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    Collegamenti, strutture e valori: esperienze «vere» di movimento



    (NPG 1975-04-34)

    Note di Pastorale Giovanile ha presentato un quadro teorico di riflessioni sulla opportunità di superare quello spontaneismo che ancora travaglia troppi gruppi giovanili ecclesiali, «verso un movimento» («Verso un movimento tra gruppi giovanili ecclesiali: problemi e prospettive», 1974 /12. Abbiamo ancora qualche estratto di quell'articolo: gli interessati possono richiederlo in redazione, allegando L. 200 in francobolli).
    In quel contesto, abbiamo cercato di fare un discorso metodologicamente corretto, preoccupati più della fondazione motivata della nostra proposta che di esperienze concrete con cui suffragarla. Abbiamo delineato l'obiettivo del processo, senza attardarci in sottolineature di «cammino».
    In quelle pagine, abbiamo ricordato la nostra chiara intenzione di non voler offrire nessuna concreta alternativa, né tanto meno di tentare, noi a titolo personale, di ricucire la trama di un associazionismo giovanile. Ci stava a cuore, unicamente, sottolineare il problema e aprire a soluzioni «mature».
    In redazione sono giunti molti consensi. Qualcuno ha letto tra quelle righe un progetto stimolante. Altri hanno confrontato la propria esperienza e ci hanno ringraziato di averli aiutati a correggere il tiro delle proprie scelte. Per qualcuno il discorso era scontato e ci ha scritto felice di aver ritrovato la propria fotografia.
    Sono affiorate anche riserve, soprattutto in rapporto alla parte contenutistica del progetto, del resto appena sfiorata, e a titolo esemplificativo, preoccupati come eravamo di centrare le problematiche metodologiche.
    Altri gruppi hanno preferito non abbandonare le secche della autosufficienza o dello spontaneismo.
    In questo contesto desideriamo, per tutti, riprendere il discorso. Questa volta dal concreto, offrendo una rassegna di «movimenti» esistenti. Di storie, cioè, ed esperienze che confortano dal vero le proposte fatte, le ridimensionano e le integrano.
    Abbiamo preso contatto con vari organismi, di peso, fondazione teorica e gestione pratica molto diversa, per offrire un quadro abbastanza articolato e dai riflessi operativi pluralistici.
    Incominciamo con due «storie»:
    • l'esperienza del centro diocesano di pastorale giovanile di Bolzano che ha concretizzato il tradizionale collegamento di Azione Cattolica secondo contenuti e modalità più ampi, creando contatti con quasi tutti i gruppi giovanili ecclesiali della vasta diocesi, attraverso incontri, campi-scuola, giornate di riflessione e soprattutto la condivisione di «valori»;
    • l'esperienza di un gruppo giovanile torinese (il SERMIG) che si è proposto come punto di coagulo di molti gruppi, creando convergenza su alcuni servizi particolarmente impegnativi e sulla condivisione di «scelte «ecclesiali e politiche.

    Il servizio è di E. Risatti e R. Tonelli. 

    IL SERVIZIO DI PASTORALE GIOVANILE A BOLZANO

    Sotto l'onda della contestazione giovanile, negli anni caldi del '68 e '69, si è fasciata l'organizzazione diocesana tradizionale dell'Azione Cattolica «giovani». La crisi dell'associazionismo ha travolto anche questa struttura. A Bolzano, però, non si è alzata bandiera bianca.
    La fiducia, all'inizio avvertita per intuizioni, sulla forza educatrice del gruppo, ha spinto il «centro diocesano» a ricucire, presto, le trame di un nuovo stile di associazionismo giovanile, capace di recuperare i valori più interessanti emersi nella nuova sensibilità sociale ed ecclesiale.
    Al gruppo strutturato e «catalogato» si è sostituito il gruppo d'impegno; al centro organizzatore una adeguata struttura di servizio diocesano; alla particolarità degli interessi e alla divisione dei compiti la globalità dell'impegno, nell'animazione pastorale della comunità umana e cristiana.
    La serietà dei compiti ha immediatamente aperto il capitolo della qualifiione. In questi anni, lo studio e l'incontro con esperti a livello nazionale ha segnato, a ritmi serrati, la vita dei gruppi giovanili ecclesiali di
    Bolzano.
    Incontri, giornate di studio, campi-scuola hanno lentamente costruito la trama di un «movimento» tra gruppi, collegati su valori condivisi consofferti.
    Questa è la «storia» dei gruppi giovanili ecclesiali della diocesi di Bolzano. La raccontiamo, in un confronto tra amici, per fare ad altri il dono di scoperte che oggi sono per noi esperienza quotidiana.

