranza-carità. Fa quindi parte dello specifico della pastorale giovanile. Dobbiamo spiegarci.
    Partiamo da un esempio classico dell'impostazione teologica cristiana. San Giovanni dice che non è possibile amare veramente Dio se non si ama il prossimo: la motivazione è legata alla «visibilità» (Dio che non si vede nel prossimo che «si vede») (1 Gv 3,4). È un chiaro discorso sugli atteggiamenti.
    Vivere nella carità teologica significa apprendere a rapportarsi con gli altri in atteggiamento d'amore.. L'educatore della fede è preoccupato soprattutto di stimolare il giovane ad un atteggiamento di amore-servizio nei confronti degli altri. Questo modo di intessere i rapporti interpersonali (servizio o sopraffazione) dipende in buona misura dalla educazione; un modo o l'altro è il frutto di un tipo di educazione o di un altro, nella ordinaria amministrazione dell'economia di salvezza.
    Educare all'amore di Dio significa perciò stimolare a mettersi in atteggiamento di reciproco servizio e «annunciare» che in questo servizio umano è all'opera un progetto d'amore ontologicamente diverso: la carità soprannaturale.
    L'insistenza sull'aspetto soprannaturale dell'amore di Dio senza una correlativa educazione alla dimensione umana-naturale dell'amore interpersonale porta a quella disintegrazione fra fede e vita, che RdC denuncia come uno dei «tarli» della vita di fede.
    L'esempio ci aiuta a comprendere alcune cose importanti.
    La fede-speranza-carità sono «dono». L'operatore pastorale non lavora direttamente su esse, in quanto virtù infuse. Al massimo, egli può facilitare ai giovani il contatto con i «mezzi» che nell'economia ordinaria della salvezza sono il tramite di questi doni. Alla pastorale compete invece un compito «diverso», ma non per questo meno rilevante. L'esempio ci ha fatto cogliere come il dono teologale della carità diventi «atto di carità, qui-ora» soltanto quando chi lo compie sa mettersi in «atteggiamento» di servizio nei confronti dei fratelli. Il servizio fa parte della educazione. È «atteggiamento»: quindi «educabile». È nello stesso tempo condizione qualificante perché la potenzialità soprannaturale della carità teologica si faccia «atto teologale» di carità, incarnandosi in gesti concreti. La sfera dell'atteggiamento di «servizio» diventa condizione indispensabile alla realizzazione nel qui-ora del dono della carità.
    La «disponibilità al servizio» è l'atteggiamento acquisito, corrispondente alla carità. Lo chiamiamo «acquisito», perché lo si sviluppa per via di educazione; «corrispondente» perché nel suo formarsi si ispira totalmente alla virtù della carità e perché dispone e «abilita» ad atti di carità nelle quotidiane situazioni di vita.
    Il dono è infuso; l'educazione pastorale ha il compito di accompagnare ed affiancare docilmente lo sviluppo della virtù teologale con il perfezionamento degli «atteggiamenti» ad essa corrispondenti.
    L'azione dell'operatore pastorale rimane importante, anche se «esteriore e secondaria» rispetto all'opera di Dio, resa presente ed efficace nella sacramentalità storica della salvezza (Chiesa e sacramenti).
    Per fare un discorso concreto, abbiamo tematizzato le riflessioni sulla «carità»; lo stesso, evidentemente, andrebbe detto a proposito della fede e della speranza: ci si deve interrogare su quali atteggiamenti siano da promuovere, per permettere un esercizio integrato di queste virtù, nella vita quotidiana.
    È importante aggiungere una ulteriore annotazione. Nelle nostre riflessioni, l'accento è stato posto sulla «continuità» esistente tra «atteggiamenti corrispondenti» e «virtù infuse». Ed è vero. Ma solo parzialmente. Bisogna contemporaneamente affermare la «discontinuità». Il dono della fede-speranza-carità fa «tutto nuovo», fa «rottura», proprio nei termini in cui presuppone e integra la disponibilità umana. Il dono «precede» la disponibilità: non ne è la conseguenza, ma ciò che «sostenta» e vivifica ogni matura tensione umana.

    L'OPERATORE PASTORALE NELL'EDUCAZIONE AGLI ATTEGGIAMENTI

    Per concludere, potremmo schematizzare così il rapporto tra «virtù» e «atteggiamenti» individuando il compito dell'educatore pastorale:
    * è necessario partire dal lato «educabile» («umano», se si vuole: ma il termine è inadeguato perché pone separazioni assurde), per giungere alla pienezza della vita;
    * questo lato «educabile» lo chiamiamo «atteggiamento»;
    * è necessario individuare atteggiamenti che siano corrispettivi, correlativi alla meta che si vuole raggiungere (si pensi al rapporto tra amore umano e amore di Dio);
    * la priorità è al «dono»: la fede-speranza-carità sono il dono dell'amore del Padre, ontologicamente costitutivo del nostro esserGli figli. All'operatore pastorale compete quindi la grave responsabilità di «rivelare» la dimensione più vera di ogni suo impegno educativo. Annunciare che il vero volto di ogni gesto è la sua radicale «diversità»: una continuità discontinua. Rivelare cioè la dimensione soprannaturale di questi atti salvifici e quindi riferirsi continuamente alla fonte «appropriata»: il dono dell'amore del Padre, comunicato attraverso i sacramenti della Chiesa.