    PER COSTRUIRE VALORI CONDIVISI:
    LA QUALIFICAZIONE DEGLI ANIMATORI

    Abbiamo intuito presto che in diocesi non si poteva costruire nulla di serio a livello giovanile, lasciando libera corda allo spontaneismo. Troppi valori potevano andare dispersi, sull'onda del fare e rifare senza capo né cosa. D'altra parte gli schemi rigidi di un certo collegamento associazionistico erano ormai sepolti, tra le cose inutili. Non c'era neppure da penare di rispolverare vecchi metodi; se avevano offerto servizi pregevoli un tempo, oggi erano fatti oggetto di contestazione su molti fronti.
    Che fare?
    La domanda è rimbalzata tra alcuni sacerdoti, chiamati alla animazione pastorale dei gruppi giovanili, spuntati all'ombra di molte strutture ecclesiali. Questa è la «storia» della nostra risposta.
    Abbiamo scelto due strade convergenti. E oggi, leggendo a ritroso la nostra esperienza, ci sembrano intuizioni davvero pregevoli.

    Scelta degli animatori

    Per realizzare una pastorale giovanile abbastanza omogenea, con valori portant condivisi da tutti, dovevamo incontrarci. Riflettere, studiare, vivere», assieme.
    E così abbiamo fatto.
    Prima di tutto si è costruita una ragnatela di incontri e di contatti con i sacerdoti chiamati a lavorare, a titoli diversi, con i giovani e i gruppi.
    Ci siamo accorti che in crisi, prima di tutto, eravamo «noi»: l'identità, una volta pacifica e condivisa, stava scricchiolando sotto molte pressioni esterne. Per questo dovevamo «salvarci», ritrovando impegno sacerdotale, fede, preghiera. Abbiamo moltiplicato momenti di incontro: soprattutto per pregare, per confrontarci con la Parola di Dio, per ascoltare la testimonianza di gente impegnata. E poi abbiamo studiato assieme: piccole cose, all'inizio; problemi più seri, in seguito. Per «capirci» assieme. Fino a raggiungere un progetto di pastorale giovanile condiviso e con-sofferto. In cui credere, decisamente.
    Accanto all'incontro tra sacerdoti, abbiamo moltiplicato gli incontri tra giovani «animatori». Ogni sacerdote portava con sé ragazzi e ragazze, «leaders» naturali dei vari gruppi di provenienza. Per la loro formazione abbiamo buttato tutte le nostre energie. Volevamo raggiungere una condivisione ampia di valori, capace di coinvolgere anche i giovani più sensibili.
    Non si è fatta una selezione con criteri speciali. La «selezione» è nata dall'interno: coloro che se la sentivano, che rispondevano agli inviti, che tenevano duro.

    La qualificazione a livello «tecnico»

    La scelta di persone-chiave per realizzare un movimento pastorale nella diocesi si è, presto, compaginata con un secondo impegno: la qualificazione attraverso la competenza.
    Percorsi i primi passi, tra sacerdoti e giovani impegnati, ci siamo trovati allo scoperto. Come muoverci? Dove sbattere la testa? Le cose che sapevamo ce le eravamo dette tutte, ormai. Dovevamo «aprire», ascoltando voci nuove.
    E così abbiamo invitato a darci una mano un sacerdote di Torino, conosciuto quasi per caso, con il gruppo di giovani da lui animato. Abbiamo vissuto a contatto di questa esperienza (per noi «pilota») varie settimane di studio, disseminate in tre anni. Abbiamo capito, dal concreto di una «storia», le scelte teoriche che essi avevano fatto: il bisogno di una qualificazione seria e le piste privilegiate in cui raggiungerla. Per noi studiare voleva dire passare cinque giorni assieme a chiederci: che cosa fate? perché lo fate? come? dove volete arrivare? che problemi pone l'ambito delle vostre scelte? che visioni stanno a monte?
    Ci siamo reciprocamente arricchiti. E, proprio per questo, abbiamo avvertito il bisogno di non fermarci. Di riorganizzare in sintesi coerenti e riflesse un bagaglio di nozioni che avevamo assorbito quasi per osmosi. E così ci è venuta la fame della qualificazione.
    Abbiamo tempestato di richieste un sacco di esperti, scomodandoli in giro per l'Italia. Con loro abbiamo vissuto, nuovamente, settimane di studio, giovani e sacerdoti, privilegiando i temi che sentivamo urgenti per il nostro servizio ministeriale.

    Qualificazione in tre direzioni

    Abbiamo scoperto assieme la necessità di qualificarci e assieme abbiamo risposto, attraverso lo studio e l'ascolto di esperienze e persone. Questo ci ha permesso di costruirci un bagaglio comune. La nostra qualificazione pastorale si muove oggi secondo tre direzioni che tracciano lo stile di sintesi del nostro servizio di pastorale giovanile.