    QUALI ATTEGGIAMENTI?

    Abbiamo esemplificato il discorso degli atteggiamenti sul taglio del rapporto servizio-carità. E poi abbiamo aperto le riflessioni alla speranza e fede, senza concretizzare ulteriormente. Non è possibile fare delle rassegne esaustive. L'elenco degli atteggiamenti è vario e mutevole. Esso è funzione di due indicatori. Da una parte vanno considerate le corrispondenze con la «meta», definitivamente normativa: la fede-speranza-carità. Dall'altra, però, entrano in gioco molte variabili: il tempo-spazio concreto, la cultura giovanile storica, la situazione di «quella» determinata comunità giovanile. «Per alimentare una mentalità di fede che consenta di vivere da figli di Dio, la catechesi deve raggiungere gli uomini nel tempo e nel luogo in cui essi operano, vale a dire nella situazione di vita che è a loro propria» (RdC 128). Non è tutto sempre da inventare. E soprattutto non si può immaginare di partire da zero, come se nulla preesistesse. In una comunità giovanile, nella sensibilità corrente, in un determinato luogo, sono sempre di fatto presenti spontanei atteggiamenti. Oggi, per esempio, la dimensione comunitaria è nell'aria; fa parte, anche se con grosse immaturità, di un dato pacifico. In compenso si è smarrito radicalmente il senso del gratuito. L'educatore è chiamato a fare, realisticamente, queste misurazioni. Deciderà perciò in concreto di potenziare l'educazione ad atteggiamenti di «gratuità», ponendo gesti controcorrente alla logica spontanea, mentre inserirà solo un germe di novità nella naturale tendenza all'atteggiamento comunitario, autentificando quanto è già presente. Ogni elenco di atteggiamenti è solo un esempio. Per stimolare la ricerca in una direzione, dopo aver misurato la media delle sensibilità giovanili e culturali, ne offriamo due rassegne.

    * Una «rassegna» che sottolinea soprattutto la «corrispondenza» con le virtù infuse:
    il senso della gratuità. per riuscire ad amare con lo stile del Padre; la dimensione di «tempo lungo» per permettere la crescita di una speranza che è fondamentalmente apertura al futuro; la disponibilità al sacrificio per ritrovare la gioia del «pagar di persona» nella autenticità coltivata; la fiducia interpersonale, per poter intavolare rapporti reciproci in cui si esperimenti e si concretizzi la fede teologale; il senso del mistero, che ci fa toccar con mano il limite della nostra intelligenza e la grandezza dell'altro, irriducibile alle personali categorie di comprensione, aprendo quindi verso l'alterità trascendente di Dio; la libertà come autenticità nel dialogo interpersonale, da conquistare attraverso la liberazione interiore e strutturale; la disponibilità alla calma, al silenzio, all'ascolto, per cogliere, nel fragore del rincorrersi delle quotidiane emozioni, la voce del Padre che ci chiama e dei fratelli che ci invocano; l'atteggiamento pasquale del «perdere per ritrovare», della «morte come strada alla vita», per sconfiggere alla radice l'efficientismo egoista che riduce alla retoricità ogni nostra disposizione di servizio e di amore.

    * Una rassegna che sottolinea soprattutto uno stile «globale» di vita:
    di fronte all'uomo: avere una grandissima stima della vocazione a cui Dio ci chiama ed assumere la volontà di promozione umana nella fraternità; di fronte alla vita: avere coscienza della vita come dono da trafficare per un progetto di liberazione di tutto l'uomo in tutti gli uomini; di fronte alla storia: avere coscienza di essere stati scelti da Dio, perché la creazione abbia la sua riuscita come grandioso progetto di unificazione dell'umanità; di fronte all'avvenire: entrare nel vivo della speranza cristiana per realizzare le promesse di Dio ed assumere l'impegno di collaborazione con gli uomini di buona volontà nella costruzione della storia; di fronte alla sofferenza e alla morte: assumere la dinamica della legge pasquale e la fiducia nella vittoria finale del bene sul male; di fronte ai beni terreni: avere un'anima di povero per diventare libero e mettersi così al servizio della liberazione altrui; di fronte alla Chiesa: avvertire il senso di appartenenza e la volontà di partecipazione responsabile alla sua missione profetica nel mondo; di fronte a Gesù Cristo: assumerne la sua memoria profetica-liberatrice e così integrare nel suo mistero tutti i valori umani; di fronte a Dio: vivere nello spirito di figli e assumere la mentalità che credere in Dio non significa avere il privilegio di salvarsi, ma soltanto il dovere di testimoniare al mondo che Dio vuol salvare tutti, vuol liberare tutti.
    E l'elenco potrebbe continuare. Soprattutto deve continuare sul piano concreto dell'educazione alla fede di «questo» gruppo, di «questo» giovane, nel qui-ora storico, per individuare le «convergenze» spontanee da autenticare e le spontanee «divergenze» da superare.


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