    1. La teologia e lo stile della «revisione di vita»

    La teologia del concilio e lo studio del «documento di base» per la catechesi ci hanno aiutato a scoprire e a far nostra la linea pastorale della revisione di vita, sia come progetto teologico che come metodologia operativa.
    Sentiamo che come Chiesa siamo chiamati a raccogliere sempre più gli appelli che la storia rivolge alla nostra coscienza cristiana, perché si compia interamente il disegno divino di ricapitolare ogni cosa in Gesù
    Cristo. Per questo cerchiamo di vivere la nostra fede alla scoperta del Cristo «dentro la nostra vita», in situazione con ogni uomo, vivente e operante nel quotidiano.
    La traduzione di queste percezioni in un metodo adeguato (sia a livello generale di azione pastorale che come «strumento» per la formazione, nei gruppi) ci richiede pazienza e costanza, perché è un'impresa impegnativa.

    2. Il metodo della dinamica di gruppo

    Da anni abbiamo scelto l'esperienza di gruppo come luogo privilegiato dilla nostra azione pastorale. Abbiamo moltiplicato i «corsi» e i contatti con gli esperti, per entrare consapevolmente nello «spirito» del gruppo. Siamo ben consapevoli che la dinamica di gruppo è un mezzo molto utile, ma pur sempre un mezzo. E per questo non vogliamo erigerla ad un assoluto, affidando ad essa la soluzione magica e tempestiva di tutti i problemi formativi dei gruppi.
    Abbiamo, sulla nostra pelle, esperimentato quello che un amico ci ha detto durante un corso: molti educatori avrebbero risparmiato sudori e fatiche, se avessero pagato un sufficiente tributo alla dinamica di gruppo. Per evitare tale inconveniente, desideriamo che ogni gruppo abbia il:raggio di accettare fino in fondo il portato e le riflessioni sulla dinamica di gruppo, pronto nello stesso tempo a prendere le distanze da essa.

    3. L'impegno politico

    Il gruppo è maturo quando sa farsi carico del proprio ambiente storico, avvertendo che a questo livello è in gioco la sua identità umana e cristiana. Anche per noi, qualche volta, affiora invece la tentazione di stare bene assieme e di non voler sfondare i limiti angusti del gruppo, per proiettarci in un servizio «fuori».
    Non vogliamo ridurre il gruppo a zona di parcheggio. Vogliamo camminare assieme per costruire assieme.
    Lentamente cerchiamo di avvertire la inderogabile necessità di una partecipazione piena all'impegno per la liberazione (quella spicciola, del nostro quotidiano, e quella globale) con tutti coloro che a titoli diversi lottano per realizzarla. E questo, davvero, a partire dalla nostra fede-speranza-carità, coinvolgendo cioè a pieno titolo la nostra identità cristiana. Il problema è per noi aperto.
    Abbiamo abbastanza chiare le prospettive teoriche, anche grazie allo studio e al confronto con amici che hanno riflettuto molto su questi problemi.
    Nella fase operativa, invece, affiorano spesso le difficoltà concrete: conciliare fede e impegno politico, comprendere il ruolo delle ideologie, fare scelte serie e responsabili, condividere con altri le nostre ansie politiche senza per questo emarginare la fede. Sappiamo che sono i problemi di molti gruppi. Noi li viviamo con una particolare acutezza, per il contesto socioculturale in cui operiamo e per i contrasti etnici, non ancora assopiti definitivamente. Vogliamo, comunque, superare il qualunquismo e il pressapochismo.
    Il collegamento con i vari gruppi della diocesi ci aiuta molto: perché le domande di un gruppo sono domande a tutti gli altri e le risposte che uno ha maturato diventano contributo a tutti. Ce le facciamo circolare, tra amici.
    Soprattutto ci sostiene il clima caldo di fede che respiriamo nei momenti di «celebrazioni» diocesane (ritiri, campi, incontri): sentiamo di vivere all'interno di una grande comunità ecclesiale, che è nostra, vicina, in cui è più facile credere e sperare, per il sostegno reciproco.

    LE STRUTTURE PER IL COLLEGAMENTO

    Nel giro di questi ultimi anni, il collegamento nato tra alcuni sacerdoti e giovani «animatori» si è lentamente esteso ai vari gruppi ecclesiali operanti in diocesi. Dall'animatore è filtrato al gruppo: con un grado di assorbimento diverso, ma ormai abbastanza consolidato.
    È stata la «strategia» che il nucleo dei responsabili diocesani ha portato avanti. Prima di tutto si è creata la coscienza della «opportunità» di un collegamento a livello diocesano, per superare in positivo lo spontaneismo subentrato al tradizionale associazionismo. La convinzione si è trasferita, per osmosi e per convincimento personale, tra pochi; per coinvolgere poí a macchia d'olio i più responsabili. Creata una base di «consenso», la proposta è fluita verso i gruppi, per realizzare una corresponsabilità totale (e non solo élitaria). I giovani animatori e i sacerdoti hanno «servito» i gruppi locali con la sensibilità acquisita nei vari contatti diocesani, per aiutarli a crescere in una ricercata apertura agli altri gruppi.
    In un primo tempo giovani, sacerdoti, gruppi convergevano verso il piccolo nucleo diocesano, che fungeva quasi da perno di questo movimento. Oggi i termini si sono capovolti: ogni gruppo è perno del movimento. Nella sua orbita circolano, di volta in volta, gli altri gruppi. Il nucleo diocesano è servizio di diffusione e di coordinamento. Fa da specchio che rilancia le informazioni e realizza i progetti, bisognosi di interventi organizzativi.
    Per tutto questo interscambio non ci sono «strutture»: abbiamo scoperto che non ci servono. Basta qualche persona di buona volontà, due telefonate e un foglio di collegamento.
    Abbiamo invece dei «momenti» vissuti assieme. E questi sono la nostra forza. Sono, normalmente, tempi di preghiera, di ascolto e di studio. Ogni anno (e la nostra esperienza è ormai ampia) sette giorni intensi di campo-scuola, aperto ai gruppi con una certa larghezza di inviti, per creare una base comune all'interno. Ogni gruppo partecipa con il proprio assistente: è una condizione pregiudiziale. Perché l'omogeneità deve fiorire prima di tutto alla base.
    Di tanto in tanto, per rispolverare le idee del campo e per offrire un incontro di fede, i gruppi partecipano ad una giornata di preghiera: molto silenzio, molta preghiera, la testimonianza qualificata di qualcuno che ci aiuti a «capire» per vivere meglio.
    A livello di gruppi sta facendosi strada un collegamento più informale: l'invito al «vicinato» per attività di lavoro o di svago, con l'impegno dello scambio, alla prossima occasione.
    Alla radice di tutto, resta l'avvicinamento personale molto stretto: tra i giovani più impegnati, i sacerdoti, il nucleo diocesano. Il sacerdote «responsabile» in diocesi della pastorale giovanile è a continua disposizione dei gruppi. La sua presenza ai momenti più significativi della loro vita diventa stimolo a promuovere, verificare, comunicare, sostenere esperienze e iniziative.

    DAL COLLEGAMENTO AL MOVIMENTO: I VALORI DI TUTTI

    Siamo partiti da una decisione di fondo: strutture e collegamenti al servizio della crescita dei gruppi e dei giovani. Non abbiamo mai voluto creare una rete di incontri, in vista di apparati burocratici. L'abbiamo sentita importante per permettere la circolazione intensa dei valori. Ad anni di distanza, ci pare di aver scelto la strada buona.
    Oggi i gruppi si riconoscono in alcune scelte di fondo: sono i valori condivisi su cui essi fanno «comunione». All'interno e verso l'esterno: nel gruppo, come spirito e confronto per la crescita delle persone; nel contatto dei vari gruppi ecclesiali che operano in diocesi.
    Ci risulta abbastanza facile fare l'elenco di questi valori. Li abbiamo martellati tanto che sono diventati ormai... un luogo comune: la nostra tavola di verifica.
    La storia della loro scoperta è invece diversa, sofferta. Attorno a qualcuno di questi valori, abbiamo fatto lunghe e accanite riflessioni durante i campi. Altri li abbiamo indotti dalla nostra vita quotidiana. Ad altri ci siamo arrivati, uscendo dai confini della nostra diocesi per incontrare esperienze significative. Altri, ancora, ce li hanno portati gli amici che abbiamo inviato in diocesi. Sono diventati ricchezza per noi, traboccando dalla loro esperienza. Questi valori sono il patrimonio comune dei nostri gruppi.

    • Interiorità, silenzio, riflessione. Ci siamo battuti molto, per scoprirne il significato dentro la nostra vita, superando contrasti e svuotamenti. L'abbiamo scoperto, questo modo alternativo di crescere, a Spello, durante una settimana che ricordiamo con molto interesse. Abbiamo capito in quel clima d'intensa preghiera il bisogno di fermarsi, di riflettere, di confrontarci con la Parola di Dio. E ne abbiamo fatto propaganda spietata.

    • Il servizio: la vita di carità. Ogni gruppo sente il bisogno di scoprire lo spazio concreto dove vivere la «sua» carità. Per molti è il servizio alla crescita dei «piccoli». Per altri l'animazione liturgica, nella parrocchia, la disponibilità alla maturazione della comunità parrocchiale. Per altri ancora, un intervento più direttamente «politico»: nel quartiere, nella scuola, nel sindacato.

    • La qualificazione. Nei gruppi oggi c'è molto «studio»: i gesti sono pensati e sofferti. Abbiamo tutti faticato non poco a superare lo spontaneismo e la fretta di fare tanto per fare. Il contatto con «esperti» ci ha rullato. Abbiamo scoperto quanto cammino ci restava da percorrere per essere «seri».

    • Una presenza nel quotidiano, secondo uno stile politico. Non vogliamo gestire, come gruppi ecclesiali, i vari spazi di intervento politico. Ma vogliamo essere presenti, in prima linea, attraverso la partecipazione, l'assunzione di impegni e di responsabilità, il confronto. A parole tutto fila abbastanza liscio. I fatti invece ci pongono spesso grossi problemi. La militanza politica mette in crisi molti gruppi, ci costringe spesso a ricominciare da capo, svuota molte sicurezze in cui ci crogiuolavamo. Dobbiamo ancora capirci bene, in tutto questo. E, insomma, una pagina ancora aperta. Intuiamo di non poter fare marcia indietro, anche se il cammino da percorrere è lungo e rischioso.
    Spesso qualificazione e preghiera hanno come oggetto proprio questa dimensione.

    • L'apertura alla Chiesa, sia in prospettiva missionaria che ecumenica. Taizé ci ha aiutato molto per il senso ecumenico. Una comunità di
    nostri» missionari in Brasile tiene desto il nostro senso missionario, perché li sentiamo parte di noi, in prima linea. Con questi fratelli c'è unos cambio frequente. Il loro contatto ci aiuta a capire meglio il nostro sere «Chiesa-qui» e il nostro impegno di diventare «Chiesa-aperta». Il tema missionario, per molti, è uno degli aspetti cardine del nostro movimento, grazie all'interscambio di persone e di messaggi, tra Bolzano e il Brasile.

    UN RITRATTO TROPPO OTTIMISTA?

    Abbiamo raccontato la nostra esperienza in un momento felice. Per questo hanno preso il sopravvento le note positive. Nel quotidiano le cose non vanno però sempre per il verso giusto. D'altra parte, abbiamo tracciate il punto d'arrivo del nostro cammino: la strada percorsa è stata lunga, piena di difficoltà e di incomprensioni. Qualche gruppo, maturando, sparisce dal giro. Altri ci lasciano perché temono di perderne in autonomia di crescita. Qualche volta fanno rottura proprio i valori su cui noi facciamo comunione.
    Oggi, però, serpeggia in molti una convinzione: il movimento ci ha arricchiti. È parte di noi. Lo sentiamo importante per la nostra autenticità. Potrebbero cadere le impalcature organizzative che lo sostengono, e continueremmo a trovarci. Per crescere di più. Assieme.

    IL SERMIG: UN GRUPPO DIVENTA MOVIMENTO

    Dieci anni fa iniziava la nostra attività: il SERMIG (Servizio Missionario Giovani). Avevamo sentito l'esigenza di essere un gruppo a servizio dei missionari, senza riferirci a nessuna congregazione in particolare, per giungere anche a quei missionari che non avevano gruppi di appoggio e per essere così più variamente disponibili al servizio della Chiesa. Abbiamo perciò cominciato lavorando per procurare un aiuto concreto ai missionari. Ma la maturazione del nostro stare assieme ci ha fatto passare da gruppo a comunità (non come sistema strutturato, ma come impegno e crescita nello stesso ideale), e ci ha portati ad approfondire questa scelta al di là del semplice aiuto materiale. Siamo così passati a un lavoro di coscientizzazione riguardo i problemi di evangelizzazione e di azione politica nel senso ampio della parola.

    SI CRESCE

    Ora non siamo più soli. Le 15 comunità SERMIG di città e diocesi diverse si sono collegate con decine e decine di altri gruppi. Collegamento non è dipendenza, è organizzazione che amplifica e consolida i gruppi. Questo collegamento è nato per caso. Quando è mancato don Franco Delpiano, tre anni fa, noi ci siamo ritrovati e abbiamo voluto fare qualcosa per ricordarlo. Abbiamo organizzato una serata invitando il complesso del Gen Rosso e don Ugo De Censi dell'operazione Mato Grosso. L'intenzione era di non avere dei nomi famosi, ma di lavorare sulle nostre convinzioni. Certo invitare della gente al Palazzetto dello Sport di Torino a sentire quelle canzoni e la pizza del discorso di un prete non era attraente e così abbiamo cominciato un ciclo di incontri con tutti i gruppi che conoscevamo.
    Siamo anche andati a invitare il nostro Vescovo, Card. Pellegrino. Non è venuto alla nostra serata, però ci ha chiesto di organizzare un altro incontro simile per invitare in Diocesi il Vescovo brasiliano di Recife, Helder Camara. Si siamo accorti che pochi lo conoscevano e per spiegare chi era abbiamo comprato un migliaio di libri di Camara e li abbiamo diffusi. Abbiamo fatto una faticaccia. Ci siamo trovati con l'acqua alla gola e abbiamo chiesto aiuto a due o tre gruppi. Questa è stata la chiave che ci ha aperti. Ci hanno dato una mano e abbiamo visto che assieme si può essere più incisivi.
    Quando molti gruppi si impegnano contemporaneamente nella stessa attività il risultato è superiore alla somma degli sforzi dei singoli gruppi. Questa era una novità per noi.
    Abbiamo cominciato ad analizzare con questi gruppi la possibilità di continuare un lavoro in comune e poi abbiamo cercato altri gruppi, attraverso le conoscenze, le parrocchie, i gruppi spontanei, senza nessuna preclusione. Qualcuno ha detto no, forse perché era fermo al vecchio SERMIG, non si rendeva conto della scoperta che stavamo facendo. Altri invece hanno rischiato, abbiamo combinato un incontro e abbiamo toccato con mano quanto è valido lavorare insieme.

    VALORI

    Camminando abbiamo scoperto il valore dell'unione, anche nella diversità. Abbiamo capito che in questo modo possiamo divenire un continuo e costante argine contro le spinte negative che schiacciano i meno provveduti della società. Con questo metodo di lavoro ci siamo proposti di offrire a tutti quelli che lo vogliono, la possibilità di spendere le loro energie in un impegno continuo e non soltanto temporaneo o episodico. Abbiamo capito che il frazionamento, lo scoraggiamento, il parlare a vuoto favoriscono le spinte negative. E abbiamo scoperto tutto ciò dando spazio ai nuovi amici incontrati, lasciandoci criticare, cercando assieme la strada dell'impegno.
    Dialogando con molti, noi ci siamo arricchiti. Abbiamo capito che se si vuole veramente lavorare per gli altri bisogna avere una visione ampia della vita, se no il discorso diventa negativo. Basta analizzare questo esempio terrificante: con tutto l'aiuto che noi occidentali abbiamo dato al Terzo Mondo e ai nostri emarginati, i poveri negli ultimi 10 anni sono diventati nove volte più poveri. Questo malgrado tantissime vite spese, tantissimi miliardi inviati, perché ognuno di noi ha lavorato in un piccolo settore, magari benissimo, però soltanto a fondo in quel settore, senza avere dei collegamenti con le varie situazioni. Molto lavoro si è sovrapposto e sprecato, altro non ha fruttificato perché mancavano le collaborazioni.
    L'unità dei gruppi nella loro diversità deve farci capire questi collegamenti. Se no, facciamo veramente niente. Acquietiamo soltanto la coscienza di chi vuol essere tranquillo. Manca la testimonianza che siamo tutti impegnati in un unico progetto: trasformare la società.
    Così, mentre ognuno, secondo la sua vocazione, si china sulle sofferenze di chi ha incontrato, tutti insieme uniti ci proponiamo di creare un movimento che rimuova le cause di tante sofferenze usando tutti i modi non violenti possibili: formando una mentalità, un ambiente, sostenendo con la testimonianza, responsabilizzando, chiedendo, smuovendo le forze sociali, gridando, non col chiasso, ma con la vita (e se ci mettessimo tutti ne verrebbe fuori un grido da far «spostare le montagne»), che cosa sia la giustizia e che cosa sia la libertà.
    Abbiamo capito queste cose lentamente, per gradi, grazie all'apporto di tanti che ci hanno incontrati e arricchiti con la loro esperienza e anche la loro critica. Usando pazienza e delicatezza per non imporre agli altri ciò che abbiamo capito noi, ma aiutarci a capire insieme, pronti sempre al confronto, a scoprire i valori degli altri.

    RADICI AMARE

    Quanto è difficile però lavorare assieme. Molti gruppi si sono ritirati, quindi dopo due anni di lavoro sentiamo il bisogno di ripartire adesso. Molti gruppi forse sono stati attirati da alcuni nomi grossi che giravano attorno a noi, e per noi i nomi grossi non hanno nessun valore. Per noi ci sono solo uomini che pagano di persona e che ispirano un certo tipo di fiducia.
    All'inizio alcuni gruppi sono stati influenzati dall'atmosfera bella che hanno trovato. Poi quando il discorso è diventato un po' più duro sono svaniti. Altri invece, forse perché strutturati in modo più forte all'interno, sono stati richiamati dal loro vertice. Ma nonostante che i risultati immediati non siano dei più esaltanti, per noi la collaborazione dà veramente una speranza.

    GIOVANI CONTRO SPERANZA

    I giovani d'oggi, nel complesso, mettono a dura prova la speranza, la vera speranza, quella che dà la spinta ad affrontare i diversi problemi urgenti. È chiaro che non bastano discorsi e buone ricette: ci vuole tenacia, fede, cocciutaggine (cocciutaggine non già come frutto di presunzione, ma come volontà di affrontare seriamente e con perseveranza le difficoltà).
    Ebbene, noi giovani potremmo veramente avere questa forza, ma troppe volte ci si blocca davanti a crisi sentimentali, a insuccessi personali, o in conseguenza di una amicizia non corrisposta, per difficoltà di accordarsi a livello dialettico. Si finisce per lasciarsi integrare dalla società (che si vorrebbe idealmente cambiare), una volta entrati nel lavoro dove andare contro corrente porta il rischio di non fare carriera e di essere mal visti dai superiori.
    Nei giovani c'è sovente una crisi di incoerenza tra parole e fatti, ce ne accorgiamo. A parole, in discussione, a tavolino si fa la rivoluzione, pronti a condannare e a contestare. Ma quando si deve passare ai fatti e fatti che impegnino personalmente, a una rivoluzione che è cambiamento e non chiasso e rovesciamento, allora ci si ferma, trovando difficoltà ad accettare i passi che si debbono fare, che, presi uno per uno, sembrano sovente piccoli, banali oppure faticosi. Si guarda alla meta ma non si ha il coraggio di percorrere tutta la strada.
    Contro queste costatazioni amare ci resta la speranza di una minoranza di giovani che si vogliono «buttare al buio» senza certezze materiali garantite dalle strutture e dai loro meccanismi, fidandosi pienamente di Cristo, una speranza che possa essere trasmessa con esempi vivi a quanti sono sfiduciati.
    Noi giovani inoltre potremmo avere una voce e un peso considerevole nelle scelte, perché mossi soltanto da un ideale non compromesso con altri interessi. Questo potrebbe essere un aiuto per tutte quelle forze che verrebbero fare delle sostanziali riforme ma che da sole non sono abbastanza incisive.
    Tutto ciò non è certo comodo e semplice, ma siamo convinti che rischiare per Cristo non sia mai vano.

    METODO

    Abbiamo toccato con mano quanto sia possibile essere incisivi mettendoci molti gruppi assieme, e però quanto è difficile. Allora bisogna trovare la formula: parlarsi con molta schiettezza, specie con i gruppi strutturati in modo un po' rigido. Se siamo gruppi ecclesiali dobbiamo trovare il modo di incontrarci per scambiare le nostre esperienze e non dipendere sempre dal vertice.
    Abbiamo capito che, con semplicità, dobbiamo sempre puntare sul positivo, per scoprire assieme ciò che ci unisce e partire di lì (sovente ciò che sembra dividerci viene a cadere nell'incontro sincero).
    Ci pare di aver compreso che ogni persona è un tesoro in potenza. Per valorizzare al massimo i talenti di tutti, proponiamo con costanza l'ideale che ci unisce e la nostra testimonianza, piuttosto che i nostri modi di azione pratica che devono scaturire dalla volontà d'impegno nelle situazioni reali e diverse. Possiamo essere arricchiti tutti dalle idee nuove che nascono conoscendoci e scambiandoci pareri e proposte. Per questo ci fermiamo per lungo tempo con i nuovi amici (anche un anno se occorre) per aiutarli e per aiutarci a vicenda, finché matura la volontà di andare avanti da soli. Ci siamo proposti in modo drastico di non parlare delle nostre e delle loro esperienze. Vogliamo proporre qualcosa al di fuori di noi e di loro. Può essere il problema della casa, della pace, ma fuori dai gruppi. Cerchiamo di incontrarci in qualcosa di diverso. E qualche gruppo sensibile ha accettato. Poi ne è venuto fuori uno scambio che è servito sia a loro che a noi. Però non li abbiamo attratti mai per comunicare loro la nostra esperienza. Sovente non diciamo niente di cosa facciamo noi al nostro interno, proprio per un rispetto di base. Questo per prevenire tante diffidenze: noi non vogliamo attirarli nel nostro giro. Poi dopo può anche venire una comunicazione a livello di preghiera, di scambio delle motivazioni che ci hanno spinto. Ci mettiamo assieme agli altri perché vogliamo riuscire più incisivi in un determinato problema e il metodo che usiamo è quello della cocciutaggine, della testardaggine. Ci sarebbe da rimanere molto sfiduciati se dovessimo guardare solo i primi risultati. L'unione è il passo successivo. Si scopre che solo insieme si diventa «forza» operativa, solo insieme ci si aiuta ad aiutare gli altri. Forse perché questo sia possibile è meglio rimanere piccoli e pronti a liberarci dalle strutture ogni volta in cui ci accorgiamo che queste prendono il posto dell'amore.
    Perché questo avvenga ci deve essere alla base di tutto una intensa vita di preghiera personale e comunitaria e un sereno e costante controllo con gli altri uomini. Confronto che non deve mai partire dal fatto che siamo noi che abbiamo la «verità» ma che ogni uomo ha dei valori che può donare solo nella misura in cui l'incontro è veramente libero e l'ascolto degli altri è serio. In pratica dovremmo essere sempre pronti a giocarci le nostre opinioni se veramente viviamo per un ideale: solo così si avrà la forza di essere liberi dalle cose e da se stessi.

    GOMITO A GOMITO

    Sono diversi i tipi di contatto che teniamo. Contatto personale in alcuni casi, anche per molto tempo. E poi contatto generale, invitare tutti i gruppi a ascoltare qualcuno o a portare la loro stessa esperienza. Sono due contatti complementari. Il primo dà la possibilità di verificare cosa facciamo e il secondo di incontrarci tra gruppi. Fra di loro i gruppi si conoscono poco, mentre noi pensiamo che un buon lavoro si debba fare a zone, collaborando con i gruppi del paese o del quartiere.
    Per questo i contatti li teniamo a zone: giriamo attorno a qualche comunità anche non nostra, che sia sensibile a questo discorso. Perché secondo la nostra esperienza il gruppo che vuole fare un lavoro deve aprirsi poco alla volta ad altri e collaborare con loro. La nostra intenzione sarebbe quella di restare sempre in seconda battuta, ma nei momenti di emergenza facciamo anche noi tutto quello che possiamo.
    Una impostazione del genere può reggersi solo se c'è un gruppo di giovani che si donano completamente e questo è ciò che cerchiamo di realizzare: formare una comunità di giovani aperti a tutti, in modo che anche l'ultimo arrivato possa entrare fin nel mezzo della nostra comunità. Infatti se noi formiamo una comunità con una regola interna, non dobbiamo far vivere questa regola agli altri. Anche l'ultimo arrivato deve poterla cambiare. Allora sì che il giovane può prendere un impegno serio. C'è un grave squilibrio nella struttura quando si soffoca l'ultimo arrivato. Se egli non può mettere in discussione quello che per noi è valido e sacro, non ci sarà mai un rapporto schietto. Penserà sempre che lui ha la verità e noi non gliela abbiamo lasciata tirare fuori.
    Uno dei cardini che abbiamo conservato è stato di dire chiaramente che siamo un gruppo cristiano, ma senza farne una bandiera. Questo perché preferiamo che nello scambio ci sia chiarezza delle forze che si incontrano, anche se certe persone appena sentono cristiano si ritirano subito. Abbiamo poi cercato di dimostrare che le cose si possono veramente fare assieme. E i giovani che sono venuti alle nostre assemblee hanno realmente toccato con mano diverse volte che l'impostazione data in par-lenza, perché una impostazione doveva esserci, era stata ribaltata grazie ai loro contributi.
    Questo è successo ad esempio con l'impegno politico.
    Noi oggi facciamo un lavoro politico perché i giovani dei gruppi nuovi che abbiamo incontrato ci hanno aiutato a maturare. Solo con loro infatti abbiamo capito che la politica è una cosa importante e l'abbiamo fatta nostra. Ma è certo che non tutti i gruppi lo hanno capito. Ogni tanto sparisce un gruppo: interrompe i contatti con noi e mai riusciamo a sapere perché l'hanno fatto. Abbiamo scoperto delle costanti: quando affrontiamo dei problemi più impegnati, proprio come la politica, allora si chiudono 'e porte.
    E il motivo è proprio questo: noi abbiamo seguito una maturazione, comprendendo le cose a poco a poco, assieme agli altri gruppi, ma chi non è rimasto in contatto ad un certo punto non ci ha più capito niente.
    Si può presentare il nostro gruppo attraverso questo pensiero di Mao-Tze-Tung che ci sembra inquadri il metodo che usiamo: «Attingere alle masse e dare alle masse». Questo significa: raccogliere le opinioni delle masse (sparse e disordinate) e portarle di nuovo (generalizzate e sistemate con uno studio) tra le masse. Propagandarle e spiegarle, farle diventare idee delle masse stesse, affinché le masse sostengano queste idee e le traducano in azioni. E, in pari tempo, controllare attraverso l'azione delle masse la giustezza di queste idee. Quindi bisogna di nuovo concentrare le opinioni delle masse e portarle di nuovo fra le masse, affinché queste le sostengano e così via. Ogni volta queste idee diverranno più giuste, più vitali, più razionali.

    NELLA CHIESA

    Ci sentiamo nella Chiesa come dei semplici cristiani che tentano, in sintonia e in unione con il vescovo e con i sacerdoti con i quali lavorano, di crescere insieme.
    Ci sentiamo in un mondo lontano dalla Chiesa: sentiamo la responsabilità di questo fatto; se molte persone si sono allontanate dalla Chiesa è perché le abbiamo «scandalizzate» e sentiamo il desiderio di rimediare a questa situazione. Questo potrà realizzarsi nella misura in cui nasceranno in mezzo a noi delle vocazioni di persone che preghino per capire se e come il Signore voglia anche questo da noi.
    Siamo convinti che se non ci lasciamo prendere dalla paura, la piccola paura quotidiana di essere cristiani davvero, il Signore ci farà intendere la via e i modi più adatti a testimoniarlo nella società in cui viviamo. È per raggiungere questo che sentiamo il bisogno di essere collegati con tutti gli altri gruppi.


    T e r z a
    p a g i n A


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